Dec 1, 2017 - Senza categoria    Comments Off on LA SENECIO ANGULATUS DAI FIORI GIALLI E STELLATI NELLA MIA CAMPAGNA DI LICATA

LA SENECIO ANGULATUS DAI FIORI GIALLI E STELLATI NELLA MIA CAMPAGNA DI LICATA

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Non è molto frequente vedere una fioritura così spettacolare come questa nel mio giardino, in contrada Montesole-Giannotta a Licata, durante questo periodo autunnale.

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  Scoprirla aggrappata alla rete della recinzione, oltrepassando i cladodi di ficodindia, mi ha suscitato piacevoli sensazioni.

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E’ la pianta di Senecio angulatus.
Ringrazio di cuore il prof. Alfonso La Rosa e il gruppo Flora Spontanea  Siciliana ai quali spesso mi rivolgo per avere conferma delle mie modeste conoscenze sulle piante spontanee!

 

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 In Italia i suoi nomi sono: Senecio angoloso, Senecione angoloso.
Il nome del genere “Senecio” deriva dal latino “Senex”, “vecchio”, alludendo ai pappi biancastri degli acheni, come la barba del vecchio, o alla pelosità grigia di molte specie.
Già Plinio Il Vecchio aveva usato questo nome proprio per questa caratteristica degli acheni che sono sormontati da un ciuffo di peli bianchi.
Il nome della specie “angulatus” si riferisce alla particolarità dei fusti angolosi.
Il Senecio angulatus è una pianta appartenente alla famiglia delle Asteraceae.
Originaria del Sudafrica, successivamente si è spontaneizzata in Italia e in Sicilia divenendo, a volte, invasiva e molto aggressiva.
Formando fitte macchie, alte anche 150-200 cm, sa coprire e anche soffocare la flora circostante.
Tuttavia, per la sua bellezza, la pianta è molto decorativa tanto da essere stata introdotta in molti paesi come pianta ornamentale.
Il Senecio angulatus si presenta spontaneamente come un arbusto sempreverde, rampicante, lianoso.
Possiede fusti violacei, succulenti, angolosi, incapaci di sostenersi.

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Le foglie, di un bel colore verde chiaro, sono glabre, carnose, a forma di cuore con margine ornato di denti ottusi.

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La pianta, all’arrivo del primo freddo siciliano, si ricopre di infiorescenze di numerosi, vivaci fiori gialli, dorati, appariscenti, stellati, particolarmente gradevoli perchè odorano di miele. Sono raggruppati in infiorescenze a capolino.
Il periodo favorevole per la fioritura è novembre- dicembre. I suoi fiori, che colorano di giallo l’autunno, sono una vera allegria.

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Dopo l’impollinazione, compaiono i frutti, gli acheni, frutti secchi sormontati dal pappo, un ciuffo di peluria bianca.
I pappi, leggeri, che riempiono l’aria, trasportati da vento, disperdono i semi anche in luoghi lontani dalla pianta madre.

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La pianta si riproduce anche per talea. E’ sufficiente staccare un rametto dalla pianta e metterlo direttamente in un vasetto.
La pianta, dopo l’esplosione di colore, si nasconde nella banalità.
La pianta di Senecio angulatus, essendo rustica, ha poche esigenze pedoclimatiche.
Sceglie terreni sciolti, leggeri e ben drenati. Sopporta la siccità gradendo qualche goccia d’acqua durante l’estate. Ama l’esposizione in pieno sole, ma vegeta bene anche all’ombra o a mezza ombra. Resiste alle temperature non troppo basse. Quindi vive nelle zone dove la temperatura è mite, nelle vicinanze delle aree marine ed evitala montagna.
Non ha nemici naturali, ma teme l’attacco della cocciniglia.
Per la personalità allegra e gioiosa dei suoi fiori, per la facilità di coltivazione la pianta in Italia è coltivata nei parchi e nei giardini della fascia mediterranea.
Gradito è l’habitat lungo le coste poiché tollera bene la salinità.
La pianta non è commestibile perchè tossica per la presenza di alcaloidi ad azione lenta che danneggiano per il fegato.
Non è gradita neanche agli animali.
Ha la particolarità di puzzare, ma solo quando si vede estirpata.

Nov 23, 2017 - Senza categoria    Comments Off on “ROSE ROSSE” RACCONTO DI MARIA MESSINA SCRITTRICE SICILIANA

“ROSE ROSSE” RACCONTO DI MARIA MESSINA SCRITTRICE SICILIANA

“ROSE ROSSE” è un racconto di Maria Messina, scrittrice siciliana, tratto dal libro “CIANCIANEDDA e altre novelle amastratine” edito della Youcanprint su interessamento del poeta Filippo Giordano.
Maria Messina molte altre volte ha inserito nei suoi acconti il nome della città di Licata.

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Maria Messina

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Tante volte la scrittrice, in questo racconto,  ha fatto riferimento alla città di Licata.
Pertanto, invito tutti i miei amici, soprattutto i licatesi, a leggerlo con molta attenzione.

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Nov 16, 2017 - Senza categoria    Comments Off on GLI ABBEVERATOI – LE FONTANE E LE FONTANELLE DI MISTRETTA

GLI ABBEVERATOI – LE FONTANE E LE FONTANELLE DI MISTRETTA

Le fontane e gli abbeveratoi che si ammirano nelle varie zone di Mistretta sono la testimonianza di una civiltà contadina poiché erano un indispensabile e obbligatorio punto di sosta per gli animali da soma, cavalli, muli, asini che avevano la necessità di abbeverarsi, e per gli stessi contadini che rientravano dal faticoso lavoro nei campi.
Erano luogo d’incontro e di socializzazione per le donne di casa che andavano a riempire le lancedde e i bubbuli di pura, fresca, limpida, preziosa acqua quando ancora nelle abitazioni non scorreva l’acqua diretta, o che andavano a lavare i panni .
Erano anche il luogo di divertimento per i ragazzini che facevano a gara a buttarsi l’acqua addosso o a bagnare l’incauto passante.
Quindi le fontane e gli abbeveratoi fanno parte della storia delle nostre famiglie e della comunità amastratina in genere.
Sono dei monumenti storici, come le chiese e i palazzi.
Molti sono gli abbeveratoi e le fontane distribuiti dentro il paese e nel territorio circostante dove continuano ad abbeverarsi capre, pecore, buoi.
Costruiti grazie alle maestranze artigiane locali, gli abbeveratoi e le fontane sono ancora una volta la prova delle capacità degli scalpellini di saper lavorare la pietra locale.
Le fontane che si trovano dentro il paese fanno parte dell’arredo urbano e sono tutte efficienti nell’erogazione della loro acqua.

 

 

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LA FONTANA PIA

La fontana Pia si trova nel Largo Cocchiara nel quartiere “Saddiu”, quasi alla fine della Via Libertà, dove occupa un ampio spazio.

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E’ conosciuta, soprattutto dalle persone anziane, come la fontana di “San Leo”.
Fu ordinata dal Consiglio Comunale di Mistretta, nel 1862, per intitolarla a Maria Pia di Savoia, la figlia del primo Re d’Italia, quando sposò il Re del Portogallo.
Autore dell’opera fu lo scalpellino Costantino Pellegrino, che la completò nel periodo dal 1862 al 1864, sfruttando una preesistente sorgente d’acqua che irrigava le piante degli orti che insistevano in quel luogo.

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 La fontana Pia è un’artistica e scenografica fontana separata dal fondo stradale da una scalinata semicircolare di quattro gradini.

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La  vasca grande ha la forma di un esagono molto aperto e su di essa poggia un piedistallo a quattro facce che sorregge le quattro lunette dalle quali fuoriescono i quattro imbocchi dell’acqua che alimentano le due vasche sottostanti. Dalla vasca molto capiente si preleva l’acqua per gli usi alimentari.
I vecchi mistrettesi hanno ancora l’abitudine di andare a raccogliere l’acqua dalla fontana Pia perché la ritengono molto salutare e diuretica.

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Ai piedi della vasca poligonale, opposta alla via Libertà, c’è la vasca più piccola, di forma rettangolare, meno capiente, più bassa perchè serviva come abbeveratoio per gli animali quando erano in tanti a passare per questa strada.

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La fontana continua con l’obelisco monolitico, a forma di un tronco di piramide a base quadrata, alto circa 10 metri, che sorregge all’apice la pigna, simbolo di fertilità e di prosperità.

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LA FONTANA DEI PP. MINORI RIFORMATI

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Di fronte e in asse con la fontana Pia, nella strada che porta all’ospedale, in Via Anna Salamone, si ammira la fontana del convento dei Padri Riformati.
L’antico ospedale del SS.mo Salvatore, costruito nel 1571, era condotto da sorelle religiose della Carità.
Nel 1610 si insediarono nel convento annesso alla chiesa di Santa Maria di Gesù i Frati Minori Riformati e nei locali ospitavano ammalati, poveri, bisognosi e pellegrini.
Il convento disponeva anche di un ampio spazio, probabilmente anche parte dell’odierna Villa Chalet, che i frati coltivavano a frutteto, a orto e a giardino oltre che frequentavano per ammirare le bellezze del Creato, anche la meraviglia di una pianticella che sbucava spontanea dal terreno, o per meditare in silenzio.
I frati vi rimasero fino alla soppressione degli Enti ecclesiastici, quando, cioè, furono confiscati i beni del convento nel 1866.
Fu confiscato  anche lo spazio verde.
Il 20 marzo del 1878, durante la seduta del  Consiglio Comunale, fu avanzata la proposta di realizzare un pubblico passeggio per i paesani e per i forestieri nella zona detta “O Calvariu”.
Furono piantati due filari paralleli di Tilia cordata che,nell’arco di poco tempo, diventarono alberi alti e larghi  tanto che i rami, toccandosi,formavano, e formano, una galleria fresca, ombreggiata, utile per una salutare passeggiata respirando il gradevole profumo dei tigli quando sono in fiore.
Nel terreno parallelo al viale dei tigli furono piantati tante tipi di essenze vegetali, soprattutto piante ad alto fusto, pini, abeti, platani, magnolie.
Fu l’inizio della nascita della villa Chalet!
Il giardino, di forma rettangolare, fu delimitato daI muretti, daLLE ringhiere di ferro e dal cancello, opere  progettate dall’ing. Lucio Lorello nel 1905 e dall’ing. Francesco Liuzzo nel 1907 che hanno migliorato l’aspetto del giardino.
La presenza della vasca circolare, che ha ospitato tanti pesciolini, collocata al centro dell’agorà principale, fu realizzata utilizzando i reperti recuperati dalla demolizione della fontana della Piazza Vittorio Veneto, vicino alla chiesa di San Rocco.
Il 20 novembre del 2015 in una parte del giardino, chiamata “giardino della complessità”, limitrofa all’ospedale SS.mo Salvatore e annessa al reparto di salute mentale, allora diretto dal dottor Antonino Puzzòlo, in onore di Franco Basaglia, psichiatra e neurologo italiano che ha rivoluzionato il sistema della cura delle malattie mentali in Italia, è stata messa a dimora  una giovane Betulla, alta circa tre metri, durante la “Giornata dell’arte in giardino, sezione autunnale” alla quale hanno partecipato: i pazienti, ospiti della struttura sanitaria, che hanno partecipato all’iniziativa con entusiasmo, alcuni studenti del liceo artistico “Ciro Michele Esposito”  di Santo Stefano di Camastra, accompagnati dal professore Domenico Boscia, e le artiste Liria Ribaudo e Marianna Tita.
E’ stata scelta la Betulla perché è il simbolo della salute e dell’igiene mentale.
Nel giardino del convento dei frati Riformati esisteva un lungo pergolato che incorniciava il frontale di una bella fontana.
Essa consisteva in un portale inquadrato da lesene e terminato da una trabeazione arcuata nella parte centrale.
Un catino, ricavato in un blocco monolitico e sorretto da un mensolone a petto d’oca, accoglieva l’acqua che fuorusciva dalla bocca di una maschera.
La fontana era stata realizzata nel 1760, come attesta l’incisione della data, riportata in forma scomposta sulle due paraste.
Quando, nel 1874, il convento fu espropriato e fu destinato dalla Commissione Sanitaria ad accogliere una nuova struttura ospedaliera, anche il giardino subì uno stato di abbandono.
Anche la fontana fu demolita, depositata in un anfratto del nosocomio addossata a un terrapieno dove rimase per oltre un secolo subendo il lento, ma progressivo disfacimento del muro retrostante.
Nei mesi di Maggio – Giugno del 2006, su proposta dei Lions Mistretta-Nebrodi e su progetto realizzato dall’arch. Angelo Pettineo, la fontana fu smontata, ricostruita e collocata sulla via Anna Salamone.

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 Da alcuni decenni un ampio spazio è stato sottratto al giardino per realizzare la pista di atterraggio dell’elisoccorso.

IL LAVINAIO O LA FONTANA DEL ROSARIO

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Dalla storia apprendiamo che le acque che scorrevano velocemente nel versante occidentale del paese, a partire dall’attuale piazza Vespri, si riversavano nel canale detto “lavinaio del Rosario” e, attraversando la via Santini, defluivano nel Torrente Santa Domenica.
Il passaggio delle acque erodeva la roccia formando un condotto che attraversava la parte centrale della “strada nuova”, l’odierna Via Anna  Salamone.
La Via Anna Salamone è un importante asse viario che, iniziando dalla Piazza Vittorio Veneto, costeggia il convento dei Padri Domenicani della chiesa del SS.mo Rosario e il convento dei frati Minori Riformati nei pressi dell’Ospedale.
I Giurati del popolo avevano fatto costruire un ponticello in prossimità del quale avevano posto anche un abbeveratoio.

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Tra il 1868 e il 1878 il Comune decideva di riempire il lavinaio e il ponticello del Rosario con grossi sassi nascondendo l’“acquedotto immondo” che raccoglieva le acque piovane e le acque luride.
Questo abbeveratoio è la fontana del Rosario, progettata dall’arch. Silvestre Marciante nel 1867e realizzata dagli scalpellini Giaimo e Cannata nel 1878 che hanno riutilizzato i pezzi provenienti dalla “Fontana del Fruscio“, la monumentale fontana addossata all’abside della chiesa di San Rocco, vicino alla chiesa Madre, ed affacciata sulla piazza Vittorio Veneto.

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 Nel 1866 la fontana fu parzialmente demolita.
In seguito ai lavori di pavimentazione eseguiti nel piazzale antistante alla chiesa della Madonna del SS.mo Rosario, lavori progettati dall’arch. Vincenzo Consentino e realizzati da Saverio Lo Prinzi nel 1876, necessari per migliorare il riassetto urbanistico della città, la fontana fu spostata di pochi metri in modo da facilitare il passaggio delle macchine principalmente in direzione dell’ospedale, e fu collocata nella strada un po’ più in basso.

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Foto di Gaetano Catania

Successivamente, intorno al 1960, è stata nuovamente spostata e ricollocata in Via Santini.

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E’ una fontana di semplice fattura. La grande vasca, di forma rettangolare, è sormontata da un blocco di pietra arenaria e marmorea riccamente scolpita. Nella parte posteriore il catino riceve l’acqua, quando c’è, che versa nella grande vasca.

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 LA FONTANA DELLA NEVIERA

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La fontana della Neviera, nei pressi della chiesa di Santa Caterina, esistente già nel XVII secolo, è la prima fonte che uomini e animali incontravano, entrando in paese, quando ritornavano dalle compagne della contrada Neviera ed oltre.
E’ formata da un lungo bacino idrico dove si abbeveravano gli animali e da un piccolo catino per gli uomini.

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 La fontana è anche  luogo di gioco per i bambini della Scuola Elementare Statale “Neviera”.

LA FONTANA DEL LARGO DEL PROGRESSO

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La fontana di San Vincenzo si trova nei pressi della chiesa della SS.ma Trinità, meglio conosciuta come la chiesa di San Vincenzo, esattamente nello spiazzale denominato “Largo Progresso” per la presenza del primo mulino elettrico in città.
La vera chiesa di San Vincenzo, una volta situata nell’attuale Largo del Progresso, fu demolita prima del 1875 e, al suo posto, nel 1875, fu costruita la fontana in pietra per opera del mastro scalpellino don Sebastiano Arcieri che aveva ricevuto l’incarico di eseguire i lavori di costruzione dell’acquedotto.
Dalla fontana oggi sgorga l’acqua aprendo il rubinetto che ne controlla il flusso.
E’ uno straordinario lavoro realizzato dall’artigiano mistrettese.
Il catino monolitico, di forma circolare, scolpito nella parte inferiore, sostenuto da un piedistallo cilindrico, adorna il piazzale urbano del Largo del Progresso.

IL BEVAIO DELLA CASAZZA

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La fontana della Casazza i trova nella zona vecchia della città, nella via Casazza, oggi via Giosuè Carducci. Fu costruita nel 1876 dal maestro don Sebastiano Arcieri e serviva per fare bere il bestiame che ritornava dalla campagna, soprattutto i cavalli, le giumente, i muli, gli asini.
La fontana consta, anteriormente, di una vasca rettangolare e, posteriormente, di un catino rudimentale di pietra appoggiato al muro e sostenuto da una piccola base colonnare.

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  LA FONTANA DI LARGO SAN NICOLA

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Coetaneo della fontana del Rosario è l’abbeveratoio di San Nicola che si trova di fronte alla chiesa omonima. Quando, nel 1866 fu distrutto l’antico “fruscio”, la monumentale fontana addossata all’abside della chiesa di San Rocco ed affacciata sulla piazza principale del centro, i frammenti, provenienti dalla sua demolizione, furono utilizzati per comporre la fontana del Rosario e la fontanella nello slargo antistante alla chiesa di San Nicola.
La fontana è un  piccolo catino di forma circolare attaccato al muro con scolpiti decorazioni a lobi fogliari.
Tre bellissimi grandi archi sovrastano la fontanella.

 LA FONTANA DI LARGO SAN PIETRO

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Nel largo San Pietro c’è la fontana denominata “Fontana di Cerere”, la divinità delle messi, protettrice delle campagne e dei cereali.
Il tempio della divinità Cerere, verso la quale la città di Mistretta professava uno spiccato culto, doveva sorgere dove attualmente è ubicata la piccola chiesa di San Pietro e, per questo motivo, la fontana di San Pietro è chiamata “Fontana di Cerere”.
L’acqua era un elemento indispensabile alla necessità della divinità consistente nell’immersione in un bagno purificatore prima dell’ingresso al tempio.
Anticamente le donne, usando la fontana come pubblico lavatoio, andavano a lavare e a stendere i panni di tutta la famiglia.
Gli uomini aiutavano in casa andando a riempire l’acqua alla fontana con i secchi di allumnio.

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Foto di Gaetano Catania

La fontana, di pietra locale, costruita nel 1867 su progetto dell’arch. Silvestre Marciante e dallo scalpellino Salvatore Giajmo, ha la vasca allungata per contenere l’acqua destinata al beveraggio degli animali sormontata da una finitura a timpano di forma triangolare.

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Nel suo lato destro una piccolo catino semicircolare distribuisce l’acqua per usi alimentari.
Anche la fontana di San Pietro è stata ricomposta utilizzando i frammenti ricavati dalla demolizione della fontana “fruscio”.

L’ABBEVERATOIO DEL PALO

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La fontana del Palo fu installata nel Largo Buon Consiglio chiamato così perché, con l’espansione urbana della città, nella zona del “Palo” si svolgevano le assemblee giudiziali.
Il 27 marzo del 1630 l’assemblea civica decideva di riscattare totalmente la città di Mistretta restituendola alla sua originaria condizione di pubblico demanio difendendola da ogni sopraffazione feudale.
Era il 1633.
Poichè si riunivano queste assemblee, dove si discutevano importanti ed urgenti problemi,  a questo luogo si diede il nome di “Largo Buon Consiglio”.
Si racconta che nel seicento furono anche “messi al palo“, cioè impiccati, i dissidenti.
L’abbeveratoio, edificato in quel luogo, è denominato  la fontana “del Palo”.
E il luogo è conosciuto come “U Palo” proprio per la presenza di questa maestosa fontana.
L’abbeveratoio fu costruito nel 1860 quando fu realizzato l’acquedotto “Virdicanna” che l’alimentava mediante un sistema idraulico su progetto dell’Ing. Gaetano Priolo.
Oggi la sua acqua proviene dall’acquedotto comunale.
Anche questo monumento fu eseguito dai maestri scalpellini locali Giaimo e dai fratelli Pellegrino.

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Cartolina di Gaetano Catania

 L’abbeveratoio è formato al centro da un bevaio rettangolare lungo una decina di metri, posto parallelamente all’asse della Strada Nazionale, che serviva per fare bere gli animali.

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Questa grande vasca è chiusa sui lati minori da due testate sulle quali sono state posizionate le lapidi, incise da parole latine semicorrose, che danno il senso dotto della città, ricordano il notevole impegno per dotare Mistretta dell’acquedotto pubblico.
In una di esse è ricordato chi ha portato la vena d’acqua che, da lontano, è arrivata fina al bevaio.
E’ lodato il Sindaco di allora per aver permesso la realizzazione dell’opera.
Le parole conclusive, riferite all’acqua, dicono: “Godi lieto, bevi grato, allontanati riconoscente”.

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Alle due estremità del bevaio due catini di forma circolare accolgono l’acqua, destinata agli uomini, ed erogata attraverso maschere scolpite nella pietra.

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 Quindi l’acqua defluisce nella vasca centrale destinata al bestiame.
Molti pesciolini guizzano nell’acqua.

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L’ABBEVERATOIO DEL QUARTIERE PIRO

Ringrazio  l’ach. Prof. Mariano Bascì per avermi segnalato questo piccolo abbeveratoio e per avermi fornito tutte le foto.
L’articolo, scritto dal prof. Mariano Bascì, è stato pubblicato sul giornale “Il Centro Storico” nel periodo Febbraio-Marzo 2012 e che riporto integralmente.

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Dal punto di vista storico questo abbeveratoio dovrebbe essere il più importante e ce ne siamo quasi dimenticati trattandolo così!

Nel territorio di Mistretta, ma fuori dal paese, si trovano altre fontane utili per il beveraggio soprattutto degli animali al pascolo.

L’ABBEVERATORIO DI “CECE’

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IL BEVAIO “RUBINI”

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Durante il mio soggiorno estivo a Mistretta quest’anno amavo fermarmi, anche per molti minuti, sotto l’albero di Robinia particolarmente voluminoso sopra il bevaio  in contrada “Rubini” dove andavo a bere un sorso di acqua pura e fresca.
Il bevaio “Rubini” si trova a circa 1500 metri distante da Mistretta, sulla statale per Santo Stefano di Camastra.
E’ un piccolo bevaio che si raggiunge percorrendo una piccola stradina interna e scoscesa.

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Il bevaio riceve l’acqua direttamente dalla montagna sovrastante.
La sua acqua è molto apprezzata per il sapore e io la bevevo senza versarla nel bicchiere, ma direttamente dalla mia mano piegata a coppa.

LA FONTANA “A FUNTANA MURATA

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La fontana “Murata” è una lunghissima fontana sita in contrada “Funtana murata”. Da ammirare l’aquila reale, lo stemma del comune, posto nella sponda superiore del bevaio.

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LA FONTANELLA “U RUVIETTU

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La piccola fontanella “U Ruviettu” è un piccolo bevaio che si trova a circa 4 Km da Mistretta sulla strada per Castel di Lucio.
Dal fruscio esce l’acqua proveniente direttamente dalla soprastante sorgente.
La purissima acqua è fonte di ristoro per uomini ed animali.

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LA FONTANELLA “RAIANO”  dopo il laghetto “URIO QUATTROCCHI

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Dopo avere superato il laghetto Urio Quattrocchi, percorrendo ancora circa 400 metri, in contrada Raiano, si incontra un caratteristico bevaio di campagna che serve per dar da bere agli animali provenienti dal Monte Castelli.

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E’ una fontana molto semplice, costruita nel 1954.

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 La sua acqua si apprezza per la purezza, anche se c’è scritto “acqua non potabile”, e per la sua freschezza.

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Foto di Gaetano Catania

L’abbeveratoio sulla statale per Nicosia

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Qualche altra fontana, di stile moderno, si trova dentro edifici di proprietà privata.

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Nov 9, 2017 - Senza categoria    Comments Off on L’ALBERO DI ROBINIA PSEUDOACACIA NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

L’ALBERO DI ROBINIA PSEUDOACACIA NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

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Gli alberi di Robinia sono molto presenti a Mistretta.
Durante il mio soggiorno estivo a Mistretta quest’anno amavo fermarmi, anche per molti minuti, sotto l’albero di Robinia particolarmente voluminoso vicino alla fontanella  in contrada “Rubini” dove andavo a bere un sorso di acqua pura e fresca.

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 Qualche esemplare vegeta anche nella villa comunale “Giuseppe Garibaldi”.
Molti di essi si possono ammirare in periferia, percorrendo la strada statale 117 per Nicosia 117 o quella per raggiungere Santo Stefano di Camastra.

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Il suo nome botanico è “Robinia pseudoacacia”, che significa “falsa Acacia” poiché non appartiene alla famiglia delle Acacie, ma a quella delle Leguminosae. E’conosciuta come “Robinia” in onore di Jean Robin (1550-1629).
Il suo nome ricorda la storia di un’intera famiglia di giardinieri. Il botanico francese Jean Robin, farmacista ed erborista dei re Enrico III, Enrico IV e Luigi XIII, verso la fine del 1500, dalla Facoltà di Medicina di Parigi ricevette l’incarico di sistemare l’Orto Botanico dell’Università dato che nel giardino si coltivavano già alcune piante medicinali.
Tra le tante piante esotiche, egli seminò anche alcuni strani semi giunti dall’America ottenendo, dopo poco tempo, bellissimi alberi che furono molto apprezzati dai nobili francesi che presto li scelsero per abbellire i loro giardini. Nel 1636 il figlio Vespasian trapiantò uno degli esemplari ereditati dal padre nel “Jardin du Roi”, l’attuale “Jardin des Plantes”, dove ancora è possibile ammirare la più vecchia pianta di Robinia oggi esistente. Linneo classificò la pianta dei Robin attribuendole il nome scientifico di “Robinia pseudoacacia”.
La Robinia è originaria dell’America del Nord, precisamente della zona degli Appalachi dove formaboschipuri.
La qualità ornamentale della Robinia, per la bellezza della sua fioritura, è il motivo principe della sua diffusione in tutto il globo terrestre.
La specie è presente in Turchia, in Australia, nella Nuova Zelanda e anche in Africa.
E’ diffusa in gran parte dell’Europa centrale, introdotta nel 1601 e precisamente nel Place Dauphine, e, in particolare in Francia, in Germania, in Belgio, in Svizzera, in Austria, in Ungheria, nella Slovenia.
In Italia la Robinia fu coltivata per la prima volta nel 1662 presso l’Orto Botanico di Padova diffondendosi prima come specie ornamentale e, successivamente, come specie forestale. Nella seconda metà del ’700 fu introdotta in Piemonte dalla Casa reale Savoia soprattutto per rimboschire i pendii dissestati. Alessandro Manzoni introdusse la Robinia nel giardino della sua bella villa di Brusuglio in Brianza e ne consigliò l’uso per il rimboschimento e per il consolidamento dei terreni collinari franosi.
La Robinia è una pianta molto diffusa poiché, disseminandosi naturalmente con molta facilità e scegliendo il suo areale dalla pianura fino a 1500 metri di altitudine, s’integrò nell’economia rurale. Per questo motivo è conosciuta in tutte le regioni che le hanno attribuito un appropriato nome. In Liguria è chiamata “Gazzïa, Rubina”, in Lombardia “Rubeglia, Robino, Rübé”, in Piemonte”Gasìa”, nel Veneto ”Cassia-gadia, Garsìa, Robina”, in Friuli ”Cassia”, in Calabria “Acrassiàra, Acrassiàru, Caciàru, Rubinara”, in Toscana ”Cascia”, nel Lazio “Spinacacia”, nelle Marche “Acacia, Caccia”, in Abruzzo ”Albërë d’acàccë, Acàccë”, in Molise “Gaggia”, in Sardegna ”Acacia”, in Sicilia “Rubinia”.
La Robinia presenta un portamento arboreo eretto, il tronco, alto fino ad oltre 20 metri, è sostenuto da un apparato radicale profondo e particolarmente pollonifero ed è rivestito dalla corteccia rugosa e grigio-bruna percorsa longitudinalmente da solcature sinuose che, nel tempo, si approfondiscono assumendo un colore giallastro.
Grazie alle radici che si allungano nel terreno, cresce rapidamente sottraendo le sostanze nutritive alle altre piante vicine.

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La sua vita media è di 70 anni circa, ma, nei luoghi d’origine, sono stati segnalati individui di 400 anni. I rami sono tortuosi e spinosi e i ramoscelli più giovani sono di colore bruno rossastro.

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 Le foglie, lunghe fino a 20-25 centimetri, caduche, composte, imparipennate, costituite da 7-21 piccole foglie ovali, alterne, con il margine intero, lisce, provviste di una coppia di spine alla base del picciolo, di colore verde scuro nella pagina superiore e verde-bluastro nella pagina inferiore, formano la chioma leggera composta di una complicata serie di ramificazioni che tende a divenire disordinata con la vecchiaia.
Tutte le foglie reagiscono a determinati stimoli: durante il giorno si muovono per inseguire i raggi del sole, durante la notte si addormentano pendendo all’ingiù. In autunno, prima di cadere, diventano dorate.

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I fiori, compaiono in maggio-giugno. Molto profumati, di colore bianco-crema, sono raccolti in numerosi eleganti racemi penduli e sorretti da sottili peduncoli. Il calice è composto di 5 lobi e la corolla, papilionacea, è formata da 5 petali diversi. Essa custodisce l’androceo formato da 10 stami e l’ovario. Uno stame è libero, mentre gli altri nove sono uniti insieme a formare un tubo alla cui base sono presenti le ghiandole che producono il dolcissimo nettare particolarmente gradito alle api che, per impadronirsene, entrano nel fiore svolgendo l’azione impollinante.
La quantità di nettare prodotto durante la giornata è abbondante.

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L’impollinazione è entomofila. Il frutto, un legume pendulo deiscente prima di colore verde, poi marrone, appiattito, lungo 5-10 centimetri, persistente sull’albero fino all’inverno, contiene da tre a dieci semi bruno scuri che cadono dopo la sua apertura.
I semi, molto duri, si usano per creare collane.

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La moltiplicazione avviene per semina in primavera utilizzando i semi dell’anno precedente e per disseminazione spontanea.
I polloni, che spuntano dal colletto e dalle radici, favoriscono la riproduzione agamica.

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La Robinia è una pianta arrogante e prepotente. Se la sua espansione non è controllata, a causa della sua velocità di crescita, diventa infestante e tende a formare concentrate macchie in competizione con le specie arboree spontanee sulle quali spesso prende il sopravvento soffocando le piante autoctone. La rapida diffusione della Robinia non è stata ostacolata, anzi, in passato, è stata spesso diffusa dall’Uomo perché molto apprezzata per i suoi numerosi vantaggi.
La Robinia è coltivata come pianta ornamentale nei giardini e nelle città per i molteplici aspetti decorativi: per il portamento maestoso ma slanciato, per l’ampia chioma ombrosa, ma non cupa, per la fioritura aggraziata, per l’implacabile presenza delle spine, per la resistenza all’inquinamento atmosferico. La coltivazione è molto facile.
La Robinia è una pianta eliofila, gradisce essere messa a dimora in un luogo soleggiato, ma può svilupparsi anche in luoghi sfavorevoli, ombreggiati o investiti da forti venti.
Non teme il freddo, resiste alle alte temperature e, generalmente, non necessita di annaffiature che devono essere effettuate in caso di siccità e al momento della messa a dimora. La pianta adulta è resistente anche a prolungati periodi siccitosi.
Non necessita di particolari concimazioni.
La Robinia è una leguminosa, cioè è una pianta capace di fissare l’azoto atmosferico mediante batteri presenti in speciali noduli nelle radici che arricchiscono il terreno di azoto, pertanto vegeta su suoli sciolti e ben drenati, anche poveri di sostanze nutritive e degradati.
Necessita di spazio sufficiente per sviluppare un apparato radicale robusto e profondo.
La pianta, in genere, resistente alle malattie, patisce l’attacco dell’”Armillaria mellea” un fungo noto ai raccoglitori col nome di
“Chiodino” o “Famigliola buona”. I vantaggi riscontrati nella pianta di Robinia sono tanti. Ha la capacità di consolidare suoli scoscesi e franosi, resiste al passaggio del fuoco degli incendi.
Come pianta spinosa, può essere usata per formare barriere protettive di confine. Si adatta in modo incredibile a vivere lungo gli argini di qualunque strada.
Le foglie, molto proteiche, sono particolarmente accettate dagli animali durante la stagione estiva, quando il pascolo scarseggia, ma consumate in piccole quantità poiché le foglie, come tutte le altre parti della Robinia, tranne i fiori appena sbocciati, sono pericolose per la presenza di una sostanza tossica.
Si racconta che molto tempo fa in Kenya alcune decine di giraffe sono state rinchiuse in un parco protetto, dove erano coltivate le Robinie, per proteggerle dai bracconieri. Dopo pochi mesi le giraffe morirono perché le piante, minacciate dalla voracità delle giraffe, produssero una quantità di tannino tale da avvelenarle. La sua tossicità non è universale per tutti gli animali che ne fanno uso.
Le capre sono ghiotte e consumano in quantità le foglie di Robinia senza ricevere nessuna conseguenza. L’ingestione di fusti e di foglie anche all’Uomo causa problemi seri di tossicità. In fitoterapia le parti della Robinia non sono molto utilizzate. La corteccia ha proprietà emetiche, le foglie sono colagoghe e i fiori hanno proprietà lassative ed antispasmodiche.
Il suo legno, di colore giallo-verdognolo o bruno-olivaceo, ha grana piuttosto grossa e si spacca facilmente, ma resiste bene in qualsiasi ambiente esterno.
E’ usato in paleria, per la costruzione di ingranaggi soggetti a forte usura, per mobili da esterno, per parquet, per pioli delle scale, per bastoni e per utensili da cucina. E’ un combustibile con elevato potere calorifico, che brucia bene anche appena tagliato e umido e produce poco fumo.
La Robinia, eccellente pianta mellifera, è di fondamentale importanza per l’apicoltura per la sua elevata produzione di miele.
Il miele, impropriamente chiamato “miele d’acacia” è apprezzato per la sua fluidità dovuta all’alta concentrazione di fruttosio. I fiori sono commestibili.
Nel Veneto sono consumati fritti in pastella e conferiscono alla frittella un profumo soave e un sapore particolarmente squisito.
I boccioli dei fiori servono anche per la preparazione di un profumato liquore.
In fitoterapia l’infuso di fiori cura il mal di testa.
Il decotto di foglie è utile nell’anemia, nelle intossicazioni epatiche e gastriche.

 

Nov 1, 2017 - Senza categoria    Comments Off on IL PROF. FRANCESCO CUVA PRESENTA IL SAGGIO “ODISSEA NELLA STEPPA”

IL PROF. FRANCESCO CUVA PRESENTA IL SAGGIO “ODISSEA NELLA STEPPA”

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Il giorno 22 ottobre 2017, nel salone dei convegni della parrocchia del Santuario della Madonna dei Miracoli a Mistretta il prof. Francesco Cuva ha presentato il suo saggio dal titolo “ODISSEA NELLA STEPPA“, edito dalla tipografia A&G sas, CUECM, Catania, 2017, e con l’introduzione di Sebastiano Maggio. I disegni, realizzati  dall’arch. Liborio La Vigna, hanno impreziosito il contenuto del libro.
Sono intervenuti: Mons,Michele Giordano, il sindaco, avv. Liborio Porracciolo, il vicesindaco avv. Vincenzo Oieni, i parenti di chi ha sperimentato la disavventura bellica in terra di Russia (1941-1943), un folto pubblico di amici.

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Il tavolo dei relatori da sx: Giuseppe Cuva- Francesco- Cuva- Liborio Porracciolo-Rosalinda Sirni

Il giornalista Giuseppe Cuva ha condotto i lavori.

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Dopo il saluto di Mons. Michele Placido Giordano, arciprete del santuario della Madonna dei Miracoli, il sindaco della città di Mistretta, l’avv. Liborio Porracciolo, dopo avere portato i saluti in nome di tutta l’amministrazione comunale, si è ampliamente complimentato con l’autore per la sua nuova fatica letteraria.

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Ha relazionato lo stesso autore che ha reso molto interessante e didascalico il contenuto del suo libro.
Il  prof. Francesco Cuva racconta le peripezie vissute dagli uomini siciliani dei Nebrodi in Russia durante la seconda guerra mondiale.

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Mediante la proiezione di immagini, ha spiegato le vicende dei giovani dell’area dei Nebrodi in quel lontano e sfavorevole ambiente.
In particolare, ha sostenuto che tutta la campagna di Russia è stata un’odissea che ha comportato sacrifici e tragedie notevoli.

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Ha fatto rivivere, inoltre, le drammatiche vicende dei signori: Saro Accidente, Carmelo La Porta, Vito Portera, Totò Ortolani.
Ha fatto cenno all’eroismo di Giuseppe La Porta, di Nicosia, che ha guadagnato sul campo la medaglia d’argento. Ritornato in patria, questo brav’uomo si è dedicato all’attività di contadino, senza chiedere nulla allo Stato.
Il prof. Francesco Cuva ha sottolineato che questa triste storia non era voluta nemmeno da Mussolini, che si voleva alleare con Stalin.
Il duce, succube di Hitler, lo ha assecondato sacrificando nella steppa la migliore gioventù.
Il prof Sebastiano Maggio ha esposto gli avvenimenti della tragedia causata dalla seconda guerra mondiale e la campagna in Russia dei nostri uomini. La guerra provocò l’olocausto che ha eliminato 6 milioni di  ebrei, figli del popolo eletto.
Nell’introduzione al saggio il professore Sebastiano Maggio  così scrisse: “ La morte di 150 mila soldati schierati sul Don, 87 mila dispersi, 27 mila feriti, durante l’inverno del 1942-‘43”.
Inoltre affermò che:“ Questo libro dovrebbe essere letto dai ragazzi e dalle ragazze che frequentano la Scuola affinché possano capire i drammi, derivanti dalle guerre e dalle scelte irrazionali, che producono effetti disastrosi”.
Secondo fonti più recenti la guerra causò circa 74 milioni di vittime fra militari e civili, in Europa, in Giappone e in altre nazioni guerreggianti .
Ha letto brillantemente, a intervalli, alcune pagine del libro la bravissima giornalista Rosalinda Sirni.

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Giuseppe e Rosalinda, i giornalisti di Telemistretta, con le loro letture e relazioni, hanno animato la serata rendendola piacevole.
Importante e molto significativo è stato l’intervento della prof.ssa Gina Cacciato che ha presentato “ il ruolo della scrittura storica in quanto memoria da non smarrire”.
La dott.ssa Mariella Di Salvo ha raccontato l’esperienza di un mistrettese, suo parente,  protagonista e vittima della campagna in Russia, assieme ad altri paesani e non, voluta da Benito Mussolini e dal regime fascista.
Per la stesura del libro il prof. Francesco Cuva ha fatto riferimento alle fonti storiche classiche e tradizionali, ma soprattutto ha attinto alle fonti orali, cioè alle testimonianze di quei pochissimi siciliani di Mistretta, di Santo Stefano di Camastra, di Nicosia, di Pettineo e di altri paesi dei Nebrodi che hanno vissuto la triste esperienza della Grande Guerra ritornati salvi nelle loro famiglie, ma profondamente segnati nell’animo.
Molti altri soldati sono classificati DISPERSI dal Ministero della Difesa.
Risulta disperso mio zio Giuseppe Seminara, nato a Mistretta il 13/02/1919.
Sua madre, mia nonna Isabella Sebastiana, ogni giorno aspettava il ritorno di suo figlio “Pippinuzzu”.
Ha aspettato invano fino al giorno della sua morte.
Molto attento è stato l’uditorio presente che ha ringraziato il prof. Francesco Cuva con un caloroso e scrosciante applauso.

 

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Lo zio Giuseppe Seminara

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Questi documenti gentilmente sono stati forniti da mio cugino Enzo Di Salvo, che ringrazio

Il 5 gennaio del 2018 il libro “ODISSEA NELLA STEPPA” è stato presentato nell’Aula Consiliare del Comune di Nicosia.

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L’evento è stato organizzato dall’ “Ecomuseo “Petra d’Asgotto” con la impeccabile  collaborazione del dott.  Salvo Burrafato .

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Il prof. Francesco Cuva ha ricordato,  nel suo paese, la figura del signor  Giuseppe La Porta per il suo gesto di alto valore militare.
Il 24 agosto del 1942 il signor Giuseppe La Porta, da solo, riuscì ad attaccare il comando russo tagliando i fili delle comunicazioni radio.
Per questo eroico gesto fu insignito della Croce d’argento al valor militare.
Ritornato a Nicosia,  Giuseppe La Porta continuò a svolgere il suo lavoro nei campi in contrada Perciata.
Giuseppe fu un uomo umile, buono, dotato di sani principi morali e di grande volontà, ma, soprattutto audace e coraggioso.
Molto numeroso il pubblico intervenuto.

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Foto di Salvo Burrafato

Francesco Cuva è nato Mistretta il 14/03/1944.

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Foto dal sito del prof. Tatà Lo Iacono Mistretta.eu

Vissuto in una famiglia di sani principi morali e religiosi, è stato cresciuto dai genitori che hanno allevato, educato i figli, tre maschi e una femmina, con tanto affetto e molta dignità.
Francesco ha acquisito gli insegnamenti della famiglia attuandoli correttamente nella sua vita.
Suo padre, un dignitoso ebanista, ha esercitato a Mistretta la professione con serietà e bravura.
Per la sua serietà nel comportamento il prof. Francesco Cuva è, pertanto, una persona molto amata dalla moglie, la signora Mariaantonella Mazzara, stimato dai suoi paesani e, nella qualità di docente, è stato molto apprezzato dai tanti suoi alunni per la sua preparazione culturale, per la disponibilità al dialogo, per la sua competenza didattica.
A Mistretta Francesco ha frequentato regolarmente le scuole di base ricevendo la sua formazione umanistica al Liceo “Alessandro Manzoni”.
Eravamo compagni di Scuola e di classe!
Allora esisteva un vero e sincero legame che univa tutti i compagni della stessa classe.
Amicizia leale con Franco, che continua ancora adesso!
Conseguita la laurea in Lettere presso l’Ateneo di Messina, Francesco divenne il serio e bravo professore Cuva, insegnando materie letterarie, preferendo la Storia, negli Istituti Comprensivi e nei Licei di alcuni paesi della provincia di Enna e di Messina.
Ha insegnato materie letterarie anche a Mistretta, nel suo liceo “Alessandro  Manzoni”, e dove ha concluso la sua lunga attività di docente.
A Mistretta, attualmente, conduce la sua tranquilla giornata compiendo lunghe passeggiate o soffermando la sua attenzione sulla lettura degli amati libri.
Francesco Cuva è autore di molti altri testi.
E’ lo storico per vocazione.
Come riferisce Sebastiano Lo Iacono nel sito Mistretta.eu : “Le sue opere sono state definite <<minuziose, precise, corrette, sapienti, frutto di un lavoro paziente e certosino>> sui documenti di archivio. C’è la grande storia, ma c’è anche la storia minuta, quella della vita quotidiana, e quella che interessa i piccoli paesi . Nel flusso della grande storia, fiume principale che tutto avvolge e a volte dimentica, c’è un fiume di minore portata, per così dire, che Cuva ha alimentato con la sua ricerca di archivio. Il suo lavoro non è stato solo un completamento dell’attività didattica. È stata anche una fase di creatività che si è realizzata nella ricostruzione di capitoli dimenticati e poco conosciuti del passato, quel passato, non ancora del tutto passato, che interessa i Nebrodi e molti suoi comuni. I libri di Cuva non sono esibizioni di retorica. Hanno uno stile lineare e concreto. La sua prosa è asciutta. Ma i contenuti sono rigorosi ed esatti”.
Francesco Cuva, storico e scrittore, nei suoi numerosi saggi ha raccontato di alcuni paesi dei Nebrodi.
Ha descritto la vita e la capacità artistica di Noè Marullo, bravo scultore amastratino.
Ha esposto il ritratto di San Sebastiano Martire, il santo patrono della città di Mistretta il cui culto è diffuso in tante altri paesi della Sicilia e dell’Italia.
Ha pubblicato:
-“Cerami, Ipotesi e fatti dalle origini al 1800”, ed. Zampino, Mistretta, 1984.

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-“Noè Marullo, scultore amastratino”, Thule/Romano editore, Palermo, 1985 con presentazione di Luigi Maniscalco Basile.

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-“Società e cultura a Capizzi”, Edizioni Pungitopo, Marina di Patti, 1987.

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-“Nicosia: la rinascita mancata (1400-1500), Thule/Romano editore, Palermo, 1989.

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-Su San Sebastiano, Mistretta, Tipografia Zampino, 1985
-“Mistretta, da Martino il giovane ad Alfonso il magnanimo (1392-1458)”, Edizione Valdemone, Troina, 1991.

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-“Mistretta nel ‘500”, Ed. Tip. La Celere, Messina, 1997.

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-“ Sulla linea del fuoco” . Edizioni Salernitano, Messina, 2005.

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-“Giarabub”, Thule/Romano editore, Palermo, 2012.

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In “Giarabub” Francesco Cuva descrive un avvenimento riguardante i soldati italiani in Libia durante la Seconda Guerra Mondiale.
Giarabub si trova in Libia, in pieno deserto.
Nella sua recensione il poeta Filippo Giordano così scrive: ” Nel mese di giugno del 1940, al momento della dichiarazione di guerra fatta unilateralmente da Mussolini alla Francia e all’Inghilterra, l’esercito italiano di stanza in Libia, si trovò improvvisamente in guerra con i vicini inglesi. Scarsamente armati, i giovani soldati italiani, combatterono strenuamente per quasi un anno in difesa di quell’avamposto, fino alla inevitabile capitolazione. Francesco Cuva narra le gesta di quei ragazzi strappati al nativo suolo italiano dal dovere patriottico imposto dalla illusione del Duce di spartirsi l’Europa con Hitler. Al piglio distaccato dello storico, l’autore alterna la pietà per quegli audaci soldati (alcuni dei quali suoi conterranei successivamente conosciuti nonché fonti dirette di alcuni degli episodi narrati) fatti prigionieri dagli inglesi e ritornati in patria solo nel 1946.
-La Rivoluzione delle Collegine – Supplemento a Mistretta senza frontiere n° 89 aprile-giugno 2016.

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San Sebastiano Miles Christi, tra fede e culto”, Tipografia A&G sas, CUECM, Catania, 2016.
San Sebastiano, il santo “laico” della prima cristianità, della Chiesa cattolica e della Chiesa cristiana ortodossa.

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-“ Odissea nella steppa“ tipografia A&G sas, CUEC, Catania, 2017.

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Oct 30, 2017 - Senza categoria    Comments Off on LA DEVOZIONE A MARIA SS.MA DEI MIRACOLI- LA SUA CHIESA “A SANTUZZA”A MISTRETTA

LA DEVOZIONE A MARIA SS.MA DEI MIRACOLI- LA SUA CHIESA “A SANTUZZA”A MISTRETTA

Il culto mariano ha sempre coinvolto la città di Mistretta perchè la Madonna dei Miracoli, col suo sguardo benevolo, vigila sulla vita dei suoi devoti, sulle loro famiglie e sulle loro case.
Maria SS.ma dei Miracoli è venerata nella Parrocchia di Santa Lucia che, con decreto di Mons. Ignazio Zambito del 25 luglio del 2016,  è stata elevata a Santuario della “Madonna dei Miracoli” il 31 ottobre del 2016.
La marmorea statua, datata 1495 e attribuita a Giorgio da Milano, è custodita nel suo altare posto nel transetto a destra dell’altare maggiore circondata dei marmi policromi ad intarsio dallo splendido effetto decorativo.
La Madonna è raffigurata col volto austero e pensieroso, ma bello e benevolo. In braccio accoglie il Bambino Gesù che tiene in mano il balaustio, la melagrana, simbolo della Chiesa. Il chicco di melagrana, accostato alle sue labbra, rappresenta ogni cristiano membro della Chiesa.
Nella base marmorea è stata incisa l’iscrizione: ” Sancta Maria de Loreto 1495” per la festività del 1995.
Nel basamento marmoreo sono scolpite le immagini di San Giovanni Battista, dell’Annunciazione, da una parte l’angelo Gabriele e dall’altra la Vergine Maria, al centro la nascita di Gesù e l’immagine di Santa Lucia.

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Foto di Giuseppe Ciccia

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Promotore del progetto di elevazione della Parrocchia di Santa Lucia a Santuario della Madonna dei Miracoli  è stato l’arciprete della chiesa, Mons. Michele Placido Giordano che, nell’omelia, durante la solenne funzione religiosa, ha espresso la sua riconoscenza al vescovo della diocesi di Patti S. E. Mons. Ignazio Zambito per aver accolto la richiesta del popolo amastratino di elevare il Sacro Tempio della Parrocchia di Santa Lucia di Mistretta a Santuario della “Madonna dei Miracoli”.
L’arciprete Mons.Michele Placido Giordano ha detto:“Il Santuario dellaMadonna dei Miracoli sia clinica dell’anima. La chiesa Madre diventa la casa della Mamma che accoglie tutti i suoi figli per essere una cosa sola, al di là delle divisioni, e per costruire un futuro di speranza”.
Anche il sindaco di Mistretta, avv. Liborio Porracciolo, così si è espresso: “Facciamo in modo che questo momento di Grazia sia l’inizio di una nuova vita, di un rilancio per il nostro centro e per tutto il territorio dei Nebrodi. Dedichiamo questo evento ai nostri bambini perché abbiano la fortuna e il privilegio di crescere qui e di rimanerci  anche da adulti”.
Era la domenica del 15 dicembre del 1619 quando il Santo Simulacro della Madonna di Loreto versò tanto umore “con stupore e commozione di tutta la città”.
Ecco perché per questo miracolo il titolo di “Sancta Maria di Loreto” fu cambiato in “Maria SS.ma dei Miracoli” meglio invocata dai mistrettesi “A Matr’i Mraculi”.
Nella Formula di Giuramento, il pubblico atto redatto dal notaio D. Francesco Pedevillano e datato 16 febbraio 1783, conservata nella Chiesa Madre, che è ripetuta l’11 gennaio di ogni anno, si legge:” Sempre noi mistrettesi abbiamo riconosciuto di essere stati liberati da tutti i mali e da ogni sciagura per la protezione di Maria SS.ma dei Miracoli e massimamente dalla domenica del 15 dicembre dell’anno 1619, quando questo santissimo venerando simulacro, dopo vespro, per lo spazio di 3 ore, con stupore e commozione di tutta la città, mandò fuori tanto umore da tutte le parti che se ne poterono riempire caraffe e inzuppar bambagie e tovaglie. ..Ad essa Mistretta  ascrive… non avere il mercoledì 5 febbraio dell’anno 1783, ad ore 19 circa, rovinato sin dalle fondamenta per la terribile e lunghissima scossa di terremoto e per varie altre che susseguentemente se ne sono intese. Per riconoscenza, dunque e gratitudine di quel favore, noi Arciprete,Vicario e Clero, Capitano e Giurati e Sindaco qui sotto firmati, a nome e parte di tutto il popolo di questa imperiale città di Mistretta, promettiamo a Dio onnipotente, con pubblico comun voto, di celebrare con pompa e solennità il dì 11 gennaio di ogni anno in infinito ed in perpetuo, consacrandolo agli onori e alle glorie della nostra Liberatrice, secondo il voto fatto dai nostri predecessori quando, nell’anno 1783 il dì predetto, furono liberati dal terremoto, promettendo di sentir Messa come nei giorni festivi e obbligandosi all’astinenza delle opere servili. Promettiamo inoltre di rinnovare pubblicamente ogni anno l’11 gennaio questo voto…uniti Magistrato e Popolo affinché fosse in Noi perpetua la memoria di tutti i benefici, e di questo singolarmente di non essere restati seppelliti sotto le pietre il dì memorato 5 Febbraio ed acciocchè Iddio, per la Intercessione potente della Divina Sua Madre, ci sottragga in avvenire da tutti i pericoli e mali, e ci conceda tutte le Grazie per ben servirLo e poi goderlo eternamente in Paradiso”.

OGGI, IN MISTRETTA, Lì 16 FEBBRAIO, PRIMA INDIZIONE 1783
PROT. APOST. MICHELE PEDEVILLANO ARCIPRETE;
GASPARE GALLEGRA – VICARIO FORANEO;
GIUSEPPE MARIA GALLEGRA DEI BARONI DI SAN GIUSEPPE;
REGIO CAPITANO;
BIAGIO LOMBARDO – GIURATO;
GIUSEPPE TITA – GIURATO;
IGNAZIO MATTIA SCADUTO – GIURATO;
PIETRO NICOLA DI MARCO, BARONE DI TERRANOVA – GIURATO;
ANTONIO CAMPO – SINDACO.
Seguirono le firme dell’Arciprete, del Vicario, del Sindaco, di due Baroni, di tre Giurati, e del Notaio che stilò l’atto.

Il popolo di Mistretta attribuisce alla Madonna dei Miracoli la protezione da tutte le calamità naturali confermando la sua devozione.
L’attestato di filiale devozione del popolo mistrettese  alla Madonna dei Miracoli così recita: “Da allora si è accesa in tal modo la fiamma della devozione a questa venerabile Immagine che par che ognuno, sin dalle fasce, non respiri che devozione, confidenza, tenerezza ed amor filiale verso Maria dei Miracoli. A Lei Mistretta ricorre nei bisogni, nei pericoli, nelle angustie. Ella ringrazia dei favori e delle grazie che da Dio riceve e non attende, o spera di ricevere dono, o di essergliene stato conceduto alcuno, se non per questo efficace e dolce Mezzo”. 
L’undici gennaio di ogni anno, quindi, è un’importante ricorrenza!
Preceduta dalla novena, si celebra il Rinnovo del Giuramento a Maria SS.ma dei Miracoli.
La coinvolgente cerimonia religiosa si svolge nella Chiesa Madre, oggi Santuario, alla quale partecipano in forma ufficiale: i sacerdoti, il notaio, il sindaco, il capo dei servizi militari, le associazioni, una grandissima folla di fedeli. Viene letta la formula del giuramento e, tra la commozione generale, giurando sul Vangelo, ci si impegna di rinnovarlo ogni anno e di tramandarlo alle future generazioni affinchè la Madonna dei Miracoli possa continuare a proteggere i mistrettesi da ogni calamità.

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Da sx: il sindaco Sebastiano Antoci, il maresciallo Giuseppe Mammano, il notaio Filippo Porracciolo,  Mons. Michele Giordano

Per noi mistrettesi è indimenticabile la data del 31 ottobre dell’anno 1967 a ricordo che 50 anni fa, esattamente la sera del 31 ottobre del secolo scorso, alle ore 22.08 un violento terremoto, di magnitudo 5.6 della scala Richter, per un lungo tempo di 15 secondi  scosse la tranquillità del piccolo paese di Mistretta quasi addormentato. La terra tremò violentemente. Balzarono  e sussultarono tutte le case di Mistretta. Caddero muri, larghe fenditure si aprirono nelle case, le chiese subirono notevoli danni ma, miracolosamente, gli amastratini non  videro nemmeno un ferito perché da tutti i cuori  partì un solo grido:”Madonna dei  Miracoli, aiutaci!”.
Anche per questo terremoto i mistrettesi hanno potuto verificare la benevolenza della Madonna dei Miracoli!
Questi ripetuti violenti terremoti, che non hanno causato danni, hanno rafforzato la devozione dei mistrettesi alla Madonna dei Miracoli che ancora oggi, dopo tanti secoli, continua a raccogliere preghiere dal popolo amastratino che consegna nelle sue mani le incertezze, le difficoltà quotidiane e le speranze di un popolo che vive la sua contemporaneità.

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La devozione mariana rimane, quindi, il fulcro della fede religiosa dei mistrettesi che si rinnova nei suoi rituali e nella sua spiritualità per celebrare la Madonna dei Miracoli che ha saputo trionfare sulle conseguenze avverse della forza della Natura.
In seguito al violentissimo terremoto del 31 ottobre del 1967, poiché non si sono verificati danni alla popolazione grazie all’interposizione della Madonna dei Miracoli, sotto la guida spirituale dell’arciprete di allora don Arturo Franchina, il popolo La ringraziò donandoLe un medaglione d’oro che la Madonna dei Miracoli porta deposto sul suo petto, come simbolo di affidamento e di accoglienza nel Suo cuore della città di Mistretta e dei suoi cittadini posti sotto la Sua protezione.
Nel  medaglione è incisa la frase: “ Il popolo di Mistretta, grato alla Madonna dei Miracoli per avere salvato la vita dei suoi figli in occasione del terremoto del 31 ottobre 1967”.
Abbiamo fede nella Madonna dei Miracoli!

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Il 31 ottobre di ogni anno noi mistrettesi tutti ci inginocchiamo davanti alla Madonna dei Miracoli per ringraziarLa dell’amore protettivo che ci dà.

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Foto di Giuseppe Ciccia

L’anno 2017, per ricordare il 50° anniversario del terremoto, sono stati organizzati gli eventi come da programma GRAZIE,MADRE

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Il  29 ottobre 2017, presso il cinema comunale Odeon, è stata allestita una mostra fotografica con le varie testimonianze del sisma e un convegno durante il quale illustri relatori hanno affrontato la tematica dei terremoti sia sotto il profilo tecnico sia sotto quello economico.
Il 31 ottobre l’Assemblea dei fedeli, riunita nella chiesa della Madonna delle Grazie e di Padre Pio, ha iniziato il pellegrinaggio/ fiaccolata con le fiaccole accese.
Il corteo, giunto al Santuario della Madonna dei Miracoli,  dopo un momento si silenzio, ha partecipato alla celebrazione della solenne Santa Messa di ringraziamento officiata da Mons. Michele Giordano. Erano le 22,08!
A quella tarda ora del 31 ottobre del 1967 il terremoto scatenò sulla città di Mistretta tutta la sua energia.

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Foto di Mattia Lo Iacono

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Foto di Rosalinda Sirni

Quale miracolo più grande nel proteggerci!
Altri eventi calamitosi hanno ferito la città di Mistretta, ma la Madonna dei Miracoli ha sempre steso la sua mano protettrice.
Nel 2003 un fulmine colpì la cupola della chiesa di San Sebastiano senza causare danni alle persone.
L’11 marzo del 2007 circa 40 chilogrammi di stucco sono caduti nel transetto del Santuario della Madonna dei Miracoli.
Fortunatamente l’evento è successo di notte.
Nel 2014 un fulmine colpì la chiesa di San Nicola.
Anche in questo caso non ci sono stati danni alle persone.
Preghiamo tutti insistentemente la Nostra Madre, la Madonna dei Miracoli!
Pertanto, fare memoria è mantenere viva la tradizione rafforzando nella popolazione il senso di comunità e di appartenenza a un territorio, a una storia e a valori comuni condivisi nel tempo.
Maria è “Madre dei Miracoli”, “Regina”, “Madre di Misericordia”, “Mediatrice della riconciliazione tra Cristo e la Chiesa”, “Madre degli uomini”.
La preghiera più comune e frequente rivolta alla Madonna è ”L’Ave Maria”.
Nella prima parte si ripetono il saluto dell’angelo al momento dell’annunciazione e quello di Elisabetta all’inizio della visitazione. La seconda parte è un’invocazione di origine più tarda, nata in ambito ecclesiastico.
Lo studioso Messori riporta la più antica preghiera mariana: “ Sotto la tua misericordia ci rifugiamo o Madre di Dio, le nostre preghiere non disprezzare nelle disgrazie ma dal pericolo libera noi: tu la sola pura e la sola benedetta”.
Dante Alighieri nel XXXIII, 1-21 del Paradiso riporta la straordinaria preghiera del doctor marianus Bernardo di Chiaravalle affinché egli stesso possa ottenere la grazia della visione della Trinità divina:

« Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.

Qui se’ a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ‘ mortali,
se’ di speranza fontana vivace.

Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre
sua disianza vuol volar sanz’ali.

La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate. »

Oggi la Dottrina Mariana si basa soprattutto sulla “Lumen Gentium”, costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II che presenta Maria in veste di “Madre del Salvatore” inserita nel mistero di Cristo, della Chiesa e della Salvezza universale.
Dopo il Concilio Vaticano II Papa Paolo VI pubblicò l’esortazione apostolica “Marialis cultus” per il retto ordinamento e sviluppo del culto della Beata Vergine.
Il papa Giovanni Paolo II, affascinato dalla figura della Vergine Maria, scelse come motto apostolico il “Totus tuus” consacrando il suo mandato a Maria.
In epoca più recente, nel 1974,  Papa Paolo VI scrisse la lettera apostolica “Marialis Cultus” inserendo  la figura di Maria all’interno della storia della salvezza dell’uomo al fine di comprenderne il valore salvifico. Essa riconosce i misteri di Maria all’interno della Chiesa dandole spazio nella liturgia e proponendola come modello della Chiesa e come specchio delle virtù evangeliche.
Per ricordare il prodigio della miracolosa sudorazione la terza domenica di maggio di ogni anno si festeggia la Madonna dei Miracoli.
E’ tradizione a Mistretta  portare la reliquia della Sudorazione della Madonna dei  Miracoli in processione dal Suo Santuario fino alla chiesetta “ra Santuzza”per la benedizione. La processione inizia a mezzogiorno poi, alla sera, si effettua  il percorso tradizionale
Precede un triduo che si tiene presso la chiesetta della “Santuzza”.

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Oggi 17 maggio 2020, il COVI-19 ha impedito ai mistrettesi, tutti devoti della Madonna dei Miracoli, di partecipare alla processione per il trasporto delle reliquie della sudorazione e di assistere alla benedizione della città di Mistretta.

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foto di Sebastiano Zampino

Dopo la celebrazione della Santa Messa vespertina, il percorso è stato iniziato da Mons. Michele Giordano accompagnato da Carmelo Marinaro, da Paolo Trincavelli e da un numero ristrettissimo di fedeli.
Le reliquie della sudorazione della Madonna, dal Suo santuario, in piazza Unità d’Italia, hanno attraversato il primo tratto della via Libertà, quindi la via Monte, la via del Bevaio, la via San Biagio fino a giungere alla chiesetta “ra Matr’i Mraculi” o “a Santuzza” a Mistretta.
I balconi, al passaggio delle reliquie, sono stati abbelliti con l’esposizione di coperte e di lenzuola ricamate su suggerimento di Mons Michele Giordano. Le luci delle candele e delle torce elettriche hanno illuminato lo stesso percorso.

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foto di Giuseppe Ciccia

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Foto di mio cognato Giuseppe Timpanaro

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la Benedizione

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foto di Giuseppe Ciccia

 Il cammino processionale di ritorno si è concluso partendo dalla chiesa della “Santuzza” e percorrendo la via Roma, il tratto della via Libertà, fino a giungere in Piazza Unità d’Italia, al santuario della Madonna dei Miracoli.

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foto di Giuseppe Ciccia

LA CHIESA DI MARIA SS.MA DEI MIRACOLI – “A SANTUZZA” – A MISTRETTA

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La chiesa di Santa Maria dei Miracoli, una piccola cappella, edificata sui resti dell’ex chiesa dedicata prima a San Filippo Neri, a Santa Maria della Lettera e a Santa Sofia, è ubicata a Mistretta nella grande piazza del quartiere conosciuto “A Santuzza”.
Si trova nella parte alta del paese, sopra il quartiere di San Biagio.
Nella seconda metà dell’800 la chiesa di Santa Sofia fu ricostruita e la cappella fu intitolata alla Madonna dei Miracoli.
Caratteristico è il portale neoclassico in pietra locale, riccamente scolpito

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 L’ adornano i due volti di angeli sulla chiave di volta e l’angelo con le ali aperte sull’architrave.

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Una piccola torre di ferro, che sostiene la Croce e la campana, ricorda che è un luogo di culto.

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L’interno della chiesa è a navata unica.

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L’unico altare custodisce l’icona devozionale bizantina raffigurante la Madonna dei Miracoli incoronata dagli angeli e illuminata da un ricco lampadario.

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E’ un dipinto ad olio su tela, di ignoto pittore, del 1805, su incarico di Sebastiano Scuderi.
Il quadro è stato restaurato recentemente.
La stessa immagine della Madonna dei Miracoli, dipinta su ardesia, è contenuta nell’edicola votiva posta nella parte retrostante della chiesetta.

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Davanti a questa edicola si fermano i contadini, i pastori, che si recano o tornano dal lavoro, e quanti percorrono quella strada, che porta fuori della città, per pregare e per ringraziare la Madonna dei Miracoli.
Nella terza domenica di maggio di ogni anno un folto numero di fedeli, in processione,  parte dal Santuario della Madonna dei Miracoli per portare nella chiesetta della “Santuzza” la reliquia della sudorazione miracolosa attinta dal simulacro quattrocentesco della Vergine Maria.
Il percorso è ricco di fede e di suggestione.

Dalla stessa chiesa passa il Corpus Domini

https://www.youtube.com/watch?v=fQywMhnQBpc&t=6s

 

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Oct 25, 2017 - Senza categoria    Comments Off on IL PALAZZO VINCENZO SALAMONE A MISTRETTA

IL PALAZZO VINCENZO SALAMONE A MISTRETTA

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Carissimo Stefano,
attraverso queste mie poche righe vorrei soddisfare la tua curiosità di conoscere la parte architettonica della mia città perché vorrei accontentarti nel tuo desiderio di arricchire ancor di più il tuo patrimonio culturale sui tesori che la Sicilia possiede.
E Mistretta, di questi tesori, ne ha tanti.
Di fronte al palazzo Armao-Russo a Mistretta sorge un altro importante edificio, direi monumentale per la sua imponenza e bellezza.
E’ il palazzo Vincenzo Salamone!
Il Palazzo Vincenzo Salamone è ubicato al centro della città racchiuso tra la centralissima Via Libertà, al N° 148, la via Vincenzo Salamone, la via Aurea e la strada  D’Amico.
E’ un palazzo rilevante, come anche il palazzo Armao-Russo che si trova di fronte.
Il palazzo è stato edificato alla fine del 1800, secondo la data del 1885 incisa sulla chiave di volta dell’ingresso posteriore di via Aurea con il monogramma VS, per iniziativa di Vincenzo Salamone, allora figura di notevole rilievo nella vita politica e sociale di Mistretta al tempo della belle époque.

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Probabilmente il palazzo fu costruito inglobando alcuni preesistenti fabbricati ubicati in quel luogo in maniera disordinata e anche la chiesa della Madonna Addolorata, di cui rimane l’edicola votiva con l’immagine dell’Immacolata sita sulla parte laterale della facciata del palazzo all’inizio dell’omonima Via Vincenzo Salamone.
Il fronte principale del palazzo mostra un bugnato liscio che, nel primo ordine, è formato di blocchi di pietra squadrati a rettangoli, di due diverse misure, incastrati tra loro.

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Al centro del prospetto, al piano terra la bellissima chiave di volta scolpita in pietra raffigura il volto allegorico della “Grande Madre Mediterranea”, l’antica divinità prosperatrice e protettrice della terra, dell’abbondanza dei frutti e produttrice di ogni umana agiatezza.
Mitologicamente, essa interpreta la vocazione agricola dei mistrettesi.

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Caratteristico è il grande portone di legno abbellito nella parte superiore da incastri floreali in ferro battuto e da due battenti che raffigurano grossi cani da guardia. Ogni cane stringe fra i denti un anello.

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Gli occhi sono sbarrati, le orecchie tese, l’aspetto combattivo per dire agli estranei: “attenti siamo a guardia dei nostri padroni e stiamo salvaguardo la loro incolumità”.

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Le stesse figure  allegorie della Grande Madre e dei cani sono riportate nei ringhiere dei balconi soprastanti.

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Lateralmente al portone d’ingresso due finestre rettangolari, strette alla base e allungate in altezza, chiuse da grate di ferro ricamato, portano la luce all’interno di alcuni ambienti al piano terrano.

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Il primo piano è pure di bugnato, con 8 file di rettangoli lunghi, stretti e della stessa misura. Vi si affacciano cinque balconi-finestre chiusi dalle porte-persiane che si aprono a metà.

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Il secondo piano, il piano nobile, realizzato con lo stesso bugnato, a strisce parallele meno marcate rispetto al piano terra, per rendere più leggera la struttura, è caratterizzato da tre maestosi balconi, prima erano cinque, circondati da ringhiere miste di cemento e di ferro battuto finemente ricamato con il volto della Grande Madre e dei cani.

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Ogni balcone è sormontato da una lunetta semicircolare che ospita il busto di un personaggio dell’età greco-romana, probabilmente, un filosofo greco. Questi busti sono collocati nelle loro lunette proprio di fronte a quelli del palazzo Russo, che raffigurano imperatori romani.
Tutte le sculture sono attribuite all’artista amastratino Noè Marullo.

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L’interno del palazzo possiede un ampio vestibolo, che accoglieva le carrozze, mentre i cavalli erano custoditi nelle stalle di via Aurea.
Due coppie di colonne tuscaniche introducono alle ali del palazzo. Incorniciano una grande finestra dalla quale la luce si riflette sui bugnati lisci delle pareti.

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Mediante due scale, dalla bellissima ringhiera ricamata, dal vestibolo si accede ai piani superiori.

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Arredano il vestibolo: il mobile del portierato circondato da un parapetto con il nome “SALMONE”,

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    il busto di marmo che raffigura Vincenzo Salamone,

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il busto di Anna, sorella di Vincenzo, che fu, assieme a Ignazio Florio, la fondatrice dell’istituto per Ciechi di Palermo e che ancora oggi porta i loro nomi,

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la statua di bronzo con la fiaccola della luce.
Sembra che rappresenti la dea dell’abbondanza in quanto con la mano sinistra sorregge dei grappoli d’uva. Trovarsi all’ingresso del vestibolo, proprio prima dello scalone principale, può essere di buon auspicio per  una casa feconda e opulenta,

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  la specchiera, che in realtà è una porta di uscita secondaria,

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gli stucchi sul tetto,

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  il lampadario.

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Nello stemma araldico della famiglia sono rappresentati tanti emblemi: la corona, simbolo di regalità, di potere e garanzia di protezione del casato, la stella di Davide, che denota le origini ebraiche della famiglia, il braccio teso che stringe con la mano sinistra una piccola spada o un pugnale, simbolo di lotta, di resistenza, di vittoria, la mezza ala di uccello, simbolo di  raggiungimenti di lontani obiettivi, ma che non sempre è possibile conseguirli, i due muri sovrapposti sappresentanti il lavoro in continuo avanzamento.

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Caratteristica è questa importante grande finestra che domina la  via Aurea.

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Mentre il balcone con  l’oblo ellittico si affaccia all’inizio della via Vincenzo Salamone.

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Questi affreschi si trovano nel piano basso della Strada D’Amico.

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Il palazzo, al tempo della sua costruzione era luogo di potere, di fastosità, di cultura dove si incontravano ragguardevoli personalità del luogo.
Recentemente il primo piano del palazzo è divenuto proprietà dell’avv. Vincenzo Oieni che lo abita con la sua famiglia.

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Vincenzo Oieni, la moglie Francesca Tamburello, l’amore di papà

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Annarita l’amore di papà!

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I nonni i signori: Bettino Oieni e Anna Biondi

Vedere i balconi fioriti e le finestre aperte, segno che nelle stanze del palazzo c’è vita armoniosa, è ridare animosità e splendore alla via Libertà.

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Vincenzo Salamone (Mistretta, 1851-1925), apparteneva ad una famiglia benestante per cui, sensibile ai problemi sociali, è stato un gran benefattore per i mistrettesi ai quali ha cercato di fare migliorare le loro condizioni di vita.
Ricco proprietario terriero, durante i freddi inverni offriva il calore del fuoco del suo cuore e l’ospitalità del suo palazzo ai compaesani bisognosi.
Poichè la fame e la miseria in paese erano allora molto diffuse, metteva a disposizione dei poveri una cucina economica che, giornalmente, in capienti pentoloni, preparava numerosi pasti caldi.
Aiutava anche economicamente le classi sociali meno abbienti per affrontare le loro primarie necessità.
Ha fatto realizzare l’acquedotto urbano, ha istituito il servizio automobilistico Mistretta – Santo Stefano di Camastra, ha creato la centrale elettrica a carbone che forniva energia elettrica continua.
Nella lapide marmorea, collocata nel prospetto principale dell’ex centrale elettrica, si legge:

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Cercò di sistemare il verde pubblico e fece piantare diversi alberi.
Ha ricoperto più volte la carica di Sindaco della città di Mistretta. Fu eletto  Senatore del Regno (1909-13).
I mistrettesi, riconoscenti, gli donarono una medaglia d’oro di benemerenza il giorno 08/12/1907.
Alla sua morte fu proclamato un giorno di lutto cittadino.
Il  25 novembre del 1956 all’interno della villa comunale “Giuseppe Garibaldi” è stato innalzato il busto bronzeo di Vincenzo Salamone realizzato dallo scultore Balistreri.

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Promotrice di questa iniziativa è stata la Società Operaia di M.S. di Mistretta, con il contributo del Banco di Sicilia e collaborata da altri sodalizi presenti a Mistretta e da alcuni cittadini che hanno risposto con sollecitudine alla sottoscrizione per la raccolta dei fondi destinati alla realizzazione del busto.
Anche una via cittadina è stata intitolata al suo nome.
Un’altra via di Mistretta è intitolata alla sorella Anna Salamone.
Alla fine dell’ 800, i primi del ‘900 i Salamone presenti a Mistretta erano 4 fratelli: Don Pasqualino , Don Vincenzino , Don Bettino, Don Luigino e uno stuolo di sorelle che si accasarono presso le famiglie Tita, Lipari, Giaconia ed altre rimasero nubili.
Don Pasquale Salamone era un ricco e benestante personaggio mistrettese.
Possidente di fondi terrieri nel territorio di Mistretta, aveva al suo servizio tanta gente del luogo che retribuiva soprattutto con i prodotti della terra.
Era un uomo piccolo fisicamente. Sposò Donna Gaetana Tasca dei Conti Tasca d’Almerita, chiamata affettuosamente dai nipoti Giuseppe e Paolo Giaconia “la zia Tanina”, una donnina molto perbene e riservata. Nacquero tre figli: Teresa, Nicola e Lucio. Teresa sposò Ottavio Nicolaci, il principe di Villadotata, e si trasferì a Noto. Nicola, chiamato Cocò, sposò la signora Anna Cumbo, baronessa di San Giorgio, e non sono nati pargoli. Lucio sposò la Signora Marietele di Palermo, una donna bellissima ed elegantissima. Fu tra le prime donne a dettare la moda nel capoluogo.  Lo zio Lucio e Marietele ebbero tre figli: Ottavio, Pasqualino e Carlo.
Ottavio e Pasqualino furono direttori generali del Banco di Sicilia e della Cassa di Risparmio V.E. negli anni ruggenti. Carlo divenne un noto avvocato.
Don Bettino abitava nel palazzo quasi adiacente a quello del fratello Pasquale. Aveva sposato  la signora Liboria Lipari. Nacquero 3 o forse 4 figli: Placido, Peppuzzo e Mario che furono mariti rispettivamente di Maria Perna (di Napoli), di Angelica Filangeri e di Teresa Sergio. Da loro discendono rispettivamente: Benedetto, il marito di Anna Andreanò, che fu anni fa direttore dell’ufficio di registro di Mistretta, Liboria (chiamata Orietta) che fu direttrice dell’archivio storico e del centro di studi medievali di Palermo. Poi, da Mario e Teresa Sergio discendono: Sergio, avvocato a Palermo, e Massimo venuto a mancare qualche anno fa.
Don Luigino, che si può collegare al prestigioso palazzo del Palo, quasi una corte chiusa nel cuore di Mistretta, sposò la signora Irene di Palermo e trascorreva con il marito i mesi estivi a Mistretta dettando alle signore del posto stili di modernità e gioia di vivere.  Morì a Palermo, alla veneranda di  106 anni, conservando una buona lucidità mentale. Nacquero tre figli: Liboria, detta Liria, che sposò il Conte Tagliavia, Luisella, moglie  del noto architetto palermitano Pippo Contino. Placido, chiamato Placidino, che sposò la signora Mery di Palermo. Nacquero tre figli: Luigi, Francesco ed una femmina ed ogni anno si riuniscono nella loro villa di Castel di Tusa.

Ringrazio l’amico Poalo Giaconia per avermi fornito queste interessanti notizie sui “Salamone”.

Mi piace riportare integralmente questo documento  che ho scoperto nell’archivio storico nel palazzo Mastrogiovanni-Tasca, a Mistretta, sul cav. Vincenzo Salmone, figlio di Gioacchino e di Angela Cannata, nato a Mistretta il 13 aprile del 1851 e che porto a conoscenza di chi legge.

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Oct 18, 2017 - Senza categoria    Comments Off on IL RICORDO DEL PROF. VINCENZO LO IACONO, ILLUSTRE CITTADINO DI MISTRETTA

IL RICORDO DEL PROF. VINCENZO LO IACONO, ILLUSTRE CITTADINO DI MISTRETTA

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La sede della SOCIETA’ FRA I MILITARI IN CONGEDO DI MUTUO SOCCORSO di Mistretta è spesso teatro di importanti eventi culturali.
Il 14 ottobre del 2017, nell’accogliente sala delle conferenze della Società di M.S. l’Ass.ne Kermesse d’Arte, nel secondo incontro culturale del Trittico Amastratino, giunto alla IX Edizione, è stata ricordata la figura dell’emerito prof. VINCENZO LO IACONO, degno figlio di Mistretta, insigne docente di Statistica Economica alla Facoltà di Economia e Commercio dell’Università degli Studi di Palermo.

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Ha aperto i lavori il signor Dino Porrazzo, presidente dell’Ass.ne Kermesse d’Arte, che ha illustrato brevemente la figura di Vincenzo Lo Iacono, il valido accademico professore che ha reso onore anche alla città di Mistretta.

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Il signor Giuseppe La Via, Presidente della Società fra i Militari in Congedo di M.S., dopo avere elargito gli accoglienti saluti di benvenuto ai numerosi parenti e amici del professore, ha affermato di essere onorato, unitamente ai soci del sodalizio, di poter discutere sulla figura del professor Vincenzo Lo Iacono, nobile uomo che ha dato lustro alla sua città natale.

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Hanno relazionato i professori: Vittorio Di Natale e Raffaele Scuderi, docenti universitari, che hanno illustrato la figura umana e professionale del prof. Vincenzo lo Iacono col quale hanno avuto stretti legami di studio, di amicizia, di lavoro.

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Il tavolo dei relatori. Da sx: Dino Porrazzo, Giuseppe la Via, Vittorio Di Natale, Raffaele Scuderi

Essendo stati studenti della stessa Facoltà e, quindi, suoi allievi, hanno conosciuto il professore molto da vicino.
Hanno messo in luce la preparazione culturale, la professionalità, la sensibilità umana del prof. Vincenzo Lo Iacono non solo verso di loro, ma verso quanti lo hanno avvicinato per ascoltare i suoi preziosi suggerimenti.
Il prof. Vittorio Di Natale, con molta commozione, lo ricorda con questa sua testimonianza: ”Questo che state ascoltando è l’unico scritto degli ultimi vent’anni che  ho dovuto preparare senza l’aiuto del mio maestro.
Al nostro Maestro, che ci ha prematuramente lasciati, farà sicuramente piacere essere ricordato con delle frasi semplici, ma ricche di amore.
Credo e spero di potere concentrare tutto il suo insegnamento in questa frase: la semplicità con la ricchezza dell’amore.
Avete presente l’anziano che vediamo nel tempio dove si perfezionano le arti marziali e dove tutti i nuovi arrivati vogliono immediatamente imparare nuove mosse o perfezionare quelle che sanno.
Ebbene, ci propinano sempre la stessa scena, l’allievo prima di cominciare qualsiasi attività delle arti marziali deve prima capire il significato vero di ciò che diventerà.
Così il professore, come il saggio del tempio, ci ha inculcato valori come l’umiltà, la semplicità, la serietà, il rigore tutto sempre con tanto amore come lui solo sapeva fare.
Fin dai primi momenti che qualsiasi persona cominciava ad interloquire con lui  era deliziata dalla conversazione che stava intrattenendo fino a rimanere oltre il tempo necessario.
Punto di riferimento di quasi tutti i professori ed impiegati della facoltà di Economia, riferimento non solo accademico ma anche familiare, andiamo a parlare con il prof. Lo Jacono lui sa come dobbiamo fare……… Migliaia di volte ho sentito  questa frase.
Uno dei suoi assunti principali era la definizione della figura quasi sacra dello studente, essa era posta al centro di tutti i suoi interessi.
Diceva:” Vitturiuccio prendi una Università con 100 professori ordinari tutti di materie diverse ognuno con pubblicazioni da candidatura per il nobel, senza studenti l’università appena descritta vale zero”.
Un’altra delle sue bellissime tesi è la definizione di pubblica amministrazione nella contabilità nazionale, la chiamava l’entità nera poichè era il perfetto esempio di quello che nella vita non si deve essere. In poche parole il significato è avere due braccia uno lungo per prendere ed uno corto per dare.
Non voglio dilungarmi poiché non basterebbe l’intera giornata per descrivere tutti i suoi assunti o le sue tesi o, ancora meglio, i racconti delle grandiose vittorie che abbiamo avuto stando sempre al suo fianco.
Tutti momenti che resteranno sempre nelle memorie dei suoi umili allievi.
Umili allievi del miglior maestro che si possa desiderare!
Avevo accennato al rigore come valore, dovete sapere che il professore era un uomo rigoroso, sempre alla sua maniera, eccezionale di interpretare il rigore ma, di sicuro, ogni cosa doveva essere chiamata con il suo nome.
Ebbene, oggi, dopo più di 20 anni, per la prima volta nella nostra vita vogliamo salutarti come non abbiamo mai potuto fare.
Ciao Vincenzo”.

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Il prof. Vittorio Di Natale

Il prof. Raffaele Scuderi lo ricorda così:” Ho conosciuto il Professore Lo Iacono da studente, ai tempi della sua presidenza del corso di laurea in economia e commercio. Tra colleghi di università non mancavamo di elogiarne la straordinaria disponibilità all’ascolto di noi studenti, nel confrontarci con lui sui piccoli e grandi problemi del nostro percorso di studi. Era, indubbiamente, molto facile cogliere tali doti in lui già dalla prima interlocuzione.
Fu per me una figura di riferimento nei miei primi anni in accademia, periodo in cui, unitamente alle doti umane del docente, iniziai ad apprezzare anche quelle di accademico aperto alla ricerca anche internazionale. Non ha mai voluto vincolare la direzione degli studi che da allievo sceglievo di intraprendere all’interno della sua disciplina. Nel contempo era un maestro sempre pronto ad ascoltare chi lo ricercava per un confronto, un uomo sempre disponibile a dare una parola di incoraggiamento e un consiglio spassionato.
Rivelava il suo fare empatico anche nelle sue lezioni di statistica economica, laddove adottava semplificazioni tutt’altro che banali per cercare di trasmettere la logica sottostante ai concetti. E proprio ogni sua discussione sulla disciplinasi ammantava del pathos del ricercatore appassionato dei propri temi di studio.
Era unico, il Professore Lo Iacono, nel conferire un’aria di pacatezza e di fermezza anche a certi avvenimenti che avrebbero richiesto atteggiamenti più gravi, cosa che generazioni di colleghi, allievi e studenti hanno profondamente apprezzato.
Un fare che invitava a dare il giusto peso alle cose, una dialettica che con una garbata battuta tendeva a sdrammatizzare laddove fosse necessario, una signorilità che difficilmente si lasciava scomporre o turbare”
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Il prof. Raffaele Scuderi ha letto, onoltre, il messaggio del prof. Giuseppe Notarstefano, dispiaciuto di non poter essere presente perchè fuori sede: “Ricordo del prof. Vincenzo Lo Iacono. Ho conosciuto il professore Lo Iacono quando ero appena laureato e, volendo riprendere in mano i libri ed iniziando a confrontarmi con il mondo accademico alla ricerca di un maestro con cui iniziare il percorso tutto nuovo che mi si presentava, ho incontrato lui e riconosciuto in lui subito il tratto signorile e gentile di un educatore, un maestro.
Ha fatto strada con me, suggerendomi, sostenendomi, incoraggiandomi o scoraggiandomi … laddove ve ne era necessità!
Ho scoperto in lui con il tempo un profondo conoscitore della vita accademica, nazionale ed internazionale, e della disciplina, ma soprattutto un maestro di vita.
È da lui che ho appreso lo stile della relazione educativa con gli studenti in primo luogo, che hanno sempre avuto in lui un riferimento sicuro ed un sostegno certo. La sua capacità di entrare in relazione con le persone che lo avvicinavano, dal personale tecnico e amministrativo ai colleghi: sempre l’impronta del garbo, della gentilezza e del rispetto hanno accompagnato il suo agire quotidiano.
Gli anni d’intensa collaborazione scientifica e didattica mi hanno aiutato e sostenuto nell’approfondire la mia vocazione professionale e a maturare un importante bagaglio di esperienza sul campo e questo anche grazie alla fiducia e alla stima con cui egli mi ha sempre accompagnato, lasciandomi grandi margini di libertà, autonomia e responsabilità.
Ricordo le discussioni animate e vivaci sul ruolo e sul futuro della nostra disciplina, così come le preoccupate valutazioni sulla vicenda dell’ateneo palermitano.
Il suo giudizio misurato e prudente, così come il suo sguardo lungimirante, mi hanno sempre aiutato a non eccedere né a sottovalutare nella interpretazione delle vicende universitarie e della vita delle istituzioni accademiche.
Sono grato al professore per tutto ciò che mi ha saputo trasmettere e donare, e mi rallegra oggi la certezza che vive una dimensione di pienezza e serenità, di gioia autentica e vera“.

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Il prof. Raffaele Scuderi

Il dott. Maurizio Seminara ha voluto personalmente raccontare all’ uditorio la sua diretta esperienza col prof. Vincenzo Lo Iacono.
Molto eloquenti  sono state le sue parole di stima.

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Il vicesindaco e assessore alla cultura avv. Vincenzo Oieni, dopo avere portato i saluti del sindaco di Mistretta avv. Liborio Porracciolo, ha espresso il suo notevole elogio  nei confronti del prof. Vincenzo  Lo Iacono che, pur non avendo avuto la fortuna di conoscerlo personalmente, ha apprezzato le sue qualità ascoltando le lodevoli testimonianze dei relatori.

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Piacevole e gioviale è stata la testimonianza del prof. Vito Portera che ha raccontato aneddoti della loro fanciullezza trascorsa insieme essendo vicini di casa.
Quando Vito chiamava Lirio per giocare, il fratello minore di Vincenzo, la mamma, la signora “Vastianedda”,  gli rispondeva: ” Statti zittu, Enzo sta studiannu”!

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Il preside, il prof. Antonino Ribaudo, grande amico del prof. Vincenzo Lo Iacono, lo ha ricordato leggendo due  poesie di sua composizione dove dimostra la sua grande ammirazione.

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Umberto Lo Iacono, il figlio del professore, ha voluto ringraziare: il signor Giuseppe La Via, il signor Dino Porrazzo, Vittorio Di Natale, Raffaele Scuderi, Nella Seminara e tutti gli amici che hanno ricordato il suo amato papà nella sua Mistretta.
GRAZIE, GRAZIE!

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Anch’io ho voluto ringraziare i signori: Dino Porrazzo e Giuseppe La Via, gli organizzatori dell’evento, i relatori Vittorio Di Natale e Raffaele Scuderi, che hanno accolto l’invito senza esitazione e con onore volendo portare la loro testimonianza  sulla vita e sull’attività accademica del prof. Vincenzo Lo Iacono,  la moglie, la signora Maria Concetta Carlevaro, i figli Paolo e Umberto e il numeroso pubblico.

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Foto di Lucio Vranca e di Luigi Marinaro

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Foto di Lucio Vranca

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Il signor Dino Porrazzo ha donato ai relatori il libro pubblicato per il Concorso Letterario di Poesia e Narrativa in dialetto siciliano edita ed inedita “Enzo Romano “ 2017, V Edizione.

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Nella Seminara ha regalato ai relatori il video-libro “Mistretta in immagini tra passato e presente” , il suo approfondito lavoro sulla città di Mistretta invitandoLi a venire a visitarla in altri momenti.

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Gli applausi sono stati molto calorosi.

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Vincenzo Lo Iacono è nato a Mistretta il 6 novembre del 1938, primogenito di Paolo e Sebastiana Comparato.
A lui seguirono Liborio e Antonino ai quali era legato da un intenso amore fraterno.

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Il 6 maggio del 1948 Vincenzo ricevette Gesù per la prima volta

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Vincenzo ha frequentato a Mistretta le Scuole di base, Elementare e Media, con molto entusiasmo comportandosi da alunno modello, corretto nel comportamento, volenteroso e impegnato nello studio, che ha adempiuto con consapevolezza ottenendo sempre buone valutazioni da parte dei suoi insegnanti.

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Successivamente, ha frequentato a Palermo l’Istituto Tecnico Commerciale “ F.Crispi” diplomandosi in Ragioneria.
L’Assessorato Turismo e Spettacolo della Regione Siciliana, quando frequentava la classe IV sez.C, gli ha assegnato un buono Premio al merito scolastico, a spese del Governo Regionale, per partecipare a una gita turistica.

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Studente nell’Ateneo palermitano, si distinse per l’educazione, per la volontà di arricchire il suo bagaglio culturale, per la disponibilità ad aiutare gli altri colleghi studenti e per la collaborazione con i suoi professori.

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E’ stato proclamato dottore in Economia e Commercio con “LODE” il 16 novembre del 1961.

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Durante gli anni universitari è stato lo studente molto apprezzato del professor Silvio Vianelli, con il quale ha iniziato la sua carriera universitaria e col quale stabilì una lunga collaborazione sia a livello accademico sia all’interno del Centro Regionale di Statistica.
Conseguì la libera docenza di “Statistica economica” nel 1970.
Ha svolto la sua lunga attività didattica prevalentemente nei corsi di studio della Facoltà di Economia e Commercio dell’Ateneo palermitano e, per un breve periodo, anche all’Università degli Studi di Messina.
E’ stato uno dei più giovani professori ordinari nel campo dell’Economia, settore culturale che ha contribuito a sviluppare a livello locale e anche nazionale.
E’ un aneddoto che mi ha raccontato: “Il primo giorno da docente universitario, salito sulla cattedra dell’aula semicircolare di Economia e Commercio per sostenere la sua prima lezione, il professore salutò cordialmente gli studenti che si alzarono in piedi, in segno di saluto, come si faceva una volta.
Il signor bidello, entrato anche lui nell’aula, si rivolse agli studenti
: <<Ragazzi, il professore ancora non è arrivato>>.
<<Il professore sono io!>> rispose Vincenzo.
Grande è stato l’applauso!
E’ stato anche Preside della facoltà di Economia e Commercio dell’Ateneo di Palermo.
Il 1° novembre del 2010 è stato collocato a riposo per raggiunti limiti d’età.
II 25 novembre del 2006, ad Agrigento, ha ricevuto il prestigioso premio internazionale “Telamone d’oro“, con la motivazione ” Vincenzo Lo Iacono: Studioso insigne della scienza statistica – economica, docente attento nel campo della Demografia e della Contabilità con importanti riflessi sull’organizzazione sociale e politica del Paese, i cui lavori rappresentano interessanti valutazioni sui progressivi sviluppi in ordine alla globalizzazione sempre più soggetta alle continue variazioni dei mercati. Riferimento certo nella formazione per gli studenti del mondo universitario, si qualifica per la dotta guida nell’insegnamento di quella branca delle scienze di non facile comprensione, ma che costituisce una risorsa fondamentale per il Paese. Impegnato nella ricerca dello sviluppo industriale della Sicilia dall’unità d’Italia (1861) al periodo della industrializzazione (1965), un patrimonio prezioso per gli studiosi e per le stesse istituzioni”.
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anto da essere annoverato fra iGrandi di Sicilia“.

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Da sx: Giuseppe Messina, Vincenzo Lo Jacono, Lorenzo Lo Monaco,Paolo Cilona, Antonio Sciortino, Gaetano Silvestri, Ernesto De Miro, Giuseppe Conti, Giacomo Rallo.

Il Premio “Telamone” è un’attestazione di riconoscimento e di stima per gli illustri siciliani che si sono distinti nella politica, nella cultura, nel giornalismo, nell’arte, nel sociale e che hanno contribuito a dare una visione ottimale della propria terra: la “Sicilia”.
La designazione dei “Telamoni” rappresenta, quindi, una testimonianza molto significativa, riservata a quelle personalità che hanno concretamente operato per la crescita culturale e umana della Sicilia consegnando a siciliani e non solo i prodotti della loro intelligenza, del lavoro, della ricerca, dell’arte.
L’emblema del Premio, una riproduzione dei maestosi Telamoni che sostenevano il grande Tempio di Giove Olimpico nella Valle dei Templi di Agrigento, spiega la grandezza dei “Telamoni”.
Ognuno mostra la propria statuetta, una piccola riproduzione di Telamone.
Il prof. Vincenzo Lo Iacono è stato socio della Società Italiana di Statistica, dell’Association de Comptabilité Nationale e della Società di Economia Demografia e Statistica di cui è stato a lungo consigliere e vicepresidente.
Membro del consiglio della Fondazione “Angelo Curella”, è stato collaboratore in diversi centri di ricerca locale, ha sempre promosso la diffusione della cultura statistico-economica e dell’analisi dei dati economici.
Ha pubblicato diversi testi universitari, ancora in uso, inerenti alla sua disciplina.
La sua produzione è stata rivolta ai temi della valutazione economica dello sviluppo territoriale, della formazione e misurazione del reddito, dell’occupazione e della misura della produttività.
Su questi temi ha curato alcune voci inserite nell’enciclopedia Treccani.
Molto ricco e abbondante è il suo curriculum vitae et studiorum.

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Durante la sua attività didattica moltissime sono state le generazioni di studenti universitari che hanno potuto apprezzare le sue qualità umane, la sua dedizione e la sua attenzione verso una loro integrale formazione.

I fratelli Daniela e Paolo Mussolici hanno voluto dare la loro testimonianza ricordando così il loro professore: “Buonasera Sig.ra Nella Seminara, le invio un pensiero per la commemorazione del prof. Lo Iacono.
Nel primo anniversario della morte del prof. Vincenzo Lo Iacono sentiamo il dovere di esprimere un pensiero colmo di affetto sincero, di stima profonda e di immensa gratitudine per il bagaglio culturale che ha saputo trasmetterci. Non dimenticheremo la sua affabilità e la sua disponibilità nel modo di relazionarsi con tutti gli studenti. Oltre che valida guida nella sua disciplina, è stato un vero maestro di vita.
Daniela e Paolo Mussolici”.

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Il momento della laurea di Paolo Mussolici

La dott.ssa Rosalia Sirni così ha scritto:
La giornata che oggi viene celebrata in onore del Prof. Vincenzo Lo Iacono mi pare un doveroso e significativo omaggio verso una persona, dalle finissime qualità umane, che molti di noi hanno impressa nella memoria.
Durante il mio percorso di studi universitari ho avuto l’onore e il piacere di conoscere ed apprezzare il prof. Vincenzo Lo Iacono come docente e come relatore della mia tesi di Laurea.
Le sue lezioni, gli incontri, le revisioni, erano caratterizzati da una grande passione che egli riusciva a trasmettere agli studenti.
Il suo modo di interloquire, le Sue spiccate doti umane e la Sua preparazione hanno segnato uno stile e una forma di comunicazione che spesso andava oltre gli schemi istituzionali e disciplinari delle materie di cui si occupava.
Egli, a mio avviso, apparteneva a quel tipo di studioso per il quale l’insegnamento era tutt’uno con la ricerca continua.
Le sue interpretazioni, che spesso si coglievano dall’interno delle materie che insegnava,  spesso sfociavano in aspetti inconsueti che evocavano ed associavano altri saperi a momenti di vita quotidiana.
Ritengo che il professore Vincenzo Lo Iacono abbia dato lustro alla Facoltà di Economia e Commercio di Palermo non soltanto per le sue ben note qualità di studioso, ma perché è stato fra coloro che hanno contribuito a segnare uno stile che era fortemente caratterizzato per il senso dell’insegnamento, un senso scientifico, didattico ed etico insieme”.    F.to Sirni Rosalia

Anche la dott.ssa Maria Rita Ribaudo ha voluto dare la sua testimonianza: ”Ricordo il professore sempre con affetto. Per me è stato un grande maestro di vita indirizzandomi sempre nella strada da seguire.
L’ho conosciuto 23 anni fa, quando mi sono scritta all’Università.
Mi ha dato sempre buoni consigli.
Era una persona generosa e affettuosa con tutti.
Ricordo che davanti a me, tante volte, dava buoni consigli anche a studenti che neanche conosceva.
Era il professore degli studenti, disponibile, umile, senza mai chiudere la porta a nessuno.
Mi ha accompagnata durante gli anni più belli dei miei studi.
Con lui ho redatto la mia tesi di laurea. E’ stato il mio relatore.
Che bel ricordo!
E’ il momento della mia laurea quando il prof. Vincenzo Lo Iacono mi ha proclamata DOTTORE IN ECONOMIA E COMMERCIO.

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Grazie ai suoi consigli mi sono abilitata Dottore Commercialista.
Quest’anno ho cominciato ad insegnare e pensavo a lui per tante cose.
Quando gli alunni si rivolgevano a me, pensavo a come era il professore con noi studenti.
Penso che oggi è difficile che si possa trovare all’Università un docente accademico con una qualità umana come la sua.
Lo ricorderò sempre con affetto”.

La laurea di Roberta Vassallo

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Il pensiero di Roberta Vassallo:” Credo che in memoria del Professor Vincenzo Lo Iacono si potrebbero scrivere libri.
Chiunque l’abbia conosciuto, anche solo per poco, ne conserva uno splendido ricordo.
Saggezza, dedizione, professionalità, entusiasmo nel lavoro ed umiltà lo hanno reso una persona unica e speciale.  E adesso, anche se il ricordo non consola, il suo volto, le sue parole, ma soprattutto i suoi insegnamenti di vita resteranno nel mio cuore e nella mia mente per sempre.  Ovunque Lei sia …..  semplicemente grazie
. F.to Roberta Vassallo

Nella sua famiglia Vincenzo Lo Iacono è stato premuroso marito della signora Maria Concetta Carlevaro, padre affettuoso dei suoi figli, Paolo e Umberto, nonno amorevole dei 5 nipoti, Chiara, Emanuele, Elena, Laura, Adele, cordiale con la nuora Irene.

Sorella morte ha chiamato a sé Vincenzo Lo Iacono il 25 febbraio del 2017.
Parenti e amici  hanno dato la triste notizia della sua scomparsa con viva e sentita partecipazione.

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Dopo le esequie funebri, che si sono svolte il 27 febbraio 2017 nella Parrocchia Maria SS.ma Madre della Chiesa, in viale Francia a Palermo, e alle quali hanno partecipato il rettore prof. Fabrizio Micari, il Corpo accademico, gli studenti, giunti anche da lontano, e il personale tecnico e amministrativo dell’Università di Palermo, le sue spoglie mortali sono state traslate nel cimitero monumentale di Mistretta dove riposano nella cappella della Società dei Militari in Congedo di M.S.perché socio del sodalizio.
La sua tomba è sempre adornata di fiori, segno tangibile della grande stima dei suoi compaesani.

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Essendo la Società dei Militari in Congedo una società di mutuo soccorso, il culto dei morti è rispettato.
Il presidente pro-tempore e molti soci disponibili, con il gonfalone della Società, in un giorno stabilito durante la ricorrenza dei morti, ogni anno si recano al cimitero monumentale per onorare gli estinti dignitosamente sepolti nella cripta sociale e dove assistono alla funzione religiosa della celebrazione della Santa Messa.
Alla sede della Società Fra i Militari in Congedo di M.S., sita nel palazzo nobiliare Allegra Trasselli, si accede dalla via Primavera.

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 Nella facciata principale, che dona in via Libertà, al centro del balcone si nota lo stemma del vecchio casato.

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  Progetto grafico della locandina e dell’invito di Lucio Vranca.

 

Oct 13, 2017 - Senza categoria    Comments Off on LA VITA DI SAN LUCA EVANGELISTA E LA SUA CHIESETTA A MISTRETTA

LA VITA DI SAN LUCA EVANGELISTA E LA SUA CHIESETTA A MISTRETTA

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Luca, nome derivante dal latino “Lucas” e dal greco “Λουκάς, abbreviazione di “Lucano”, nacque ad Antiochia di Siria da una famiglia pagana. Studiò la scienza medica e, per perfezionare le sue conoscenze, si recò in Grecia e in Egitto.
Esercitò la professione di medico molto erudito a Troade, dove era conosciuto come “il medico antiocheno”.
A Troade incontrò l’apostolo Paolo di Tarso che, proveniente da Barnaba, giunse a Troade per istruire alla fede la nuova comunità composta da ebrei e da pagani convertiti al cristianesimo.
Anche Luca decise di seguire Paolo nel sacro ministero convertendosi alla fede in Cristo.
Era circa l’anno 43.
Luca diviene il discepolo prediletto di Paolo, “il caro medico”, il compagno fedele di tanti suoi viaggi, il testimone oculare dei fatti accaduti tra quei primi cristiani.
Nel Nuovo Testamento, nelle “Notizie e Saluti” (22-24), nella lettera a Filemone Paolo così scrive: “ Al tempo stesso preparatemi un alloggio, perché spero, grazie alle vostre preghiere, di esservi restituito. Ti saluta Epafra, mio compagno di prigionia per Cristo Gesù, con Marco, Aristarco, Dema e LUCA i miei collaboratori. La grazia del Signore Gesù Cristo sia con il vostro spirito”.
Nella lettera ai Colossesi, in “Saluti e Benedizione” (4,12), Paolo scrive: ” Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di Barnaba, riguardo al quale avete ricevuto istruzioni – se verrà da voi, fategli buona accoglienza- e Gesù, chiamato Giusto.
E in (4,14) Vi salutano LUCA, il caro medico, e Dema. Salutate i fratelli di Laodicea e Ninfa con la comunità che si raduna nella sua casa
”.
Luca fu compagno fedelissimo di Paolo fino alla sua morte. Paolo, nella seconda lettera a Timoteo
(2 Tm 4, 11-14), scritta a Roma durante l’ultima prigionia che lo porterà al martirio, ricorda l’amico rimastogli accanto così: “Solo LUCA è con me. Prendi Marco e portalo con te, perché mi sarà utile per il ministero. Ho inviato Tichico a Efeso. Venendo, portami il mantello che ho lasciato a Troade in casa di Carpo e anche i libri, soprattutto le pergamene“. .
Luca possiede una buona preparazione culturale, usa il greco in maniera fluente ed elegante.
Scrive le sue opere per le comunità evangelizzate da Paolo, ovvero per i convertiti dal paganesimo al cristianesimo.
E’ l’autore del libro del Terzo Vangelo.

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Luca mai nomina se stesso nell’opera a lui attribuita. Sono i copisti dei codici greci, nel II secolo, a intitolare uno dei quattro Vangeli, quello “secondo Luca”, ponendolo al terzo posto dopo quelli di Marco e di Matteo.
Ha scritto il suo Vangelo probabilmente negli anni 70-80 d.C. dove descrive, con precisione cronologica e anche geografica, la vita di Cristo come il Salvatore del genere umano.
E’ riuscito a riportare, con delicata finezza, quegli spunti che rivelano la misericordia di Gesù per i peccatori, quei gesti di profonda compassione, quel Suo stupore, quella Sua tenerezza per cui il sommo poeta Dante Alighieri nel suo saggio politico, opera in latino, “Monarchia”, ha definito Luca lo “Scriba mansuetudinis Christi” “scriba della mansuetudine di Cristo”, cioè lo scrittore della mansuetudine, della misericordia, dell’amore di Cristo.
Dio ama e salva coloro che sono lontani.
Questa centralità dell’amore ha spinto molti a parlare del terzo Vangelo come del “Vangelo della misericordia”.
Luca inizia il suo Vangelo con un prologo nel quale chiarisce subito il metodo e lo scopo del suo scritto.
Il libro è dedicato a un ignoto e illustre signore, probabilmente un cristiano di nome Teòfilo.
Poiché nella prefazione lo elogia col titolo di “eccellentissimo”, presumibilmente Teòfilo era una personalità appartenente all’alta classe dell’amministrazione imperiale.
Ha voluto seguire le orme degli scrittori classici che erano soliti dedicare le loro opere a dei personaggi illustri.
Presumibilmente Luca ha dedicato il Vangelo a chi ama Dio, dal latino “Teofilo” “amico di Dio”, cioè alle comunità cristiane di origine pagana.
In realtà, ha voluto scrivere un’opera storico-letteraria raccontando cronologicamente la vita di Gesù, l’attività pubblica, la predicazione, i miracoli in Galilea, il viaggio verso Gerusalemme, il Mistero pasquale di Cristo unendo, al rigore della narrazione, nel rispetto delle fonti e della cronologia dei fatti accaduti, una sensibilità d’animo e una delicatezza d’espressione rare.
Luca ha sentito parlare di Gesù per la prima volta nel 37 d.C. “Non vide il Signore nella carne”, riferisce il Canone muratoriano, un elenco ragionato dei libri del Nuovo Testamento scritto a Roma verso il 160-180.
Non lo ha conosciuto personalmente.
Per la stesura del Vangelo Luca, per esporre con ordine “gli avvenimenti che sono accaduti” (Lc 1, 1), ha consultato documenti scritti e, soprattutto, si è avvalso delle informazioni riferite dagli apostoli e da altri testimoni.
Ha attinto indicazioni preziose da Paolo, da Pietro, forse da Giovanni, dal diacono Filippo, da Cleopa. Sulla nascita e sull’infanzia di Gesù ha attinto soprattutto al tesoro dei ricordi di Maria di Nazareth, la madre di Gesù, che egli ha conosciuto e ascoltato di persona.
Da Maria ha appreso lo stupore dell’annuncio, della visita a Elisabetta, del parto a Betlemme, dell’angoscia sua e di Giuseppe per lo smarrimento del Figlio dodicenne.
Risalta la figura di Maria, la “serva del Signore, benedetta fra tutte le donne” (Lc 1,42).
Le informazioni sull’infanzia di Gesù, descritte dettagliatamente e quasi riservate, solo una madre poteva raccontarle e non altre persone estranee!
Il vangelo di Luca è pieno di parabole di Gesù e di episodi della Sua vita.
Nel (4, 14-21) Luca racconta: “Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la Sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e tutti ne facevano grandi lodi.  Si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere.
Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo, trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore.  Poi arrotolò il volume, lo consegnò all’inserviente e sedette.
Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora cominciò a dire: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi”.
L’originalità di Luca si manifesta soprattutto nella parte centrale del Vangelo, nel viaggio di Gesù verso Gerusalemme, dove risalta l’insegnamento di Gesù attraverso una serie abbondantissima di parabole come quella del buon samaritano, del figliol prodigo, del ricco epulone, del fariseo e del pubblicano.  Parabole che evidenziano gli aspetti più significativi: la misericordiosa mansuetudine di Gesù, la sua benevolenza verso i pagani, la sua bontà accogliente verso i peccatori, la sua predilezione per i piccoli e per i poveri: “ Mi ha mandato a predicare ai poveri la buona novella” (Lc 4, 18).
Luca è l’unico a riportare l’episodio del buon ladrone mostrando la misericordia di Gesù fino alla fine.
È l’ultimo Suo gesto di perdono prima di spirare sulla croce.
Nel narrare le parabole, i gesti di compassione e di misericordia di Gesù Luca mostra la sua qualità di scrittore di grande talento.
Secondo la tradizione cristiana Luca è anche l’autore degli Atti degli Apostoli che sono un testo, composto da 28 capitoli, contenuto nel Nuovo Testamento e scritto in greco.
La sua redazione definitiva risale probabilmente attorno all’80-90, ma sono state proposte anche datazioni intorno al 60-70.
Sono narrati: la vita della Chiesa di Gerusalemme (capitoli 1-5), le prime missioni (6-12), la vita della Chiesa di Antiochia e la missione di Barnaba e Paolo (13-14), il Concilio di Gerusalemme (15), i viaggi di Paolo (16-21), il suo arresto e la sua prigionia (22-28) fino all’arrivo a Roma.
Copre un periodo che spazia approssimativamente dal 30 al 63 d.C.
In essi Luca presenta un’immagine entusiasmante della primitiva comunità cristiana apostolica alla quale, in seguito, s’ispirarono il monachesimo e molti movimenti riformatori.
Protagonisti di questa opera sono gli apostoli Pietro e Paolo.
Il vero protagonista è lo Spirito Santo che, a Pentecoste, scende sugli Apostoli e li guida nell’annuncio del Vangelo agli ebrei e ai pagani.
Da osservatore attento, Luca conosce le debolezze della comunità cristiana destinata a crescere e a moltiplicarsi per la diffusione del Vangelo.
Nel libro sono inseriti anche alcuni brani di un diario di Luca presente agli avvenimenti.  Una buona parte del libro contiene una trentina di discorsi elaborati da Luca su materiale sicuro.
Di essi otto discorsi sono di Pietro e 10 di Paolo.
Luca si propone almeno due obiettivi: il primo è quello di mostrare come la storia di Gesù continui nella storia della Chiesa.
Il secondo obiettivo è quello di offrire ai lettori un modello di comunità e di missione caratterizzati dalla comunione e dalla fiducia nello Spirito Santo.
Uomo di notevoli capacità, oltre alla scrittura, Luca possedeva anche l’arte della pittura.
Dipinse immagini e paesaggi.
Un’antica tradizione cristiana afferma che l’evangelista Luca fu il primo iconografo e che dipinse quadri di Gesù, della Madonna, di Pietro e di Paolo. Sono molte le immagini a lui attribuite.
Alcune sono custodite in Italia.
Famosa è l’icona mariana della Madonna col Bambino dell’“Odyghítria”, “Colei che indica la via”.

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La Vergine sorregge il bambino con il braccio sinistro e con la mano destra Lo indica come “via, verità e vita”.
L’icona fu espostanel monastero della Panaghia Hodegetria a Costantinopoli. Trasportata in Italia, è custodita nel santuario della Madonna di San Luca a Bologna. Il suo arrivo al Santuario di Bologna fu narrato nel 1459 da Graziolo Accarisi.
Il pellegrino greco Teokis Kmnya ricevette l’icona dai sacerdoti della basilica di Santa Sofia di Costantinopoli per portarlo in Italia sul “Monte della Guardia”.
L’icona fu consegnata al vescovo bolognese Gerardo di Ghisa che, a sua volta, la consegnò alle eremite Azzolina e Beatrice Guerzi, fondatrici del Santuario sul monte della Guardia.
Dai bolognesi l’icona è considerata miracolosa.
Secondo la tradizione, nel 1433, per scongiurare la carestia, causata da una grande quantità di acqua piovuta dal cielo in primavera, che rischiava di danneggiare tutti i raccolti, il giureconsulto Graziolo Accarisi promosse la discesa dell’icona dal monte per portarla in processione lungo le vie della città. Quando il dipinto giunge in città, la pioggia, miracolosamente cessò di cadere. Il raccolto fu salvato!
Anche l’icona della Vergine detta “Salus populi romani” Salvezza del popolo romano”, dipinta su tela applicata su tavola è attribuita al pennello di Luca.

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L’immagine si trova nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.
Fino al secolo XVI era posta in un’edicola alla sinistra dell’altare maggiore, poi da papa Paolo V fu trasportata nella cappella della sua famiglia dove ancora oggi si trova posta sopra un bellissimo tabernacolo progettato da Gerolamo Rainaldi.
La Madonna di “Sancta Maria ad Martyres” è un’altra icona dipinta da Luca su tavola di olmo.

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Della tavola originale rimane solo un frammento.
La Madonna del “Monasterium tempuli” detta “Madonna di San Luca”, encausto su tavola di tiglio, è la “Madonna che intercede”.

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Il suo primo trasferimento avvenne presso il Monasterium tempuli in Trastevere, affidato alle monache domenicane.
Nel secolo scorso l’icona si trovava nella chiesa dei SS.mi Domenico e Sisto e, dal 1931, fu portata nella chiesa di Santa Maria del Rosario a Monte Mario, dove risiede attualmente.
L’atteggiamento della Vergine è di preghiera con le mani alzate, come forma di supplica più gradita al Signore.
Luca morì di morte naturale in Beozia a 84 anni, pieno di Spirito Santo.
San Girolamo, nel IV secolo, riassumendo tutta la tradizione precedente, indica anche il luogo della sua sepoltura: “Luca, un medico di Antiochia, non inesperto in lingua greca, come lo indicano i suoi scritti, discepolo dell’apostolo Paolo e compagno di tutti i suoi viaggi, scrisse il Vangelo. Pubblicò pure un altro egregio volume che è intitolato Atti degli apostoli […]. È sepolto a Costantinopoli, alla cui città, nell’anno secondo dell’imperatore Costanzo [338], furono traslate le sue ossa” (De viris illustribus III).
Secondo la tradizione i suoi resti mortali nel 357 furono sepolti a Costantinopoli nella famosa Basilica dei Santi Apostoli costruita subito dopo.
Le sue spoglie giunsero poi a Padova, dove tuttora si trovano nella Basilica di Santa Giustina.
Una parte della sua testa è stata traslata dalla Basilica di Santa Giustina alla Cattedrale di San Vito a Praga nel XIV secolo.
Una costola di San Luca è stata donata nel 2000 alla Chiesa greco-ortodossa di Tebe.
Esiste un’altra reliquia della testa del Santo nel Museo Storico Artistico “Tesoro” nella Basilica di San Pietro in Vaticano.
La chiesa cattolica, che ne ammette il culto, festeggia il suo onomastico il giorno 18 Ottobre di ogni anno.
Il suo emblema è il toro.

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Secondo San Girolamo e il vescovo Vittorino (+303) l’attribuzione si deve al fatto che nel suo Vangelo introduce come primo personaggio Zaccaria, il padre di Giovanni Battista, che, essendo sacerdote del tempio, offriva in sacrificio i tori.
San Luca, apostolo ed evangelista, è patrono di molti comuni italiani: Capena (RM), Castel Goffredo (MN) compatrono,Impruneta (FI), Motta d’Affermo (ME), Praiano (SA), San Luca (RC), Casalino di Casalfiumanese (BO).
Luca, come attributo, accanto al libro o rotolo della Scrittura, ha strumenti di medicina che lo rimandano alla sua professione.

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San Luca è protettore di: artisti, chirurghi, medici, notai, pittori, scultori, macellai.
Nell’arte figurata San Luca è stato tante volte dipinto e scolpito.
L’arte bizantina lo rappresenta con fattezze giovanili, con i capelli corti, ricciuti e neri.
Andrea Mantegna lo dipinge con la tonsura (Milano 1454).

8  Andrea Mantegna, Polittico di San Luca (1453 - 1454), tempera su tavoloka

Il dipinto del Guercino di San Luca è del 1653.

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San Luca è un dipinto a tempera e oro su tavola (132×50 cm) del Maestro della Maddalena, databile nel periodo 1280-1285 e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.

11  San Luca è un dipinto a tempera e oro su tavola (132x50 cm) del Maestro della Maddalena, databile al 1280-1285 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze

  R. van der Weyden, rappresenta San Luca che dipinge la Vergine, databile negli anni 1435-36 e conservato nel  Museum of Fine Arts, Boston.

12  R. van der Weyden, S. Luca dipinge la Vergine, 1435-36 ca., Museum of Fine Arts, Boston ok.

Antonello Gagini scolpì  la statua di San Luca assiso.

13  San Luca Antonello Gagini ok

 Il San Luca di Nanni di Banco è raffigurato nell’atto di leggere un libro sacro e trasmette un senso di calma e di fierezza

14  Il San Luca di Nanni di Banco è raffigurato nell'atto di leggere un libro sacro e trasmette un senso di calma e di fierezokkkza

PREGHIERA A SAN LUCA EVANGELISTA

Glorioso San Luca che,
per estendere a tutto il mondo sino alla fine dei secoli,
la scienza divina della salute,
registraste in apposito libro non solo gli insegnamenti e le gesta del nostro Signore Gesù Cristo,
ma ancora i fatti più meravigliosi dei suoi Apostoli per la fondazione della Chiesa;
ottenete a noi tutti la grazia di conformar sempre la nostra vita
a quei santissimi documenti che per impulso particolare dello Spirito Santo,
e sotto la sua dettatura,
avete dato a tutti ì popoli nei vostri libri divini.
Glorioso S. Luca,
che per la verginità di cui faceste costantemente professione,
meritaste di avere una speciale familiarità colla regina delle vergini, Maria Santissima,
che vi erudì personalmente,
non solo in ciò che riguarda la sua divina elezione in Vera Madre di Dio,
ma ancora in tutti i misteri dell’incarnazione del Verbo,
dei suoi primi passi nel mondo, e della privata sua vita;
ottenete a noi tutti la grazia di amar anche noi costantemente la bella virtù della purità,
per meritarci noi pure quei favori che agli imitatori fedeli delle sue virtù
dispensa sempre generosissima la comune avvocata e madre nostra Maria.
Gloria.

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LA CHIESA DI SAN LUCA EVANGELISTA A MISTRETTA

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In lontanza i monti Nebrodi.

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La chiesa di San Luca, più nota col nome di chiesa della Madonna di “Rivinusa o di Ravanusa”, è sicuramente la chiesa più piccola di dimensioni fra tutte quelle presenti a Mistretta.
Sembra una chiesa di campagna!
E’ stata edificata nel XV secolo per espresso voto del conte Ruggero come simbolo della vittoria della fede sui musulmani e come auspicio per la difficile conquista dell’estrema parte orientale dell’isola.
Recentemente ha subito interventi di manutenzione e di restauro.
E’ situata proprio ai piedi del castello, vicinissima alla chiesa della madonna del Monte Carmelo, la chiesa del Carmine.

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Foto di Luigi Marinaro

 La struttura esterna è in pietra dura locale dal colore rosato.

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La scala esterna, invasa dalle erbacce, ed una porta principale e una porticina laterale favoriscono l’accesso all’interno del tempio, a navata unica,

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dove l’attenzione del visitatore è attratta dalla presenza di diversi quadri di Madonne, di Santi, di Cristi e del Cuore di Gesù.
La chiesatta è adorna di tre altari che accolgono dipinti ad olio su tela, già esistenti nel 1893. L’altare principale ospita la Madonna della seggiola, di fattura raffaellesca , della fine XIX secolo.

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La parete laterale, entrando a destra ospita il quadro di San Luca che dipinge la Madonna col Bambino. E’olio su tela attribuito al palermitano Salvatore De Caro, dei primi del XIX sec.
Il 21 novembre è festa nella chiesetta di San Luca! Ricorre la Presentazione al Tempio della Beata Vergine Maria. I mistrettesi accorrono numerosi per festeggiare la Madonna “Virgo fidelis”.

19  San Luca dipinge la vergine olio su tela, ignoto, primi del XIX seok c

Accanto è posto il quadro della Madonna di Ravanusa incoronata dagli angeli.
E’ un olio su tela, di autore, ignoto, della fine XVIII sec. Secondo una vecchia leggenda la Madonna di Ravanusa aiutò le truppe del conte Ruggero a sconfiggere i saraceni.

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 La parete di sinistra ospita la Crocifissione con Dolenti, olio su tela, di autore ignoto della fine XVIII-inizi del XIX secolo,

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la stampa che raffigura il Cuore di Gesù, degli  inizi del XX secolo.

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Altri quadri arredano le pareti della chiesa:

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Sant’Antonio di Padova

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La Madonna Addolorata

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Quadro ricamato offerto da una devotissima pia donna realizzato con le sue mani operose

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Caratteristica è la strettissima stradina adiacente alla chiesa che permette il passaggio solamente ad un uomo a piedi.

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L’edicola votiva in pietra arenaria, “a trabbunedda”, che si incontra incastonata nel muro di una casa privata prima di giungere alla chiesetta, ospita un bassorilievo che rappresenta, secondo l’iconografia bizantina, il Conte Ruggero prostrato in ginocchio nell’atto di ringraziare la Vergine per il pericolo scampato nella battaglia di Ravanusa contro i saraceni.

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Oct 7, 2017 - Senza categoria    Comments Off on LA B.V.MARIA DEL ROSARIO – LA SUA CHIESA A MISTRETTA – LA CONFRATERNITA – L’APOSTOLATO DELLA PREGHIERA

LA B.V.MARIA DEL ROSARIO – LA SUA CHIESA A MISTRETTA – LA CONFRATERNITA – L’APOSTOLATO DELLA PREGHIERA

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Etimologicamente, secondo la lingua egizia significa  “Amata da Dio” e, secondo la lingua ebraica,  “Signora”.
E’ Maria, la Vergine del Rosario.

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La Beata Vergine Maria del Rosario, la regina delle vittorie e della pace, è una delle più famose immagini di Maria, la madre di Gesù.
La Vergine, coperta dal drappo azzurro sulla veste rossa, stringe col suo braccio destro il Bambin Gesù e con la mano sinistra porge la corona del Rosario. Si racconta che nel 1212 la Vergine Maria apparve a San Domenico di Guzman durante la sua permanenza nel suo primo convento a Tolosa. Poiché egli predicava contro gli Albigesi, ricevette da Maria il Rosario come risposta alla sua preghiera per essere guidato a combattere l’eresia albigese.

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Il culto della Madonna del Rosario si diffuse in tutto il mondo dopo la battaglia di Lepanto nel 1571.
La Madonna del Rosario è venerata dalla Chiesa cattolica che celebra la Sua festa il 7 ottobre di ogni anno.
La festa fu istituita dal papa Pio V nel 1572, inizialmente con il nome di “Santa Maria della Vittoria“, in memoria della  vittoria sulla battaglia di Lepanto avvenuta la domenica del 7 ottobre del 1571.
Il pontefice ha attribuito la vittoria all’intercessione di “Maria aiuto dei Cristiani“, invocata dai cristiani  con la recita del santo rosario prima dell’inizio del conflitto quando le flotte musulmane dell’Impero ottomano si dovevano scontrare con quelle cristiane della Lega Santa. Nell’istante stesso in cui si susseguivano gli avvenimenti, il papa Pio V, che aveva la visione della vittoria, si inginocchiava per ringraziare il cielo e ordinava per il 7 ottobre di ogni anno si sarebbe celebrata la festa in onore della Vergine delle Vittorie.
La Lega Santa riuniva le forze navali della Repubblica di Venezia, dell’Impero spagnolo, con annesso il Regno di Napoli e di Sicilia, dello Stato Pontificio, della Repubblica di Genova, dei Cavalieri di Malta, del Ducato di Savoia, del Granducato di Toscana e del Ducato di Urbino, federate sotto le insegne pontificie.
Dell’alleanza cristiana faceva parte anche la Repubblica di Lucca che, pur non avendo navi coinvolte nella battaglia, sostenne con somme di denaro l’equipaggio della flotta genovese.
Il comandante della flotta cristiana era Don Giovanni d’Austria, di 24 anni, figlio illegittimo del defunto Imperatore Carlo V e fratellastro del regnante Filippo II.
Il papa Pio V, prima della partenza della Lega Santa per le attività belliche, benedisse lo stendardo raffigurante il Crocifisso, posto fra gli apostoli Pietro e Paolo, e sormontato dal motto costantiniano “In hoc signo vinces”.
Questo simbolo, insieme all’immagine della Madonna e alla scritta “Santa Maria succurre miseris”, issato sulla nave ammiraglia Real, sbandierò in tutto lo schieramento cristiano.
La flotta della Lega Santa era composta di 6 galeazze e di circa 204 galere. A bordo si trovavano circa 36.000 combattenti tra soldati, avventurieri, marinai e circa 30.000 galeotti rematori.
La flotta turca era composta da 170-180 galere, da 20 – 30 galeotte e da un imprecisato numero di fuste e di brigantini corsari. La forza combattente contava circa 25.000 uomini.
Il comandante dello schieramento ottomano, a bordo dell’ammiraglia Sultana, era Müezzinzade Alì Pascià sulla quale sventolava un vessillo verde con su  scritto il nome di Allah per 28.900 volte.
La notizia della vittoria sull’Impero ottomano, impedendo la sua grande espansione, annunziata  dai messaggeri del Principe Colonna, giunse a Roma 23 giorni dopo.
Fu attribuita all’intercessione della Beata Vergine Maria.
I grandi teologi mariani ci hanno insegnato che tutte le grazie passano attraverso  l’intercessione di Maria.
Ecco perché Pio V, papa mariano e domenicano, affidò a Maria Santissima le armate ed i destini dell’Occidente e della Cristianità minacciati dai musulmani.
San Louis-Marie Grignon de Montfort spiegava che  “Nel Cielo, Maria comanda agli angeli e ai beati. Come ricompensa della sua profonda umiltà, Dio Le ha dato il potere e l’incarico di riempire di santi i troni lasciati vuoti dalla superbia degli angeli ribelli”.
Dopo la guerra di Lepanto,  alla Beata Vergine Maria fu attribuito il titolo di “Auxilium Christianorum”, titolo conferitoLe dai vittoriosi che, ritornando dalla guerra, si recarono a Loreto per ringraziare la Madonna.
I forzati, liberati, sbarcarono a Porto Recanati, andarono in processione alla Santa Casa per donare alla Madonna le loro catene con le quali furono costruite le cancellate poste agli altari delle cappelle.
Lo stendardo della flotta fu donato alla chiesa di Maria Vergine a Gaeta, dove è tuttora conservato.  Il papa Gregorio XIII, successore di papa Pio V, modificò la dizione della festa di “Santa Maria della Vittoria” in festa della “Madonna del Rosario“.
Papa Clemente XI,nel 1716, estese la festivitàdella Madonna del Rosario alla Chiesa Universale. Nel 1913 il papa Pio X fissò definitivamente la data della festa della Beata Maria del Rosario al 7 ottobre di ogni anno
Il primo nome imposto fu  “festa del Santissimo Rosario“. Dal 1960 il nome è festa della “Madonna del Rosario”.

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In Italia la Madonna del Rosario è molto venerata nel Santuario di Pompei. 
Papa Giovanni Paolo II, in visita al santuario di Pompei qualche anno fa, con la sua enciclica “Rosarium Virginis Mariae“, del 16 ottobre del 2002,  ci conduce “alla scuola di Maria” perché Ella possa occupare un posto importante nella nostra vita spirituale.
Ai misteri della Gioia, del Dolore e della Gloria il Papa ha aggiunto quelli della Luce, anello mancante nella meditazione sulla vita di Gesù.
Sulla recita  del santo rosario, la preghiera popolare per eccellenza, si è formata la spiritualità delle nostre famiglie poiché dà un notevole orientamento formativo religioso.
Molti anni fa tutte le sere i membri della famiglie, gli amici, i vicini di casa si riunivano per recitare il rosario raccolti davanti al quadro della Beata Vergine in profonda meditazione. Eravamo coinvolti anche noi ragazzini. Purtroppo questa tradizione si è quasi persa sostituita d altri frivoli interessi.
Bisogna recitare il santo rosario con devozione, meditando sui misteri assegnati per ogni decina e traendo da essi insegnamenti pratici.
Anche la partecipazione alla festa della Madonna del Rosario deve essere un incitamento per tutti noi a meditare sui misteri di Cristo sotto la guida della beata Vergine Maria, associata ai misteri di Gesù.
Il Rosario è nato dall’amore dei cristiani per Maria in epoca medioevale, forse al tempo delle crociate in Terrasanta.
Per recitare il rosario è necessaria la coroncina.
Gli anacoreti orientali usavano le pietruzze per contare il numero delle preghiere vocali. Nei conventi medioevali i fratelli laici, dispensati dalla recita del salterio per la scarsa familiarità col latino, integravano le loro pratiche di pietà con la recita dei “Paternostri”, per il cui conteggio il Venerabile San Beda aveva suggerito di adottare una collana realizzata con i grani inseriti in uno spago.
La coroncina del rosario di mia mamma era costituita da noccioli delle drupe delle olive.
Le era talmente affezionata che ha voluto portarla con sé nella tomba.
La mia coroncina del rosario ha i grani di madreperla, la custodia di avorio, che porta nella faccia superiore l’immagine della Madonna e nella faccia posteriore la Croce.
La custodisco gelosamente per i dolci ricordi che contiene.
Mi ricorda il mio primo incontro con Gesù e la carissima zia Giuseppina, sorella di mio padre Giovanni,  che me l’ha donata per la mia prima comunione.

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La devozione alla corona del rosario ha il significato di una ghirlanda di rose offerta alla Madonna.
Promotori di questa devozione sono stati, appunto, il papa Pio V e i domenicani, ai quali va anche la paternità delle confraternita del Rosario.
Secondo San Domenico di Guzman le preghiere degli umani salgono alla Madonna sotto forma di Rose e ne discendono piene di grazie.
Secondo un’antica leggenda la Rosa primitiva era priva di spine.
La Vergine è detta “Rosa senza spine” perché non è stata sfiorata dal peccato originale.
Il temine “Rosario” si lega alla visione delle Rose.
Il Rosario è la preghiera più popolare, recitata singolarmente e coralmente, con la quale si invoca la protezione della Madre di Dio come potente mezzo d’intercessione presso Suo Figlio.
Con la preghiera del Rosario o coroncina mariana, sotto la Sua guida, si medita sui misteri di Cristo.
La Corona è intessuta da cinque decine di grani su cui si registra il succedersi delle Ave Maria.
Ogni decina di grani è intervallata da un grano isolato per il Padre nostro, il Gloria e per richiamare il mistero contemplato.
I misteri sono quindici, divisi nei cinque misteri del gaudio, cinque misteri del dolore e cinque misteri della gloria. I cinque misteri della Luce sono stati aggiunti dal Papa Giovanni Paolo II.
Il Santo Padre ha sottolineato che il Rosario è preghiera mariana del cuore cristologico che concentra in sè la profondità dell’intero messaggio evangelico e ci fa contemplare con Maria il volto di Cristo e chiama a conformarsi a Lui.
La Corona converge nell’immagine del Cristo Crocifisso ed è eloquente simbolo della nostra fede cattolica.
I Pontefici hanno sempre vivamente raccomandato la preghiera del Rosario, detta “Vangelo incompendio“, “salterio del popolo“, “catena dolce che ci riannoda a Dio“, “preghiera della famiglia per la famiglia“, “scuola di contemplazione e di meditazione” dei misteri della salvezza, utili a metterci in comunicazione con Gesù attraverso il cuore della Madre.
Danno senso e luce di trasfigurazione alle vicende della nostra vita, ai momenti di gioia, di fatica, di dolore, di tenebre, di lutto, di successo, di insuccesso.
San Bernardo, in uno dei suoi sermoni (vol. III p. 1020), dice: “Maria è stata una Rosa, bianca per la sua verginità, vermiglia per la carità“.
La Rosa è presente nella simbologia cattolica.
la Rosa mistica è la Vergine; la Rosa alba raffigura i misteri gaudiosi del Rosario che simbolicamente rappresentano ”la nascita”, la Rosa rubra i misteri dolorosi, “la morte”, la Rosa lutea i misteri gloriosi, ”la resurrezione”.
Se le spine sono il simbolo del peccato, la Rosa è il simbolo della redenzione.
Così canta il poeta provenzale Pierre de Corbiac:

Roza ses espina

Sobre totes flors olens

rosa senza spine,

la più odorosa dei fiori”.

PREGHIERE A MARIA REGINA DEL S.MO ROSARIO

O Maria, Regina del Santo Rosario,
che risplendi nella gloria di Dio come Madre di Cristo e Madre nostra,
estendi a noi, Tuoi figli, la Tua materna protezione.
Ti contempliamo nel silenzio della Tua vita nascosta,
in attento e docile ascolto alla chiamata del Messaggero divino.
Ci avvolge di sublime tenerezza il mistero della Tua carità interiore, che genera vita e
dona gioia a coloro che in Tè confidano.
Ci intenerisce il Tuo cuore di Madre, pronto
a seguire ovunque il Figlio Gesù fin sul Calvario, dove, tra i dolori della passione, stai
ai piedi della croce con eroica volontà di redenzione.

Nel trionfo della Risurrezione,
la Tua presenza infonde gioioso coraggio a tutti i credenti,
chiamati ad essere testimonianza di comunione, un cuor solo e un’anima sola.
Ora, nella beatitudine di Dio, quale sposa dello Spirito, Madre e Regina della Chiesa, colmi di gioia il cuore dei santi e, attraverso i secoli, sei conforto e difesa nei pericoli.

O Maria, Regina del Santo Rosario,
guidaci nella contemplazione dei misteri del Tuo Figlio Gesù, perché anche noi,
seguendo insieme con Tè il cammino di Cristo, diventiamo capaci di vivere con piena disponibilità gli eventi della nostra salvezza.
Benedici le famiglie; dona ad esse la gioia di un amore indefettibile, aperto al dono della vita; proteggi i giovani.

Dai  serena speranza a chi vive nella vecchiaia o soccombe nel dolore.
Aiutaci ad aprirci alla luce divina e con Te leggere i segni della sua presenza,
per conformarci sempre più al Figlio Tuo Gesù e contemplare in eterno, ormai trasfigurati, il Suo volto nel Regno di pace infinita. Amen

La Madonna del Rosario è un famoso dipinto del Caravaggio

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LA CHIESA DI MARIA  SS.MA DEL ROSARIO A MISTRETTA

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La chiesa del SS.mo Rosario, edificata nel XV secolo, come si deduce dalla data riportata dentro il medaglione dell’architrave,

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o come potrebbe confermare la presenza di un’acquasantiera con i simboli francescani .
Per  essere stata sottoposta a continui e ripetuti interventi di ristrutturazione sia nella parte esterna sia nella parte interna non conserva quasi nulla dell’antica costruzione.
La chiesa, antecedentemente dedicata a Santa Maria dell’Alto , nel XV secolo fu consegnata ai Padri Domenicani che vi costruirono accanto anche un piccolo convento abbandonato nel 1587 e oggi sede di TeleMistretta.
I domenicani avevano lo scopo di combattere le eresie tant’è vero che venivano chiamati i custodi del gregge, cioè i custodi della fede per salvaguardare la religiosità nel popolo.
Nel 1492, quando il Regio Decreto decise che fossero cacciati dalla Sicilia gli ebrei, molti dal ghetto di Nicosia si rifugiarono a Mistretta. Arrivarono i domenicani proprio per contrastare la diffusione della religione ebraica. Quando gi ebrei aderirono alla religione cattolica, i domenicani andarono via abbandonando il convento. Nei documenti si legge che non c’era più la possibilità economica di mantenere questo convento. Durante la loro permanenza nel convento operarono e abbellirono questo tempio.
Dopo una breve parentesi francescana, subentrò nella gestione del complesso la confraternita del SS.mo Rosario che fece realizzare il portale in pietra arenaria locale e il campanile che affianca la sagrestia. La stessa confraternita mantenne le devozioni domenicane e commissionò pregevoli opere d’arte figurativa e decorativa, molte delle quali scomparse.
La confraternita del SS.mo Rosario, a tutt’oggi presente, si è adoperata  per effettuare i lavori di ripristino tra il XIX e il XX secolo.
Localizzata in un’ampia piazza, la chiesa mostra una semplice facciata principale dove si apre il portale in pietra arenaria locale riccamente scolpito,  del 1603, e restaurato nel 1896 assieme al campanile.

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 Alle estremità dei pilastri due facce di mostri o di animali fanno la guardia al tempio.

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Lateralmente, ogni colonna presenta un ricamo a treccia che termina con il volto alato di un angelo.

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Anche nella parte centrale dell’architrave un angelo alato sorride.
La facciata si completa con una struttura triangolare nella cui nicchia, a forma di piccolo tempio, la Madonna solleva il Bambino.

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La chiesa si allunga lateralmente dove, alla fine, svetta il campanile formato da quattro livelli e terminante con una finestra bifora per ogni faccia.

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Nel suo interno la chiesa è formata da una sola navata e le sue pareti sono arricchite da molte opere d’arte in tele e in statue, antiche e moderne.
Il Presbiterio ospita l’altare maggiore, in stile barocco, distrutto da un incendio nel 1974, insieme alle immagini lignee, e interamente ricostruito.

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Entro l’edicola in stucco il gruppo moderno raffigura la Madonna con i SS.mi  Domenico e Caterina da Siena.

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Giuseppe Lupo, nel 1963, ha restaurato i tre quadri con le scene di : “l’Assunzione di Maria”, “Gesù e la samaritana al pozzo”. “ le Nozze di Maria con Giuseppe”.

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La statua di San Giovanni Bosco, custodita entro la nicchia sulla parete di sinistra, di recente fattura, è del XX secolo.

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Nella nicchia sulla parete di destra è custodita l’antica statua di San Pietro Martire, in legno dorato e policromo, ante 1750.

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 Dopo i lavori di restauro, il nuovo altare è stato dedicato a mons. Ignazio Zambito allora vescovo di Patti il 26 giugno del 2004 quando la chiesa fu riaperta al culto.

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 La parte sottostante dell’altare è abbellita da un mosaico raffigurante l’Ultima Cena.

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Sulla volta del presbiterio gli affreschi raccontano i Misteri Gloriosi realizzati dal palermitano Vincenzo De Caro nel 1810.

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Pregevole è la balaustra in marmo rosso che segna la separazione dalla navata.
Entrando in chiesa, nella parete laterale di destra l’altare marmoreo accoglie l’antica statua lignea policroma di San Vincenzo Ferreri, del secolo XVIII.

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Accanto all’acquasantiera, in marmo bianco di Carrara, della seconda metà del XVI secolo,

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l’altare marmoreo accoglie la statua lignea dell’Addolorata, ordinata dalla Confraternita del SS.mo Rosario e realizzata dallo scultore amastratino Noè Marullo, ma più sicuramente  dal Genovese.
Sicuramente Marullo mise mano a questa statua per qualche restauro. Nel 1906, come si legge nella lapide, Anna Salmone, figlia di Gioacchino, finanziò questa chiesa per abbellirla e sicuramente diede l’incarico a Marullo di restaurare la statua dell’Addolorata.
Negli1950- 1960 Giuseppe Lupo attuò un altro restauro.

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L’Addolorata è bella perché è molto simbolica. E’ rappresentata sempre giovane. La statua è perfetta nelle linee e nel volto nel quale l’artista ha saputo trasmettere quell’espressione di dolore antico e più amaro della morte.  Il dolore si manifesta attraverso le mani giunte e il fazzoletto che asciuga le Sue lacrime e anche le lacrime di tutte le donne.
E’ simbolica anche nei vestiti perché indossa la tunica, abito prettamente della donna palestinese, quindi di una civiltà orientale, e il mantello nero sopra la tunica. Il nero è la civiltà araba e quindi rappresenta le due religioni: ebraica e musulmana.
E’ la rappresentazione del mistero cristiano.
Il pugnale, che Le trafigge il cuore, raffigura una ferita che non guarisce mai. Quando segue il Cataletto, durante la processione dei Misteri, ogni credente rivive il dramma che Lei stessa ha vissuto. L’Addolorata è coperta da un altro ampio mantello nero. Il mantello è espressione della civiltà araba. Un mantello che copre un altro mantello.
Questo mantello è un ex voto. La realizzazione di questo mantello è stata finanziata dalla signora Angela Portera e le ricamatrici che vi collaborarono hanno fatto un lavoro di gruppo manuale e artigianale.
Il piccolo altare accoglie la statua lignea della Madonna delle Grazie, col Suo Bambino abbandonato tra le braccia, di moderna fattura.

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Nella parte sottostante è esposta la piccola statua di San Pio da Pietralcina.

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La parete laterale sinistra accoglie l’altare che ospita la moderna statua lignea del Cristo Re, custodita dentro  il fercolo, opera realizzata nel XX secolo.

26 Cristo Re si festeggia il 22 novembre OK

 

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Nell’altare del Sacro Cuore di Gesù è accolta la statua lignea del Sacro Cuore di Gesù, opera di Noè Marullo, del 1906, su commissione della famiglia Salamone.

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La più importante festa della chiesa è la solennità del Sacro Cuore di Gesù, che ha una data variabile.

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L’altare marmoreo del Crocifisso, del 1900, accoglie la scultura lignea del Crocifisso, ante 1750, e le Dolenti, dipinti di moderna fattura.

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La tela di Santa Maria dell’Alto, fra i Santi  Vincenzo Ferreri e  Filippo Neri,del XVII secolo, è originale e antica.

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La cantoria mostra 11 tavole pitturate ad olio raffiguranti i misteri gaudiosi e dolorosi del santo Rosario, ante 1750.

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La cantoria è sovrastata dall’organo, opera di Michele Andronico, del 1713, e restaurato nel 1961.

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Preziosa è l’acquasantiera in marmo rosso di San Marco, con medaglione dei Francescani, in bianco di Carrara e di ignoto scultore siciliano, datata 1616.

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La conchiglia, alloggiata sopra lo stampino bianco, è simbolo di serenità, d’abbondanza, di pace.

Pregevoli sono le parti sottostanti degli altari.

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 Il busto raffigura il benefattore Pietro Di Marco.

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La lapide ricorda Sebastiano Lo Iacono sacerdote illibato e zelante nell’esercizio del suo ministero.

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Padre Damiano Amato mi ha comunicato questo suo pensiero che riporto integralmente: “Padre  Lo Jacono Sebastiano , per tutti “patri prefetto”  perché aveva l’incarico di tenere in ordine la chiesa Madre, aveva le chiavi della sagrestia, dell’archivio ecc. Era un uomo rigido e severo, ma in fondo era un sacerdote zelante e premuroso. Oltre a svolgere il suo ministero sacerdotale nella chiesa del Rosario, a differenza degli altri sacerdoti ,era sempre presente nella chiesa Madre ed aiutava in tutti i modi l’arciprete Monsignore Giuseppe Caputo. Noi chierichetti avevamo paura di lui per il suo modo di fare burbero, mai un sorriso, una buona parola. Nonostante non fosse il parroco, i battesimi li amministrava quasi tutti lui. Ha battezzato pure me. Per la chiesa del Rosario dava anima e corpo, curò moltissimo l’associazione dell’ Apostolato della Preghiera. Ha fatto una bruttissima fine perché è morto precipitando dal campanile della chiesa del Rosario che era in costruzione. Essendo meticoloso, voleva assicurarsi come andavano i lavori e voleva vedere come venivano sistemate le campane.  Quando fu sulla cima del campanile o per un malore o si impigliò con la tunica in qualche cosa il fatto sta che cadde dal campanile fracassandosi tutto. ( queste sono le cose viste da me, allora bambino, che spero siano fedeli alla verità) .

La sottostante lapide ricorda la benefattirce Anna Salamone che nel 1906 fece erigere l’altare  in omaggio al SS.mo Cuore di Gesù  dando l’incarico a Noè Marullo di scolpire la statua lignea del SS.mo Cuore di Gesù .

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La lapide, posta a terra davanti al presbirerio, ricorda la famiglia Tita.

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Nella chiesa i momenti principali sono: il 2 luglio perchè si festeggia la Madonna delle Grazie, il 7 ottobre perché si festeggia la B.V.M del Rosario.  La festa di Cristo Re non è segnata da una data fissa, ma variabile.

L’APOSTOLATO DELLA PREGHIERA

La chiesa della Madonna del Rosario accoglie l’apostolato della preghiera, un movimento che propone la spiritualità del Cuore di Gesù.

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Coloro che ne fanno parte s’impegnano ad offrire la propria giornata anche con le più piccole azioni, preghiere, sofferenze, gioie della giornata, come offerta e riparazione dei peccati.
Essendo l’apostolato la rete mondiale di preghiera del papa, gli iscritti ricevono le pagelline mensili in cui vengono riportate le intenzioni che il papa affida alla preghiera degli iscritti.

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Il Cuore di Gesù, apparendo a Santa Margherita Maria Alacoque, promise la salvezza eterna a coloro che il primo venerdì del mese, e per nove mesi successivi, si accostassero in spirito di riparazione alla Santissima Eucaristia.
Nella chiesa della Madonna del Rosario il movimento dell’apostolato della preghiera da tanti anni è sempre vivo e fiorente.
Essendo stato formato da persone anziane che, per la loro età, ne hanno rallentato la sua funzione, nell’anno 2016, durante il Giubileo della Misericordia, grazie ad un gruppo di giovani, l’apostolato ha ripreso vigore e vivacità.

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Foto di Mattia LoIacono

Qualunque persona può fare parte del movimento impegnandosi  a recitare ogni mattina la preghiera di offerta della giornata.

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Ogni anno, nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, che si celebra il venerdì successivo alla festa del Corpus Domini, durante la liturgia della Santa Messa nella chiesa della Madonna del Rosario avviene la Consacrazione dei nuovi iscritti al Cuore di Gesù.
E’ consegnato lo scapolare e una pagellina ricordo.

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Durante la stessa funzione religiosa sono consacrati gli animatori che entrano a far parte del gruppo promotore dell’apostolato della preghiera con la consegna della medaglia-distintivo e della documento dell’impegno dell’animatore.

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La benedizione della statua della Madonna di Lourdes

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CLICCA QUI

Grazie alla bravissima dott.ssa Santina Rondine per avere esaurientemente illustrato alle numerose persone presenti i tesori della chiesa durante la “passeggiata sotto le stelle” del 27 luglio 2017.

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Foto di Santina Rondine

LA CONFRATERNITA DI MARIA SS.MA DEL ROSARIO

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Lo stemma della confraternita

La Confraternita del Rosario è la parte maschile di una Congregazione avente come scopo primario lo zelo per la diffusione della pratica del Rosario e, principalmente, per difendere la purezza della fede cattolica minacciata dalle eresie.
Sorse attorno alle attività dell’Ordine dei Predicatori, tradizionalmente alfieri del Rosario, tanto che il Fondatore San Domenico di Guzman è esclusivamente raffigurato nell’atto di ricevere la corona del Rosario dalle mani della Beata Vergine Maria.
La comunità dei Domenicani, fiorente a Mistretta già nel secolo XV, lasciò il Convento di Santa Maria dell’Alto, oggi la chiesa del Rosario, nel 1587 per eccessiva povertà, come riferisce lo storico ecclesiastico siciliano Rocco Pirro.
Rimase la Congregazione nei suoi due rami, di cui quello maschile assunse ben presto carattere e struttura di Confraternita col solo fine di culto, fedele alle sue funzioni di vita ascetica e di spiritualità eucaristico-mariana.
La confraternita partecipa alla processione del Corpus Domini.

Il Tantum Ergo Sacramentum cantato da padre Giuseppe Capizzi

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 e a quella dei Misteri della Passione del Venerdì Santo portando in processione la statua dell’Addolorata.

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 La confraternita organizza la festa della Madonna del Rosario, che si glorifica il sette ottobre, la festa del Cristo Re

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e, dal secolo scorso, l’istituzione delle Sante Quarantore.
La Confraternita non ebbe la possibilità finanziaria di costruire una cappella funeraria al cimitero monumentale per la sepoltura dei Confrati che prima erano sepolti nelle cripte delle chiese.

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