Aug 7, 2018 - Senza categoria    Comments Off on LA CASA PARROCCHIALE DELLA PARROCCHIA DI SANTA LUCIA A MISTRETTA

LA CASA PARROCCHIALE DELLA PARROCCHIA DI SANTA LUCIA A MISTRETTA

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La casa parrocchiale attuale è compresa tra la Piazza Unità d’Italia, la via Libertà, la via G.Puccini.
Si accede al primo piano mediante il superamento di 5 gradini esterni nella parte centrale dell’edificio dove si  apre un ampio portone sormontato nel fastigio dallo stemma diocesano e da un unico balcone soprastante.

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Nella parte sinistra dell’ingresso mons. Michele Placido Giordano mi ha calorosamente accolta nel suo studio parrocchiale.

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Il quadro, del 1400, che raffigura Gesù, opera di un pittore fiammingo, è custodito nel collegio di Maria.

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Nell’ingresso

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Nella parte destra dell’ingresso nell’ ampio salone si svolgono le conferenze e le riunioni per le tante altre attività parrocchiali.
Una lunga scala interna porta al secondo piano che è la residenza dei sacerdoti.

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Molte finestre si aprono nelle pareti laterali dell’edificio sia di destra sia di sinistra.

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Sul tetto si nota una costruzione sopraelevata, probabilmente usata per altri servizi.
Cantonali a bugnato liscio proteggono lateralmente la struttura.

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Mons.Michele Placido Giordano mi ha raccontato che nella  casa parrocchiale è stato sicuramente ospitato mons. Roncalli, divenuto poi  papa Giovanni XXIII, che allora era sacerdote e direttore delle Opere Pontificie Missionarie.
Lo stesso mons. Roncalli ne parla nelle lettere, inviate ai familiari, che ha scritto da Tindari perché poi, da Tindari, per andare  a Nicosia  si fermò a Mistretta.
Ne ha parlato anche con padre Porrazzo una volta che s’incontrò con lui assieme al vescovo Pullano.
Si pensa che mons. Roncalli passasse da Mistretta perché inviato per indagare sull’omicidio dell’arciprete Schivolo di Castel di Lucio.
La vecchia casa parrocchiale prima era sita alla fine della via Civita.
La via Civita iniziava dalla piazza San Nicola e terminava davanti alla chiesa Madre.
Dava la possibilità di vedere la chiesa Madre nella sia interezza, mentre adesso la sua visione è oscurata dalla presenza dell’edificio del nuovo palazzo del Municipio.
Come dimostrano le fotografie-cartoline, gentilmete fornite dall’arch. prof. Mariano Bascì, l’attuale casa parrocchiale fu la casa dei Giurati di Mistretta, cioè il vecchio Municipio dove si riunivano i Giurati quando dovevano discutere argomenti importanti e dove si custodivano i documenti dell’amministrazione civica.

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Foto dall’archivio civico nel palazzo Mastrogiovanni-Tasca

La prima ristrutturazione della casa dei giurati è avvenuta nel 1798 ad opera del sacerdote  arch. Pietro Del Campo, di Capizzi, giunto a Mistretta chiamato dall’arciprete Caputo di Cesarò. Compilò anche il  progetto per la costruzione della nuova casa parrocchiale e ne diresse anche i lavori affidati a maestranze di Palermo.
Vi lavorò con intelligenza trasformandola  come ambiente non solo di accoglienza, ma anche come residenza per qualche pellegrino o viandante. I lavori per la costruzione della nuova casa parrocchiale sono stati finanziati dall’arciprete Caputo,  che la volle così ristrutturata spendendo molti denari per renderla accogliente, e che condusse per lungo tempo la parrocchia di Santa Lucia oggi eletta a Santuario della Madonna dei Miracoli.
Nei primi anni del  1900, siccome sia la casa dei Giurati sia la vicina canonica di via Civita cominciarono a mostrare segni di precarietà e di deterioramento,  è stato necessario evacuarle, ma con la promessa di una nuova ricostruzione.
L’arciprete Antonino Giaconia, con i responsabili del Comune,  nel 1919, dopo la fine della prima guerra mondiale, ha notificato il passaggio della casa giuriatoria  in casa parrocchiale proprio perché in quell’anno il Comune aveva delibato di costruire la nuova casa civile.
Anche la casa parrocchiale nel 1919 ha subito un altro intervento di ristrutturazione su progetto redatto dall’ing. Francesco Del Campo, discendente del sacerdote Pietro Del Campo.
Liberata l’area dove sorgeva la vecchia sede deli giurati fu deciso di costruire nello stesso luogo la nuova casa parrocchiale, quella attuale, riproducendo lo stesso stile e utilizzando gran parte del materiale di risulta.
La Corte decise di trasferire la casa dei Giurati in alcuni locali del palazzo del barone Allegra, del palazzo dell’attuale Museo delle Tradizioni Silvo-Pastorali, del palazzo Lo Iacono-Portera, del palazzo Mastrogiovanni-Tasca acquisito ai beni del Comune nel 1940.
Successivamente, il consiglio comunale deliberò di edificare anche il nuovo palazzo del Comune nell’area dove erano rimasti i ruderi della vecchia canonica di via Civita  ampliando l’area con l’acquisto di altre casette private, che furono demolite, e con l’accorpamento della parte finale della via Civita.
La casa parrocchiale e il nuovo palazzo del Municipio sono quasi coetanee.
Per la costruzione del palazzo del Comune bisognerà attendere la fine della II guerra mondiale.
Infatti, nel mese di maggio del 1949 fu stipulato il contratto d’appalto per la costruzione del nuovo Municipio. L’opera,  completata, fu inaugurata il 26 luglio del 1952.

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 Il Municipio e la casa parrocchiale sono uno di fronte all’altra.

 

 

Jul 29, 2018 - Senza categoria    Comments Off on L’HYDRANGEA MACROPHYLLA – I BEI FIORI DI ORTENSIA NELLA VILLA COMUNALE “G.GARIBALDI” DI MISTRETTA

L’HYDRANGEA MACROPHYLLA – I BEI FIORI DI ORTENSIA NELLA VILLA COMUNALE “G.GARIBALDI” DI MISTRETTA

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Che spettacolo meraviglioso offrono i fiori di Otrensia  che abbelliscono l’aiuola del maestro scultore Noè Marullo nella villa comunale “Giuseppe Garibaldi” di Mistretta!
E’ proprio il momento giusto per osservare l’abbondante fioritura di tutte queste piante.
Sono tante piante di Hydrangea macrophylla!

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 Le prime piante di Hydrangea macrophylla, “l’Ortensia”, giunsero in Italia soltanto nell’800. In Giappone, invece, la presenza e la popolarità dell’Ortensia erano già note durante il XVII secolo.  Nel resto dell’Europa le Ortensie avevano fatto una timida apparizione già nella seconda metà del ‘700 grazie all’attenzione del naturalista Philibert de Commerson che ne aveva trasportato qualche esemplare dall’America. E’ una pianta antichissima, tanto che si sono trovate tracce fossili.
La pianta è originaria dell’Asia e dell’America centro-meridionale. Sembra che sia stato proprio il francese Philibert de Commerson, nel 1771, a dare il nome alla pianta in onore della principessa Hortense Barrè Lepante de Nassau. Ortensia era anche uno dei tanti soprannomi di Venere. L’Hydrangea macrophylla appartiene alla famiglia delle Sassifragaceae e al genere Hydrangea.
Il termine botanico “Hydrangea”, dal greco “ύδωρ”, “acqua”, e “άνδηρον”, “aiuola”, fa subito comprendere che l’Ortensia è una pianta che ha molta sete nell’aiuola dove è ospitata. Basti pensare che un solo cespuglio di questa specie riesce a bere in un giorno circa 40 litri d’acqua.
L’Ortensia è un fiore molto decorativo e appariscente di cui ne esistono numerose varietà, quasi tutte create in Giappone. E’ una pianta dal portamento arbustivo, ramosa, rustica, di facile coltivazione.

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In pochi anni, se trova in piena terra le condizioni favorevoli di vegetazione, assume proporzioni rilevanti raggiungendo anche il metro d’altezza e regala una ricca fioritura che riempie abbondantemente le aiuole del giardino. Le foglie sono opposte, ampie, ovali, seghettate, lucide e di colore verde scuro.

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I fiori sono raccolti in grandi corimbi globosi. Quelli fertili, posti nella parte centrale, sono molto piccoli, insignificanti rispetto a quelli sterili, più grandi, con funzione di vessillo, ma acquistano particolare bellezza per i grandi sepali bianchi, rosati, rossi, blu e azzurri.

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 E’ una pianta ideale per le zone in ombra del giardino che rallegra e illumina con le tinte pastello dei suoi fiori. La pianta è resistente alle temperature molto basse, anche se quella ideale è tra i 15 e i 20°C.
La pianta vegeta bene in terreni carichi di sali minerali ricchi di ferro e di alluminio che fanno cambiare il colore della corolla dal rosa all’azzurro, mentre non sopporta la presenza nel suolo di sali di carbonato di calcio. Il terreno, inoltre, deve essere sufficientemente permeabile e fresco, mantenuto tale da frequenti annaffiature. La freschezza del terreno e la posizione non molto soleggiata consentono alla pianta un’abbondante fioritura.
I fiori sbocciano al principio dell’estate sui rami dell’anno precedente. Verso la fine di settembre, quindi, ogni pianta va potata lasciando solo poche gemme su ciascun ramo e facendo molta attenzione a conservare i gambi giovani dell’anno precedente poiché proprio da questi spunteranno i fiori più belli. La moltiplicazione dell’Ortensia avviene per seme, ma anche tramite la talea.
L’Ortensia, varietà “serrata”, coltivata nel giardino di Mistretta, è alta meno di metro, fiorisce in estate, ha   piccole corolle azzurre disposte a mazzetti. Le foglie sono caduche, ovali, lucenti in varie tonalità di verde, con margini dentati.

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Proviene dalla Cina, dal Giappone ed è frequentemente coltivata nei giardini come pianta ornamentale. Può essere coltivata anche in appartamento, ma è consigliabile metterla in ambienti esterni perchè tende a deperire.
Un tempo, nei paesi orientali, era usanza guarnire i piatti di alimenti con vari tipi di fiori per dare profumo e delicatezza alle pietanze. Questa abitudine adesso c’è anche nella cucina italiana. Non tutti i vegetali, però, sono adatti. Alcune piante, come l’Ortensia, sono tossiche se il fiore e la foglia sono ingeriti. Insieme al Geranio, all’Azalea, al Rododendro, l’Ortensia si è rivelata un ottimo catalizzatore naturale dei metalli pesanti dispersi nell’atmosfera dai gas di scarico dei motori e dalle industrie. E’ in grado di fissare sul fiore e sulla foglia i metalli quali: il piombo, il cromo, lo zinco, il nichel dispersi nell’aria. Quindi, queste piante, capaci di assorbire e di neutralizzare sostanze tossiche, potrebbero essere impiegate per risanare l’ambiente dando così un valido aiuto al fenomeno dell’inquinamento, una vera calamità del nostro tempo.
Come curiosità, nel linguaggio dei fiori l’Hydrangea simboleggia  “vanità, freddezza, capriccio”.

 

Jul 20, 2018 - Senza categoria    Comments Off on LA PIANTA DI ALBIZIA JULIBRISSEN PRESENTE NEI VIALI DI LICATA

LA PIANTA DI ALBIZIA JULIBRISSEN PRESENTE NEI VIALI DI LICATA

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Gentile Chiara Porrazzo, a te, che sei attenta alle bellezze diverse della Natura, regalo questo articolo per farti conoscere questa meravigliosa pianta che hai ammirato nella città si Sambuca di Sicilia e di cui la città di Licata è ricca.
E’ la varietà “rosea” .
Moltissimi viali, infatti, brillano del colore rosato dei fiori di questa pianta che, proprio in questo periodo, è abbondantemente fiorita.
E’ l’Albizia julibrissen!

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Il nome del genere “Albizia” è un omaggio a Filippo degli Albizzi, botanico e nobiluomo appartenente alla famiglia fiorentina degli Albizzi che introdusse l’Albizia julibrissin in Europa.
Recatosi in Medio Oriente, nel 1770 portò i semi a Firenze da Costantinopoli, dove questa pianta era molto diffusa nei giardini.
E’ proprio  da lì che deriva il nome di “Acacia di Costantinopoli“.
Altri nomi sono: Albero della seta Albero del paradiso, Gaggia arborea, Albizzia con due zeta.
Il nome della specie “julibrissin” deriva dalla parola persiana “gul-i abrisham” e significa “fiore di seta“.

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L’Albizia julibrissen è una pianta appartenente alla famiglia delle Fabacee, originaria delle regioni dell’Asia orientale e sud-occidentale comprese tra l’Iran orientale, la Cina e la Corea.
In Italia è diffusa in tutte le regioni per il suo grande valore ornamentale ed estetico.

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L’Albizia julibrissen è un piccolo albero alto da 5 a 12 metri. E’ sostenuto da un fusto eretto dal quale partono numerosi rami molto ramificati.
Il tronco è rivestito dalla corteccia che è liscia e di colore grigio chiaro con sfumature verdastre negli alberi giovani, tende a imbrunirsi e a solcarsi negli esemplari più vecchi.

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All’apice del tronco le ramificazioni si divaricano creando una chioma a forma di ombrello che sovrasta tutto l’albero.

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Le foglie decidue, lunghe dai venti ai 45 cm e larghe dai dodici ai 25 cm, che cadono durante le stagioni meno favorevoli, sono di un bel colore verde intenso. Sono bipennate, disposte in maniera alternata e composte da numerose foglioline molto piccole, prive di picciolo.

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I segmenti fogliari opposti sono caratterizzati dalla capacità di chiudersi come le pagine di un libro durante la notte, oppure in caso di pioggia o, comunque, in assenza di luminosità. Le foglie hanno questa capacità di chiudersi per la presenza di particolari strutture presenti sia alla base del picciolo fogliare sia alla base dei piccioli più piccoli che sostengono le foglioline. Queste strutture, chiamate “pulvini”, fungono da vere e proprie articolazioni e permettono alle foglie di modificare la loro posizione in funzione del turgore delle cellule.

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I fiori, molto particolari, sono ermafroditi. Sono riuniti in inflorescenze globose in un corimbo terminale posto al termine del rametto. Possiedono una densa “peluria” costituita da lunghi e numerosi stami di un intenso colore bianco-rosato.  La fioritura inizia in primavera e continua fina all’inizio dell’estate.

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I fiori sono una buona fonte di nettare per api e farfalle. Il frutto, che matura in autunno quando cadono le foglie,  è un legume o baccello abbastanza grande, lungo circa 10–20 cm che, di colore verde intenso e, con la maturazione, assume una colorazione giallo-marrone.  I frutti rimangono a lungo attaccati alla pianta. La moltiplicazione avviene quasi esclusivamente per seme in primavera. I semi sono velenosi.

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L’Albiziajulibrissin è una pianta molto ornamentale. Arreda parchi, giardini e viali ed è nota per l’aspetto setoso dei suoi fiori, per l’ombrello delle foglie orizzontali, per la crescita veloce e per la scarsa richiesta d’acqua che consente di piantarla anche in luoghi dal clima contraddistinto da estati torride e poco piovose.

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Sebbene sappia sopravvivere in condizioni di quasi assenza d’acqua, come spesso avviene a Licata, la sua crescita è rallentata e l’aspetto appare malaticcio. Mal sopportate sono le gelate e le alternanze di clima mite e freddo. Buona la resistenza all’inquinamento atmosferico.

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Le Albizia sono piante che non necessitano di cure particolari.
Amano essere coltivate all’aperto, in luoghi riparati dal vento e con una buona esposizione al sole, poste su un terreno fresco, fertile, ricco di humus. Vanno messe a dimora tra l’autunno e la fine dell’inverno. Le annaffiature devono essere abbondanti, ma senza eccedere. Durante l’inverno, quando cadono le foglie, le annaffiature devono essere drasticamente ridotte.
Quando inizia la fioritura è necessaria anche l’aggiunta di un po’ di concime, ma non azotato.
Come tutte le Fabaceae, le Albizia sono piante fissatrici dell’azoto.
Particolari colonie di batteri, del genere Rhizobium, istituiscono con la pianta una specie di simbiosi.
Nelle radici formano dei veri e propri noduli che fissano l’azoto e lo cedono alla pianta e, contemporaneamente, ricevono da essa altri elementi nutritivi.
L’abizia julibrissin è un albero che sopporta bene le potature reagendo ai tagli violenti e sviluppando una nuova e vigorosa vegetazione che, però, non produrrà fiori fino al sopraggiungere dell’anno successivo. La potatura è necessaria perchè aiuta la pianta a ringiovanirsi e a godere di buona salute. Bisogna eseguire la potatura alla fine dell’inverno o all’inizio della primavera sia per contenere la chioma, sia per eliminare eventuali rami danneggiati. Il legno dell’Albirizia, chiaro e tenero, non è particolarmente apprezzato.
Un tempo era utilizzato per costruire strumenti meccanici.
Nelle cucine dei paesi d’origine parti commestibili dell’Albizia sono i fiori e le foglie consumati come zuppa o come contorno di verdure.
Nella medicina farmacologica i fiori hanno proprietà digestive, toniche e sedative. Gli infusi sono usati per combattere l’insonnia e l’irritabilità e per ritrovare energie in caso di stress e stanchezza.
La corteccia essiccata può essere utilizzata per gli effetti analgesici, diuretici, carminativi, stimolanti, sedativi tonici.
Chiedere sempre consigli al medico e all’erborista.
Le Albizia non sono piante particolarmente soggette a malattie. Il rischio maggiore è rappresentato dall’aggressione da parte della Psilla, un insetto che sverna sulle sue foglie e si nutre succhiando la linfa. La pianta, indebolita, è soggetta  alla defogliazione. I sintomi sono simili a quelli causati dagli afidi con abbondante produzione di melata. E’ necessario intervenire subito con prodotti specifici.
La Psilla sverna sulla pianta di Albizia sia come adulto sia durante la fase vegetativa compiendo diverse generazioni tanto che sulla stessa pianta è possibile trovare tutti gli stadi: le uova, le larve, gli adulti.
Poichè la Psilla compie sulla pianta diverse generazioni ogni anno, occorre fare diversi trattamenti quando si nota la presenza delle larve. Le uova, di colore giallo aranciato, sono deposte sulle foglie nel mese di giugno. Nascono le larve che succhiano la linfa della pianta. Nelle fasi giovanili il parassita è di colore giallo o verde giallastro e raggiunge una lunghezza di circa 1,8 mm. L’adulto estivo è di colore verde- giallastro con occhi rossi mentre quello invernale è brunastro.
Lo svernamento avviene allo stadio di adulto, protetto dalla corteccia o dalla vegetazione persistente di piante sempreverdi.
La Psilla dell’Albirizia, nome scientificoAcizzia jamatonica, nel 2001 dall’Estremo Oriente è arrivata in Piemonte ed è oggi diffusa in tutta la Val Padana fino all’Emilia Romagna.

Jul 10, 2018 - Senza categoria    Comments Off on LA CASA NATALE DI NOE’ MARULLO, LO SCULTORE AMASTRATINO

LA CASA NATALE DI NOE’ MARULLO, LO SCULTORE AMASTRATINO

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E’ una normale abitazione civile non paragonabile a nessuno dei palazzi nobiliari presenti a Mistretta però, data l’importanza di chi l’ha abitata, è giusto farla conoscere.
Superate l’ampia Piazza dei Vespri e la chiesa di San Giovanni Battista, a Mistretta, continuando per la via che prende il suo nome, per ricordarlo per sempre alle generazioni future, si giunge nel cortile Vico Gullo dove, all’angolo destro si eleva la casa natale dell’artista Noè Marullo.
E’ una semplice palazzina a più livelli che ha ospitato una dignitosa famiglia piccolo-borghese: la famiglia Marullo.
Infatti, il padre Saverio era falegname e la madre, la signora Giovanna Lipari, casalinga.
Fino all’ultimo decennio del XX secolo la stessa casa fu abitata dalla mia famiglia paterna, la famiglia Seminara, di cui gli ultimi dimoranti furono: mia nonna, la signora Isabella Sebastiana, le mie zie Giuseppina e Maria, mio zio Vincenzino, sorelle e fratello di Giovanni, mio padre.
Tramite una scala esterna si accede alla casa, oggi ristrutturata completamente dai nuovi proprietari,  i coniugi Insinga Antonino – La Ganga Francesca, che hanno acquistato l’immobile alla fine degli anni ’90 del secolo scorso. La scala, in granito grigio, porta a un piccolo balcone circondato dall’inferriata di ferro battuto.

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Sottostante a questo terrazzino un altro ingresso secondario, dove prima c’era un arco, conduce al piano terrano dove Noè realizzava i suoi capolavori artistici.
Nell’ammezzato il tetto era basso e dalla sua finestra, tramite una scala di legno rimovibile, per superare il dislivello tra la strada e il piano basso della casa, mia zia Maria ed io scendevamo nel grande slargo di vi Ripetta, nella parte posteriore dell’abitazione, per raggiungere la chiesa di Maria SS.ma del Rosario o per andare a trovare la zia Rosa, che abitava con la sua famiglia alla fine della piazzetta.

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Una lapide, posta nella facciata principale della casa, collocata per volontà dell’Amministrazione comunale di Mistretta, ricorda che lì il 13/11/1857 nacque NOE’ MARULLO.

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Dell’artista amastratino hanno ampiamente scritto nelle loro pubblicazioni il prof. Francesco Cuva, il giornalista Massimiliano Cannata, la dott.ssa Silvana Bernardini e il prof. Lucio Bartolotta.

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Noè Marullo, nacque a Mistretta il 13/11/1857 dal padre Saverio, falegname, e dalla madre, la signora Giovanna Lipari, casalinga.
Noè Marullo fu un uomo generoso e dal carattere sensibile, calmo e, nello stesso tempo, irascibile, allegro e malinconico, cordiale e scontroso e, artisticamente, isolato nel suo mondo.

Fu anche un maestro sensibile e raffinato, capace di pure, autentiche e geniali creazioni d’arte.

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Artisticamente si formò nel clima culturale neoclassico del secondo ottocento.
Approvò totalmente le teorie classiche di bellezza, di gusto, di armonia, di perfezione tanto da dichiarare che l’arte antica, soprattutto quella greca di Fidia, di Mirone, di Prassitele, “ è sublime, insuperabile”.
Rivolse la sua attenzione anche agli artisti che prepararono il Rinascimento italiano: al Mantegna, al Perugino, al Botticelli, a Michelangelo, a Leonardo, al Canova.
Noè Marullo giovane, prima nella bottega del padre, poi a Palermo, nello studio dello scultore Valenti, infine a Roma, presso l’Accademia delle Belle Arti, s’impegnò in molte attività di studio del disegno e della scultura che lo indussero a lavorare e a rifare lo stesso lavoro anche per più volte fino a raggiungere quel livello artistico imposto dai canoni classici.
Questa produzione giovanile, manierata e impersonale, si lascia, comunque, ammirare perché è frutto di ricerca di uno stile personale e perché fa trasparire l’esigenza dell’artista di educare al gusto del bello.
Con le sue opere Noè Marullo abbellì diversi palazzi della borghesia palermitana, romana e amastratina.
Appartengono alla sua creazione artistica le allegorie della pittura, della scultura, della poesia, della musica, poste nelle lunette della facciata principale del palazzo Di Salvo-Faillaci.

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Anche i balconi del palazzo del cav.Vincenzo Tita sono decorati con volti di putti allegri e sorridenti scolpiti in pietra dall’artista Noè Marullo.

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Il prof. Francesco. Cuva scrive: ” […] è chiaro che questa prima produzione è fredda e manierata, tuttavia essa si lascia ammirare per il forte senso allegorico dei contenuti e per le forme compatte e armoniose. In particolare i putti di Palazzo Tita sono l’uno diverso dall’altro e nella loro espressione, molto vicina alla maschera greca, lasciano trasparire dolore e angoscia, ironia e sarcasmo, rabbia e rivolta […]”.
Anche le lunette semicircolari, che sormontano i balconi del palazzo di don Vincenzo Salamone, ospitano i busti di personaggi dell’età greco-romana, probabilmente filosofi greci, anche essi opera all’artista amastratino Noè Marullo.

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Noè Marullo, per l’intero corso della sua esistenza, fu costretto a lottare con le durezze della vita che lo oppressero e, talvolta, soffocarono la sua capacità di esprimersi, di dare concretezza agli stimoli creativi che in lui si sviluppavano. Chiuso nei ristretti confini di un ambiente provinciale culturalmente limitato, non ha potuto rifulgere della luce che gli era propria.
Il consiglio comunale di Mistretta l’ha aiutato economicamente per il conseguimento del diploma di scultore e per la frequenza in Accademia di un corso biennale di perfezionamento.
Studiò alla “Scuola tecnica serale per gli operai” a Palermo e, successivamente, all’istituto di belle arti “San Luca” a Roma.
Con la somma di 1000 lire, assegnatagli dalla giunta comunale mistrettese, Noè Marullo acquistò il marmo col quale scolpì il monumento di Garibaldi e di Vittorio Emanuele e realizzò figure di Madonne e di donne. Con lo sguardo penetrante e con gli occhi rivolgenti lo sguardo lontano, sotto la fronte corrugata, raffigurò il fascino del generale Garibaldi, condottiero e patriota italiano, denominato l’eroe dei due mondi per le imprese militari compiute in Europa e in America meridionale e che aveva suscitato nelle folle la fiducia nei moti insurrezionali.
Marullo lo conobbe a Roma, tramite il professor Masini, quando Giuseppe Garibaldi era già vecchio, stanco e deluso. “Lo sguardo penetrante, gli occhi vispi, intelligenti, sognanti “.

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Il busto di Garibaldi, collocato nella villa comunale di Mistretta a lui intitolata, fu donato dall’artista al comune di Mistretta come ringraziamento per l’aiuto economico ricevuto per il suo mantenimento agli studi artistici.
Dopo i vani tentativi di inserirsi a Roma nel mondo dell’arte e del lavoro, nella primavera del 1885 Marullo ritornò definitivamente nella sua città natale, dove impiantò la sua bottega a Mistretta nel vicolo Gullo N° 6, nel piano basso della casa dove era nato, e là iniziò a ideare i suoi fantasmi artistici dandovi anima e corpo.
La sua produzione artistica si espresse con le figure della Madonna, nelle cui fattezze l’autore impresse e comunicò ideali di bellezza, di pudicizia, di umanità. Musa ispiratrice fu la moglie Stella Cuva. Con i suoi attrezzi di lavoro realizzò le statue della “ Madonna del Carmelo”

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e dell’“Assunta”,

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che si trovano nella chiesa di San Giovanni, a Mistretta, “l’Annunciazione”, il cui bozzetto si trova nella cappella dell’abitazione privata del signor Benedetto Di Salvo, nel palazzo Pasquale Salamone,

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“l’Immacolata”, nella chiesa di San Nicolò di Bari a Mistretta.

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Sono solo alcune delle sue opere che si trovano a Mistretta.
Altre opere si trovano in molti altri paesi della Sicilia.
L’Annunciazione nella chiesa del Convento a  Castel di Lucio.

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Santa Lucia a Castel di Lucio.

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San Giuseppe nella chiesa Madre di Reitano.

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L’Addolorata nella chiesa di San Francesco a Caronia.

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E’ interessante sapere che l’inizio della grande attività di scultore in Marullo coincide con gli anni di dolore personale per la morte dei familiari, in particolare degli amati figli Andrea, morto il 30 agosto del 1901, e Giustina, morta il 6 marzo del 1914, venuta a mancare a 14 anni di età, e per l’incomprensione con i rapporti sociali che gli hanno ostacolato la vita.
Gli anni della fine del secolo diciannovesimo sono, perciò, difficili per Noè Marullo.
Deluso, come uomo e come intellettuale.
fu oppresso da una situazione economica difficile, “perché scarsi sono i lucri della sua opera ”, e, inoltre, si sentiva umiliato e offeso per quello che politicamente succedeva in Italia: le manifestazioni degli operai a Milano, le organizzazioni dei Fasci dei Lavoratori Siciliani represse dalla polizia.
A dimostrazione del suo stato d’insofferenza scolpì “l’Angelo dormiente nella bara o il Risveglio dell’Angelo” posto sul frontone della chiesa della Santissima Trinità. Committente di questa opera fu la nobildonna Teresa Salamone, mamma del cav.  Enzo Tita, chiamata  affettuosamente dai nipoti  Giuseppe e Paolo Giaconia  ‘Zia Teresina’ che, dal balcone della propria abitazione, poteva ricordare il bambino morto in tenera età.
Marullo, cristiano e cattolico, arrivò al punto d’immaginare un angelo morto quando un angelo, puro spirito, è immortale. La scultura in marmo raffigura la figlia Giustina, l’angelo prematuramente scomparso. Si  evidenziano le due realtà dell’esistenza terrena: la bara, cioè la morte, l’angelo, cioè la vita. L’angelo, risvegliatosi dal sonno, si appresta ad uscire dalla bara per spiccare il volo verso il cielo.

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Dopo la realizzazione di questa scultura Marullo tacque artisticamente per un certo periodo. Tuttavia, nel silenzio dei suoi pensieri gli balenò un’idea che si tradusse in autentica espressione d’arte. Incontrò il Dio che, per amore degli esseri umani, si fa Uomo Egli stesso.
In pochi anni, e in una spasmodica ricerca di un suo personale stile, creò i capolavori: la statua lignea del Sacro Cuore di Gesù, su commissione della famiglia Salamone, che si trova nella chiesa di Maria SS.ma del Rosario. Il cuore di Gesù, realizzato nel 1906, indica l’amore e la misericordia di Dio per l’essere umano attraverso la dolcezza del volto  mentre  la mano caritatevole offre il cuore all’umanità.

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Il Cuore di Gesù è la statuina che amorevolmente custodisce la Signora Liria Di Marco, vedova del signor Gaetano Iudicello, il pronipote di Noè Marullo.

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“il Beato Felice da Nicosia”, nella chiesa di San Francesco, dove Noè Marullo ha saputo imprimere al fraticello una sublime, palpitante, viva espressione mistica. Infatti, raffigurò il Beato Felice da Nicosia nell’atteggiamento francescano del servo di Dio, umile e semplice, che questua in mezzo alla gente per chiedere pane e per donare pace e serenità.

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“Sant’Antonio di Padova”, pure nella chiesa di San Francesco d’Assisi,

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“San Sebastiano”, nella chiesa di San Sebastiano.
Egli raffigurò San Sebastiano nell’atto del trapasso: il volto giovanile mostra un’espressione di sovrumana sofferenza.
Nel corpo snello e slanciato, anatomicamente perfetto, i muscoli tesi stanno a indicare l’attimo dell’ultimo sospiro.

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La statua lignea di San Sebastiano, opera di Noè Marullo, che  ha raggiunto la veneranda età di 110 anni, è  stata sottoposta a un nuovo restauro. A compiere il lavoro sono state le signore Sebastiana Manitta e Francesca Antoci  che hanno ricevuto l’incarico dall’Associazione Amastra Fidelis che cura anche, oltre  alla festa di San Sebastiano, anche la festa  della Madonna della Luce e dei Giganti. Il lavoro eseguito è stato eccellente. Moltissime ovazioni  hanno ricevuto le restauratrici durante la presentazione della statua al pubblico dei fedeli il 29 luglio 2018 a Mistretta nella chiesa di San Sebastiano .

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San Sebastiano ritorna nel suo fercolo dopo il restauro

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Foto di Giusppe Ciccia

Queste sono le opere che si trovano a Mistretta. “Il Crocefisso” e “San Francesco” si trovano a Centuripe.
L’artista, durante le fasi di lavoro dei suoi capolavori, “visse i drammi dei personaggi scolpiti” e ne rivelò i momenti più significativi curando i particolari delle fattezze con mano delicata. L’arte diventò per lui il rifugio dello spirito, la rivincita ideale sulle delusioni della realtà. Quando le sventure della vita colpirono l’integrità sua e della sua famiglia, Marullo riversò il suo dolore in un’arte più corrispondente ai bisogni di uomo raffigurando il lavoro e la famiglia.
Creò il gruppo statuario della “Sacra Famiglia”, esposto nella chiesa di San Giuseppe, adiacente  al Collegio delle Suore di Maria, a Mistretta

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 e nella Chiesa Madre di Reitano.
Noè Marullo, in San Giuseppe, rappresentò l’uomo del lavoro mentre affidò alle sembianze di Maria una dolcezza d’espressività femminile casta e pura e riprodusse nel volto allegro e gioioso del bambino il viso di sua figlia Giustina.
Ritornò al tema del lavoro ancora con il “San Giuseppe”, scolpito sul portale della cripta della Società Operaia al cimitero monumentale di Mistrett, di cui fu socio onorario.

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  Dopo queste opere, la sua capacità creativa a poco a poco si esaurì.
Col passare degli anni si chiuse in un aristocratico isolamento. Ha affidato i suoi pensieri a un diario che ancora oggi non è stato ritrovato.
Forse in quelle pagine Noè Marullo comunicò quello che per tutta la vita cercò di conciliare: vita e arte.
Noè Marullo, nato Mistretta il 13/11/1857, da Saverio e da Giovanna Lipari, che lo educato ai principi cristiani, morì il 05/05/1925 confortato dai doni della fede, dall’affetto dei suoi cari e accompagnato in paradiso dal sorriso delle sue madonne e dei suoi Santi.
Le sue spoglie mortali riposano nel cimitero monumentale di Mistretta accolte nella cappella della Società Operaia di M.S.

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Il busto di Noè Marullo  è stato eretto nell’agorà della villa “Giuseppe Garibaldi” il 12/11/2000 per volontà di signori:  Mario Biffarella, Giovanni Mentesana, Francesco Liuzzo, Franco Scarito che ha eseguito  e sostenuto la pratica presso l’ufficio competente del Comune di Mistretta riuscendo ad ottenere il finanziamento di buona parte dell’opera. Anche la Società Operaia di Mutuo Soccorso e il Banco di Sicilia di Mistretta hanno aderito all’iniziativa nel volere ricordare l’illustre artista amastratino. Il busto, con la tecnica cera persa, creato dal signor Mario Biffarella, è stato fuso  in una fonderia di Misterbianco.

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Il giovane Sebastiano Maria Antoci ha dedicato a Noè Marullo la sua poesia:

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Jul 1, 2018 - Senza categoria    Comments Off on IL PALAZZO DI DON LUIGINO SALAMONE A MISTRETTA

IL PALAZZO DI DON LUIGINO SALAMONE A MISTRETTA

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Alla fine dell’800,  ai primi anni del ‘900 i Salamone a Mistretta erano quattro: don Pasqualino e don Vincenzino ( tra loro cugini e cugini anche di don Bettino e di don Luigino), don Bettino e don Luigino (tra loro  fratelli), e tante sorelle di cui alcune si accasarono presso le famiglie Tita, Lipari, Giaconia mentre altre rimasero nubili.
Il quinto cugino molto legato era don Luigino Lipari.
Di don Pasqualino, di don Vincenzino, di don Bettino e dei loro palazzi ne ho già parlato nei miei precedenti articoli.
Adesso è il turno di parlare di don Luigino e del suo palazzo.
Per la stesura di questo articolo devo ringraziare: l’ing. Luigi Salomone, il barone Paolo Giaconia, il prof. Mariano Bascì, il geometra Lucio Pani.
Le foto delle cartoline d’epoca sono state tratte dal libro “SALUTI DA MISTRETTA”.

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Il palazzo di don Luigino Salamone era quasi una corte nel cuore di Mistretta chiusa dal muro di cinta per proteggere il cortile interno.
Sorgeva nella piazza Buon Consiglio, di fronte all’abbeveratoio del Palo, dove c’era il portone d’ingresso, affacciandosi anche sulla via Nazionale.

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L’Amministrazione Comunale di allora aveva provveduto ad abbellire l’area davanti al palazzo con la creazione di un giardinetto alberato che, purtroppo, è stato soppresso intorno alla seconda metà degli anni ’50 del secolo scorso per collocare un’area di servizio per la distribuzione di carburanti.

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I locali del piano terra del palazzo erano adibiti a “Funnicu”, cioè adoperati per il ricovero dei cavalli e dei forestieri che si trovavano a transitare da Mistretta e che vi passavano la notte. Una grande terrazza e una villa interna erano le caratteristiche principali del palazzo costruito in pietra arenaria locale.

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Il primo piano  era il piano nobile, abitato dai signori. Al secondo piano, abitato dalla servitù, c’erano le cucine e i locali di servizio.
Il tetto spiovente  mostrava una bella veduta d’insieme.
La grande terrazza richiama alla mia memoria un episodio accaduto tanti anni fa.
Avevo circa 8-10 anni d’età.
Spesso mi capitava di accompagnare la mia vicina di casa, la giovanetta Ciana Catania, che andava a trovare il fratello Ciccio e la cognata, la prof.ssa Rosetta Marchese, che abitavano in questo palazzo.
Per me, inoltre, era piacevole giocare ai tamburelli col loro figlio Mario.

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Da dx: Ciana Catania, donna Basilia, Nella Seminara,  donna Lucietta, la zà Tana, la mamma di Ciana

Foto di Gaetano Catania

Casualmente, una volta, durante il lancio del gioco, la pallina è sfuggita alla nostra presa e, rimbalzando in via Nazionale, fu ingoiata da un mulo che transitava nella strada.

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Al grido di Mario e mio “la pallina, la pallina”, emesso per attirare l’attenzione dell’uomo a cavallo, s’infastidì.
Fortunatamente dalla bocca del mulo fuoriuscì la pallina con grande sollievo di noi ragazzi per lo scampo dell’animale.
Luigi Salomone mi ha raccontato che sua nonna, la signora Irene Palizzolo Salamone, vendette il palazzo verso la metà degli anni ’50 del secolo scorso per gravi problemi di staticità. Un’ala del palazzo era già crollata. Il resto è stato demolito in seguito. Sono rimaste tracce del vecchio palazzo all’interno del baglio da dove si accede alla Società di M.S.  Fra i Militari in Congedo  dalla via Primavera.
Il  palazzo è stato acquistato dai fratelli Lo Iacono compreso il signor Giuseppe, il papà di Sebastiano (Tatà ) Lo Iacono che, a loro volta, lo hanno ceduto a una ditta costruttrice che ha realizzato il nuovo palazzo.

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Foto di Sebastiano (Tatà) Lo Iacono dal sito: www.Mistretta.eu Il palazzo Primavera

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E’ sorto il nuovo “Palazzo Primavera”.
Il prestigioso moderno palazzo ospita, oltre a tanti appartamenti abitati dalle famiglie, anche la sede del Banco di  Sicilia, il famoso bar Filetto e il ristorante “Il Giardino d’Inverno”.

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Foto di Lucio Pani

Luigi Salamone, laureato in giurisprudenza, sposò la baronessa Irene Palizzolo di Ramione che trascorreva con il marito i mesi estivi a Mistretta dettando alle signore del posto stili di modernità e gioia di vivere.
Dalla loro unione nacquero tre figli: Liboria, detta Liria, Luisella e Placido.
Liria sposò Filippo John Tagliavia, il nipote del Conte Salvatore Tagliavia, e diede alla luce  Muriel, Irene, May, Salvatore, Paolo, Luigi, console d’Inghilterra, e Marina.
Luisella sposò il noto architetto palermitano Peppino Contino e diede alla luce Isotta, che vive a Roma.
Placido, chiamato Placidino, capo degli Ispettorati Forestali di Palermo, Trapani e Siracusa, sposò la signora Mary Bruno di Palermo e nacquero Luigi, Francesco, Marco e Irene, che ogni anno si riuniscono nella loro villa di Castel di Tusa.

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Don Luigino con la moglie, la baronessa Irene Palizzolo di Ramione

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Foto di Luigi Salomone

Don Luigino nacque a Mistretta il 18/04/1885.  Si spense a Palermo il 02/02/1965 alla veneranda età di 80 anni conservando una buona lucidità mentale.
Le sue spoglie mortali riposano nel cimitero monumentale di Mistretta,  nella cappella di famiglia con Placido, il padre dell’ing. Luigi Salomone (che ha modificato il  suo nome) e i cugini Mario, padre di Sergio, l’avvocato, Placido, padre di Benedetto, con Anna Andreanò, e Peppuzzo (Giuseppe) e Angelica, genitori di Bettino, Orietta e Anna.

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Nel prospetto della cappella sono incisi lo stemma e la corona regale.
L’ing. Luigi Salomone asserisce che questa “cappella è collocata a sinistra di quella degli eredi di don Bettino Salamone e a destra di quella degli eredi di don Luigino Salamone, fratelli e figli di Placido Salamone.
Mio nonno, don Luigino, con mio padre e la mia sorella Maria Grazia, vissuta appena un mese nel 1960, sono sepolti entrando a destra .
Mia nonna, la baronessa Irene Palizzolo, moglie di don Luigino, volle essere sepolta nel cimitero di Santa Maria di Gesù a Palermo assieme a sua madre”.

 

 

Jun 19, 2018 - Senza categoria    Comments Off on GIORNATA DELL’ARTE ORGANIZZATA DALL’IIS “ALESSANDRO MANZONI” DI MISTRETTA

GIORNATA DELL’ARTE ORGANIZZATA DALL’IIS “ALESSANDRO MANZONI” DI MISTRETTA

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L’IIS “Alessandro Manzoni” di Mistretta da circa 15 anni è tra i pochi Istituti Superiori della provincia di Messina ad organizzare la “Giornata dell’Arte e della Creatività”.

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La prof.ssa Graziella Ribaudo

In un’assolata Giornata, il 1 Giugno del 2018 gli alunni delle quinte classi hanno animato quella che, ormai, è diventata una gioiosa festa di fine anno scolastico organizzata all’interno della  Villa comunale “Giuseppe Garibaldi”.

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Si sono alternate, nel corso della mattinata, estemporanee di pittura a tema.
Colorati ragazzi e ragazze hanno dato libero sfogo alla loro creatività scegliendo diverse forme espressive.

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La studentessa Elisabetta Manno

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La Musica, sin dalle prime ore del mattino, ha invaso il paese svegliato dalle voci di tantissimi ragazzi che hanno riempito le vie del paese.

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Alle ore 11.00  la prof.ssa Marisa Antoci, collaboratrice Vicaria della prof.ssa Antonietta Amoroso, dirigente scolastica, ha premiato gli alunni che, nel corso dell’anno scolastico, hanno partecipato ai vari progetti extracurriculari.

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Le professoresse da sx: Turco Liveri Vicncenza, Ribaudo Gaziella, Giusto Gabriella, Antoci Maria Rosaria ( Vicaria), Modica Mariella.

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Il prof. Giuseppe (Pippo) Dolcemaschio con gli alunni

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Lo stesso giorno, alle ore 12:00, la notizia della prematura ed improvvisa scomparsa del giovane Claudio Bellardita, figlio del vicino paese di Reitano, ha gelato l’atmosfera della manifestazione. Gli sono stati dedicati: un minuto di silenzio e un lungo applauso.
La musica è ripresa poco dopo, ma meno forte.
Nel pomeriggio, oltre ai giochi di squadra, un attesissimo color party ha concluso la prima parte della giornata.
Ripetute e continue sono state le raccomandazioni della prof.ssa Marisa Antoci al rispetto dell’ambiente naturale dove si è svolta la festa, cioè della villa comunale!

 

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Il tempo materiale di rinfrescarsi con una doccia e la festa è ripresa fino alle ore 23:00.
L’amministrazione comunale di Mistretta, i gruppi consiliari di Maggioranza e di Minoranza e le attività commerciali amastratine hanno contribuito, con una piccola ma significativa cifra, alle spese per la realizzazione e per la buona riuscita della “Giornata dell’Arte 2018”.

 

Jun 18, 2018 - Senza categoria    Comments Off on LA CORDYLINE AUSTRALIS DELLA VILLA COMUNALE DI MISTRETTA

LA CORDYLINE AUSTRALIS DELLA VILLA COMUNALE DI MISTRETTA

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La villa comunale “Giuseppe Garibaldi” di Mistretta accoglie nel suo interno molti generi e specie di piante, ma la bellezza e l’eleganza della Cordyline australis sono caratteristiche non comuni.

 

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La pianta di Cordyline australis è un arbusto appartenente alla famiglia delle Liliaceae e proveniente dall’Australia.

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Il nome Cordyline origina dal greco “χορδή”, “budello, clava, bastone”, per la particolare forma assunta dalle radici.
A questo genere di piante appartengono circa 40 specie diverse provenienti dall’Asia tropicale e dalla Nuova Zelanda, ma la più comune è proprio la varietà australis.
La pianta è un ottimo esemplare di bell’effetto architettonico che, nel giardino di Mistretta, riesce a creare un vistoso punto di ammirazione.
La sua spiccata personalità rende, però, critico l’abbinamento con altre piante che, in genere, alla sua presenza, fanno scarsa figura.

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La Cordyline australis è una pianta perenne, sempreverde, di facile coltivazione e che necessita di poche cure.
Ha radici bianche, ingrossate, fusto eretto, stretto, ramificato in alto, allungato che, nel suo habitat naturale, può raggiungere l’altezza di otto, dieci metri.  In un anno cresce fino a quindici centimetri.

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In cima porta un ciuffo di foglie disposte a rosetta e ricadenti verso il basso.
Le foglie, nastriformi, sottili, lanceolate e ricurve, appuntite, di colore verde intenso e con striature rosse sul margine, in condizioni ottimali raggiungono anche la lunghezza di un metro.
Col tempo, le foglie basali man mano disseccano, si staccano dalla pianta, o sono eliminate, facendole assumere il tipico aspetto a palmetta.

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In estate fioriscono solo le piante adulte emettendo infiorescenze sotto forma di pannocchie piumose con fiori profumati, di colore giallo pallido, a forma di stella.

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Dopo la fioritura la pianta genera il frutto, la bacca, quindi si riproduce per seme, ma, più facilmente, mediante la talea apicale, oppure utilizzando i polloni che si formano alla base del fusto.
Il fusto di esemplari vecchi, eccessivamente lungo, può essere tagliato in porzioni di 7-8 centimetri ciascuna che saranno piantate verticalmente in un miscuglio di torba e di sabbia in parti uguali e che saranno messe a dimora la primavera successiva.

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La pianta preferisce un terreno permeabile e poroso, un’esposizione luminosa e soleggiata, evitando il sole diretto, per mantenere il colore delle foglie che, altrimenti, sbiadiscono, sia la mezza ombra.
Pur provenendo da zone calde, tuttavia la pianta si è adattata a vivere in ambienti dove la temperatura raggiunge valori bassi, ma l’ideale è: la minima di 14 °C e la massima di 26 °C.
In presenza di temperature così alte bisogna mantenere un’umidità elevata.
Le annaffiature devono essere elargite una volta alla settimana, quando il substrato è asciutto, evitando i ristagni d’acqua. La pianta teme l’aggressione degli Acari e della Cocciniglia.
Può essere soggetta a macchie fogliari causate da funghi e a marciume del colletto e delle radici per abbondanza d’acqua.

 

 

Jun 8, 2018 - Senza categoria    Comments Off on LE MIE MONTAGNE, I MIEI BOSCHI A MISTRETTA

LE MIE MONTAGNE, I MIEI BOSCHI A MISTRETTA

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Desidero parlare dei boschi che popolano le montagne di Mistretta.
La stagione estiva, la calura afosa, la distrazione, la noncuranza, la piromania sono stati tanti motivi che, purtroppo, ci hanno fatto vivere ogni anno momenti di apprensione, di paura, di amarezza per l’inizio e la diffusione degli incendi in tutto il territorio nazionale e non solo a Mistretta.
Il fuoco trova l’ambiente favorevole soprattutto nelle erbe del sottobosco ormai quasi appassite che facilmente lo alimentano.
Il vento caldo di scirocco spinge le fiamme favorendo la propagazione del fuoco.
Le fiamme, che raggiungono notevoli altezze, in poco tempo sanno divorare i fusti e le chiome anche di grandi alberi.
Gli incendi sono un grave attentato alla Natura che, invece, ricambia l’Uomo donandogli l’ossigeno, togliendo l’anidride carbonica, regalando verdure, gradevole frutta, legna, ombra, ricovero per alcuni animali e tanto altro ancora.

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Come prevenire il manifestarsi degli incendi?
Con la sensibilizzazione al rispetto e alla protezione di nostra Madre Natura.
Dobbiamo essere vigili tutti!
Una colonna di fumo, che si osserva anche in lontananza, potrebbe essere già l’inizio di un incendio incontrollato.
Non esitiamo ad avvisare i vigili del fuoco componendo il numero 115 e le guardie del Corpo Forestale.

Questa composizione è stata scritta dal prof. Lucio Vranca in seguito a un pauroso incendio che ha devastato il territorio di Finale di Pollina nel 2010. I suoi studenti sono stati molto sensibili al rispetto della Natura .

NON PROVARCI MAI PIÙ

Soffia innocente il vento
che rinfresca
una calda giornata d’estate.
Il verde lussureggiante
caratterizza il promontorio,
lo rende bello.
Colori di paradiso, fiori ridenti
che dipingono un quadro ideato dalla Natura.
Si respira aria salubre;
odor di salsedine nell’aria;
meraviglie intrise di splendore, di serenità….e poi?
La malvagità, la cattiveria
armano di fuoco le mani
di chi ha perso la ragione.
Le fiamme violente
bruciano ogni cosa,
sembra vedere ardere
anche la speranza.
Di quel meraviglioso promontorio
rimangono solo scheletri neri
e tizzoni fumanti che han perso la vita.
Tristezza profonda,
desolazione immane…
Un sacrilegio perpetrato
da cuori ignobili,
da mani luride.
La Natura ha sofferto,
ha sofferto la sua bellezza
per gli sfregi,
per il suo dissesto.
Forse hai sofferto anche tu
vedendo solo un tappeto nero.
NON CI PROVARE PIÙ!
Che meraviglia!
Tutto riprende a vivere
in mezzo alle ferite.
La Natura tornerà a risplendere, a farci gioire.
Quel tizzone diventerà speranza;
la speranza si trasformerà in fiducia;
la fiducia in bontà
e rispetto per il verde che è vita,
la nostra vita: anche la tua
NON PROVARCI MAI PIÙ.
Finale 29 giugno 2010 Lucio Vranca

Mistretta si trova sui monti Nebrodi, la catena montuosa che occupa la parte settentrionale dell’Appennino siculo.
A nord della Sicilia il versante settentrionale dei Nebrodi si affaccia sul mar Tirreno e la loro visuale offre un meraviglioso spettacolo naturale dove la Natura regna incontaminata e il silenzio è reale.

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I monti Nebrodi dai Greci furono definiti “terra dei cerbiatti”, dagli Arabi furono chiamati “Valdemone”, “vallis nemorum”, “terra dei boschi”.

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Giosuè Carducci, nelle “Primavere elleniche”, con rime classicheggianti cantò la bellezza dei monti Nebrodi:

…La valle ov’è che i bei Nebrodi monti

 solitaria coronano di pini,

ove Dafni pastor dicea tra i fonti/

 carmi divini…

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I profili delle montagne mistrettesi sono in parte regolari e alcune forme aspre e fessurate. “U pizzu spaccatu” è una montagna sopra la Neviera che presenta al centro una spaccatura.
Anticamente era un importante varco dei delinquenti durante il brigantaggio.

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Altre montagne, che si trovano al limite con Castel di Lucio, sono: Pizzo Martinello, che nella parte sottostante ospita una vasta cerrita, un bosco di Cerri, la Serra Marocco, la Portella Palumba, dove sono state impiantate le due pale eoliche, in contrada Francavilla.

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Su queste montagne vegetano bene: il Quercus cerris, il Pinus nigra, il Pinus canariensis.
Nel versante al limite fra Caronia e Mistretta si trovano le montagne: monte Castelli, alto 1520 metri, il più alto monte dell’agro mistrettese, monte Falsone, portella Cirino, montagna Mascellino, portella Calcare, zio Pardo, pizzo Salamone, Madonna delle Nevi, montagna conosciuta col nome di monte Trefinaidi.

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Su queste montagne predominano le specie vegetali: l’Acero montano, l’Acero campestre, l’Acero riccio, il Faggio.
Nei pressi dell’Urio Quattrocchi, nella località Bascì, una notevole presenza vegetale è l’Agrifoglio, specie protetta perché in estinzione, fenomeno già avvenuto sulle Alpi, ma che è quasi infestante in questa zona.
Le alte cime delle montagne, i lunghi fianchi arrotondati, che si aprono in ampie vallate, coperti da questi boschi, sono spettacolari durante la stagione quando sono coperti dalla candida neve.

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La vegetazione è molto ricca e l’abbondanza d’acqua favorisce lo sviluppo della flora e della fauna che presenta moltissime specie di animali fra gli invertebrati e i vertebrati.
I boschi di Mistretta, importanti tesori che si conservano nel territorio mistrettese per la gioia di coloro che sanno apprezzare i patrimoni offerti dalla Natura e si preoccupano di salvaguardarla dai pericoli delle distruzioni indiscriminate, sono famosi fin dai tempi antichi.

 

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In direzione di Nicosia, al confine con la statale 117, si trova il boschetto Mirio-Virdicanna dove vado a raccogliere le castagne, ancora dentro i ricci, nei mesi di ottobre e di novembre.
Sotto il laghetto Urio Quattrocchi c’è il bosco Monte Piano mentre dopo il laghetto si estendono i boschi Gaita, Mascellino,  Medda, la faggeta di Monte Falsone e la cerrita di monte Castelli.
In direzione di Castel di Lucio si estendono: la pineta della Neviera e i boschi di Cerrita, di Spadaro, di Santa Lucia.
Di fronte al “”Letto Santo” di Santo Stefano di Cammastra, in corrispondenza del castello, si estendono i boschi di Zio Pardo, di Scorciavacca, e di Radicata.
Sono da ammirare gli alberi giganteschi, dai fusti smisurati che intrecciano a notevole altezza le loro enormi chiome.

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Alcuni tronchi sono diritti, la cui punta sembra toccare le nubi, altri sono inclinati, contorti ed altri ancora incrociati e in atteggiamenti di lotta.

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Quelli rovesciati a terra, come torri cadute, coperti da una vegetazione fitta e confusa di licheni e di piante rampicanti, rappresentano abbandono e morte.

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 Il culto degli alberi era comune a tutti i popoli antichi.
Frazer scrive: “per il selvaggio il mondo è tutto animato e gli alberi e le piante non fanno eccezione alla regola. Egli crede che abbiano anime come la sua e li tratta di conseguenza”.
Per le società primitive niente, meglio dell’albero, poteva esprimere il ripetersi del tempo, il rinnovarsi della Natura.
Per esse, l’albero, con le sue continue morti e resurrezioni, era il simbolo del cosmo che si rigenera e dell’immortalità.
Il culto degli alberi era praticato anche nella Grecia e nell’Italia antica.
La mitologia greca racconta che Latona, nel dare alla luce i divini gemelli Artemide e Apollo, abbracciò due piante di Alloro.
Pare che il culto della Quercia fosse praticato da tutti i popoli di razza ariana.
I greci e gli italici associavano la quercia alla loro massima divinità, a Zeus, dio del cielo, della pioggia, delle saette.
A Mistretta, nel bosco del monte Trefinaidi e di Sambughetti mi recavo spesso, accompagnata da mio padre Giovanni, spinta dal mio forte amore naturalistico.
Al Pizzo di Sant’Arianna tantissimi anni fa, come da tradizione, andavo a festeggiare il lunedì di Pasqua, a mangiare la “varata”, con mia sorella Anna e con le mie cugine purtroppo emigrate in America.

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May 29, 2018 - Senza categoria    Comments Off on LA STORIA DEL PALAZZO DI DON BETTINO SALAMONE A MISTRETTA RACCONTATA DA PLACIDO SALAMONE

LA STORIA DEL PALAZZO DI DON BETTINO SALAMONE A MISTRETTA RACCONTATA DA PLACIDO SALAMONE

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 Chi meglio di Placido, erede della famiglia Salamone, può raccontare con dovizia di particolari la storia del palazzo di don Bettino Salmone e della famiglia Salamone e che io trascrivo integralmente?
Grazie Placido per questa grande trattazione storica!
La Storia del Palazzo Bettino Salamone è quella di una dimora gentilizia che rispecchia i canoni tipici dell’edilizia  dei Nebrodi. Dall’aspetto severo e di massiccia architettura è, di fatto, con le sue 52 stanze un intreccio di vari ambienti vissuti dalla famiglia, rievocativi di un d’epoca a cavallo tra due secoli e legati al suo principale personaggio, il cav. Bettino Salamone di Placido.

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Affacciato sulla via Libertà, di fronte alla Chiesa delle Anime Purganti, è delimitato a sud dalla Via Sant’Antonio dove c’è l’ingresso del palazzo, e a nord dalla via San Luca.

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Foto di Placido Salamone

La dimora si mostra imponente e strutturata su due corpi di diversa epoca.
Un primo corpo prospicente la via Libertà e risalente al XVII° sec., ed un secondo corpo più interno risalente al XIX° sec.

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Foto di Lucio Pani

Dotata di un cortile interno, ornata un tempo da un giardino all’ italiana, è suddivisa  tra il piano terra, adibito a magazzini, ed il piano nobile.

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Foto di Lucio Pani

Sarà don Benedetto Salamone e, in seguito, il figlio Placido, nella metà del Ottocento ad acquistare ed armonizzare il palazzo alle esigenze abitative dell’ epoca, tuttavia rimase per tanto tempo una dimora secondaria della famiglia fino ai primi del Novecento quando il cav. Bettino Salamone decise di porvi la sua residenza e il centro amministrativo a seguito dello scioglimento della società con i germani Luigi ed Anna.
Da allora il palazzo divenne un pullulante centro nevralgico di interessi in collegamento tra i possedimenti della montagna fino a Nicosia e a quelli di marina fino a Tusa.

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Foto di Lucio Pani

Oggi la dimora, eccetto una parte, è divisa tra gli eredi del cav. Bettino Salamone, ovvero tra il dr. Benedetto Salamone di Placido e l’ avv. Sergio Salamone di Mario che lo aprono stagionalmente.
Questo ramo della famiglia Salamone, i sui componenti ed il ruolo sociale svolto si possono comprendere  solamente se si guardano in una prospettiva più grande, ossia tramite la narrazione della storia della famiglia Salamone di Mistretta che, per circa cinque secoli, ha operato attivamente nel comprensorio nebroideo.
Il ramo mistrettese, di fatto, discende dalla nobile famiglia palermitana dei Salamone portata in Sicilia da Ruggero, patrizio veneziano e regio camerario e trova il fondatore del proprio ramo in Paolo II vice provveditore dei castelli del Regno di Sicilia,  di Riccardo (padre del grande cavaliere Francesco Salamone, protagonista della disfida di Barletta) e di Ruggero III, senatore a Palermo negli anni 1587-88 e 1590-91. L’insediamento nel distretto alesino, (che comprendeva allora oltre Tusa, anche il feudo di Migaido, Castel di Lucio, Castel San Giorgio della Marina di Tusa, ed il castello di Caronia), nel 1467, allo scopo di riorganizzare il sistema difensivo dell’ area dei Nebrodi occidentali, coincideva con l’ordine di mitigare le tensioni sorte fra la Corona di Sicilia e la casa dei Ventimiglia.
Da Paolo nacquero Antonio ed Antonino Salamone.
Antonio Salamone, raggiunto l’elevato grado militare di Prefetto di Legione, chiese ed ottenne anche l’ incarico di capo delle città d’Alesa, ciò che gli valse, subito dopo, l’attestato di uomo nobile e primarius da parte del Vicerè Ettore Pignatelli.
Da lui nacque un figlio a noi noto, Pompeo Salamone, letterato ed iscritto nella genealogia del sacro archivio degli inquisitori oltre che possessore di vari “ oppida “, i cui natali sono ad Alesa, ma la residenza, come afferma il Minutolo, dopo il matrimonio con la nobile suterese Laura del Pozzo, feudataria della Milocca, sarà a Sutera.
Dal ramo di Pompeo Salamone discende la nobilissima Casa dei Salamone di Sutera ornata delle baronie di Pietrevive, di Caccione, di Belvedere e della ducea di Albafiorita.
Il fratello di Antonio, Antonino Salamone,come attesta il Randazzini, si unirà invece in matrimonio alla nobile Maria La Mammana fondando un nuovo ramo a Castelluccio (Castel di Lucio).
Da Antonino Salamone nacque Pietro Salamone, governatore di Caste di Lucio nel 1580, mentre il primogenito Antonino II si unirà in matrimonio a donna Cochina Ventimiglia dei Marchesi di Geraciche che genererà Domenico Carlo dalla cui unione con la nobile Maria Arceri di Mistretta nacque Giuseppe, senatore a Palermo morto nel 1770 lasciando un figlio di nome Benedetto.
Dal fratello di Domenico Carlo, Andrea Salamone, giurato a Castel di Lucio nacque Carloche, nel 1658, ottenne in gabella dal Principe Moncada di Paternò i sei mulini di Furiana, Landri e Trabonella, l’orto di Ramilia, il giardino di Villa Aragona, la vigna di Giuffarone, la salina, l’orto di Draffù, il loco del Pantano e, in ultimo, i frutti (ferle, pere, olive, fastuche o pistacchi) del bosco di Mimiano tutte nella Contea di Caltanissetta, avviando, attraverso la gestione di un cospicuo patrimonio, una fiorente attività imprenditoriale.
Da lui discende Giuseppe Maria Salamone il cui matrimonio con la nobile Francesca Tita porterà a Mistretta il fratello, il Rev. Placido Salamone, che sarà procuratore apostolico oltre che autore di diverse opere sulla vita di San Placido e sulla storia di Castel di Lucio.
Da Giuseppe Maria Salamone discendono Tommaso e Placido.
Tommaso, decurione della città di Mistretta, è padre dell’Arciprete di Mistretta Giuseppe Salamone e del Sac. Gaetano Salamone, autore di due opere di grande pregio: il Manuale teorico-pratico di Agricoltura ed il Manuale Teorico-pratico di Agricoltura e pastorizia considerati come una sorta di catechismo agrario adattato all’intelligenza popolare.
Placido Salamone, sposato con Anna Cannata, ricca possidente di Mistretta, diede alla luce ben tredici figli di cui il primo fu il Sac. Giuseppe Salamone, prete carbonaro che, nel 1820, prese parte ai moti insurrezionali antiborbonici.
Alla fine del XVIII sec. e alla prima metà del XIX sec. la famiglia Salamone mostra un’intraprendenza economica di grande respiro che la porterà in breve tempo ad avere un ruolo centrale nelle vita politica ed economica di Mistretta e di un intero comprensorio. Già  alla fine del XVIII sec. i membri di questa famiglia intuiscono i numerosi cambiamenti in corso facendo propria una mentalità capitalista in agricoltura, sconosciuta fino ad allora in Sicilia.
In un momento di prosperità per l’industria agraria e pastorale nell’Isola, i Salamone furono gli ideatori e i promotori di una forma nuova di conduzione armentistica, definita “società”, la quale diede dei profitti economici vantaggiosi.
Nel corso degli anni ’30 del XIX sec. i fratelli Salamone gestivano ben tre grandi società armentiste a noi note. Nel 1834, in seguito allo smantellamento dell’allevamento equino Reale di Ficuzza creato dai Borbone, i fratelli Salamone acquistarono gli ultimi esemplari pregiati di questo allevamento, ben 67 fattrici della Razza Reale di Ficuzza vennero cedute alla famiglia, compreso uno stallone arabo ungherese di nome Gildram, dono dell’ Imperatore d’ Austria Ferdinando I al Re delle Due Sicilie.
Nel 1860 questa pregiata mandria giumentile verrà traslocata nei feudi del territorio nebroideo.
Questi cavalli, esaminati dal Deposito Cavalli Stalloni del Regno, saranno riconosciuti una “razza” perché costituenti un gruppo omogeneo con caratteri fissi e trasmissibili.
In verità, il dinamismo economico non riguardò solamente il settore agrario.
Agli inizi del XIX sec. l’industria zolfifera siciliana sembrava prossima al decollo.
Nel 1837 i Salamone ottennero dal Principe Romualdo Trigona di San’Elia il diritto di estrarre zolfo dalle miniere del feudo di Grottacalda (Caltanissetta).
Per questo venne costituita la società Salamone di Grottacalda che operò  fino al 1846.
Il filone dello zolfo consentì in pochi anni di acquisire cospicui guadagni.
Il 25 marzo 1848, in seguito ai noti moti del 1848, che avevano portato alla concessione della costituzione da parte del Borbone, e la presidenza al Conte Ruggero Settimo,  si riunì ” il Parlamento Generale della Sicilia” nella chiesa di San Domenico in Palermo e don Vincenzo Salamone di Placido venne scelto a rappresentare il collegio di Mistretta alla Camera dei Comuni in quello che venne definito un parlamento libero e liberale.  Successivamente nel 1858 venne costituita la Società commerciale formata da fratelli e dal nipote Salamone, di Santo Stefano di Camastra, che eserciterà fino al 1867, operando su ampia scala e disponendo di imbarcazioni veloci per rotte nazionali ed estere ed agenti a Napoli e a Genova. Dei tredici figli di Placido Salamone cinque ceppi familiari perpetueranno la progenie.
Il primo ramo sarà quello diAntonino, secondogenito, padre del cav. Giuseppe Salamone che, nel 1861, candidatosi alle elezioni per la Camera Nazionale dei Deputati, nelle file dei moderati in contrapposizione a Michele Amari, fu eletto a rappresentare il collegio di Mistretta nel corso della VIII Legislatura del Parlamento.
Il secondo ramo sarà quello di Pasquale che generò Lucio, Anna e Francesca Salamone grazie alla cui munifica donazione è oggi intitolato l’ lstituto  per i Ciechi “Ignazio Florio e  A. e F. Salamone”.
Da Lucio Salamone, fratello di Francesca, nacque Pasquale, sposato con Gaetana Mastrogiovanni-Tasca del ramo baronale di Noto. Da questa unione nacquero Lucio II, sposato con Francesca Cumbo-Borgia, la cui figlia Maria andrà in sposa al Marchese Diego Prina Ricotti di Roma, Nicola, padre di Pasquale, Ottavio e Carlo (i primi due rispettivamente direttori generali della Cassa Centrale di Risparmio V.E e del Banco di Sicilia) e Teresa. Quest’ultima consorte del Principe Ottavio Nicolaci di Villadorata di Noto.
Illustre sarà anche il ramo di Gioacchino, di cui  si ricorda Anna Salamone la cui generosità fu tale da elargire la bellezza di trentamila lire all’ Ospedale civico del SS.mo Salvatore, fondato a Mistretta nel 1584 da don Filippo Pizzuto.
Per questo nobile gesto venne nominata socio onorario del Sodalizio Operaio ed a lei venne dedicata una via nella città.
Più illustre di lei sarà il fratello, il comm. Grande Ufficiale Vincenzo Salamone.
Nel 1875 risulta tra i fondatori nonché tra i componenti della prima amministrazione della società di mutuo soccorso denominata “La Cerere”.
Nel 1888, eletto consigliere Comunale, ad unanimità di voti fu assunto alla carica di assessore funzionando da sindaco. Rieletto sindaco nel 1902, apporterà sostanziali miglioramenti al paese, potenzierà l’acquedotto e la rete idrica interna, doterà alcuni quartieri, che ne erano privi, delle fognature, fornirà alla città, contraendo un mutuo di 200.000 lire, di una officina elettrica e della relativa rete interna per l’illuminazione pubblica.
Nell 1909 fu eletto nel Collegio di Mistretta deputato al Parlamento italiano per poi ritornare a coprire il mandato di primo cittadino nel 1920.
A Vincenzo Salamone si deve la fondazione della banda musicale di Mistretta e la costituzione della Società Anonima Amastratina  per il servizio di corriera.
Dei figli di Vincenzo, a coltivare la passione politica fu Gioacchino, avvocato, di chiari sentimenti antifascisti, nell’ agosto del 1943 si insediò come sindaco di Mistretta su nomina del Governo Militare Alleato e nel 1944 appoggiò apertamente il fallito tentativo separatista del movimento guidato da Andrea Finocchiaro Aprile.
Dei figli Peppino, Enzo e Teresa Salamone si ricorda particolarmente quest’ultima, presidente della San Vincenzo de Paoli.
Bensì partecipe alle fortune della famiglia, poco c’è da dire sul Ramo di Giacomo, il cui figlio Giuseppe viene ricordato come il generoso sostenitore della carriera artistica del celebre Noè Marullo, mentre a lungo si deve discutere sul ramo del cav. Uff. Benedetto Salamone, I barone di Casaleni.
Partecipe alla vita politica di Mistretta, Benedetto Salamone fu decurione e successivamente membro del Comitato provvisorio.
Il 18 maggio del 1860 lo stesso Comitato Provvisorio costituisce una forza a cavallo  di 20 uomini per garantire una tranquillità nelle campagne in vista di disordini  e la pone agli ordini di Don Benedetto Salamone.
Lo stesso fece parte alla Commissione formata per contribuire con donazioni alla causa unitaria.
Nel 1864 fu già consigliere comunale e nel 1879 membro del consiglio direttivo del Comizio agrario. Nel 1878, a seguito dell’acquisto del feudo di Casaleni inferiore di Nicosia, ottenne, secondo la legge araldica del Regno, il titolo di “Barone di Casaleni” che, con regio assenso del 1884, il re Umberto I di Savoia concesse agli eredi in primogenitura maschile. Il figlio Placido, in qualità di corrispondente della Banca d’Italia, fu il fondatore dell’Agenzia di Credito Amastratina e sindaco di Mistretta nel 1892. Un altro figlio, Bernardino fu il padre del cav. uff. Bettino Salamone, sposato con donna Francesca Mastrogiovanni -Tasca, sindaco di Mistretta nel 1914, distintosi nel difficile periodo della guerra per il Comitato pro-famiglie che, sotto la sua direzione, assommò ogni compito di assistenza civile.
Francesca Mastrogiovanni Tasca, bellissima donna, unico grande amore di Bettino Salamone di Bernardo. Un sonetto di Padre Marciante scritto a Mistretta il 6 Luglio del 1889 suggellò il loro invidiabile amore.

FRANCESCA MASTROGIOVANNI TASCA MOGLIE DI BETTINO SALAMONE DI BERNARDO OK

OK

Da Placido Salamone nacquero Bettino , Luigi ( il cui figlio Placido ricoprirà l’ incarico di Ispettore Capo del Corpo Forestale della Sicilia) e Anna sposata con il Maschese Rodrigo Pameri di Villalba.
Il cav. Bettino Salamone, fu avvocato, presidente e maggiore azionista della Società Anonima Amastratina, poi Autotrasporti, fu presidente  dal 1928 al 1932 della Società Anonima Franco e Giaconia, fu membro del Consiglio Provinciale dell’ Economia di Messina dal 1928, fu membro della Commissione distrettuale delle Imposte dirette, fu podestà di Mistretta nel 1943 e Vice-Commissario per gli affari civili del Circondario di Mistretta per conto del Governo Militare Alleato nel 1944.
Dall’ unione con Liboria Salamone Lipari nacquero quattro figli. Placido, Giuseppe, Mario e Riccardo.
Placido, agronomo,  ufficiale della Milizia Forestale sposò Maria Perna Converti di Napoli e generò Benedetto, dottore in scienze agrarie ed imprenditore agricolo. Appassionato allevatore e amante di cavalli, ha condotto l’Azienda di famiglia a cui è subentrato il figlio Placido nato dall’ unione con Anna Maria Andreanò.
Da Giuseppe nacquero Bettino, direttore dell’ Ufficio del Registro di Mistretta, Liboria dirigente dell’ Archivio di Stato di Palermo e Anna titolare della SalamoneTravel S.r.l.
Da Mario, appassionato corridore automobilistico, nacquero Massimo e Sergio, quest’ultimo avvocato, conduce il suo studio legale a Palermo insieme alle figlie Teresa e Maria Emanuela.
Riccardo, invece, ebbe due figli, Giovanna, insegnante, e Maurizio, magistrato, sostituto Procuratore delle Repubblica di Messina.
Le foto, gentilmente fornite dall’amico Placido Salamone, ritraggono Bettino e Liboria Salamone,  

8 Bettino e Liboria Salamone ok

Il bisnonno Bettino con Liboria, Maria Perna e Riccardo Salamone, 

9 il mio Bisnonno Bettino con Liboria, Maria Perna e Riccardo Salamone ok

3a bisnonna Liboria Salamone con mio nonno Placido ok

Liboria Salamone col piccolo Placido

il nonno Placido Salamone 

10 mio nonno Placido Salamone ok

Don Bettino Salamone nacque a Mistretta nel 1884 da Placido e da Liboria Lipari. Morì a Castel di Tusa nel 1958.
Nel cimitero monumentale di Mistretta un’elegante cappella gentilizia accoglie le spoglie mortali di Bon Bettino Salamone.

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L’ avv. Paolo Insinga ricorda la morte dell’amico Bettino Salamone con questo piccolo inserto, tratto dall’archivio storico nel palazzo Mastrogiovanni –Tasca, a Mistretta, che riporto integralmente:

A OKB OKC OKD OKE 1 OKE2 OKGOK

 

 

 

May 22, 2018 - Senza categoria    Comments Off on RICORDO DI CARMELO DE CARO, LA SUA POESIA “IL PASSERO”

RICORDO DI CARMELO DE CARO, LA SUA POESIA “IL PASSERO”

Carmelo,
18 lunghi anni sono trascorsi, ma il ricordo di te è sempre vivo!

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La poesia “IL PASSERO” è tratta dal libro “Sintiti, Sintiti” di Carmelo De Caro

IL PASSERO

Dimmi, piccolo passero,
che voli alto nel cielo,
che cinguetti spensierato
là dove nessuna mano può attentare
alla tua libertà,
dimmelo tu qual è il segreto della tua felicità.

Sì, lo so,
anche tu hai i tuoi piccoli pensieri,
le tue minuscole preoccupazioni,
ma sei libero come l’aria che respiri,
tu puoi volare,
spaziare nel cielo
come il vento che ti arruffa le piume,
non hai problemi da risolvere
non sogni infranti, né amori impossibili.

A volte penso,
anzi desidero di essere come te,
di rinunziare alla personalità, all’intelligenza,
per diventare un comunissimo passero
che saltella di tegola in tegola,
che vola fra le nubi
rincorrendosi con la compagna,
che si libra tra le messi d’oro
cercando un chicco per sfamarsi.

Non starmi a guardare così!
Come se stessi bestemmiando.
Ti meraviglia il sapere che un uomo,
l’essere più perfetto della terra,
voglia cambiarsi in un batuffolo di penne grigie?

Se sapessi, mio piccolo amico,
se sapessi com’è duro il recitare
sul grande palcoscenico degli uomini!
18 dicembre 1962

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