May 10, 2018 - Senza categoria    Comments Off on LA YUCCA GIGANTEA DELLA MIA CAMPAGNA A LICATA

LA YUCCA GIGANTEA DELLA MIA CAMPAGNA A LICATA

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La Yucca è una pianta molto grande e bella che vegeta bene in molte parti di Italia, soprattutto sulla zona costiera, divenendo quasi infestante.
La Yucca gloriosa, la specie più coltivata in Italia sin dal ‘600, molto resistente, presenta un fusto con foglie appuntite a spina e grosse infiorescenze dai bei fiori bianchi a cascata.
Nella mia campagna, in contrada Montesole-Giannotta a Licata, le piante di Yucca sono molto numerose, soprattutto nel giardino roccioso assieme alle agavi e all’Acacia.

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La loro osservazione, quasi giornaliera, mi riporta indietro nel tempo di almeno 30 anni fa quando un mio alunno, dopo avere sostenuto il colloquio degli esami orali per il conseguimento della licenza della terza Scuola Media si ripresentò stringendo fra le mani un vaso di terracotta contenente una piccola pianta di Yucca con un bigliettino: “Alla mia cara prof.ssa Nella Seminara, che mi ha saputo guidare e istruire durante i miei tre anni trascorsi alla Scuola Media << Antonino Bonsignore >>, alla quale auguro tanta salute, tanta serenità, tanta felicità.
Con tantissimo affetto Emanuele Moscato
”.
Io, sempre restia ad accettare qualsiasi tipo di regalo, quella volta, contrariamente, non mi sono potuta rifiutare di ricevere questo omaggio da un ragazzo sensibile, educato, studioso.
Quella piccola pianta, piantata nella mia campagna, vive ancora.
Non è stata velocissima nella crescita, ha impiegato tanti anni, si è riprodotta e tutte le piante figlie abbelliscono molte aiuole della mia campagna.

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Il nome scientifico della mia Yucca è “Yucca gigantea”, ma è più conosciuta col sinonimo di Elephantipes” per la parte basale del tronco a forma di piede di elefante.

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Etimologicamente il nome generico Yucca è stato imposto da Carl Linneo aggiungendo una c alla parola Yuca che divenne “Yucca”.
Nel centro-nord America è chiamata “Yuccas Dolces” o “Yuccas Bravas“.
Le Yucche sono chiamate con altri nomi comuni quali: ”Lancia di don Chisciotte, Spada spagnola, Palma pita”.
Il genere Yucca, originario delle zone a clima caldo dell’America Settentrionale, Centrale e del Texas, comprende 40 specie di arbusti o piccoli alberi sempreverdi.
Appartiene alla famiglia delle Agavacee.
Nel trattato di Botanica, dove ho tratto le mie prime conoscenze sullo studio della Botanica, Carlo Cappelletti, professore ordinario di Botanica all’Università di Padova e dottore <<Honoris causa>> dell’università di Lilla, ha classificato il genere Yucca nella famiglia delle Liliaceae.
Le specie di Yucca più diffuse sono: la Yucca aloifolia, la Yucca australis, la Yucca elata, la Yucca filamentosa,la Yucca flaccida, la Yucca gigantea o Yucca Elephantipes o Yucca guatemalensis, la Yucca glauca, la Yucca gloriosa, la Yucca recurvifolia.
Alcune specie di Yucca sono acauli, altre arbustive e altre ancora arborescenti.
La Yucca gigantea, la pianta della mia campagna, nel corso degli anni ha ricevuto vari altri nomi: Yucca elephantipes, Yucca guatemalensis, ma il più famoso è “Tronchetto della Felicità”.

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Originaria dal territorio del Messico e dal Guatemala, dove è molto diffusa, la pianta, sempreverde, ha un portamento arbustivo-arboreo ad accrescimento abbastanza lento.
Nel suo habitat naturale riesce a raggiungere i 10 metri di altezza e i 5-8 metri di estensione. Possiede il fusto che diventa legnoso, massiccio, non ramificato, di colore marrone chiaro, somigliante alla pelle dell’elefante, e alla base del quale presenta numerosi rigonfiamenti simili nella forma ad un piede di elefante. Ripeto: da ciò il nome di Yucca elephantipes.
Nell’insieme il fogliame è molto ornamentale.
Le foglie, che si formano riunite in ciuffi nella parte superiore dei tronchi legnosi, sono di colore verde brillante, lunghe, con lunghezza variabile da 60 a 100 cm, strette, rigide nelle piante giovani, curvate man mano che invecchiano, e con l’apice appuntito, pungente, trasformato in spina per difendersi dal morso degli erbivori. Hanno un aspetto coriaceo e sono dotate di margini finemente dentati. Rimangono sulla pianta per molto tempo.

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Anche le foglie morte persistono sul tronco facendo assumere alla pianta un aspetto irregolare. Non cadono da sole, ma devono essere tolte manualmente.
I fiori, raccolti in infiorescenze a pannocchia, dense ed erette, alte anche un metro, portate su lunghi steli che emergono dalla rosetta fogliare della pianta, sono grandi, penduli, profumati, di colore bianco crema, sbocciano in estate.

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La pannocchia, più alta del fogliame, dura molto a lungo soprattutto se l’estate è particolarmente calda.
La pianta fiorisce dopo circa 4-5 anni di età e la fioritura è spettacolare.
Perché la pianta fiorisca, sono indispensabili una buona quantità di luce e una temperatura alta e costante.
Sono di breve durata e si aprono di notte emettendo un buon odore.
L’impollinazione avviene per mezzo dell’insetto “Pronuba yucca sella”, una  specie di Tegeticula, una  falena della famiglia Prodoxidae impollinatrice di varie specie di Yucca.
L’insetto femmina, quando i fiori si aprono di notte, attratta dal loro profumo, si carica di polline e va girando per deporre le sue uova.
Poiché depone le uova proprio nell’ovario, in vicinanza di un ovulo, la Pronuba yucca sella risale verso la cima del pistillo ed inserisce il polline nello stimma. Avviene la fecondazione.
Il seme e la larva si sviluppano contemporaneamente.
Molto spesso gli ovuli e i semi servono per nutrire la larva che, racchiusa in bozzolo, trascorre l’inverno e la primavera allo stato di vita latente. Alla successiva, nuova fioritura della pianta sarà un insetto completo.
I frutti, pendenti, sono bacche carnose e succulente, che proteggono i piccoli semi neri spessi, piatti, ruvidi.
La moltiplicazione più facilmente si effettua in primavera staccando i germogli basali che nascono attorno alla pianta madre e mettendoli direttamente a dimora, oppure per talea fatta radicare nella sabbia umida e ad una temperatura di circa 13 °C.
Un altro metodo è quello di tagliare in due parti il tronco principale ed interrando queste due metà perché producano radici e foglie nuove.
La moltiplicazione per seme è più difficile, poichè è impossibile ottenere frutti e semi alle nostre latitudini.
La Yucca elephantipes è una pianta poco esigente, ma invadente, pertanto richiede molto spazio.
Gradisce un substrato ricco di sostanza organica, soffice, leggero, ben drenato, ma capace di trattenere una certa quantità di umidità e un’esposizione in una zona molto luminosa e assolata per diverse ore della giornata.
In virtù della sua natura tropicale, gradisce condizioni climatiche stabilmente calde e temperate.
Sopporta le alte temperature, non tollera quelle dei rigori invernali inferiori a 10-15°C.
Nelle loro terre di origine i climi sono alquanto caldi e leggermente secchi e, perciò la foglia, per non sprecare l’acqua, ha la forma allungata e non estesa, turgida e con le punte rastremate.
Le annaffiature devono essere regolari.
Nel periodo estivo è bene bagnare la pianta abbondantemente avendo cura di controllare che l’acqua non ristagni.
Le irrigazioni eccessive e i ristagni d’acqua facilitano i marciumi compromettendo la salute della pianta.
Durante l’estate sarebbe consigliabile nebulizzare le foglie con acqua a temperatura ambiente al mattino presto oppure la sera.
Durante l’inverno la pianta non necessita di troppe irrigazioni, ma è sufficiente annaffiarla ogni 8-10 giorni.
La concimazione della Yucca elephantipes è fondamentale soprattutto se coltivata in vaso poiché il ridotto volume di substrato potrebbe esaurire gli elementi del terreno.
Normalmente la Yucca non si pota.
Vanno eliminate le foglie che man mano si disseccano per dotare la pianta di un aspetto ordinato e gradevole.
La Yucca elephantipes non è immune all’attacco di diversi parassiti come il Ragnetto rosso, le Cocciniglie, la Tignola, gli Afidi, i funghi.
Per il suo aspetto elegante, quasi maestoso, la Yucca elephantipes è coltivata per abbellire i giardini, i parchi, le ville private, i balconi, le strade cittadine nelle località costiere. Le piante di Yucca a Licata sono molto presenti.

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Davanti a padrre Pio, nella chiesetta della Madonna delle Sette Spade a Licata.

Addossata alla parte laterale del santuario di Sant’Agostino a Licata, la Yucca adorna il monumento innalzato alla memoria del naufragio della nave “Seagull”, “Gallinella di mare”.

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Il pittore licatese prof. Antonio Mazzerbo, nel 1984, ha realizzato la scultura bronzea “Il volo del Gabbiano” proprio per ricordare i marinai della “Seagull” che attraversavano i mari volando come i gabbiani.

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In Via Honduras a Licata

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Nella villa comunale Regina Elena di Licata

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In Via Palma a Licata

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In Piazza della Vittoria a Licata

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In Via Salato a Licata

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In Via Gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa a Licata

 E’ coltivata o come elemento isolato o a gruppi per formare aiuole allungate e per delimitare una siepe.

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In un villino in contrada Montesole a Licata

E’ utile piantarla lungo le scarpate e i pendii di terra franosa perché le radici rassodano la terra evitando il dilavamento della pioggia.

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Non è prudente piantare le Yucche in prossimità di viali o di passaggi obbligati perché le spine con le quali terminano le foglie possono nuocere ai bambini e agli animali domestici.
Le Yucche non sono solo piante decorative, ma sono utili sotto altre forme.
Da esse si ricava una fibra tessile assai apprezzata e soggetta anche ad essere esportata.
Altre Yucche forniscono legno per la fabbricazione di piccoli oggetti pregiati.
Dalle foglie e dal fusto della Yucca glauca si distilla una bevanda alcolica di ottima qualità.
Dalla Yucca baccata si estrae una sostanza che può sostituire il sapone.
Alcune Yucche sono commestibili perché i boccioli dei loro fiori, dopo essere stati abbrustoliti, si possono mangiare.
Le foglie possono essere utilizzate per coprire i tetti di paglia.
Nei paesi d’origine le Yucche sono considerate piante sacre e quindi riservate alle cerimonie religiose e per ornare altari e case in occasione di particolari cerimonie.
La Yucca è considerata simbolo della fortuna.
Pertanto è ideale regalare il “Tronchetto della felicità” come dono ben augurante, oltre che elegante.

 

 

 

 

 

 

 

May 1, 2018 - Senza categoria    Comments Off on LA CASA MANNO – MUSSOLICI A MISTRETTA

LA CASA MANNO – MUSSOLICI A MISTRETTA

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La casa Manno-Mussollici è ubicata a Mistretta in Corso Umberto I, affacciata in piazza Vespri, esattamente di fronte al palazzo Mastogiovanni-Tasca e al palazzo dei baroni Beppe e Paolo Giaconia.

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La casa, infatti, era la dependance della famiglia Mastrogiovanni Tasca.
Essa era unita al palazzo Mastogiovanni-Tasca tramite un arco.
La strada statale 176 Santo Stefano – Mistretta iniziava al bivio per Motta d’Affermo. Solo alla fine della seconda guerra mondiale fu costruita la strada statale che, attraversando Mistretta, proseguì in direzione di Nicosia col nome di SS 117. Con l’innalzamento del piano stradale l’arco fu abbattuto e la casa fu isolata.
Notizie fornitemi dalla prof.ssa Lucia Mussolici.

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Successivamente, la casa dalla Mastogiovanni-Tasca fu venduta al cav. Bettino Salamone che la cedette all’autista Germanà.
In seguito, acquistata dal tenente Vincenzo Manno, attualmente è di proprietà della famiglia del signor Filippo Mussolici.

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Foto di Gaetano Catania

La casa è un edificio particolare per la sua forma architettonica poligonale, di stile neogotico, e per i due lati della facciata che formano un angolo molto ottuso.
Caratteristiche sono le finestre-gelosie in ferro battuto, attribuite all’opera creativa dello scultore amastratino Noè Marullo, l’una diversa dall’altra.

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 le edicole di foggia neogotica

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vista dall’interno

e i medaglioni alle pareti della facciata.

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 Internamente la casa conserva alcuni affreschi

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 e una bellissima pavimentazione di ceramiche maiolicate.

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Apr 23, 2018 - Senza categoria    Comments Off on IL PROF.LUCIO VRANCA PRESENTA IL LIBRO”FINALE,LA SUA STORIA”

IL PROF.LUCIO VRANCA PRESENTA IL LIBRO”FINALE,LA SUA STORIA”

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Il prof. Lucio Vranca ci sorprende ancora con le sue creazioni!
L’invito è stato per Domenica, 22 aprile 2018.

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Presso l’Auditorium “Samuel Sferruzza” dell’I.C. “Pollina- San Mauro C/de” a Finale di Pollina, un piccolo centro nella provincia di Palermo, è stato presentato il libro “FINALE, LA SUA STORIA”.
Autore il prof. Lucio Vranca.

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Foto del prof. Giacomo Di marco

 

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Sono intervenuti: l’on. Magda Culotta, Sindaco del comune di Pollina, il prof. Nunzio Castiglia, Presidente del consiglio comunale di Pollina, il prof. Angelo Ciolino, docente di Storia e Filosofia, il dott. Giovanni Travagliato, ricercatore di Storia dell’Arte Medievale e Vice Direttore dell’Archivio Storico Diocesano di Palermo, il prof. Lucio Vranca, autore del libro e un folto pubblico di parenti e amici provenienti anche da Mistretta e dai paesi vicini. Ha condotto la prof.ssa Antonella Cancila, Dirigente scolastico dell’I.C.“Pollina- San Mauro C/de”.

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Il tavolo dei relatori. Da sx: Giovanni Travagliato, Magda Culotta, Antonella Cancila, Nunzio Castiglia, Angelo Ciolino, Lucio Vranca.
L’on. Magda Culotta, dopo avere dato il  benvenuto ai presenti e portato i saluti di tutta l’amministrazione comunale, si è ampliamente complimentata con l’autore per la sua nuova fatica letteraria.

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Anche il prof. Nunzio Castiglia ha elogiato l’autore per avere messo in luce le bellezze naturalistiche e artistiche della piccola borgata di Finale.

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Ha detto che Finale,  per la singolare posizione geografica, che consente di fruire contemporaneamente del mare e della montagna, accoglie numerosi turisti.
L’intervento del prof. Angelo Ciolino si è basato sulla storia del paese.

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Il dott. Giovanni Travagliato, ha dato dimostrazione delle ricchezze del paese proiettando fotografie di immagini sacre che si trovano all’interno della parrocchia di Finale, intitolata a Maria SS.ma della lettera.

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Brillante è stata la conduzione della prof.ssa Antonella Cancila.

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 Ha relazionato lo stesso autore, che ha reso molto interessante e didascalico il contenuto del suo libro.

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Infine l’autore ha concluso con queste parole:” Sento il dovere di ringraziare quanti hanno partecipato alla presentazione del libro “Finale, la sua storia” del 22 aprile 2018. La significativa presenza di tanti amici e parenti venuti da lontano e la numerosa partecipazione degli abitanti di Finale, testimoniano che oltre all’interesse mostrato nel voler conoscere la storia evolutiva della nostra borgata, hanno manifestato palesemente una fortissima dose di rispetto fino a condurmi all’emozione. Dunque grazie, grazie di cuore. Devo, inoltre, sottolineare la prestigiosa presenza dei relatori che hanno contribuito a dar pregio ai contenuti del libro. Per questo voglio ringraziare il Dott. Giovanni Travagliato, il Prof. Angelo Ciolino, il Sindaco del Comune di Pollina On Magda Culotta, il Presidente del Consigli del Comune di Pollina Prof. Nunzio Castiglia e la Conduttrice Antonella Cancila Dirigente scolastico dell’I.C. Pollina-San Mauro C/de. Grazie ancora”.
Chi è il prof. Lucio Vranca lo sappiamo già. Basta leggere il precedente articolo del blog ”Omaggio a Lucio Vranca Day”.
I presenti all’evento, che hanno gradito molto gli interventi dei relatori sul tema raccontato nel libro del prof Lucio Vranca, hanno risposto calorosamente con gli scroscianti applausi.

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Inoltre si sono messi ordinatamente in fila per congratularsi e per richiedere il libro con la relativa dedica dell’autore.

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Il mio desiderio è quello di poter leggere un altro libro, che sarà scritto sempre dal prof. Lucio Vranca.
Sicuramente i versi di Dante “l’amor che muove il sole e le altre stelle” troverebbero rispondenza con i contenuti di questo auspicabile testo che sarebbero un’intensa dichiarazione d’amore di Lucio Vranca per le sue due patrie, quella genetica Mistretta e quella adottiva Finale.

Apr 16, 2018 - Senza categoria    Comments Off on OMAGGIO AL PROF. LUCIO VRANCA DAY, SCRITTORE, POETA, MUSICISTA, COMPOSITORE DI MISTRETTA

OMAGGIO AL PROF. LUCIO VRANCA DAY, SCRITTORE, POETA, MUSICISTA, COMPOSITORE DI MISTRETTA

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Nella serata di domenica del 15 aprile 2018, un importante evento musicale ha appassionato molti cittadini di Mistretta e di Finale di Pollina che hanno goduto di una piacevole performance in musica del prof. Lucio Vranca Day rendendogli il meritato omaggio con i calorosi e gli scroscianti applausi.

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Teatro della manifestazione è stato l’accogliente Cine Teatro “Odeon” di Mistretta.

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dove sono stati eseguiti brani musicali  composti dal prof. Lucio Vranca.

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L’importante evento è stato organizzato dall’Associazione Kermesse d’Arte di Mistretta, collaborata dall’Ass. “Amastra”, dall’”Allegra Compagnia” e dall’orchestra di fiati “Popular Symphonic Band”.
Il prof. Lucio Vranca è un’icona artistica musicale e un punto di riferimento importante dal punto di vista storico-culturale. E’ per tutto quello che è riuscito a fare nel corso di questi anni che i suoi amici hanno voluto dedicare questa serata in suo onore, dove sono state raccontate in musica alcune sue opere.
Sono intervenuti: il dott. Dino Porrazzo, presidente dell’Ass. Kermesse d’Arte, che ha dato il benvenuto ai presenti ed ha assicurato loro l’ascolto della buona musica di Lucio Vranca Day.

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Dino Porrazzo e Rosalinda Sirni

Continua il suo discorso affermando che “è un doveroso riconoscimento a Lucio, degno figlio della città di Mistretta che, nonostante la forzata lontananza, ha sempre mantenuto col proprio paese natio un legame indissolubile, mirabilmente espresso nella poesia, nella scrittura e nella musica da lui prodotta” e il Dott. Sebastiano Insinga, che ha brillantemente relazionato sulla vita artistica del Prof. Lucio Vranca.
Per il Dott. Sebastiano Insinga non sono mancati i rilevanti apprezzamenti.

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L’amico Ciro Fontana su facebook ha scritto: “Complimenti vivissimi all’ amico Insinga dott. Sebastiano per il suo impegno e per la passione dedicati alla Cultura e al Folclore della propria Terra. TERRA di SICILIA. Questa sera è stato un grande successo regalando momenti di convivenza gradevoli nello Spirito e nell’Amore per la Poesia e per Cultura del nostro Popolo Siciliano. Ricevi un omaggio virtuale … da parte mia….un fiorellino di Zagara che racchiude in se… l’Amore, l’odore e quanto di bello …della nostra amata Isola”.
La risposta del dott. Sebastiano Insinga: “ Il tuo complimento mi emoziona. Non trovo parole per ringraziarti”.
Sono, inoltre, intervenuti: il gruppo folklorico “Amastra”, diretto dal signor Angelo Scolaro e dalla signora Patrizia De Caro, l’orchestra di fiati “Popular Symphonic Band”, diretta dal Maestro Calogero Lo Iacono, l’”Allegra compagnia”.
La bellissima poesia, “Attia-luntanu” scritta dal prof. Lucio Vranca, strumentata dal maestro Calogero Lo Iacono, è stata eseguita dalla Popular Symphonic Band e cantata dalla bravissima Chiara Martino che ha commosso la platea .

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A rendere ancora più piacevole la serata è stata al presenza del dott. Filippo La Porta, attore poeta e di Totuccio Curreri, musicista e compositore, di Cefalù, che, negli anni ‘69/’70, ha suonato insieme il Prof. Lucio Vranca nel territorio madonita e nebroideo.
Totuccio Curreri si è accompagnato a Lucio e Giuseppe Vranca nel suono di diversi brani eseguiti nel lontano passato e di una serenata la cui voce è stata quella di Danilo La Via.
Ha condotto brillantemente l’evento, annunciando in ordine ogni successivo brano, la dott.ssa Rosalinda Sirni, bravissima giornalista di Telemistretta.

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Calogero Lo Iacono, Rosalinda Sirni, il musicista Fabio Del Monte

Nell’intermezzo, fra una suonata e un’altra, è stato presentato il libro dal titolo “’Na junta ri rimasugghj”, dell’autore Lucio Vranca.

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E’ una raccolta di poesie scritte in lingua italiana e in vernacolo siciliano dove il poeta evidenzia gli affetti familiari e i ricordi che non si dimenticano mai e che riportano indietro nel tempo.
Via Maroncelli 13 è la poesia di apertura del libro.
Anche se Finale di Pollina, dove Lucio vive, non è molto distante da Mistretta, tuttavia, per chi ritorna da lontano e sente nel cuore l’amore per le proprie radici, si accorge che le distanze sono sempre incolmabili.
E’ stata letta la poesia:

NA JUNTA RI RIMASUGGHJ

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Na cartedda ri palori arricugghj inta me testa

nn’ammunziddai, chi manu, na catasta,

e i spaniai pari, pari nna sti fuogghj

mittuti a mmuzzu cuomu tanti scarafogghj.

 

Nun su sulu paroli ma nuciddi ri scacciari

nuciddi ruri ri scrucchjuliari e annittari.

I scorci li ittài, ca chi nn’avia a-ffari..!!

Mi tinni u civu ri riuordi ruci e amari.

 

Sti palori pi-mmia su comu l’oru,

su comu u pani e l’aria chi rispiru,

comu a luci c’adduma la me menti,

u cuntu ra me vita e-ddi la ggenti.

 

Sti frasi su’quantu a-mmia m’abbasta

bbieddi cumu i çiuri ‘nta na rasta

e ora ca ra me vita arristaru scagghj

cu-vvui mi cunfiessu, nun sulu chi me figghj.

 

Ntrizzài li frasi cuomu i testi r’agghj

assiemi a nâ puocu ri me sbagghj

pi-ppui cusilli tutti cu l’augghj

ed eccu a-vvui sta junta ri rimasugghj.

                        Lucio Vranca

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Alla fine della cerimonia il prof Lucio Vranca, comprensibilmente emozionato per i numerosi elogi ricevuti, ha sentito il dovere di ringraziare: il dott. Dino Porrazzo, Presidente dell’Ass. Kermesse d’Arte, al quale ha espresso la sua gratitudine per aver organizzato l’evento in maniera così encomiabile, il Gruppo Foklorico “Amastra”,  “L’Allegra Compagnia”, “l’orchestra “Popular Symphonic Band” e il Dott. Insinga Sebastiano, brillante relatore.

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Da sx: Rosalinda Sirni, Patrizia De Caro, Angelo Scolaro, del gruppo folk “Amastra”

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Foto di Emanuele Coronato

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L’Allegra Compagnia,

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L’orchestra Popular Symphonic Band.

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Il figlio Giuseppe ha suonato la tromba insieme al papà Lucio!

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Ha ringraziato, inoltre, tutti i parenti, gli amici, i conoscenti, i simpatizzanti, i musicisti, i poeti, gli scrittori presenti alla manifestazione.
Con un grande abbraccio ha ringraziato l’amico, il musicista Totuccio Curreri.

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Ha, inoltre ringraziato:

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la  dirigente scolastica dell’I.C. di Pollina e di San Mauro Castelverde prof. Antonella Cancila, ex collega, il dott.Dino Porrazzo, l’avv.Vincenzo Oieni, vice- sindaco e assessore alla Cultura di Mistretta, la bravissima Rosalinda Sirni.

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Gli amici dell’Assessorato “L’Approdo” Di Finale di Pollina

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Gli amici dell’Assessorato “L’Approdo” Di Finale di Pollina

Molte foto sono di Salvatore Piscitello

Il commento di Lucio Vranca al giornalista che lo ha intervistato alla fine della cerimonia: “Non potevano farmi regalo migliore. Sono un po’ imbarazzato. E’ una prova di grande affetto, di amicizia.
Significa che i mistrettesi, i miei amici, non mi hanno dimenticato nonostante manchi da Mistretta da 42 anni.
Questo spettacolo che mi hanno dedicato ha un significato esplicito.
Hanno suonato tutte le canzoni che ho composto nell’arco dell’anno per il gruppo “Amastra”.
Il maestro Lo Iacono, di Santo Stefano di Camastra, ha voluto musicare le mie canzoni
”.

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Lucio Vranca è nato a Mistretta. Ha studiato presso le Scienze agrarie Palermo. Per motivi di lavoro, ha dovuto lasciare il suo paese natio trasferendosi a Finale di Pollina, un piccolo centro della provincia di Palermo, dove si è distinto come valido e apprezzato docente,

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e dove abita da 42 anni con la sua gioiosa famiglia, con la signora Rita Di Salvo e con il figlio Giuseppe. E’ un pensionato attivo e libero di dedicarsi ai suoi tanti piacevoli impegni.
E’ nonno dolce, affettuoso, amorevole verso i suoi nipotini: Gabriele, Angelo, Noah, Cristian .

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Ha mantenuto, comunque, stretti legami col suo paese natio partecipando, con la sua musica e non solo, alle varie attività collaborando assiduamente con le associazioni nell’organizzazione di tante manifestazioni locali durante le feste religiose e durante l’estate amastratina.
E’ sempre presente con la sua tromba e con la sua macchina fotografica.

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Lucio Vranca è musicista, poeta, artista della tromba e della cultura musicale di Mistretta.

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Nel suo profilo autobiografico, dal sito web http:/ www.vrancalucio.net/Storia autobiografica.html Lucio Vranca scrive: “ Mio padre non conosceva la musica, ma era un grande appassionato. Seguiva, infatti, i concerti della banda locale e organizzava feste danzanti a casa mia usando il grammofono a corda (in uso dal 1870 agli anni ’80). Era il lontano 1957, anno in cui cominciai a fare i primi passi nel campo della musica.
La passione era grande; cantavo doppiando la voce di mio padre, mentre lavorava in campagna, nei mesi in cui la scuola era chiusa; cantavo e fischiavo i motivi delle canzoni ascoltate alla radio a valvole (un vecchio apparecchio Geloso); seguivo gli strumentisti dell’epoca, che portavano le serenate nei vicoli del centro storico, sfidando la volontà di mia madre che, data la tarda ora, mi voleva a casa.
In quelle occasioni ero ammaliato dai suoni emessi dagli strumenti musicali.
Più sentivo avvicinare quelle dolci armonie, che zittivano i canti sgradevoli delle civette e di altri uccelli notturni, più l’attenzione si concentrava sulle espressioni musicali che giudicavo gradevoli
.
Sia la fisarmonica sia la tromba erano gli strumenti che più degli altri mi affascinavano.
Mio padre conosceva le mie passioni e faceva di tutto per accontentarmi.
Comprò, infatti, a me e mio fratello una piccola fisarmonica (Ariston), a 48 bassi, che, nonostante le piccole dimensioni, riuscivo a sistemarmela a stento (dalle ginocchia fino al mento).
Più crescevo, più si moltiplicava la passione per la musica.
Nel febbraio del 1958 feci parte della scuola musicale (per lo studio della tromba) diretta dal maestro Vincenzo Cecere, ma, per la memoria storica, è giusto sottolineare che la mia vera <<carriera>> musicale è cominciata con il maestro Alfonso Verdolina, che teneva, all’entrata della sala musicale, un cane pastore tedesco che faceva paura, anche se era un esemplare mansueto.
Il maestro che più di tutti mi ha coinvolto, sviluppando ancor di più la passione per la musica, è stato Bingo Ivo. Bingo, maestro didatta e uomo, mi considerava alunno prediletto. Si affezionò a me al punto di non trascurarmi durante i periodi di vacanza.
Di lui conservo ancora un ottimo ricordo.

Negli anni 1967-1968 e nell’estate del 1969 ho fatto parte del complesso bandistico di Santo Stefano Calastra, diretto dal maestro Cecere.
Nel primo periodo degli anni ’60 a Mistretta cominciavano a formarsi dei gruppi musicali, più o meno validi. Anch’io ho fatto parte di un complesso strumentale dal nome <<Orchestra Brio>>.
La band era composta, oltre che dal sottoscritto (con la fisarmonica), da Pippo Di Salvo (chitarra), Peppino Mazzara (batteria), Lucio Scalone (sax contralto), Ninè Maniaci (sax contralto), Peppino Marchese (tromba).
A Mistretta gli strumentisti suonavano in acustico; non esistevano ancora gli amplificatori; i microfoni, le chitarre elettriche erano delle eccezioni. I suoni erano naturali, più gradevoli, ma l’evoluzione tecnologica bussava alle porte anche della nostra città. Le serenate erano frequenti; si suonava nei vicoli del centro storico con gli strumenti tradizionali; si facevano servizi nei matrimoni, nei battesimi e in varie altre occasioni.
Era l’anno 1968.
Nella bottega del signor Biagio Valenti consumavamo il tempo facendo musica accompagnando le canzoni che Biagio Ruggiero, con la sua bella voce, somigliante a quella di Claudio Villa, splendidamente cantava.
Le serate invernali passavano scherzando e raccontando fatti divertenti verificatisi nella nostra città. La musica faceva sempre parte dei nostri discorsi.
Io maturavo sempre di più il desiderio di comprare una nuova tromba: una mia tromba, e ne parlavo con gli amici.
Una mattina di primavera, don Biagio, come tutte le altre volte, preparava l’itinerario per Palermo con oculatezza, ma senza difficoltà. Spesso m’invitava a fargli compagnia, ma non sopportavo il caos della città. Avevo, però, deciso di comprare una nuova tromba, perché quella che suonavo era uno strumento che il signor Sebastiano Maniaci, gentilmente, mi consentiva di suonare. È stato questo il motivo per cui decisi, quella volta, di seguire don Biagio a Palermo.
Fu un’ esperienza unica, irripetibile.
Subito dopo si diresse spedito verso l’esercizio di strumenti musicali della ditta Sacco. Il signor Sacco mi presentò una tromba di mediocre qualità che don Biagio definì di “lannetta”.
Io non ero preparato per fare una grossa spesa, ma alla vista di una bellissima Selmer mi sentii travolgere da una gioia indescrivibile.
Don Biagio, intelligentissimo, resosi conto del mio entusiasmo, prese la tromba dicendomi: <<Provala!>>.
Preso in mano quel gioiello, che mi avrebbe veramente fatto felice, suonai poche note. Furono sufficienti per farmi capire che era uno strumento di ottima qualità.
L’amico don Biagio aggiunse la somma mancante, fino ad arrivare a 175.000 lire, che io restituii, dopo il primo spettacolo, eseguito a Lascari, con Donatella Moretti, cantante Rai. Con quel bene prezioso, emozionato, capii quanto importante per me fosse quel personaggio dalle spiccate capacità commerciali arricchite dalle straordinarie doti umane.
Totuccio Curreri, che ci aveva sentito suonare in un matrimonio all’albergo Sicilia, espresse il desiderio di far parte del nostro gruppo. Lo chiese con molta umiltà.
Don Biagio è stato fautore e sostenitore, con compiti manageriali, del gruppo musicale “The Riders” (successivamente i “Cavalieri”), diretto da Totuccio Curreri di Cefalù.
La nascita di questo complesso risale al 19 marzo del 1968, in occasione della festa di San Giuseppe. Dal 1968 al 1973 ho lasciato la banda per intraprendere una nuova esperienza con il gruppo musicale The Riders (successivamente “I Cavalieri”), capitanato da Totuccio Curreri. Nelle piazze suonavo, con la tromba, tutte le colonne sonore di Ennio Morricone, quelle che andavano per la maggiore. Per quanto detto, devo ringraziare lo straordinario musicista e amico Curreri che mi ha arricchito di valori musicali e mi ha fatto crescere nella più assoluta essenzialità.
Tornando alle bande, i maestri si susseguivano arricchendo noi di esperienza.
Uno dei tanti è stato il maestro Longo Giuseppe, seguito dal maestro Giovanni Testa, che mi segnalò alla Commissione di Vigilanza, cosicché il sindaco del tempo, Sebastiano Bartolotta, mi nominò capobanda, con la seguente motivazione: <<…vista la nota con la quale il direttore, professor Giovanni Testa, propone che l’incarico di capobanda venga affidato al bandista Lucio Vranca, che si distingue per serietà, per preparazione musicale e gode della stima di tutti i bandisti, nomino capobanda del complesso bandistico il signor Vranca Lucio>>.
Era  il 7.1.1974.
L’incarico di capobanda è durato appena un anno perché, nel 1976, sono stato costretto a trasferirmi a Finale per motivi di lavoro, ma non ho abbandonato la banda, anche se sono diventato anch’io, a malincuore, un emigrato come tanti mistrettesi.
Ero costretto a viaggiare per le prove, per i concerti e per le numerose feste, ma lo facevo volentieri per tenere vivo il rapporto d’amicizia che mi legava a tanti giovani come me.
Al maestro Testa successe il maestro Antonino Di Buono che, per esigenze d’organico, mi fece passare dalla tromba al flicornino.
Il gruppo delle serenate, nel frattempo, diventava più numeroso.
Entrò, infatti, Michele Accidenti con il clarinetto.
Nel 1981, a Finale, località dove vivo abitualmente con la mia famiglia, si è formata una piccola banda i cui allievi sono stati preparati dal maestro Giovanni Marchese.
Dopo qualche anno di studio, il complesso bandistico, diretto dallo stesso maestro, si è fatto apprezzare non solo dai sostenitori locali, ma anche da altri ascoltatori di realtà diverse.
Io, per esigenze d’organico, suonavo il flicornino (e qualche volta la tromba).
A Finale, nel 2002, si è costituita l’Associazione Culturale Bandistica ACM <<Apollonia>>, cui faccio parte sin dal 2003. L’accoglienza gratificante, che mi ha inorgoglito, ha fatto rinascere in me l’entusiasmo che avevo perso, ormai, da qualche anno. Nominato addetto stampa dal Consiglio Direttivo dell’Associazione, attualmente curo il sito web che ho realizzato nel gennaio 2006 e che potete visionare, collegandovi all’indirizzo web: www.acmapollonia.eu .
Ed il gruppo delle serenate? Troverete il seguito leggendo l’articolo che potrete aprire cliccando sulla pagina del mio sito http://www.vrancalucio.net/ <<ALLEGRA COMPAGNIA>>.

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Come scritto in precedenza, nel 1974 ho ricevuto l’incarico di capobanda e quello di formare il gruppo folkloristico. Un gruppo particolare, perché, come componenti del reparto strumentistico, c’erano suonatori che facevano parte del corpo bandistico. In seguito al mio trasferimento a Finale di Pollina (Palermo), avvenuto nel 1976, il ruolo di direttore artistico lo ha svolto Nino La Via il quale, quando ha preso l’incarico, si è presentato con una fascia dove c’era scritto <<Capogruppo>> e una frusta.
Nel 1980 a Finale si svolge, sin dal 1973, la Sagra dell’Ulivo.
Forte dell’esperienza maturata a Mistretta, mi sono adoperato e impegnato per onorare l’incarico che mi è stato dato dal presidente della Pro Loco, il professore Vincenzo Fertitta, per organizzare e preparare un gruppo folkloristico che doveva esibirsi per la IV edizione della Sagra (1980).
La terza esperienza è cominciata nel 1994, il giorno della sfilata di carnevale, dove un numeroso e improvvisato gruppo cantò, per la prima volta, <<Mistretta vecchia bedda>>. Una mia canzone che è diventata un piccolo inno.
Subito dopo sono stato contattato per dare una mano al gruppo <<Amastra>>, diretto dai signori Patrizia De Caro e Angelo Scolaro.
L’attività svolta con detto gruppo è stata eccellente proprio perché la caratteristica era quella di divulgare prevalentemente la cultura agreste e popolare di Mistretta.
Il gruppo strumentale era fantastico.
Ne facevano parte: Nino Ortoleva, Giuseppe Vranca, Totò Cuva, Mario Ortoleva, Carmelo Biffarella, Bettino Di Franco.
Sono stato invitato a scrivere diverse canzoni per le quali ho dovuto adoperarmi facendo, in un modo oculato, una ricerca sul campo e frequentando gli ambienti contadini.
Le canzoni, appresso elencate, sono state apprezzate sia dai ragazzi che componevano il gruppo sia dagli ascoltatori dove si facevano i concerti.
Questo è l’elenco di alcuni di quei brani: A spagghiata, l’umbrillaru, Fuocu d’amuri, Mistrretta mia, A-ttia luntanu
, W la Sagra di Finali, Diversi a Tusa, W i Ruggeri, Amastra, A festa ru ddappu (solo musica perché il testo è stato scritto da Mario De Caro).
Ho seguito la straordinaria compagnia, diretta da mio figlio Giuseppe, che suona musica popolare.
Due trombe insieme!

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Il gruppo <<Gli amici del canto popolare>> che, successivamente, prenderà il nome di <<I cantori di Dafni>>, rappresenta splendidamente il vero folklore siciliano costituito da canti ricercati che sono momenti di vita vissuta negli ambienti agresti e  racconti di esperienze sociali”.

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Giuseppe Vranca

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I cantori di Dafni. Giuseppe Vranca ha la sciarpa

Molto interessante è la dedica di Lucio al figlio Giuseppe nel libro dal titolo “ LA BANDA ieri, oggi…domani (L’istituzione amastratina) pubblicato dall’autore nel 2002.

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Numerosa è la produzione lettararia di Lucio.
Leggiamo insieme l’elenco  delle sue pubblicazioni, oltre a quelle due già citate:

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e le copertine dei libri:

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c piccola gerusalemme ok

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e un percorsod ecennale ok

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g III Sagra dell'ulivo ok

Come Lucio afferma: “ L’avanzare dell’età e qualche malanno hanno rallentato l’attività musicale, ma non hanno spento l’entusiasmo che è rimasto uguale”.
Lucia Vranca, oltre ad essere un valente musicista e uno scrittore appassionato, è un poeta molto espressivo e reale.
Leggiamo insieme queste poesie.

IL TEMPO

(Finale 1998)

Fatale il tempo

che sciupa la vita;

inutile la vita

che sciupa il tempo.

Successioni di eventi

a volte futili,

a volte ameni;

a volte vani;

a volte fecondi.

Così è la vita,

utile più del tempo,

se questo, prima,

non la cancella.

MISTRETTA VECCHIA  BEDDA

(1994)

Mi susu la matina,

m’affacciu a la finestra,

si senti l’aria fina,

l’oduri di ginestra.

 

La villa, comu u mari,

di sciuri è raccamata,

li Chiesi sunu rari,

biddizzi in quantità.

 

RIT.: MISTRETTA E’ VICCHIAREDDA,

ALLEGRA E SPIRITUSA;

GUARDATI QUANTU E’ BEDDA,

ARZILLA E TISA,TISA……….

 

SCIACQUATA E SURRIDENTI,

NA VERA RARITA’:

CU CANTA NUN VI MENTI

MISTRETTA E’ CHISTA CCA’.

 

Na notti ma sunnai

cchiù rumurusa e granni,

china di fumu, assai,

chi strati chini i danni.

 

Cu scantu ca mi vinni

mi misi a vuciari,

miegghiu fuirisinni

si fussi r’accussì…

“MISTRETTA VECCHIA BEDDA” è una poesia molto bella, un inno alla sua città, ma è ancora più bella se si ascolta musicata e cantata dall’Allegra Compagnia durante le serenate di quartiere.

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 Tanta gente è trascinata a percorrere le vie, le  viuzze e i vicoli di Mistretta accompagnata dal suono dell’Allegra Compagnia.

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Anch’io ho seguito l’Allegra Campagnia durante le serenate di quartiere quando sono stata a Mistretta durante le estati.
Carissimo Lucio, i miei complimenti e le mie congratulazioni sono di modesta entità di fronte alla tua autenticità espressiva e alle tue potenzialità.
In nome della nostra vecchia amicizia ti dico solamente”BRAVO”!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Apr 3, 2018 - Senza categoria    Comments Off on IL PALAZZO SPINNATO VEGA A MISTRETTA

IL PALAZZO SPINNATO VEGA A MISTRETTA

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Carissimo Stefano,
giungendo a Mistretta, percorrendo la statale di Santo Stefano di Camastra, sicuramente osservi alcuni beni architettonici della città: la piazza dei Vespri, la chiesa di San Giovanni Battista, il palazzo Mastrogivanni-Tasca, sede della biblioteca comunale e di un piccolo museo, la casa Manno-Mussolici, il palazzo Spinnato Vega.
Il Palazzo Spinnato Vega ha una posizione angolare. E’ collocato all’incrocio fra il Corso Umberto I, al numero civico 24, come prolungamento del vicino palazzo Catania, e la Via Vincenzo Salamone.

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La Via Vincenzo Salamone è la ex via Orto di Palme perché un grande orto di palme, incluso nel palazzo Catania, si estende per buona parte della strada e quasi ad incontrare il palazzo Spinnato Vega.

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Nel vecchio palmeto vegetano ancora la Trachycarpus fortunei, la Cordyline australis e tantissime erbacce.
Sopra le tegole del tetto di una casa del cortile  sporgono i rami secchi di un albero.

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L’edificio, la cui costruzione risale alla seconda metà del 1868, è a due livelli.
Notevole è il maestoso portale in pietra, decorato a rilievi floreali.  E’ quanto rimane della prima parte della costruzione.

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NEL VECCHIO BORGO

Nel vecchio borgo volo tra la gente
osservo il passeggiare e i monumenti
forse ho tristezza ricordo quei momenti
che anch’io tra lor vagavo indifferente.

Osservo adesso quel che non vedevo
i muri ed i ricami dei balconi
gli affreschi antichi e splendidi rosoni
mi vedo in carrozzella e anch’io piangevo.

E piango ancor per quello che ho lasciato
la gente mia e quel parlar sommesso
a volte anche l’urlo dei garzoni.

Luce rivedo tenue negli androni
a illuminare debole l’ingresso
della casa che un giorno ho abbandonato.

Salvatore Armando Santoro
(Boccheggiano 1.9.2019 – 11,11)

Superato il portone d’ingresso, la scala porta al piano superiore.

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Abbeliscono l’androne due appliques in metallo dorato.

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L’aggetto della cornice sostiene il sovrastante affaccio riccamente scolpito a motivi floreali.

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 Sulla chiave di volta è sicuramente raffigurato lo stemma di famiglia.

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In seguito  alla soprelevazione della sede stradale, il portale fu privato della sua scalinata.
Nel secondo livello si ammirano gli eleganti balconi arcuati, sorretti da robuste mensole e protetti dalle inferriate di ferro ricamate secondo lo stile antico.

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Le persiane dipinte di colore azzurro chiaro e i rosoni, che occupano la parte superiore di ogni porta-finestra, danno all’edificio l’aspetto degli oblò di una nave da crociera.

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I locali, posti sopra il rialzo della strada, ospitano la storica farmacia Spinnato Vega, fondata dal dott. Alfonso.

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Ricordo la signorilità, la gentilezza e la professionalità della farmacista, la dott.ssa Francesca Maria Spinnato Vega, che ha gestito la farmacia per tanti anni.
Attualmente la stessa  farmacia  è condotta dal figlio, il dott. Alessandro Cannata,

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 persona amabile alla quale si riconoscono: professionalità, disponibilità,  garbo,  gentilezza.

 

Mar 26, 2018 - Senza categoria    Comments Off on I MISTERI DEL VENERDI’ SANTO – IL CAMMINO PROCESSIONALE- LE CONFRATERNITE A MISTRETTA

I MISTERI DEL VENERDI’ SANTO – IL CAMMINO PROCESSIONALE- LE CONFRATERNITE A MISTRETTA

I MISTERI DEL VENERDI’ SANTO

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La fede cristiana esprime la propria religiosità materializzandola nei richiami concreti delle raffigurazioni di statue e di immagini di Cristi, di Madonne, di Santi.
Il rito della Passione e della Morte in croce del Cristo Gesù culmina nel cammino processionale dei Misteri il pomeriggio del Venerdì Santo.
La processione del venerdì santo nasce per annullare il movimento dei flagellati.
Nel 1603 un padre francescano, giunto a Mistretta, ha visto scene di flagellazioni un po’ cruente.
Ad essere flagellati erano anche i bambini.
I confrati si flagellavano.
Il francescano rimase talmente infastidito che da quel momento propose alla chiesa di eliminare il movimento dei flagellati sostituendolo con la processione delle varette.
Le varette, provenienti da altre chiese, si riuniscono davanti alla chiesa di San Giovanni da dove inizia il cammino processionale.
Le dieci “vare”, trasportate in processione secondo l’ordine dell’evento, sono:
Gesù nell’orto di Getsemani, statua proveniente dalla chiesa di San Sebastiano,

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 Il gruppo di Giuda, che ricorda l’abbraccio, proveniente dalla chiesa di San Nicola di Bari e recentemente restaurato dal pittore amastratino Sebastiano Caracozzo,

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  Cristo alla Colonna proveniente dalla chiesa di San Giovanni,

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 l’Ecce Homo provenente dalla chiesa di Santa Caterina d’Alessandria,

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 Cristo sotto la Croce proveniente dalla chiesa di San Giovanni,

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 Gesù Crocefisso con Maria e Maddalena, proveniente dalla chiesa di Monte Carmelo,

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 Gesù in Croce proveniente dalla chiesa delle Anime Purganti,

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  la Pietà proveniente dal santuario della Madonna della Luce,

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 il Cataletto proveniente dalla chiesa della SS.maTrinità,

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 l’Addolorata proveniente dalla chiesa del Rosario.

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 Ogni vara rappresenta un momento della Via Crucis.

RIUNIONE DELLE VARETTE NELLA PIAZZA DEI VESPRI A MISTRETTA

Il Venerdì Santo è un evento penitenziale e devozionale molto sentito dal popolo amastratino che partecipa con fede e con commozione al cammino processionale dei Misteri durante il quale le Vare simulano i momenti della Passione e della Morte di Cristo secondo la successione descritta nei vangeli. Il venerdì, in genere per tutto l’anno, è il giorno della crocifissione e della morte di Cristo Gesù, è tempo di dolore, di pianto. A tal proposito un proverbio mistrettese così recita: ” Cu ri venniri rriri ri sabbitu chjanci”, “Chi di venerdì ride di sabato piange”.
Io ricordo che ogni vara, durante il cammino processionale, era seguita dai cantori che intonavano il canto delle parti del Venerdì Santo, vere e proprie storie in versi poetici, chiamate “ i parti ra Santa Cruci, o i parti ru venniressantu”.
Sebastiano Lo Iacono nel suo libro “Ideologia e realtà nella letteratura popolare di Mistretta” scrive: ”I cantori che con voce e gestualità rianimano la rappresentazione di una drammatizzazione immobile e muta, diventano attori-protagonisti. Essi, in fase di doppiaggio, inseriscono un audio. La scelta dei cantori dietro una certa vara è determinata anche da particolari motivazioni devozionali. Oggigiorno, sopravvive solo un gruppo di cantori dietro la vara della Madonna Addolorata. Questa tradizione tende a scomparire sia perché i cantori-contadini sono ormai defunti sia perché il senso del cantare come preghiera è venuto meno”.
Pregare cantando dietro le vare è, come dice Sant’Agostino, “pregare due volte”.
Le varette, già alle prime ore del pomeriggio del venerdì santo, si dirigono disordinatamente verso la Piazza Dei Vespri, di fronte alla chiesa di San Giovanni, da dove inizierà il cammino processionale.

 

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LA PROCESSIONE DEI MISTERI DEL VENERDI’ SANTO A MISTRETTA

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Le varette, riunite nella Piazza Dei Vespri, di fronte alla chiesa di San Giovanni, intorno alle ore 19.00,  iniziano il cammino processionale.

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 Fa da capofila del cammino Gesù nell’orto di Getsemani

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 Seguono: il gruppo di Giuda,

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IL Cristo alla Colonna

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 l’Ecce Homo

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 Il Cristo sotto la Croce

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 Gesù Crocefisso con Maria e Maddalena,

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Gesù in Croce,

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 la Pietà,

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 il Cataletto,

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  Maria l’Addolorata,

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 Ogni vara rappresenta un momento della Via Crucis.
Accompagnano le varette il sac. Mons. Michele Placido Giordano, sorreggono il baldacchino i signori: Scarito, Treglia, i fratelli Porracciolo, Salamone.

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 Il corteo percorre il Corso Umberto I, imbocca la via Anna Salamone, attraversa tutta la via Libertà.

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Acompagnano i simulacri cantando i cantori.
Io ricordo mio padre Giovanni e i confrati della confraternita di San Nicolò che, dietro la varetta di Giuda, con la testa cinta dalla corona di spine realizzata con l’intreccio dei rami probabilmente della pianta di Gleditsia triacanthos, cantavano dietro la “vara di Giuda”:

Oh Santa Cruci, a-vvui viegnu a-vviriri;

 chjina ri sangu vi truavu allacata!

 Cu fue ss’uomu chi-vvinni a mmuriri?

Fui Ggesù Cristu c’appì na lanciata!


Jacqua addumanna, nu-nni potti aviri:

cci rettiru la sponsa ntussicata!

E ntussicata Maria -povira ronna!-

circannu a lu so figghiu a-ccorchi bbanna.

 

Nun lu circari, no, ch’è a la culonna

bbattutu cu na ranni  virdi canna!

Maria passa ri na strata nova

e a porta ru  furgiaru aperta era:

 

<<Oh, caru mastru, chi fai apiertu a st’ura?>>

<<Fazzu  na lancia e ttri ppuncenti chjova!>>

<<Oh caru mastru, tu pi-ccu l’a-ffari?>>.

<<L’a-ffari pi lu figghju ri Maria!>>

 

<<Oh caru mastru, nun li fari ora:

ri nuovi ti la paju la mastria!>>.

<<Oh, cara ronna, si-fforra pi-mmia,

cchju-lluonghi e-senza punta li farria!>>.

 

<<Oh, caru mastru tuttu mmalirittu

ca r’unni passi tu n-truovi rrisiettu!>>.

Maria passa ri na strata nova,

e a porto fallignami aperta era.

 

<<Oh,  caru mastru, chi-ffai apiertu a st’ura?>>.

<<Fazzu na cruci e na curune spini!>>.

<<Facitili cchju-llieggi chi-putiti

pirchì sunu carnuzzi ddilicati!>>

 

<<Oh, cara ronna, si-fforra pi-mmia,

tutti ri rossi e-sciuri li farria!>>.

<<Oh, caru mastru, tuttu bbinirittu

ca r’unni vai tu truovi rrisiettu!>>.

 

<<Sienti, sienti, Maria: to figghju passa

e-pporta na catina longa e ggrossa;

ri quant’è-llonga tuttu lu scuncassa,

ca purpi n-avi cchjui supra ri l’ossa!>>.

 

<<Chiamatimi a Ggiuanni ca lu uogghju.

 quantu m’ajuta a-cchianciri a-mme figghju!

La lampa ora muriu;canciati l’uogghju:

ora ca viu ch’è-mmuortu me figghju!

 

Ora ca viu ch’è-mmuortu me figghju,

ri niviru mi miettu lu cummuogghju!

Manciati carni o sabbitu, ca uogghiu:

 

vardatici  lu venniri a-mme figghju:

a-cu n-ci varda u venniri a-mme figghju

li carni si cci abbbrucinu cuom’ uogghju!>>.               

 

Oh, Santa Croce, voi vengo a trovare;

piena di sangue vi trovo allagata!

Chi fu quell’uomo che venne a morire?

Fu Gesù Cristo ch’ebbe un colpo di lancia!

Acqua domanda, non potè averne:

gli diedero la spugna intossicata!

E intossicata (è) Maria-povera donna!-

cerando suo figlio da qualche parte.

Non cercarlo, no, ch’è alla colonna,

percosso con una grande canna verde!

Maria passa da una strada nuova

e la porta del fabbro era aperta:

<<Oh, caro mastro, che fai aperto a quest’ora?>>

<<Faccio una lancia e tre pungenti chiodi!>>

<<Oh, caro mastro, per chi devi farli?>>

<<Devo farli per il figlio di Maria!>>

<<Oh, caro mastro, non li fare ora:

nuovamente te lo pago il tuo lavoro!>>

<<Oh, cara donna, se fosse per me,

più lunghi e senza punta li farei!>>

<<Oh, caro mastro tutto maledetto,

che dove passi tu non trovi pace!>>

Maria passa da una strada nuova

e la porta del falegname aperta era.

<<Oh, caro mastro, che fai aperto a quest’ora?>>

<<Faccio una croce e una corona di spine!>>

<< Fateli più leggeri che potete

perché sono carni delicate!>>

<<Oh, cara donna, se fosse per me,

tutte di rose e fiori le farei!>>

<<Oh, caro mastro tutto benedetto,

che dove vai tu trovi pace!>>

<< Senti, senti, Maria: tuo figlio passa

e porta una catena lunga e grossa;

di quant’è lunga tutto lo sconquassa,

tanto che non ha più carne sopra le ossa!>>

 << Chiamatimi Giovanni che lo voglio,

perché mi aiuti a piangere mio figlio!

La lampada s’è spenta; cambiate l’olio:

ora che vedo ch’è morto mio figlio!

Ora che vedo ch’è morto mio figlio,

di nero me lo metto il manto!

Mangiate carne il sabato, lo permetto:

ma rispettate il venerdì per mio figlio:

a chi non rispetta il venerdì a mio figlio

le carni gli si brucino come olio!>>

La commozione era ed è tanta!
Anche se i vecchi cantori, come mio padre, non ci sono più, la tradizione continua.
Il signor Indovino Orazio, (per gli amici Bettino), ed il signor La Ganga Filippo, (per molti anni superiore della vara di San Sebatiano), sono coloro che hanno trasmesso ai confrati della Confraternita di San Sebastiano l’importanza dei canti tradizionali del Venerdì Santo, canti che orgogliosamente da 15 anni ripetiamo con cadenza annuale.
Già dal 2003 è stata riportata in auge la Confraternita di San Sebastiano e i confrati cantano “i parti ra Cruci” sia in chiesa, prima della processione, sia durante il cammino processionale. Queste tradizioni non si devono perdere!
La quasi totalità dei confrati conosce a memoria le strofe. I nuovi confrati, ammessi da poco tempo, si aiutano leggendo il foglietto con le strofe che discretamente nascondono nella manica della tunica.
Le vare sono accompagnate anche dal suono della banda musicale

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e dal rumore de “ i truocculi”, particolari strumenti musicali che, facendoli girare a mano, producono un suono sgradevole, ma efficace.
Questa tradizione si conserva ancora!

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Quindi il corteo delle varette ritorna nuovamente in piazza Dei Vespri.
Dopo avere ascoltato l’omelia del sacerdote e avere ricevuto la benedizione eucaristica, la gente si allontana. Il corteo si scioglie e le varette ritornano ciascuna nella propria chiesa.
Finalmente la domenica successiva le campane suoneranno a festa perchè annunzieranno al mondo la gran nuova: Cristo è risorto! Auguri, Buona Pasqua!

LE CONFRATERNITE RELIGIOSE A MISTRETTA

 L’associazionismo religioso, espressione tipicamente cattolica, fu il primitivo “fenomeno” cristiano. Anche Mistretta, che vanta secoli di piena appartenenza alla Chiesa Cattolica, ha avuto innumerevoli testimonianze di esperienza associativa intra-ecclesiale.
L’esistenza a Mistretta di due conventi e di un monastero giustifica l’esperienza religiosa particolarmente sentita e praticata. Le associazioni di allora erano, perciò, istituzioni sorte nei conventi e in molte chiese di quartiere nelle quali gli obiettivi erano: l’attuazione di relazioni apostoliche, di assistenza spirituale e di mutuo soccorso. Questi motivi invogliavano le iscrizioni. Le associazioni si chiamano tuttora “Congregazioni” per il fatto che erano legate ad una determinata Chiesa o ad un Convento ed aventi le descritte finalità.
Le confraternite presenti nelle chiese di Mistretta un tempo erano tante, anzi ogni chiesa aveva la sua confraternita.
Purtroppo diverse confraternite oggi non esistono più. Da alcuni giovani volenterosi del quartiere è stata riattivata la confraternita di Santa Caterina.
Le confraternite, sorte come associazioni di laici cattolici, erano formate da persone appartenenti alla piccola e alla media borghesia: muratori, falegnami, massari, artigiani, commercianti. Sin dal 1400 ebbero una grande importanza nei comportamenti della comunità amastratina non solo di carattere religioso, ma anche di carattere socio-etico-politico.
Anche se espressioni di differenti culti devozionali, le confraternite erano tutte impegnate nel fare crescere nei confrati l’amore verso Dio e l’imitazione di Cristo Crocefisso: non solo solidarietà associativa, ma preghiere, opere buone “in vita e in Morte”. Le confraternite erano dirette da una persona chiamata “il superiore”. Le Confraternite partecipavano alle Sacre rappresentazioni ispirate alla Passione di Cristo, come avviene tuttora durante la processione dei Misteri del Venerdì Santo.
I Misteri sono un insieme di statue provenienti da molte chiese della città che sfilano per le vie principali di Mistretta accompagnate dalla spiritualità dei fedeli. Fino a qualche decennio fa i cantores, con i loro dai canti di lutto, facevano da cornice ad un rito secolare, suggestivo e pietoso. Le Confraternite accompagnano in processione anche altre santi.  Le Confraternite presenti a Mistretta erano: la confraternita di San Nicolò, della SS. Trinità, di Maria SS.ma del Monte Carmelo, di Maria SS.ma del Rosario, di Santa Caterina, di San Giovanni Battista, di San Sebastiano, del Purgatorio, di Santa Rosalia.

La Confraternita di San Sebastiano, dapprima intitolata a Sant’Agostino, perché la cappella era limitrofa al convento delle suore agostiniane, e con lo statuto ispirato alla regola agostiniana, nacque probabilmente nel sec. XVII.
Tra il’400 e il’600 a Mistretta la devozione a San Sebastiano aveva assunto proporzioni così popolari tanto da proclamarLo patrono della città, grazie all’insistente sollecitudine della confraternita, il 2 giugno 1775 quando la Chiesa Madre fu dedicata al Santo martire unitamente a Santa Lucia e a San Maurizio, secondo l’usanza di dedicare le grandi basiliche a tre diversi santi. Il sec. XIX fu il periodo d’oro della confraternita notevolmente impegnata nel culto di San Sebastiano, nell’attenzione per la Sua chiesa, nell’amministrazione di beni, nel mutuo sostegno ai confrati.

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Nel 1890 incaricò lo scultore amastratino Noè Marullo di realizzare la statua del Patrono, magnificamente integrata nel pregevole fercolo dei fratelli Li Volsi che ha superato i 400 anni d’età. La confraternita di San Sebastiano attualmente è formata da tanti giovani devoti che, con entusiasmo, coordinano il culto e la festa del Santo Patrono.
Recentemente, il comitato per i festeggiamenti di San Sebastiano e la confraternita hanno sostenuto la pubblicazione del volumetto dell’arch. Angelo Pettineo “Un capolavoro del manierismo siciliano: la vara di San Sebastiano a Mistretta”.
La confraternita è sottoposta a “Regole, Costituzioni ed Osservanze”. Partecipa, inoltre, a tutte le processioni delle feste locali impegnandosi particolarmente alla conduzione della varetta di Gesù nel Getsemani durante la processione dei Misteri del Venerdì Santo. La statua raffigura Gesù nell’orto di Getsemani, il giardino situato ai piedi del monte degli Ulivi. La confraternita non ha mai posseduto grandi patrimoni, pertanto è priva della cappella funeraria.

La Confraternita di Santa Caterina fu costituita nel secolo XIV. L’atto della fondazione non esiste più perchè tutti i documenti sono stati distrutti da un incendio sviluppatosi verso la fine del secolo XVII. Lo scopo della confraternita era quello di amministrare, per mezzo della deputazione, i beni e le rendite della chiesa e di mantenere vivo il sentimento morale e religioso tra i confrati.
Essa era amministrata da un Superiore e da otto Deputati che duravano in carica quattro anni. I confrati dovevano mantenere un contegno dignitoso sia in chiesa, sia fuori, sia durante le processioni e dovevano confessarsi almeno una volta al mese.
Chi trasgrediva tali norme e si assentava per tre volte consecutive dalle riunioni veniva cancellato dall’elenco dei confrati, questo avveniva anche se qualcuno osava bestemmiare contro Dio e contro i Santi. La divisa era formata da un camice bianco, da un’ampia mantella bianca orlata di rosso, da una visiera bianca.

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 Essa era indossata durante la processione del Venerdì Santo in segno di lutto. Lo statuto, approvato nella riunione del tre aprile del 1898 dai confrati, era composto da dodici capitoli che trattavano dei diritti e dei doveri di tutti i confrati. Don Calcedonio Bavisotto, allora cappellano della parrocchia, venne incontro alle esigenze della Confraternita che, in quell’epoca, contava circa cento fratelli. Il primo giugno del 1944, in seguito a molte riunioni, la Confraternita fu esentata da qualunque attività e l’amministrazione fu affidata ad una commissione composta dall’Arciprete monsignor Giuseppe Caputo, dal parroco Antonino Caputo e dal maresciallo Antonino Ortoleva.
Ciò fu deciso il 28 maggio del 1944 dal vescovo di Patti mons. Angelo Ficarra che aveva considerato caotica la situazione in cui la confraternita era venuta a trovarsi, nonostante la buona fede di moltissimi elementi. Da quel giorno la Confraternita non si convocò più e si sciolse. Dopo sessantasette anni, nel febbraio del 2011, un gruppo di fedeli e di giovani della parrocchia, coadiuvati dal parroco Giovanni Lapin, decisero di ricostituire la vecchia Confraternita con la stessa divisa e con gli stessi principi della vecchia Confraternita. Queste notizie sono state fornite dal segretario Fabrizio Marchese.

La Confraternita del Rosario è una Congregazione maschile avente come fine la diffusione della recita del Santo Rosario.
Sorse attorno alle attività dell’Ordine dei Predicatori, tradizionalmente diffusori della pratica del Rosario, tanto che San Domenico di Guzman, fondatore dell’Ordine, è sempre raffigurato nell’atto di ricevere dalle mani della Vergine la corona del Rosario.
La comunità dei Domenicani, fiorente a Mistretta già nel secolo XV, lasciò il Convento di Santa Maria dell’Alto, oggi la chiesa del Rosario, nel 1587, per eccessiva indigenza, come riferì lo storico ecclesiastico siciliano Rocco Pirro. Rimase la congregazione nei suoi due rami di cui quello maschile assunse ben presto carattere di confraternita col solo fine di culto e fedele alle sue funzioni di vita ascetica e di spiritualità eucaristico-mariana.

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La confraternita organizza la festa della Madonna del Rosario, che si glorifica il sette d’ottobre, e, dal secolo scorso, l’istituzione delle Quarantore.
La confraternita partecipa alla processione del Corpus Domini e a quella dei Misteri della Passione del Venerdì Santo con la statua dell’Addolorata. La Confraternita non ebbe la possibilità finanziaria di costruire una cappella funeraria al cimitero monumentale per la sepoltura dei Confrati.

La Confraternita del Purgatorio, probabilmente coetanea della Chiesa delle Anime Purganti, è stata istituita nel sec. XVII dai contadini, ma è stata cancellata nel 1946. Grazie all’impegno dell’arciprete mons. Michele Giordano e alla rivalutazione della Chiesa, la confraternita è ritornata in vita.

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Regolata da un preciso statuto, impone la preghiera di suffragio per tutti i defunti, dagli iscritti, ai familiari, ai benefattori. La confraternita, come simbolo, su una t-shirt nera porta una croce rossa quasi quadrata.

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In origine il suo ingente patrimonio comprendeva: terreni, case e rendite censuarie misteriosamente scomparso dall’ufficio del catasto dopo l’ultima guerra. La Confraternita partecipa alla processione del Corpus Domini, a quella dei Misteri della Passione del Venerdì Santo, trasportando la statua del Cristo sulla Croce, e a quella della processione della Madonna della Luce.

La Confraternita di Maria SS.ma del Monte Carmelo, meglio conosciuta come la Confraternita del Carmine, formata da artigiani e da operai, è associata alla chiesa di Maria SS.ma del Monte Carmelo e si regola tramite la stesura dello statuto. Ha la funzione di gestire principalmente la chiesa omonima e il suo patrimonio immobiliare, anticamente molto consistente e oggi molto impoverito, fonte di sostegno per la manutenzione della chiesa e per l’esercitazione del suo culto.

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La Confraternita organizza la festa della Madonna del Carmelo, che cade il 16 luglio di ogni anno. Fino a poco tempo fa la festa della Madonna del Carmelo era preceduta dalla processione dei “busci”, mazzi di spighe che incorniciavano il quadro della Madonna del Carmelo. Il popolo, portandoli in processione, simbolicamente ringraziava la Dea Cerere, molto venerata dal popolo amastratino, per l’abbondante raccolta del frumento. La confraternita partecipa alla processione del Corpus Domini e a quella dei Misteri del Venerdì Santo.
La confraternita del Carmine possiede la cappella funeraria al cimitero monumentale per la sepoltura dei confrati.

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Parallela alla confraternita maschile era l’Associazione della Madonna del Carmelo femminile, fondata dal sac. Filadelfio Longo nel 1962, e che aveva la stessa sede e le stesse finalità della confraternita maschile.

La confraternita della SS.ma Trinità, fondata nel 1711, ed i cui capitoli furono approvati nel 1734 dal Vescovo di Cefalù, associava esclusivamente “mastri”, i muratori. La confraternitaè ancora esistente e si riconosce per la croce bicolore, rossa e celeste, trinitaria che i confrati espongono sulla fascia bianca indossata di traverso sul petto.

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Il disegno trinitario ripete quello dell’Ordine dei Templari. Applicando il proprio statuto, la confraternita è responsabile della Chiesa omonima e cura anche gli interessi economici. La chiesa possedeva diversi ettari di terreno, edifici, chiesette rurali, colture d’ogni genere ed un vastissimo bosco. Le rendite di questo patrimonio dovevano servire all’assolvimento della principale finalità della Confraternita: l’affrancamento degli schiavi, secondo il carisma proprio dell’Ordine Trinitario. Io ricordo che la terza domenica di maggio, nella ricorrenza della festa della Madonna dei Miracoli, seguiva il cammino processionale un ragazzo moro in catene, simbolo della liberazione degli schiavi. Questa tradizione è stata sospesa tanti anni fa. Le confraternite della SS. trinità e di Maria SS. del Monte Carmelo erano collegate. Anche la tela dell’altare maggiore della Chiesa della SS.Trinità raffigura al centro un angelo seduto, che mostra la croce bicolore trinitaria sul petto, nell’atto di liberare due schiavi: un ragazzo bianco e un ragazzo nero. Incrociando le braccia, con ambo le mani, simbolo di fratellanza, stringe i due giovani liberati dalla schiavitù.

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Altro obiettivo era la solidarietà fra gli iscritti. La confraternita attuale, inoltre, promuove e gestisce la festa interna della SS. Trinità e la festa esterna di San Vincenzo di Saragozza, diacono e martire. Partecipa alla processione del Corpus Domini e a quella dei Misteri del Venerdì Santo. Alla fine del sec. XIX costruì la Cappella cimiteriale per la sepoltura dei Confrati.

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La confraternita di San Nicolò di Bari, la più antica in ordine di tempo, fu istituita, probabilmente, contemporaneamente alla costruzione della Chiesa nel secolo XIV. Organizzata secondo la stesura di uno statuto molto rudimentale, i suoi fini erano: l’elevazione religiosa dei confrati, il culto, la cura, la manutenzione, il decoro della Chiesa, il controllo del comportamento degli adepti, il rispetto delle leggi dell’organizzazione interna, abbastanza democratica per quei tempi, l’amministrazione delle terre. Anticamente la chiesa possedeva diversi terreni adibiti a pascolo degli animali e per questo motivo concessi in affitto ai pastori che pagavano una modesta somma annuale. Notevole era l’elargizione di elemosine a persone o a famiglie in stato di indigenza. La confraternita era gestita da un “governatore”, mio padre lo è stato per diversi anni ai tempi di padre Antonino Saitta e di don Filadelfio Longo, collaborato da due congiunti di man destra e di man sinistra, dal procuratore, che fungeva anche da cassiere, e dal segretario. Purtroppo la confraternita non esiste più; rimane, come testimonianza della sua realtà, solo il quadro esposto nella sacrestia della chiesa.

La confraternita di San Giovanni Battista, oggi estinta, recava simboli molto somiglianti a quelli della SS.maTrinità.
La croce, bianca o argentata, era posta su uno sfondo rosso esattamente come quella del cavalleresco Sovrano Ordine di Malta. Essa era associata alla rinascimentale chiesa di San Giovanni Battista, un tempo molto ricca e considerata la “succursale” della Chiesa Madre.
Il suo statuto è pressoché identico a quello delle altre confraternite e copia il modello molto in uso in Sicilia già dal’400 ispirato alla regola di Sant’ Agostino. La confraternita di San Giovanni partecipava alla processione dei Misteri del Venerdì Santo con le statue del Cristo alla colonna e di Gesù caduto sotto la croce.
Solennizzava anche le feste di San Giovanni Battista e di San Michele Arcangelo. La confraternita curava anche l’ordinato svolgimento di alcune funzioni religiose quali: la Candelora, le Palme, la Passione e la Prima Comunione perché la Chiesa di San Giovanni era utilizzata come stazione principale per le processioni liturgiche. La confraternita non costruì mai una propria cappella cimiteriale.

La Confraternita di Santa Rosalia sorse con l’affermarsi del culto della Patrona di Palermo, invocata specialmente contro la peste, le cui reliquie, per la prima volta, furono scoperte a Monte Pellegrino e venerate a Palermo nel 1624.
La Confraternita probabilmente nacque con la Chiesa che tutti chiamano di “Santa Rosa”, tra il 1680 e il 1705.
Ebbe finalità di culto e di mutuo soccorso pressoché simili alle altre confraternite, ma con l’obbligo di una particolare attenzione ai malati. Sciolta nei primi anni del 1900, fu ricostituita dopo il 1945, ma con scarsi risultati. I nuovi confrati avevano l’obiettivo di recuperare la “Chiusa di Santa Rosalia” e il feudo di “San Simone”, le cui rendite avevano garantito per oltre due secoli una dignitosa esistenza della Chiesa, della Confraternita e delle opere caritative connesse.

Il santuario della Madonna della Luce non ha una confraternita, ma un comitato molto unito nell’organizzazione della festa. Segno distintivo del comitato è una fascia azzurra con la M di Maria e dentro l’ellisse la Madonna fra i giganti.

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I membri del comitato, nonché dell’associazione “Amastra Fidelis”, indossano la fascia durante la processione dei Misteri del Venerdì Santo portando il loro Mistero della “Pietà” di Michelangelo, gruppo statuario recentemente restaurato.

 

Mar 21, 2018 - Senza categoria    Comments Off on OMAGGIO AL PROF. VINCENZO SCUDERI PER LA RAPPRESENTAZIONE DEL DIALOGO FRA MARIA E GESU’

OMAGGIO AL PROF. VINCENZO SCUDERI PER LA RAPPRESENTAZIONE DEL DIALOGO FRA MARIA E GESU’

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Sabato, 17 marzo 2018, il Santuario di Sant’Angelo, a Licata, retto dal can. don Angelo Pintacorona, è stato teatro di un importante avvenimento religioso.

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 E’ stato rappresentato il “Dialogo d’amore infinito tra Maria, madre, Vergine e Gesù in Croce” tratto dal libro del prof. Vincenzo Scuderi, edito da Youcanprint.

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La rappresentazione è avvenuta specificatamente nel periodo caratteristico in cui si promuovono i Riti della Quaresima.
La cerimonia è stata organizzata da CittadinanzaAttiva.
Ha introdotto l’evento la signora Maria Bernasconi, che ha ampiamente illustrato il significato della rappresentazione e la personalità sensibile e creativa dell’autore.
Hanno magistralmente interpretato la scena gli attori: la signora Maria Grazia Cimino, che ha dato la voce a Maria, e il giovane Salvo Cammarata, che ha dato la voce a Gesù in Croce.

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I signori Salvatore Licata ed Evelina Cantavenera hanno rappresentato l’Umanità.

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Da sx: Licata, Cimino, Scuderi, Bernasconi, Cammarata, Cantavenera

E’ la trscrizione di una parte del dialogo tratta dal libro “Dialogo d’amore infinito tra Maria, madre, Vergine e Gesù in Croce”, che si trova nelle più importanti librerie in linea:

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–       ” Guarda me figlio benedetto non le tue piaghe.

Non abbandonarmi.

Devi resistere.

Più che puoi.

Non chiudere gli occhi stanchi e stremati!

Lo devi fare per me che sono tua povera madre.

Ma che sto dicendo!

Come posso desiderare di prolungare l’agonia e la sofferenza di mio figlio?

È il mio egoismo di donna, di genitrice che parla.

Perdonami figlio adorato ma non so più quello che dico!

Come può una madre sopportare il dolore di un figlio sofferente, maltrattato, flagellato, pur incontaminato da ogni colpa!

Il cuore mio si è raggelato all’improvviso, come se la punta di una lama l’avesse trafitto ancora una volta senza che ne avessi capito il senso.

Non riesco ancora a capacitarmi la ferocia del mondo che si è accanita sul mio figlio adorato.

Eppure così deve essere.

So che il tuo perdono agli uomini è incondizionato eppure le atrocità subite mi sembrano furia inumana, indegna.

Chi mai al mondo potrà dire che ha subito un torto se tu, figliolo adorato che sei il giusto tra i giusti, ne hai sopportate troppe d’ingiustizie, senza mai accusare qualcuno.

Che strazio fu vederti quando iniziasti il tuo percorso in questo Calvario con questa pesante croce!

Che può fare una madre quando vede il proprio figlio martoriato e pure ingiustamente?

Deve forse gridare al mondo le ingiustizie?

Forse non deve disperarsi, avvilirsi?

Sono stata combattuta, momento per momento, trattenuta nell’urlare la tua innocenza e l’iniquità.

Ma il mio Signore mi ha dato la forza e il coraggio di resistere, soffrire nel mio profondo indescrivibile silenzio.

Sì figlio!

Dio Misericordioso mi ha illuminato, mi ha soccorso e mi concede la forza necessaria.

Mi ha fatto ricordare il giorno dell’annunciazione in cui lo Spirito di Dio, Colui che è “ Signore e da la vita”, si è incarnato in me.

Dissi subito il mio “Si”, pieno e assoluto.

 

–       Madre adesso sento la vita che mi sta abbandonando.

La morte della mia carne è vicina e mi strazia l’anima.

Non odo più la dolcezza della tua voce e mi sto perdendo.

Il buio sta annebbiando la mia vista; le forze non le sento e tutto di me e in me precipita come una valanga che va alla ricerca della vita e della salvezza dell’umanità.

Io adesso non avverto più nulla; solo un silenzio di morte è intorno al mio corpo raggelato.

Non è la mia voce che grida ma la carne che mi lascia.

Non è poggiata su di un letto di morte con la fragranza del lino pulito ma su questa croce gelida e di dolore.

Mio Padre dov’è?

Mi ha forse abbandonato.

Padre, Padre ascoltami adesso per pietà.

Non abbandonarmi nel silenzio che mi oscura l’anima.

Preparami subito, adesso, illumina la mia strada che mi condurrà verso Te tra le Tue amorevoli braccia.

Se non ti sento e non ti vedo; se non ti percepisco, come farò?

Padre mio eterno, anche tu avvicinati più che puoi al mio corpo che sente troppo freddo, il fremito della morte, il fardello, il peso impietoso della mia carne desiderosa soltanto di riposare.

Padre mio eterno, Fonte di gioia e salvezza, consolami subito, adesso, nell’ultimo istante di vita terrena.

Avvicinati, ti prego, e non tardare troppo a venire perché non resisto.

Non togliermi quest’ultimo desiderio.

Non farmi attendere troppo perché anche il tempo mi è diventato nemico e mi aumenta sempre di più l’ansia di vederti e abbracciarti.

Padre, Padre mio diletto e consolatore, dove sei?

Volgo lo sguardo da ogni parte ma vedo soltanto il cielo farsi nero come il colore del mio sangue oramai privo di vitalità.

“Abbà, Padre mio del cielo” dove ti nascondi?

Non ti sento.

Perché ti sei allontanato?

Forse per rendere ancora più penosa la mia crocifissione?

Vieni presto Padre mio!

Non vedi che se mi manchi non potrò più respirare, neanche sopportare questi ultimi istanti di vita.

Tutto posso accettare ma la tua assenza no, mai.

Vieni presto Abbà pietoso e misericordioso!

Non vuoi farti vedere che sei stato anche tu toccato, turbato, impietosito da questa mia penosa condizione?

Non piangere pure tu per me, te lo chiedo per pietà.

Fammi sentire il tuo abbraccio confortevole a questo mio petto perforato dalle piaghe.

Non basta la pietà della carne, della mia carne, mia madre benedetta, distrutta ai piedi di questa dura croce?

Pure tu ti disperi per queste mie atrocità.

Mi serve vedere il tuo volto di pace Padre mio, subito!

Se ti volti, non resisterò a lungo perché già sto per lasciare questa terra; ma tu nel frattempo illuminami col tuo volto consolatore.

Vieni, subito Abbà perché non resisto senza te.

“Dio Mio, Dio Mio, perché mi hai abbandonato?”.

Madre vedi, anche Lui, mio Padre mio non mi ascolta.

Mi ha rifiutato come un derelitto.

Chiamalo tu adesso perché io non ho più forza, neanche quella dell’anima stremata dal tormento.

Invocalo tu mio Padre perché tu sei la Benedetta in eterno”.

Nella Prefazione l’autore Vincenzo Scuderi scrive: <<Un desiderio>>

“Questo volume riassume nella parte centrale un dialogo immaginario tra Maria donna, vergine e suo figlio Gesù in Croce.
Non può essere che d’amore infinito quello di una madre che vede nella profonda sofferenza sino alla morte il suo unigenito.
È un colloquio intimo da me percepito con l’anima, fatto soprattutto di sguardi, gesti, cenni, espressioni del volto e degli occhi, spesso più eloquenti delle frasi dette e manifestate.
Ho sempre desiderato scrivere su Maria madre di Gesù.
Nei tempi andati, spesse volte, ho iniziato di buona lena, ma altrettante ho sospeso e messo da canto ogni idea, perché impreparato anche nel pormi come spettatore ideale tra due personaggi di così profondo valore spirituale cristiano.
Ho aspettato ancora tanto tempo prima di farlo.
Poi non ho voluto più attendereperché la mia condizione, quellapersonale, intima, rimaneva pressoché invariata, pur fortemente desiderosa di realizzare la mia aspirazione, anche se i proponimenti sono stati sempre di continua migliore rinascita interiore.
Ho così deciso di riprendere questo lavoro di ricerca, forse di cammino recondito, attraverso quest’ipotesi di dialogo fatto di silenzi eloquenti e sguardi amorosi, pietosi, espressivi.
Che la madre di Dio abbia compassione e accetti questa mia immeritevole idea di colloquio col suo amato figlio, proprio nel momento il cui il Cristo di Dio, l’Emanuele, si trovava sulla croce.
Lo consideri come semplice gesto di un essere immeritevole, impenitente, però ardentemente desideroso d’appartenergli totalmente, completamente, assolutamente.
Non so se questo libro potrà mai vedere la luce, se cioè possa essere ultimato, pubblicato, letto.
Intanto inizia così, in questo modo e in codesta maniera.
Vi sono ancora in me forti contrasti davanti alle pagine ancora bianche di questo libro che m’impediscono di proseguire; difficoltà enormi che combattono tra di loro comel’immaginazione, la realtà dei personaggi, e poi quella Storica.
Ancora di più, la mia modesta competenza, la conoscenza della Religione Cristiana e così via.
Eppure mi va di farlo.
Forse se riuscirò a diventare ancora più piccolo, umile, mite magari… potrò continuare… ad andare avanti con altre pagine.
Adesso non so se ci sarà e quale potrà essere il risultato.
Riuscirò in questo mio intento?
Lo vedremo magari assieme, passo dopo passo, con chi avrà la pazienza e la costanza di seguirmi in questo percorso ideale, pur tra personaggi storici meglio definiti nei Vangeli.
Non può considerarsi di certo un saggio dotto, né opera per esperti. Non potrà mai esserlo.
Può definirsi “semplice riflessione”.
Ricerca infinita dell’uomo comune, quello della strada, che sulla dottrina della Chiesa, del suo Catechismo, ha dedotto le sue pur semplici convinzioni/considerazioni mentalmente immaginando taluni tratti e fatti descritti nel Vangelo, cercando, possibilmente, di non discostarsi dal contenuto della Fede cristiana.
In ogni caso chiedo perdono principalmente a Lei, a Maria”.

La grande chiesa di Sant’Angelo, patrono della città di Licata, era gremita di gente che, in religioso silenzio, ha ascoltato il dialogo manifestando grande apprezzamento per la scelta del contenuto, in tema col periodo, e per la sublime rappresentazione dell’evento da parte degli attori, che attori non sono di professione, ma svolgono nella loro vita altre attività.

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Per questo motivo la loro rappresentazione è stata molto ammirata con espressa gratitudine con gli applausi molto calorosi.
Visibilmente commosso ma compiaciuto, era il prof. Vincenzo Scuderi che ha ricevuto i complimenti e gli abbracci affettuosi dei presenti.

Il prof. Vincenzo Scuderi, nato a Ramacca il 15/08/1946, risiede a Licata da molti anni dove ha svolto il suo lavoro di valido e apprezzato docente presso L’I.I.S.S. “Filippo Re Capriata”.  Inoltre, già dottore commercialista e revisore contabile, oggi si dedica ad altre attività godendosi la sua meritata pensione.

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E’autore di numerose opere letterarie conosciute in varie città della Sicilia, dell’Italia, dell’Europa e anche di terre straniere. La sua produzione comprende: romanzi, novelle, fiabe, filastrocche.
Ha pubblicato articoli su Riviste per professionisti di contenuto giuridico-contabile-fiscale. Amante dell’arte e della pittura, ha organizzato quattro mostre personali esponendo le sue preziose opere.
L’amico Vincenzo è una persona aperta, socievole, detentore di molti valori umani e sociali che io, personalmente, stimo molto.
Grazie Vincenzo!

Mar 16, 2018 - Senza categoria    Comments Off on L’ANNUNCIAZIONE DI MARIA E LA CHIESA DI SANTA MARIA ANNUNZIATA A MISTRETTA

L’ANNUNCIAZIONE DI MARIA E LA CHIESA DI SANTA MARIA ANNUNZIATA A MISTRETTA

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L’Annunciazione del Signore o della Beata VergineMaria è l’annuncio dell’arcangelo Gabriele del concepimento verginale e della nascita di Gesù, il Messia, che regnerà per sempre.
L’arcangelo Gabriele porta l’annuncio a Giuseppe, secondo il Vangelo di Matteo, e a Maria secondo il Vangelo di Luca.
Nel Vangelo secondo Matteo, nella “Nascita di Gesù” (1,18-25) è scritto: “Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto.
Mentre, però, stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore gli disse: <<Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.
Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: Egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati>>.
Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi”.
Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse, partorì un figlio, che egli chiamò Gesù”.
Gesù significa “Colui che salva, il Salvatore”.
Nel Vangelo secondo Luca, in “L’annuncio a Maria” (1,26-38) è scritto: “Nel sesto mese l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide chiamato Giuseppe.
La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei, disse: <<Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te>>.
A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto.
L’angelo le disse: <<Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine>>.
Allora Maria disse all’angelo: <<Come è possibile? Non conosco uomo>>.
Le rispose l’angelo: <<Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio>>.
Allora Maria disse: <<Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto>>.
E l’angelo partì da lei”.
Matteo scrive principalmente ai cristiani convertiti dal giudaismo perché, secondo la legge mosaica e secondo la loro tradizione culturale, lo stato di gravidanza di una promessa sposa, vergine, avrebbe potuto provocare nell’uomo del luogo reazioni negative.
Luca, invece, rivolge l’attenzione alle donne: a Maria, per il turbamento, per lo stupore, per la perplessa riflessione interiore e per la sua risposta all’annuncio dell’angelo Gabriele.
Maria disse il suo “Sì”.
Il “Si” di Maria, l’ancella del Signore, non è un sì di sottomissione o di rassegnazione. E’ un “Sì” di gioia.
E’ il desiderio di essere con Dio in un abbandono totale al Suo volere come ricorda il versetto della preghiera del Padre Nostro “sia fatta la tua volontà”.
Come il “Sì” di Maria Le ha permesso di generare Gesù nella carne, così il “Sì” di ogni credente deve condurre Gesù nella sua vita esistenziale.
La casa in cui avvenne l’Annunciazione era costruita in parte in muratura e in parte in una grotta scavata nella roccia nell’estremo limite meridionale dell’antico villaggio di Nazareth.
A quei tempi era consuetudine costruire case lungo i pendii delle colline o scavare nelle grotte  sfruttate come abitazioni.
Fin da allora i cristiani si impossessarono della grotta e vi realizzarono una piccola chiesa.

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La tradizione della Chiesa è concorde nel riconoscere nell’annuncio dell’angelo Gabriele a Maria, nella sua docile accoglienza, nel concepimento di Gesù nel suo grembo, l’inizio della storia dell’eterna “nuova ed eterna Alleanza” in quanto momento in cui “il Verbo si fece carne“.
Considerata l’importanza di quest’ annunzio, che si colloca al centro della storia della salvezza, cioè nella “pienezza del tempo”, la Vergine di Nazaret diviene l’Annunziata, appellativo accolto nella storia, nella fede.
È al momento dell’Annunciazione che si verifica l’unione ipostatica tra la natura umana e la natura divina in Gesù Cristo.
Il saluto e l’annuncio dell’arcangelo Gabriele: Ave gratia plena Dominus tecum benedicta tu in mulieribus” hanno dato origine all’Ave Maria, la preghiera tanto diffusa nel cristianesimo cattolico quanto lo stesso Paternostro.
L’Annunciazione è anche il primo dei 20 misteri che costituiscono la preghiera del santo Rosario nel quale sono meditati, attraverso la preghiera alla SS.ma Madre, i Misteri della vita di Gesù Cristo e della stessa Maria a iniziare, appunto, dall’Annunciazione.
L’Annunciazione costituisce anche la preghiera dell’Angelus, tradizionalmente recitata allo scoccare del mezzogiorno e ormai usata come preghiera dai Pontefici la domenica mattina in Piazza San Pietro a Roma preceduta da brevi meditazioni sui fatti di cronaca e di vita contemporanea.
L’Annunciazione del Signore è una delle principali feste mariane che la Chiesa ha inserito nel calendario liturgico.
La festa celebra l’annuncio dell’angelo a Maria, l’inizio dell’incarnazione, l’incontro tra il divino e l’umano, tra il tempo e l’eternità.
È Dio che sceglie, come Madre del proprio Figlio, una fanciulla ebrea, nata a Nazaret in Galilea. Nella liturgia odierna, l’incarnazione è definita il grande segno dato da Dio agli uomini e l’inizio del grande sacrificio, quello per cui Gesù dice al Padre: “Ecco, io vengo a fare la tua volontà”.
La solennità dell’Annunciazione si celebra il 25 marzo di ogni anno, esattamente nove mesi prima del Santo Natale in quanto la dottrina cristiana fa coincidere l’Annunciazione con il momento del concepimento di Gesù.
Se il 25 marzo coincide con una domenica di Quaresima o di altre solennità del tempo pasquale, questa solennità è spostata ad altra data.
Questo fatto fu favorito anche dalla coincidenza con importanti ciclicità astronomiche: infatti, se la collocazione del Natale fu volutamente fatta coincidere con il periodo solstizio d’inverno, l’Annunciazione viene così a cadere in quello dell’equinozio di primavera.
Nel 1972 il Messale di Paolo VI nomina la festa “Annunciazione del Signore” e ne dota la celebrazione di un ricco formulario.
Nell’esortazione apostolica “Marialis cultus” del 1974, la interpreta come “Festività di Cristo e insieme della Vergine”.
Nell’iconografia, l’Annunciazione è stato un tema molto trattato da tanti pittori che, per molti secoli e fino ai giorni nostri, continuano a rappresentarla.
Maria e l’angelo sono raffigurati rivolti l’una verso l’altro.
L’angelo è rappresentato ancora in volo o appena atterrato o in ginocchio davanti a Maria.
Giambattista Tiepolo rappresenta l’angelo in volo.

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Leonardo da Vinci lo dipinse con le ali piegate nell’atteggiamento di porgere a Maria il giglio bianco, simbolo di purezza verginale.

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Piero della Francesca pone l’angelo in ginocchio davanti a Maria che, in piedi davanti a lui,  tiene le mani incrociate sul petto sostenendo con la mano destra il libro.

C1  ok ok Piero della Fracesca  0-1470 circa, Galleria nazionale dell’Umbria, Perugia

L’iconografia ha espresso l’emotività di Maria, all’annuncio del’angelo, attraverso il gesto delle mani.
Michelangelo Merisi da Caravaggio rappresenta Maria seduta, con le mani sul petto e la testa abbassata, in segno di sottomissione e di obbedienza.

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Anche Filippo Lippi rappresenta Maria seduta, con le mani giunte e con la testa alzata.

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Il Tintoretto rappresenta Maria seduta, con le braccia allargate, in un moto di ritrosia e di sorpresa, colta all’improvviso dall’annuncio dell’angelo Gabriele.

Tintoretto, Annunciazione, sala terrena, Scuola di San Rocco, Ve

Le braccia, ripiegate sul petto, esprimono la sua obbedienza.
Guido Reni rappresenta Maria in ginocchio e con le mani giunte, in segno di accettazione.

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Il motivo delle braccia incrociate, in atteggiamento di preghiera, è rappresentato nell’Annunciazione di Giotto, opera esposta nella Cappella degli Scrovegli a Padova,

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nell’opera di Bernardo Daddi,

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e nelle raffigurazioni intensamente mistiche del Beato Angelico.

 

P   ok  ok Beato Angelico , ANNUNCIAZIONE (CHE SI TROVA IN UNA DELLE CELLE), AFFRESCO, SAN MARCO A FIRENZE

 Nell’Annunciazione, fra Sant’Ansano e Santa Massima, di Simone Martini, il “bastone viatorio” dell’angelo Gabriele è un ramoscello d’ulivo.

Q  ok  annunciazione Simone Martini, l’Annunciazione fra Sant’Ansano e Santa Massima, 1333.

  Scelgono il giglio come bastone viatorio Filippino Lippi,

H  ok ok  Filippino,_annunciazione LIPPI

 Sandro Botticelli,

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e Dante Gabriele Rossetti

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Talvolta l’angelo reca in mano una palma, come si vede in un pannello della Maestà di Duccio.

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Nell’Annunciazione di Henry Ossawa Tanner Maria è seduta sul letto della sua dimora, ricoperta da un pesante drappo, e con i piedi poggiati su un lungo tappeto.

X  ok  ok L'Annunciazione di Henry Ossawa Tanner 1898

 Antonello da Messina rappresenta la Vergine Annunziata con lo sguardo lontano e distratta dalla lettura del libro poggiato sul leggio.

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Un terzo elemento ricorrente, non sempre presente, è la presenza della colomba, che simboleggia l’arrivo dello Spirito Santo e quindi il concepimento di Gesù.
Nell’Annunciazione di Filippo Lippi il volo della colomba è diretto a Maria.

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 El Greco raffigura la colomba circondata da un intenso alone di luce gialla.

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 Molti sono stati gli istituti religiosi che ricordano l’Annunciazione: le Annunziate (o Annunziatine) di Lombardia organizzate a Pavia (1408), le Annunziatine celesti o turchine, fondate a Genova nel 1602 dalla beata Maria Vittoria Fornari.
In numismatica esisteva l’Annunziata, una moneta d’argento del valore di 14 soldi e la Nunziatina, una moneta più piccola, del valore di 7 soldi, entrambe coniate da Ferrante II Gonzaga, duca di Guastalla, morto nel 1630.
L’Ordine cavalleresco della casa di Savoia, istituito nel 1364 da Amedeo VI come Ordine del Collare, da Carlo III, nel 1518, fu denominato Ordine dell’Annunziata, insigne onorificenza riservata a personaggi di alta benemerenza. L’Ordine non è più riconosciuto dalla Repubblica Italiana.
Esprimo i miei auguri di Buon Onomastico a tutti coloro che portano il nome di: Annunziata, Nunziatina, Annunziato, Nunzio.

 

LA CHIESA DI SANTA MARIA ANNUNZIATA A MISTRETTA

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La chiesa dell’Annunziata è una piccola struttura edilizia sita nel quartiere antico nelle vicinanze della “Casazza”, nei pressi di Porta Palermo, edificata alla fine del ‘500. Sulla campana è incisa la data del 1593.
Grazie all’interessamento di Mons. arciprete Michele Giordano, la chiesa ha subìto importanti lavori di restauro ultimati nell’anno 2001 quando è stata riaperta al culto.

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Vista dall’esterno, la chiesetta ha l’aspetto di una casa rurale costruita con la pietra locale, ma si distingue per lo stemma posto nella nicchia sopra il portale d’ingresso, in ceramica raku, raffigurante l’annunciazione dell’Angelo a Maria.

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 L’opera è stata recentemente restaurata dall’artista Sebastiano Leta in sostituzione dell’originario gruppo marmoreo andato perduto.

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Un piccolo campanile, simile una canna fumaria, fa sentire raramente il suono della sua campana.

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Una doppia rampa di scale, protette da una ringhiera, permette l’accesso all’interno della chiesa a navata unica.

 

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Nel presbiterio l’altare marmoreo, degli inizi del XIX secolo, accoglie la pala che raffigura l’Annunciazione, con la Madonna fra gli angeli e con la colomba dello Spirito Santo. E’ un olio su tela, di ignoto autore, della seconda metà del XVIII sec.

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Sul lato destro dell’altare è collocato il lavabo in roccia arenaria, del 1652, opera d’ignoto scalpellino siciliano che ha inciso immagini figurative.

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10 okoavabo in pietra con incisioni FIGURATIVE DEL 1652

Lungo le pareti laterali altri quadri completano il modesto arredamento.
La Croce di Cristo è una statua in mistura, del XVIII-XIX secolo.

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 Il quadro di San Sebastiano è un olio su tela del XVIII secolo, proveniente dalla chiesa di San Sebastiano diroccata dopo il terremoto del 1967.

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La Croce di Cristo e San Sebastiano ricordano il martirio, la sofferenza, la morte.
L’olio su tela di San Giuseppe e il Bambino, del XIX secolo, proviene anch’esso dalla chiesa di San Sebastiano dopo il terremoto del 1967.

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I Bambini in braccio a San Giuseppe e alle Madonne rappresentano l’inizio, la vita.
Altre opero sono:
il quadro dell’Annunciazione

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  e quello che raffigura Santa Maria del perpetuo soccorso.

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 Coevo è il dipinto della Madonna col Bambino, quadro ad olio su tela, dell’artista Enzo Salanitro.

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L’epigrafe ricorda la commemorazione del privilegio concesso alla chiesa da Papa Leone XII nel 1827.

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 Il  25 giugno del 2017 l’altare esterno nella chiesa di Santa Maria Annunziata ha accolto il Corpus Domini.
Benedice mons. Michele Giordano.

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Mar 8, 2018 - Senza categoria    Comments Off on OMAGGIO A EMANUELA LOI, CLOTILDE TERRANOVA, ALINA CONDURACHE- INTITOLAZIONE DEI TRE VIALI NELLA VILLA “REGINA ELENA” A LICATA

OMAGGIO A EMANUELA LOI, CLOTILDE TERRANOVA, ALINA CONDURACHE- INTITOLAZIONE DEI TRE VIALI NELLA VILLA “REGINA ELENA” A LICATA

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Giovedì, 8 marzo 2018, giornata internazionale della DONNA, la villa comunale  “Regina Elena” di Licata è stata teatro di un’importante manifestazione: dell’intitolazione della piazza centrale e di tre viali a tre donne.
La cerimonia, con lo scopo di dedicare spazio alle donne, è stata organizzata dal Cif (Centro Italiano Femminile) e dal gruppo toponomastica  con il contributo del Comune.
La cerimonia è iniziata con la scopertura  della panchina rossa dedicata a tutte le DONNE vittime del femminicidio.

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La piazza centrale prenderà il nome: “Piazzetta 8 Marzo”.

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I tre viali della villa “Regina Elena” sono stati intitolati a tre donne: ad “Alina Condurache”, giovane ragazza rumena vittima di femminicidio, morta il 3 dicembre 2014, a “Emanuela Loi”, vittima della mafia nell’attentato al giudice Borsellino del 19 luglio 1992; a “Clotilde Terranova”, morta nell’incendio della fabbrica Triangle di NewYork del 25 marzo 1911.
Ciò affinchè  la loro storia non venga dimenticata!
L’on.Maria Grazia Brandara, commissario straordinario del comune di Licata, ha accolto favorevolmente la proposta della dott.ssa Ester Rizzo, referente dell’Associazione “TOPONOMASTICA FEMMINILE” per la Sicilia e per la provincia di Agrigento e della presidente del Cif , la signora Donatella Tealdo, di intitolare i viali a queste sventurate donne prematuramente decedute in giovane età in diverse circostanze.
Ha autorizzato l’uso dei viali all’interno della Villa Comunale “Regina Elena” per la deposizione delle targhe dedicate a queste tre donne con queste parole: “Con piacere ho accolto l’invito rivoltomi dalle due rappresentanti delle associazioni licatesi promotrici dell’iniziativa, in quanto degne di attenzione e di lode, anche in considerazione del fatto che i nomi proposti riguardano tre figure femminili, tutte morte in giovane età, a causa di modalità e circostanze diverse. Tre donne accomunate soltanto da una morte violenta: Emanuela Loi, servitore dello Stato, vittima della mafia; Clotilde Terranova, giovane emigrata licatese in America, vittima di un tragico incendio nel posto di lavoro; ed infine, Alina Condurache, vittima di femminicidio uccisa nelle campagne della vicina Palma di Montechiaro. Intitolare alcuni spazi in uno dei luoghi maggiormente frequentati della città, e dai giovani in particolare, ritengo sia una delle migliori forme di promozione di figure esemplari, per indurre a meditare sulla figura della donna, e su alcune problematiche dei nostri tempi, il senso del dovere, la tragedia del lavoro, il fenomeno del femminicidio. Tre temi di estrema attualità, nonostante si tratti di tre casi avvenuti in tempi diversi e distanti tra loro; tre argomenti che devono aiutare la crescita civile della comunità e, allo stesso tempo, indurci a riflettere su quella che è la realtà quotidiana in cui viviamo e operiamo”.
Ha portato i saluti la dott.ssa Ester Rizzo, presidente della toponomastica femminile, ed è interveuta l’on. Maria Grazia Brandara.

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la dott.ssa Ester Rizzo – l’On.le Maria Grazia Brandara

La dott.ssa Mariolina Di Salvo nel suo discorso ha detto:” Ringrazio l’on. Maria Grazia Brandara per la sensibilità dimostrata nell’avere accolto la nostra richiesta di intitolare un luogo di Licata all’8 Marzo. Ringrazio tutti gli uomini presenti, considerato che in questo tipo di manifestazioni sono presenti solo le donne. Invito tutti i genitori ad educare i figli alle pari opportunità e al rispetto, perché solo così possiamo sperare in una società più tollerante ed equa”.

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Mariolina Di Salvo

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Alina Condurache  nasce nel 1993 in Romania e la  sua nascita porta tanta gioia alla sua famiglia. A 7 anni frequenta la scuola con ottimi risultati per la sua intelligenza e per il suo impegno. A 16 anni in Romania frequenta un’ associazione chiamata “La Vita” dedicandosi al volontariato e aiutando gli altri. A 18 anni raggiunge la madre e il fratello in Italia, a Naro, in provincia di Agrigento, cominciando a lavorare in campagna. Avrebbe voluto frequentare l’Università e diventare una brava psicologa, perché conosceva già molte lingue straniere, ma il fidanzato non gliel’ha permesso.  Volendo interrompere il fidanzamento, fu colpita a morte dallo stesso fidanzato geloso. Muore il 3 dicembre del 2014, a soli vent’anni d’età,  presso l’ospedale di Licata dove era stata ricoverata.

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Emanuela Loi nacque a Cagliari il 9 ottobre 1967 ed era residente a Sestu in Sardegna. Dopo aver conseguito il diploma magistrale, nel 1989 entrò nella Polizia di Stato e frequentò il 119º corso presso la Scuola Allievi Agenti di Trieste. Trasferita a Palermo due anni dopo, Emanuela si stabilì presso il complesso delle Tre Torri in Viale del Fante dove abitano poliziotti e carabinieri. Le affidarono i piantonamenti a Villa Pajno, a casa dell’onorevole Sergio Mattarella, la scorta alla senatrice Pina Maisano Grassi e il piantonamento del boss Francesco Madonia. Nel giugno del 1992 fu affidata al magistrato Paolo Borsellino. Agente della scorta del magistrato Paolo Borsellino, cadde nell’adempimento del proprio dovere il 19 luglio 1992, vittima della Strage di via d’Amelio a Palermo. La sorella Claudia tiene vivo il ricordo di Emanuela nelle scuole e anche grazie all’associazione LIBERA contro le mafie.
Nella Medaglia d’oro al valor civile è scritto: «Preposta al servizio di scorta del giudice Paolo Borsellino, pur consapevole dei gravi rischi cui si esponeva a causa della recrudescenza degli attentati contro rappresentanti dell’ordine giudiziario e delle Forze di Polizia, assolveva il proprio compito con grande coraggio e assoluta dedizione al dovere. Barbaramente trucidata in un proditorio agguato di stampo mafioso, sacrificava la vita a difesa dello Stato e delle Istituzioni».

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Clotilde Terranova nacque a Licata il 27 settembre del 1897 da padre calzolaio e da madre casalinga. Il 17 dicembre del 1907 partì da Napoli, imbarcata sulla nave Madonna insieme al fratello Ignazio, per ricongiungersi alla sorella Rosa, già da tempo abitante a New York. Dopo un massacrante viaggio, Clotilde e Ignazio sbarcarono a Ellis Island. Clotilde trovò lavoro presso la Triangle Shirtwaist Company, una fabbrica  di camicie. Il 25 marzo del 1911 nella fabbrica scoppiò un incendio. Nel tentativo di scampare al fuoco Clotilde si butto giù dal 10° piano del palazzo. Perirono 129 persone fra cui 129 donne. Clotilde aveva 24 anni!

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Grande è stata la partecipazione della gente.
Sono intervenuti: il dirigente del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Licata, il dott. Marco Alletto,

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  un gruppo di associati in quiescenza dell’ ANPS di Licata e di Agrigento, in prima fila l’ispettore di polizia,la signora Annalisa Cianchetti,

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la dott.ssa Giovanna Incorvaia, capo dello staff del commissario straordinario on. Maria Grazia Brandara

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la commissione toponomastica  di Licata, CUSCA, FIDAPA, ROTARI, INNER, TAV, Ass.ne PRO GEMELLAGGIO  e diverse classi di alunni delle scuole di Licata.

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La pro.ssa Angela  Oliveri ha accompagnto gli alunni della classe 3° sez.E dell’Istituto Comprensivo “Giacomo Leopardi” plesso “Antonino Bonsignore“.

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Moltissimi sono stati gli amici che sono intervenuti alla cerimonia.
Tutti i presenti hanno dimostrato di essere sensibili al rispetto, alla protezione, all’amore di tutte le donne.

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Il fine principale dell’Associazione Toponomastica è contribuire, attraverso iniziative culturali e sociali, alla costruzione di una società più giusta, basata su modelli paritari. Le Toponomaste, inoltre, si attivano per coinvolgere ogni singolo territorio affinchè strade, piazze e vari luoghi urbani siano dedicati a donne che si sono distinte in vari ambiti.
L’Associazione Toponmastica  licatese, coordinata dalla dott.ssa Ester Rizzo, è composta dai membri: Sandra Bennici, Cettina Callea, Mariella Mulè, Graziella Di Prima, Giuseppina Incorvaia, Nicoletta Casano, Angela Oliveri, Caterina Russo, Daniela Curella, Donatella Meli, Enza Liguori, Alessandra Mareri, Fausta Bellavia, Mary Cannizzaro.
Le Ciffine sono: Donatella Tealdo Lydia, Torregrossa Caterina, Malfitano Sergio, Vincenti Giusy, Vassallo Giusy, Mariolina Di Salvo, Roberta Mazzone, Anna La Greca, Ina Todaro, Silvana LA Rocca, Francesca Perez.

 

https://www.youtube.com/watch?v=SKy95DDvQ3s&t=6s

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 BREVE DESCRIZIONE DELLA VILLA “REGINA ELENA” DI LICATA

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La villa comunale “Regina Elena” è un importante polmone verde che si trova nel cuore della città di Licata. S’incontra percorrendo per un lungo tratto il viale 24 Maggio.
E’ adiacente alla chiesa di Maria SS.ma della Carità e al monastero di Maria SS.ma  del Soccorso.
Si accede all’interno della villa dalla piazzetta Duomo superando il cancello principale, che anni fa la proteggeva dall’invadenza dei vandali durante le ore notturne.

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Il cancello è stato rimosso, come pure tutta la recinzione perimetrale, perché, secondo alcuni pareri di esperti amministratori comunali, la villa può essere usufruita in qualsiasi ora del giorno e della notte da chiunque.

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La vecchia recinzione

Questo provvedimento potrebbe essere accettato se ci fossero rispetto e tutela delle piante, degli spazi e dei beni comuni!

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Altri due accessi secondari, provvisti di cancelli, ma lasciati sempre aperti, permettono l’ingresso dentro la villa dalla via Nazario Sauro e dalla via Sotto Tenente Sapio. Liberamente e senza superere barriere, si può accedere dentro la villa dalla via Bastione Mangiacasale.
Nel libro del prof. Cesare Carbonelli “Breve Profilo Storico di Licata E Delle Sue Chiese”, nella nota (1) della pagina 54 si legge: ”La villa comunale sorse durante l’amministrazione del sindaco Pasquale Re, con progetto ed esecuzione dell’assessore ai lavori pubblici Giovanni Bosio, nel 1896, e nel 1900 assunse il nome di <<Villa Regina Elena>>.
Sappiamo che nel 1820 avvenne a Licata lo smantellamento di torri, bastioni, fortezze e mura; anche il bastione di Mangiacasale, verso il 1860, era completamente distrutto e, nel vasto spiazzo che andava di lì alla chiesa Madre, dove il mare andavasi allontanando, in quanto fino al 1790 lambiva la Madrice, si stava formando un vasto spazio che i cittadini adibivano a deposito di rifiuti di ogni genere. Fu allora che la onestissima amministrazione Re, con i suoi collaboratori, decise di mettere a dimora le grandi piante che adesso vediamo per dare alla cittadinanza la villa che una volta era assai funzionale, e che ora per mancanza di acqua e per la solita nostra incuria, si avvia a rovina, se non si ricorre a ripari idonei”.

Il prof. Calogero Carità sostiene che mura, porte, castello esistevano ancora dopo l’Unità d’Italia. Fu dopo il  1870 che le mura e i bastioni furono venduti a privati.
Comunque, la villa fu realizzata nel contesto dello sviluppo urbanistico della città agli inizi dell’800 allorchè si raggiunse una certa ricchezza economica quando era florido il commercio dello zolfo e del grano.
Oltre alla costruzione di palazzi nobiliari, di piazze, di strade emerse anche la necessità di realizzare una villa comunale, un giardino all’italiana che, seguendo lo schema e il gusto dell’epoca, comprendeva, oltre alle essenze vegetali, anche la presenza di viali, di aiuole, di statue, di un laghetto o fontana, di busti di divinità o personaggi locali. Per questo motivo la villa Regina Elena ha contribuito ad arricchire l’importante patrimonio storico- architettonico della città di Licata.
La villa si estende per circa 8023 m2, come si evince dai dati catastali.
La sua superficie comprende la piazza, le aiuole e i viali.

 

https://youtu.be/4imZr-Uq0FE

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Superato l’ingresso principale, ci accoglie il busto marmoreo dell’illustre Gaetano De Pasquali (Licata, 27 dicembre 1818 – Viareggio, 22 luglio 1902).  E’
stato un politico, poeta, giornalista, patriota, scrittore e magistrato e deputato dal 1867 al 1874 della Camera del Regno d’Italia nella X e XI legislatura.

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Raccontano la storia anche alcune lapidi e piccoli monumenti.

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LA LAPIDE VOLUTA DAL FASCISMO E FATTA MURARE SUL PROSPETTO DI TUTTI I PALAZZI MUNICIPALI D’ITALIA PER RICORDARE “LA GRAVE INGIUSTIZIA” SUBITA DA PARTE DELLA SOCIETA’ DELLE NAZIONI. LA LAPIDE, IN MARMO BIANCO DI CARRARA, SI TROVAVA SULLA FRONTE ORIENTALE DELL’OROLOGIO DEL PALAZZO DI CITTA’ DI LICATA E FU FATTA RIMUOVERE DAL MAGGIORE DELL’AMGOT FRANK TOSCANI, QUALCHE GIORNO DOPO LO SBARCO USA. TRASFERITA DAPPRIMA IN UN MAGAZZINO COMUNALE, OGGI SI TROVA COLLOCATA NELLA VILLA REGINA ELENA DI LICATA. LA SUA DIMENSIONE VARIAVA A SECONDA DELLA CLASSE DEL COMUNE. E’ RIMASTA AL SUO POSTO NELLA SEDE COMUNALE DI CANICATTI’ E DI PALAZZOLO ACREIDE.

Arredano la villa: una bella fontana,

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 e un tempietto nella cui aiuola gli alunni dell’Istituto Comprensivo Francesco Giorgio hanno piantato il loro orticello.

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La passeggiata ecologica di Maria Grazia Brandara e di Nella Seminara

Le vere protagoniste della villa sono, però, le numerose, pregiate e secolari essenze vegetali.
Sono presenti piante ad alto fusto, piante arbustive, piante annuali.

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Ne cito soltanto alcune:
l’Ailantus altissima, pianta molto invadente, l’Araucaria cookii, il Cedus libani, il Cercis siliquastrum (l’albero di Giuda), la Chamaerops humilis (la palma nana), il Citrus aurantium, il Cyperus alternifolium, il Cupressus sempervirens, l’Euphorbia arborescens, il Ficus macrophilla, il Ficus Magnoloides, le Phoenix canariensis sono state tutte divorate dal Rhynchophorus ferrugineus, il temibile Punteruolo rosso, la Phoenix dactylifera, la Robinia pseudoacacia, la Washingtonia filifera, l’Aloe arborescens, la Yucca elephantipes (per la forma del piede dell’elefante), il Cycas revoluta, la Strelizia reginae, la Lantana camara, il Laurus nobilis, l’Hibiscus rosa-sinensis, il Pittosporum tobira, l’Edera helix e tante altre essenze.

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Leggendo il giornale “La Vedetta” del mese di Dicembre del 2014 sono venuta a conoscenza che il Comune di Licata, allora diretto dal sindaco Angelo Biondi, inseguito a una dettagliata relazione redatta dal responsabile del servizio di gestione e di manutenzione del verde pubblico circa lo stato di sofferenza delle essenze presenti nella villa “Regina Elena” e la loro eventuale pericolosità, a causa di interventi di potatura sbagliati o a causa di invecchiamento dei rami e dei tronchi delle piante ad alto fusto che, abbattuti dall’acqua piovana e dal vento, avrebbero potuto attentare all’incolumità dei visitatori, aveva incaricato il prof. Pietro Pavone, docente presso il Dipartimento di Botanica all’Università degli Studi di Catania, di effettuare una “Consulenza scientifica per la gestione della Villa Regina Elena” di Licata.
Il prof. Pietro Pavone, collaborato dalla dott.ssa Rosanna Costa e dal dott. Fausto B.F:Ronsisvalle, dopo avere effettuato lo studio ambientale relativo al sito della villa Regina Elena, alle caratteristiche climatiche, alle condizioni geo-pedologiche del substrato di coltivazione, alla catalogazione dettagliata delle specie vegetali presenti nei vari settori, ha consegnato al committente Comune di Licata il lodevole e approfondito lavoro.
Ringrazio il prof. Pietro Pavone per avermi fatto dono del suo prezioso lavoro.

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Il professsore Pavone ha suggerito i metodi di coltivazione delle essenze vegetali della villa e le ipotesi per la possibilità di recupero del verde in cattivo stato. Ha dato i suoi suggerimenti per togliere o sostituire le piante ammalate o appassite, per scegliere le piante adatte all’ambiente licatese, per svolgere nel migliore dei modi le attività di manutenzione e le metodologie di restauro del giardino storico in modo da riportare la villa al suo originario splendore.
Riporto integralmente la descrizione sulla villa Regina Elena, sugli interventi di recupero, sulla manutenzione della villa e le conclusioni del prof. Pavone:

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Esattamente il 21 luglio del 2009 il Prof. Pietro Pavone, presso la prestigiosa Sala Consiliare del Palazzo di Città di Licata, ha presentato la sua preziosa “Consulenza scientifica per la gestione del Giardino Regina Elena” al nuovo sindaco Angelo Graci, al Presidente del Consiglio comunale, ai Consiglieri comunali componenti della commissione consiliare “Assetto del Territorio e Lavori Pubblici”. Ha ampiamente trattato il tema: “Ipotesi di riqualificazione villa comunale “Regina Elena”.
Quanti e quali preziosi consigli elargiti dal prof. Pietro Pavone sono stati adottati? Altrimenti la sua luminare consulenza sarebbe stata inutile!
La villa “Regina Elena” è il felice luogo di ritrovo per tanti bambini che desiderano giocare in un ambiente salubre; è il luogo di ritrovo per tante persone anziane che hanno bisogno di compagnia e di socializzazione;

 

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è il luogo di ritrovo per tanti studenti che vogliono ampliare le loro conoscenze scientifiche; è il luogo dove si sono esibiti e potrebbero esibirsi i gruppi folk e le bande musicali di Licata e non solo ( come è già avvenuto in passato), è il luogo di ritrovo per tutti noi che amiamo la Natura e Licata.
Il mio auspicio è quello di stimolare i responsabili a prestare maggiore attenzione alla cura e alla manutenzione della villa. Che le aiuole siano pulite e libere dalle erbacce. Che i tronchi degli alberi siano spogli dalle impronte delle foglie morte e dei rami secchi.

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Che i fiori sbocciati possano portare allegria!
Certamente non è gradevole l’aspetto delle tante piccole piantine di Melograno, poste nelle aiuole perimetrali, tutte in stato di sofferenza o appassite!

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Mi piange il cuore a vedere questi alberelli così mortificati.
Sono una naturalista!
E’ bella da ammirare l’aiuola rallegrata dai fiorellini azzurri delle piante di Rosmarinus officinalis!

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Propongo che vengano sostituite le piante di Melograno con quelle del Buxus sempervirens, pianta molto utilizzata per creare bordure nei viali e attorno alle aiuole nei giardini all’italiana. E’ una pianta rustica, molto resistente e si presta alla potatura secondo l’ars topiaria.
Martedì, 20 dicembre 2011 nella villa comunale “Regina Elena” si è proceduto alla piantumazione dell’”Albero della Legalità”. La manifestazione è stata inserita nell’ambito delle iniziative avviate dal Consorzio Agrigentino per la “Legalità e lo Sviluppo” ,del quale il Comune di Licata è parte integrante unitamente ad altri sei comuni della provincia. Il titolo era: “7 alberi per 7 comuni: la legalità mette radici”.
Alla cerimonia hanno partecipato: i componenti del direttivo del consorzio, presieduto dall’On.le Mariagrazia Brandara, gli alunni degli istituti scolastici di Licata, che hanno aderito al progetto, e le autorità civili, militari e religiose.

Mar 4, 2018 - Senza categoria    Comments Off on IL PALAZZO DI DON SEBASTIANO GIACONIA A MISTRETTA

IL PALAZZO DI DON SEBASTIANO GIACONIA A MISTRETTA

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Carissimo Stefano,
oggi ti accompagno a visitare un altro palazzo allontanadoci un pò dalla via Libertà.
Infatti, continuando la descrizione dell’architettura di Mistretta un altro signorile palazzo merita di essere esposto.
E’ il palazzo don Sebastiano Giaconia!
Il Palazzo di don Sebastiano Giaconia, edificato nel 1771, è ubicato sopra Porta Palermo e vi si accede: dalla via Numea, salendo una lunga scala di pietra nella strada Concordia, dalla Piazza Unità d’Italia proseguendo per la Via Di Bernardo Amato, ex via Pozzo Grande, dalla parte posteriore del santuario della Madonna dei Miracoli.

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I membri della famiglia Giaconia, facoltosi proprietari terrieri nel territorio di Mistretta, possessori anche di un rilevante reddito economico e un notevole prestigio sociale, dall’Amministrazione civica amastratina ottennero la licenza edilizia di potere edificare il loro palazzo quasi sopra le antiche mura della città con l’impegno, però, di rafforzare i piloni di Porta Palermo.
La storia della famiglia Giaconia è raccontata dall’amico Paolo Giaconia e dalla signora Olga Ferrero, autrice del libro “ Analisi di una famiglia nobile borghese I Giaconia” , che ringrazio per avermi fornito queste interessanti notizie sulla famiglia Giaconia.

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Al tempo del re delle due Sicilie Carlo III di Borbone, (il re nasone), viveva a Mistretta una famiglia Giaconia rappresentata da tre fratelli:

  1. Sebastiano
  2. Paolo
  3. Antonino

Sebastiano  gestiva il patrimonio terriero comune essendo subentrato alla prematura scomparso del padre e forse anche della madre.
Paolo intraprese la carriera di magistrato. Fu giudice e Presidente delle Corti Criminali e civili di Mistretta dal 1771 al 1777.
Antonino scelse di vestire l’abito talare e, intorno al 1770, fu arciprete di Mistretta e parroco della chiesa di Santa Lucia. Si adoperò sempre nell’interesse dei suoi concittadini che gli dimostrarono palesemente il loro affetto. Alla sua morte la cittadinanza amastratina volle ricordarlo con una lapide marmorea ancora visibile sulla facciata della Chiesa Madre .

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Quando Sebastiano pensò di convolare a nozze,  non volendo rinunciare alla convivenza con i fratelli, decise, in accordo con i congiunti, di ampliare l’immobile dove dimoravano inglobandolo in un palazzo gentilizio più comodo e più ampio.
Nel decennio successivo scomparvero Paolo e Sebastiano ma, mentre Paolo morì celibe, Sebastiano lasciò il figlio Giovanni  affidandolo alla tutela del fratello prelato Antonino.
Giovanni, unico erede dei tre fratelli, intraprese la carriera militare ed ufficiale delle guardie regie.  Fu, per qualche anno, a al servizio S. M. Ferdinando III e della regina Maria Carolina d’Austria. Era  il 1785-1788.

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Giovanni giovane

Giovanni, già colonnello della Guardia Regia, intorno al 1790 fu inviato in Sicilia a capo di un reggimento per arginare le frequenti incursioni di pirati saraceni sulla costa settentrionale dell’isola. In funzione dei successi riportati ottenne il titolo di barone. Alla fine della sua carriera, intorno al 1807, dopo essersi sposato con la signora Anna Volpe di Palermo, ritornò a Mistretta per curare i suoi interessi.
Don Giovanni ebbe un solo figlio maschio, che chiamò Giuseppe Leopoldo. Giuseppe Leopoldo visse a Mistretta, nell’attuale palazzo Sebastiano Giaconia, ampliandolo ulteriormente ed adeguandolo allo stile e al gusto del tempo, ed a Palermo dove possedeva un palazzo gentilizio della metà del ‘700.

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Giuseppe Leopoldo

Amministrò il suo patrimonio e, nel 1842, sposò la Duchessa di Villarosa Giuseppina Notarbartolo Lucchesi-Palli, figlia del duca don Pietro e di donna Costanza Moncada dei principi di Paternò.
Il matrimonio permise a Giuseppe Leopoldo di fare parte di una delle famiglie più prestigiose e numerose dell’isola.
La signora Giuseppina morì di parto a Mistretta, anzi più precisamente in località Colonna, vicino a Santo Stefano di Camastra, a soli 30 anni d’età, lasciando Giuseppe Leopoldo vedovo e padre di tre figli: Costanza, Giovanni, Francesca.
Successivamente Giuseppe Leopoldo si risposò con la signora Anna (fose) Di Maio di Palermo con cui ebbe altri cinque figli: Clementina, Ferdinando, Carolina, Paolina,Carlo.
Giuseppe Leopoldo morì a Mistretta, in quel palazzo, quando lasciando i figli i figli in tenera età.

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Di essi sappiamo che:

–          Costanza rimase nubile e visse sempre a Mistretta (i fratelli Paolo e Giuseppe Giaconia, chiamavano una delle tante stanze di quel palazzo la “stanza di zia-Costanza” forse perché non usciva quasi mai dalla . . . sua stanza.

–          Giovanni ereditò il titolo di barone e, una volta ammogliato, lasciò il palazzo ai fratelli in quanto la consorte, la signora Serafina Giaconia, possedeva altri palazzi a Mistretta. Fu un personaggio che attirò giudizi contrastanti, un coacervo di pregi e difetti. Già anziano, si fece costruire un palazzo in prossimità della piazza, che successivamente fece soprelevare per ospitare la figlia Rosa che, nel mentre, aveva sposato l’avvocato Sebastiano Passarello.

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orì a Mistretta. L’unica sua volontà testamentaria fu quella di non essere sepolto nella cappella gentilizia della famiglia, dove la solitudine lo avrebbe angosciato anche post mortem, bensì tra i soci della società operaia, dove contava di possedere molti amici fraterni.

–          Francesca, chiamata Checchina, dimorò in quel palazzo fino a quando sposò il conte Lucio Tasca e si trasferì a Palermo.

–          Clementina visse in quel palazzo fino a quando sposò Cesare Di Maio, un congiunto della madre, e si trasferì a Palermo.

–           Ferdinando rimase a Mistretta e dimorò nel Palazzo insieme alla moglie Marianna Lo Iacono. In vecchiaia lasciò che vi abitasse la figlia Anna, ritirandosi in un’altra sua abitazione nella vicina piazza di San Vincenzo.

–          Carlo visse a Mistretta fino a quando la moglie, di origine toscana, la signora Adelina Dal Co insegnò nel liceo di Mistretta, poi si trasferì a Palermo. Ritornò in vecchiaia a Mistretta quando era già vedovo per stare vicino all’unico figlio, Giuseppe Giaconia, che era stato nominato giudice del tribunale di Nicosia. Ma, essendosi in precedenza disfatto della dimora amastratina, visse gli ultimi anni della sua vita in località Colonna, dove ristrutturò la sua antica dimora.

–          Carolina sposò Lucio Lipari di Mistretta.

–          Paolina sposò Paolo Natoli e visse tra Mistretta, a Mirto e a Gioiosa Marea.

L’immobile rimase quindi abitato e posseduto da:

–          Giovanni, che lo cedette al figlio secondogenito Michele.

–          Clementina, che lo cedette alla figlia Giuseppina.

–          Ferdinando, che lo cedette alla figlia Anna, chiamata Annetta.

–          Carlo, che vendette la sua parte di proprietà del palazzo.

Dall’unione dei primi due: Michele (Giaconia-Giaconia) e Giuseppina (Di Maio-Giaconia)

avvenne la prima riunificazione del palazzo ( 2 parti su 3).

Una successiva unione tra il figlio di Michele e la figlia di Annetta, la signora Franca Ansà, consentì la riunificazione del possesso dell’immobile.

Il palazzo Sebastiano Giaconia, che si estende per una lunghezza lineare di circa 30 metri,  era una delle più grandi dimore signorili di Mistretta.
E’costruito su due livelli.
Al primo piano si aprono due portoni d’ingresso e alcune porta-finestre laterali.

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Dal portone N° 7 si accede all’appartamento della signora Annetta, la mamma della signora Franca Ansà – Giaconia e, attualmente, abitato dalla famiglia del notaio Tamburello.

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Dal portone N° 5 si accede all’appartamento della signora Marisa Parlato, nipote della signora Franca, perché figlia della sorella, che ha adottato quando la sua mamma è deceduta prematuramente durante il parto.
Sulla sinistra, da un piccolo giardino si accede all’appartamento della signora Franca Ansà –  Giaconia. Accanto c’è la dependance della servitù.

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E’ la dependance della servitù.

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Confinante con la signora Tamburello, un vano sotto l’arco, in via Porta Palermo, è di proprietà dall’amica Maria Cannata.
I  suoi cinque balconi si affacciano sulla via Numea, sul largo Concordia e in via Porta Palermo.
Sono sue le parole: “La mia amata abitazione quando sono a Mistretta. Mio nonno, nel ’29, data la frammentazione dell’edificio, ne comprò una piccola parte ed è lì che sono nata”!
La signora Maria Cannata gentilmente mi ha mostrato le vele del suo salone e il camino.
Publio Ovidio Nasone, noto anche semplicemente come Ovidio, è stato un poeta romano tra i maggiori elegiaci.

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Marco Tullio Cicerone è stato un avvocato, politico, scrittore, oratore e filosofo romano.

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Un’altra vela, che raffigura Dante Alighieri,  è molto danneggiata.
Attorno al camino si riunivano le famiglie per riscaldarsi  e per combattere l’intenso freddo invernale.

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 Complimenti, Maria, per l’affetto che dimostri verso la tua casa e soprattutto verso Mistretta.
Il piano nobile del palazzo è al secondo piano. E’ arricchito da balconi con mostre in arenaria e ringhiere di ferro lavorato e preziose mensole in pietra dove sono scolpiti diversi elementi fogliari e figure antropomorfe.

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I fregi e le mensole

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Il fronte principale era decorato da una bella finitura dipinta a losanghe e cimasa a foglie d’acanto.

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Il loggiato, sopra il tetto, probabilmente è stato costruito successivamente.

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Sul prospetto che si affaccia sulla Via Numea, stretto dall’ordine dei cantonali, sporge la lunga balconata sorretta da mensole di gusto rococò.

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Le porte, che separano gli spazi interni, rivestite di oro zecchino, raffigurano uccelli, piccoli mammiferi e corone di fiori.

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Alla fine dell’800 una parte dell’ala orientale fu riedificata con tratti liberty per espressa volontà della famiglia Giaconia.

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