Jun 19, 2017 - Senza categoria    Comments Off on PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI POESIE “Ri ranni uògghiu fari u picciriddu” “ Intra nni mia si pallava u sicilianu” DEL POETA GAETANO SPINNATO

PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI POESIE “Ri ranni uògghiu fari u picciriddu” “ Intra nni mia si pallava u sicilianu” DEL POETA GAETANO SPINNATO

Per gli innumerevoli eventi culturali che si verificano a Mistretta quasi tutto l’anno, luoghi confortevoli e disponibili sono: il palazzo della cultura Mastrogiovanni-Tasca, anche sede della biblioteca comunale, il Circolo Unione, la Società Fra i Militari in Congedo di Mutuo Soccorso, la Società Agricola, la Società Operaia, il Liceo Classico “Alessandro Manzoni”.
Giovedì, 1 Giugno 2017, presso la sede del Liceo Classico “Alessandro Manzoni” di Mistretta, nella prestigiosa Aula seminariale intitolata alla prof.ssa “Graziella Idolo”, è stato presentato il libro di poesie “Ri ranni uògghiu fari u picciriddu” “ Intra nni mia si pallava u sicilianu”. Edito da Youcanprint.
Autore è il poeta e scrittore dialettale amastratino Gaetano Spinnato
Gaetano Spinato ha già pubblicato un libretto di racconti dal titolo “ L’odore del tempo”, una raccolta di proverbi in uso a Mistretta dal titolo “A mièrcu cunfusu”, il  libro di poesie in lingua italiana dal titolo “Il vento tra i papaveri”.
Ri ranni uògghiu fari u picciriddu” “ Intra nni mia si pallava u sicilianu” costituisce la sua prima raccolta scritta in dialetto siciliano.

 0 ok

Gaetano ad un anno d’età

CLICCA QUI

L’evento è stato organizzato dall’Associazione Kermesse d’Arte in sinergia con la Presidenza dell’I.I.S “Alessandro Manzoni“e con  il Centro Culturale Big Bang Materoma.
Sono intervenuti: la prof.ssa Antonietta Amoroso, dirigente Scolastico, il Prof. Sebastiano Lo Iacono, relatore,  il sig. Dino Porrazzo, presidente dell’Associazione Kermesse d’Arte, Gaetano Spinnato, il poeta.

1 ok

Ha introdotto i lavori  la prof.ssa Antonietta Amoroso, che ha ringraziato il Presidente dell’Associazione Kermesse d’Arte, il signor Dino Porrazzo, che ha anche coordinato i lavori, per avere scelto la sede del Liceo Classico “Alessandro Manzoni” per questo importante evento qual è per la presentazione del libro di Gaetano.

2 ok

Da sx: Sebastiano Lo Iacono, Gaetano Spinnato, Antonietta Amoroso, Dino Porrazzo

Il vicesindaco e assessore alla cultura, avv. Vincenzo Oieni, dopo aver portato i saluti del sindaco, avv Liborio Porracciolo e dell’Amministrazione Comunale, nel suo intervento ha messo in luce il valore del dialetto siciliano nella nostra tradizione popolare, ha incoraggiato i giovani, soprattutto gli studenti, a non dimenticare la nostra sicilianità arricchendo la lingua di antichi vocaboli attraverso la lettura del testo  del poeta e scrittore Gaetano Spinnato.
Gaetano Spinnato è nato a Mistretta, dove vive e lavora svolgendo scrupolosamente il suo lavoro di infermiere professionale nell’Ospedale “SS.mo Salvatore”.

 2a ok

Appassionato di cultura e tradizioni popolari, Gaetano scrive racconti e poesie in lingua italiana e in dialetto siciliano.
Ampia relazione sulla poesia e, in particolare sulla poesia di Gaetano Spinnato, è stata esposta dal prof. Sebastiano Lo Iacono nella sua presentazione al libro e integralmente trascritta.
Il dialetto che si fa carne  in cammino verso il centro del Sé:
Gaetano Spinnato sente la sua-propria lingua-dialetto primaria prima che dialetto e lingua diventino suono/phoné, grafia/grafema, scrittura. C’è una lingua-dialetto prima della lingua dialetto che chiamerei pre-lingua: quella in cui si nasce, in illo tempore, e che risale al tempo del mito, dell’infanzia e delle radici materne-paterne. Questo tempo astorico, fuori dalla storia, è ancora tempo attuale-esistenziale; sicché quell’illo tempore è ancora il tempo di qui e di ora: il tempo dell’hic et nunc, dove l’esserci è esserci ancora.  Il mito, difatti, è il semprepresente.
Le poesie, e alcuni racconti di Spinnato che precedono questa raccolta di versi in dialetto siciliano di Mistretta, e aldilà della occasione, di cui mi ha onorato e gratificato, di farne una presentazione, suscitano la sensazione e la convinzione seguenti: quelle di una lingua primaria prima della lingua, nonché quella dell’esistenza di un linguaggio antecedente a ogni formalizzazione-codificazione del linguaggio che ci parla e che si parla o si scrive prima che ogni parola diventi suono e poi scrittura.
Stessa impressione estetica suscitava la collezione di antiche parole, modi di dire e proverbi della cultura famigliare, contadina e popolare che lo stesso Spinnato pubblicò, qualche tempo fa, intitolandola “A mièrcu cunfusu”.
Anche lì il dialetto precorre la scrittura e se diventa scrittura è solo un accidente casuale, essendo che quel linguaggio è linguaggio delle radici, dell’anima, della patria dell’anima prima di diventare linguaggio cosciente cognizione della coscienza del linguaggio codificato.
C’è, ordunque, in Spinnato un codice linguistico che parte dall’interiore più intimo e che, volendo, potrebbe fare a meno di ogni grammatica, essendo che le trame dell’anima e il brodo primordiale della lingua non hanno bisogno di grammatica e sintassi.
La sua scelta di corredare le composizioni in dialetto con la versione in italiano, cosa da accettare e rispettare, va accompagnata dalla modesta avvertenza da parte di chi “non condivide, ma si adegua”, e che si è limitato esclusivamente alla trascrizione ortografica e fonetica quanto più possibile corretta.
Spinnato attinge al parlare materno-paterno con un’intensa vis poetica che commuove: essendo che commuovere ha alcunché in comune con patire e com-patire e che patire deriva da pathos, termine che indica non uno stato di sofferenza, bensì una condizione del sentire empatia con le parole che si fanno corpo, carne, sangue e anima, in una dimensione anteriore che precede il diventare segno ovvero significante di un significato.
Andrea Camilleri, scrittore e regista di teatro, televisione e radio, e Tullio De Mauro (quest’ultimo recentemente scomparso, con grave perdita per la cultura italiana), docente di Filosofia del Linguaggio e Linguistica, citando Luigi Pirandello, hanno scritto che lo scrittore e drammaturgo agrigentino affermava che «la parola del dialetto, essendo sempre la lingua degli affetti, è la cosa stessa, perché il dialetto di una cosa esprime il sentimento, mentre la lingua di quella stessa cosa esprime il concetto>>.
Avviene così in Gaetano Spinnato, il cui dialetto fa diventare cose concrete e carnose le stesse parole allorché le parole esprimono cose e sentimenti.  Anche Juan Ramón Jiménez, scrittore spagnolo, premio Nobel 1956, aggiungeva così:

«Que mi palabra sea la cosa misma».

Con accostamento ardimentoso si può richiamare il «Verbo che si è fatto carne3» del Vangelo di Giovanni, poiché in Spinnato, difatti, il dialetto si fa carne e ci abita dentro, ovvero in  a; direi meglio: è carnoso, perché, in quanto tale, è sentire, patire, compatire, sentireinsieme, empatia e, infine, struggimento nostalgico per un dialetto dell’esserci che ormai non c’è più: che c’era e ci fu e che, giorno dopo giorno, viene ucciso dai parlanti e dai linguaggi che dominano gli strumenti, osceni e triviali, della contemporaneità mass-mediale.
Le parole morte sono la morte delle parole: sono le parole senza vita, di cui Spinnato è cosciente e a cui egli tenta disperatamente di ridare vita o forse una parvenza di vita.  Stesso compito immane tentò di fare, e ci riuscì magistralmente, Enzo Romano nelle poesie, nei racconti, nelle fiabe e nelle indagini etnologiche ed etnografiche sul campo.
Ci riesce altresì Spinnato che possiede una poeticità innata ovvero congenita, che nasce dal sentire le parole come cose, sangue e carne, prima ancora che come suono, fonema e grafema.
Le parole di Spinnato sono le mie/le nostre parole: appartengono a quello che egli chiama vocabolariu râ terra.
Questo lessico della terra, che è fatto di parole del mondo famigliare, contadino e pastorale (panza satr
a, minni tisi, manu ca ddusi, mussi chjaiàti, carcàra, çiaur’i pani c’acchjana râ vanedda, sceccu rû viddanu, ramàgghje, cannistru, faìddi, surcu, piratuòzzu, ecc.), al cui centro del centro, per così dire, emerge il rito quasi religioso della madre che impasta il pane e che, appena sfornato, lo bacia, è stato liquidato e ucciso, senza che ce ne siamo resi conto, davanti l’altare non sacro della televisione, dove si consumava, nelle comunità familiari, un altro rito profano: quello allorché quel mondo, fatto di cose piccole (genti nica cu picca  pani, picca sordi e tanto cuore), si disponeva a seguire Carosello.
Spinnato risente il dolore della nostalgia verso quell’universo contadino, dove il piccolo e il poco erano buoni e belli: il padre che torna dalla campagna con un “tuòzzu” di pane “nnâ sacchetta”, che se “ppicca era, ancora cchjù ppicca cci-abbastava”, e la leggerezza dell’essere delle “cosi nichi pî ggenti nica e cu picca çiàtu”.
Gaetano Spinnato non scrive per fare letteratura: scrive per dire le parole della nostra carnalità dialettale che sono impastate di terra contadina.
Facendo una comparazione si può asserire che il dialetto di Spinnato è carnoso e -ripeto- pre-linguistico; quello della oralità di Vincenzo Rampulla, noto poeta popolare Mistretta, appare più essenziale e scarno; mentre quello di Enzo Romano, altrettanto noto nella koinè mistrettese come poeta, scrittore e antropologo, è stato, nella perfetta riproduzione della oralità-phoné, più raffinato (nel senso di depurato, fine, purificato), senza nulla togliere a quello di Spinnato, che è conglutinato alla sua essenza di parlante un dialetto demotico con connotazioni da lessico famigliare.  Lo conferma egli stesso, allorché scrive, nel sottotitolo di questa raccolta di versi «intra
nni mia si pallava u sicilianu», laddove «intra» va intesa come locuzione che sta per casa, famiglia, nucleo familiare, luogo fisico domestico, ma anche centro principale della vita, culla.
Non a caso Spinnato scrive le parole ma
tri e patri  con la maiuscola.
È dentro questo habitat che nasce la poesia degli affetti famigliari di Spinnato, anche laddove dice alla figlia «rimmìllu quantu mi vò-bbeni», chiedendole, in maniera per così dire retorica, di non nascondere («nun’ammucciari») un amore che dilata cielo, terra, mare e che partì dal primo abbraccio, caldo come quello che c’è nel grembo prima materno e poi sotto il mantello del principe paterno: poiché è qui che i figli diventano le cose primarie, come primario è il parlare in dialetto, essendo che siamo figli di una lingua madre e paterna: e se siamo figli, parafrasando ancora da un altro contesto più notevole, «siamo anche eredi», cioè discendenti e altresì depositari di una lingua che non andrebbe sepolta definitivamente, come avviene per effetto dello straniamento-spaesamento linguistico determinato dal fenomeno dell’emigrazione-immigrazione e dell’omologazione linguistica dei parlanti.
Il dialetto di Spinnato odora di pane di casa e vastedd
e: quindi prima di essere voce è altresì aroma, profumo di terra, di campagna, di funghi, di cicorie, di fiori gialli del cavulazzu; quindi ancora prima di essere melodioso, essendo -come dicevo- carnoso- è anche odoroso.
Profuma -paradossalmente- di parole defunte che chiedono rinascita ovvero risurrezione.
Il dialetto, in quanto tale, è anche musica, è acqua della memoria; non è ignoranza; non è più usato, come un tempo, in quanto codice di stampo demotico, dalle cosiddette ggentiscarsi, rispetto alle cosiddette ggentibbuòni (che parlavano l’italiano); il dialetto non si connota e non ci denota più come classe sociale inferiore; il dialetto è pietra, è cultura, è ritornare all’infanzia onde ripristinare la condizione edenica di un paradiso perduto: quella di essere, ri-essere e rinascere ancora picciriddu
: sicché nella figura retorica dell’ossimoro contenuta nel titolo (ri ranni uògghju fari u picciriddu) c’è tutto il senso di un fare poesia che intende contenere il massimo nel minimo, il grande nel piccolo, il futuro nel passato, il niente nel tutto e non viceversa.
Il picciriddu rispetto all’adulto è come la luce rispetto al raggio di luce o come il raggio di luce rispetto all’oscurità.
Ma il picciri
ddu ha questo potere fondante perché va rifondato continuamente dentro di noi e poiché ha ricevuto fondamento ontologico e sicurezza di figlio-bambino non in sé stesso, bensì nelle figure della Madre e del Padre (non a caso -ripeto- scritti con la maiuscola). Dentro il mantello del principe, che è il padre, il picciriddu è divenuto ora anch’egli padre per la madre anziana.
Essere padre per la madre di cui si è stati figli, come scrive Spinnato, è direi stupendo e quasi sublime: «ora ri figghju t’add
ivintai Patri… Matri Mia».
La lingua dell’infanzia di Spinnato è fatta di onomatopee («Cilì… Cilì… Cilì… Ciliiitra»: tipico richiamo per le galline (che c’è in Enzo Romano, e che Spinnato riprende), lallazioni, giochi fonetici e consonantici, che appartengono, appunto, alla fase prelinguistica non solo dei neonati, bensì di tanti poeti dialettali, la cui lingua è lingua melodica, e dove il canto serviva anche a cullare, addormentare, favorire il sonno e i sogni.
E se il mondo è attraversato dalla fiumana del “cattivo presente” (guerre -ce ne sono attualmente in corso 35-, bombe nella Terra dove nacque Gesù, bambini-soldato, emigrazione, povertà, sottosviluppo, dramma epocale dei profughi: fenomeni di cui nei versi di Spinnato c’è la coscienza e l’interiorizzazione soggettiva) c’è da fare un sogno insieme, affinché sognare non sia inutile e affinché le parole trasmesse ed ereditate possano ritornare a rinascere come parole bambine, non più parole in croce per la Croce, bensì parole di speranza per la speranza:

«Vitti n-mmunnu nìuru cuòm’a pici;
canuscìi cristiani chi chjanciènu muòrti senza cruci,
picciri
ddi cuòmu çiuri mai liàti,
appizzati ê minni sicchi ri so matri.
Verri e sciarri tra puopuli e famigghje,
malatie assicutati ri na luntana miricina.

Nun zunu cannuna e-bbumme l’armi chjù putenti;
ri l’odiu u cori s’av’a
ddisarmari nnî la genti.
Nun zervi sunnari quannu u suònnu è sularinu;
u suònnu ri unu sulu n’eri nenti:
sunnari tutti nzièmi eri mpurtanti.
E mi sintìa u cori ncutr ugnutu.
… U munnu m-po’ canciari quann’u cori
rormi senza chi si ferma… e iu u cori l’avìa pirdutu.

Picciuttieddu, iu n zugnu cchjùe nenti… u tièmpu mi vincìu.
Ma chi palori chi ora passai a-ttia,
attruvai u cori, a spiranza… mi turnau a puisia».
Sono questi di cui sopra i versi e queste le parole che Spinnato immagina di ricevere in consegna come eredità di un’eredità da un anziano patriarca, incontrato nelle montagne dei Nebrodi, forse il noto Rrimìtu di contrada Funtanamurata, che coltivò il dialetto e la poesia orale, come Gaetano Spinnato coltiva e zappa le stesse parole perché sono parole che sanno di terra e di poesia.
Il dialetto di Gaetano Spinnato, dunque, è un ritornare in
tra nni mia ovvero dentro se stessi, è un rientrare; è ancora un cammino verso il dentro che è un cammino verso il centro, il cosiddetto Sé più profondo, ovvero ancora il cuore, ossia l’interiorità, altresì l’omphalòs dell’esserci nel mondo: intra, rintra, dentro e centro sono il luogo dell’esistenza autentica: al di fuori di queste centralità c’è, invece, l’esistenza inautentica, frammentata e alienata dal centro, tipica dell’uomo contemporaneo, cosiddetto post-moderno; sicché ritornare alle parole antiche è un rimpatriare  non indietro nel tempo astorico del trapassato remoto, essendo fattualmente impossibile (picchì u tièmpu, cuòmu n çiumi nchjna, chjurìu tanti porti), bensì un ritornare alla verità che può divenire futuro anche storico, cioè mondo da trasformare; è un ritornare senza ritorno al bambino che si è e che siamo stati, cioè al picciriiddu che sta al centro del nostro esserci autentico.  È lo stesso percorso indicato da Blaise Pascal allorché parla di «s’abêtir», cioè farsi semplice d’animo, come interpretano e traducono autorevoli commentatori del filosofo, cioè ancora un «retourner à l’enfance, puor atteindre les vérités supérieures qui sont inaccessibles à la courte sagesse des demi-savants»: andare oltre la ragione dei mezzi-sapienti, non contro la ragione; ed è da qui -dalle ragioni della poesia e del cuore- che si diparte la nostalgia del Paradiso perduto di Gaetano Spinnato: che può essere ritrovato ritornando picciriddi.

                                                           3 ok

4 ok

5 ok

Emozionato, ma entusiasta per le lodevoli parole, alle quali ormai è abituato, Gaetano ha ringraziato la prof.ssa Antonietta Amoroso per la calorosa accoglienza nell’avere messo a disposizione  la sala “Graziella Idolo”, il prof. Sebastiano Lo Iacono, per la sua erudita relazione, il presidente dell’Ass.ne Kermesse d’Arte Dino Porrazzo, per avere promosso l’evento, l’assessore alla cultura Vincenzo Oieni, per le sue stimolanti asserzioni, i numerosi amici presenti che hanno calorosamente applaudito.

6 ok

7 ok

8 ok

9 ok

10 ok

Foto di Emanuele Coronato

 “ A sdata rù lagnudu” è la poesia letta dall’autore

11 ok

IMG_20170621_093239 OK

Il giornalista Giuseppe Salerno, su “Nebrodi News”, ha scritto: ”Da ciascuna poesia di Gaetano Spinnato emerge un posto speciale, un piccolo mondo perfetto, quello che ha visto per primo ed amerà per tutta la vita: il posto dove è nato e cresciuto. Posto del quale il poeta conosce ogni suono e ogni profumo, che lo affascina e lo rassicura. In cui ogni cosa parla il suo stesso linguaggio, per molti incomprensibile, che lui comprende e racconta straordinariamente perché gli appartiene.
E’ la sua città. La nostra città. E’ Mistretta!

Gaetano Spinnato, per quanto riguarda la selezione dialettale, ha riscosso numerosi successi partecipando a vari concorsi letterari di poesia e di narrativa a livello regionale e nazionale.

12 ok

 Ripetutamente i racconti di Gaetano Spinnato, scritti in dialetto siciliano, sono stati apprezzati e premiati dalla Giuria del Concorso Letterario “Maria Messina”  istituito dall”Associazione “Progetto Mistretta” e giunto alla XIV edizione.

Jun 18, 2017 - Senza categoria    Comments Off on LIGUSTRUM JAPONICUM AUREO-MARGINATUM E LIGUSTRUM LUCIDUM

LIGUSTRUM JAPONICUM AUREO-MARGINATUM E LIGUSTRUM LUCIDUM

1  iaponicum euromarginato ok

L’arbusto, in generale, è una pianta perenne legnosa che, a differenza dell’albero, non supera i tre metri d’altezza. Presenta la caratteristica ramificazione che origina dalla base, per cui diversi rami equivalenti partono dal suolo e manca, quindi, il vero fusto.
A seconda della consistenza dei rami si distingue: il frutice, che ha rami lignificati, e il suffrutice che ha rami parzialmente erbacei. Nei boschi e nelle foreste l’arbusto occupa uno strato compreso tra la copertura degli alberi e la vegetazione erbacea del suolo.
Nella villa comunale “G. Garibaldi” di Mistretta le specie arbustive presenti sono molto numerose: Il Ligustro, il Laurus nobilis, il Calycanthus fragrans, il Viburnum tinus, l’Arbutus unendo, il Morus nigra, il Rosmarinus officinalis, la Salvia officinalis, la Lavandula spica, il Nerium oleander, il Pittosporo tobira, il Buxus sempervirens, il Myrtus communis, il Solanum capsicastrum, sono solo alcuni esempi. Quando fioriscono, questi arbusti animano di vivaci colori l’ambiente circostante.

Il Ligustro è un arbusto sempreverde appartenente alla Famiglia delle Oleaceae e originario del Giappone.
E’ una pianta comune in tutta la fascia temperata eurasiatica e in Italia.
Presenta un portamento eretto raggiungendo un’altezza media di due, tre metri.
Nel giardino di Mistretta sono presenti: la varietà aureo-marginata, dalle foglie dorate, sito  nella stessa aiola del Viburnum tinus

2 ok

2a  Ligustrum-ovalifolium-variegato-big- ok

3 ok

  e la varietà ovalifolium, dalle foglie ovali, nel viale di sinistra, addossato al muro dell’ex carcere mandamentale.

4 ovalifolium q ok

Il Ligustro possiede un apparato radicale esteso e poco profondo, spesso dotato di stoloni, veri e propri fusti sotterranei che danno origine a più esemplari concentrati nella stessa zona.
Presenta un fusto spoglio alla base, provvisto di corteccia grigia con numerose lenticelle di piccole dimensioni, e rami giovani molto flessibili.
Essendo riccamente ramificato, è caratterizzato da una chioma cespugliosa, ampia, fitta ed ombrosa.

5  ovalifolium ok

Le foglie, intere, lucide nella pagina superiore e di colore verde scuro, più chiare nella pagina inferiore, sono opposte, lanceolate le superiori, ovali le basali, con il margine lineare e continuo. Sono sostenute da un breve picciolo.

6 ok

 7 ok

I fiori, ermafroditi, piccoli, portati in pannocchie piramidali terminali lunghe 10-20 cm, hanno la corolla formata da 4 petali di colore bianco o crema.  Diffondono una profumazione intensa e dolciastra.

8 Ligustrum ovalifolium ok

9 ok

 Molto copiosa è la fioritura nel mese di giugno.  I frutti sono delle bacche scure e lucide, ovoidali e oblunghe.

 10 ok

Spesso gli uccelli, cibandosi di esse, contribuiscono alla sua diffusione trasportando i semi lontano.
La riproduzione avviene per seme e per talea che radica perfettamente.
Per la sua decoratività, il Ligustro trova impiego nei giardini pubblici, nelle ville, ai  fianchi delle strade e dei viali.
Poiché sopporta molto bene il taglio della potatura, che può essere effettuato in qualsiasi periodo dell’anno, il Ligustro è adatto per la creazione di siepi che si potano preferibilmente due volte l’anno, in maggio e in settembre.
Il Ligustro è una pianta rustica, di facile coltivazione, non ha esigenze particolari per quel che concerne l’esposizione e la natura del terreno e, per uno sviluppo equilibrato, è consigliabile collocarlo in un luogo dove possa ricevere almeno alcune ore di sole diretto posto su un terriccio soffice e profondo, molto ben drenato.
Le annaffiature devono avvenire saltuariamente bagnando a fondo il terreno.
E’ molto resistente ai climi freddi, sopporta temperature minime molto rigide, quindi è ben inserito nell’habitat del giardino mistrettese.
Nella pianta di Ligustro sono presenti sostanze tossiche come la ligustrina.
Le bacche, se ingerite, provocano infiammazioni gastroenteriche.
La cute è irritata dal contatto con le foglie.
Nella medicina popolare, le foglie, in decotto e anche sotto forma di gargarismi, per le loro proprietà astringenti, tradizionalmente erano usate per combattere i gonfiori, gli ascessi, le ulcerazioni della bocca  e le infiammazioni alla gola.
Anticamente erano usate per preparare particolari inchiostri blu per penne stilografiche.

 

Jun 10, 2017 - Senza categoria    Comments Off on IL VIBURNUM TINUS NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

IL VIBURNUM TINUS NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

0 ok

Dopo avere subito una notevole potatura la trascorsa primavera, le piante di Viburno, site nell’aiuola del viale di destra entrando dal cancello della villa comunale “Giuseppe Garibaldi” a Mistretta, finalmente hanno emesso le nuove gemme.
La temperatura è stata molto clemente aiutandole a riprendersi dallo shock subito dal taglio delle forbici.

1 ok

https://youtu.be/-jYfReJrjSU

CLICCA  QUI

Il termine latino “viere”, “intrecciare” pare che si riferisca all’estrema flessibilità dei rami del Viburno, che già i romani usavano per intrecciare gli scudisci, i frustini di legno o di cuoio con i quali addomesticavano i cavalli.
Comunemente il Viburno è chiamato “Lentaggine”,” Palla di neve”, Laurotino”.
E’ una pianta originaria delle zone temperate dell’emisfero Nord, dell’Africa settentrionale, dell’Asia, di Giava, delle Indie occidentali, dell’America meridionale. Ne esistono circa 120 specie.
Il Viburnum tinus è un piccolo albero arbustivo, perenne, alto non più di due metri, appartenente alla famiglia delle Caprifoliaceae.

2 ok

Si presenta con rami sottili, leggermente ricurvi e con una chioma espansa e sempreverde.
Le foglie, picciolate, semplici, più o meno ovali, con l’apice appuntito e con la base rotondeggiante, con margini dentati, in varie tonalità di verde, con superficie liscia, quasi vellutata e sempre segnata da nervature assai evidenti, sono molto decorative.
Esse rimangono sui rami anche in inverno assumendo colorazioni molto belle.
La pagina superiore è di un bel verde scuro e lucido, la pagina inferiore, più chiara, è caratterizzata da un tomento rossastro in corrispondenza delle nervature principali.

3 ok

5 ok

I fiori sono piccoli, bellissimi, poco profumati, formati da cinque petali, rosa in bocciolo e bianchi una volta aperti, a mazzetti, riuniti in infiorescenze terminali ombrelliformi.

6 ok

 La loro forma può variare in una stessa infiorescenza e, quando si raccolgono i rami fioriti, si maltratta la pianta.
Come con le potature!
I boccioli dei fiori iniziano a formarsi già in estate e in settembre sono tutti ben sviluppati.
I fiori si schiudono a scalare non solo sulla stessa pianta, ma anche sullo stesso corimbo, fra la fine d’ottobre e l’inizio di maggio dell’anno successivo, compatibilmente con il clima; il massimo della fioritura si ha, comunque, in primavera quando questo fenomeno diviene veramente spettacolare.

7 ok

8 ok

I frutti, non commestibili, sono delle drupe sferiche portate all’apice del ramo, di colore blu metallico o quasi nere a completa maturazione.
Sono un buon cibo per tutti gli uccelli del giardino.

9 ok

10 ok

 Giovanni  Pascoli, nella sua poesia “Il gelsomino notturno” così scrive:

“[…] E s’aprono i fiori notturni
nell’ora che penso ai miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari […] “

Il poeta, immerso in un’atmosfera di trepidazione e di indefinibile smarrimento, coglie il mistero che palpita nelle piccole cose della Natura.
Si accorge che nella notte, quando pace e silenzio prevalgono tutto intorno, vi sono fiori che si aprono e farfalle che volano.
Una vita inizia quando la vita consueta cessa.
Il Viburno è una pianta di poche pretese. L’unica esigenza è quella di essere ospitato da un terreno ricco di sostanze organiche, molto permeabile, umido. Predilige un ambiente dove le piogge, soprattutto durante il periodo estivo, sono frequenti.
Le annaffiature devono essere abbondanti in estate per poi diminuire gradualmente nella stagione fredda.
Anche il clima è di notevole importanza. La pianta resiste bene alle basse temperature, alle gelate non troppo intense e ai lunghi periodi di siccità, non sopporta un’atmosfera arida e calda, necessita di un’esposizione al sole, ma sopporta bene anche l’ombra dove vive benissimo magari fiorendo un pò meno.
Il buono stato di salute, il portamento espanso, se non subisce violente potature, regalano fioriture indimenticabili per la profusione e per la grazia dei fiori che, schiudendosi, diventano piccoli merletti di colore bianco avorio. La pianta è bella anche in inverno perché assume una colorazione bianca.
Il Viburnum tinus si è naturalizzato in alcuni areali meridionali entrando nella costituzione di boschi di essenze sempreverdi e nella macchia mediterranea.
La rusticità rende la pianta di facile coltura, pertanto è diffusa sia per le sue qualità decorative, sia per le possibilità d’acclimatazione e d’adattamento.
Come pianta ornamentale, il Viburno è adatto alla formazione di siepi, di barriere sempreverdi o come singolo cespuglio.
Il Viburnum tinus è una pianta che dà innumerevoli soddisfazioni al giardiniere!
E’ molto robusta, NON RICHEDE POTATURE DRASTICHE e difficilmente si ammala.
In condizioni sfavorevoli potrebbe, comunque, essere attaccata dai funghi e da altri agenti patogeni.
Con le bacche e con la corteccia di varie specie di Viburno si preparano validi farmaci.
Il Viburno, in medicina, è usato per curare i dolori mestruali, il mal di testa e di denti, gli stati febbrili. Presentando una certa tossicità, per il suo utilizzo è sempre bene consultare il medico.
Secondo Il linguaggio dei fiori regalare un ciuffo di Viburno significa “arrecare fastidi e calunnie”.
E’ meglio lasciare i fiori sulla pianta!

Jun 1, 2017 - Senza categoria    Comments Off on IL PALAZZO DEL MUSEO REGIONALE DELLE TRADIZIONI SILVO-PASTORALI “G. COCCHIARA” A MISTRETTA

IL PALAZZO DEL MUSEO REGIONALE DELLE TRADIZIONI SILVO-PASTORALI “G. COCCHIARA” A MISTRETTA

1 ok

Conoscere il patrimonio artistico-monumentale-paesaggistico della città di Mistretta è un arricchimento interiore di sapere e di cultura sia per gli amastratini sia per quanti vi giungono.
Il contenuto di questo articolo è dedicato alla mia amica Angela D’Andrea, mistrettese, ma abitante lontana dal paese natio, che mi ha sollecitato a descrivere il Museo regionale delle Tradizioni Silvo-Pastorali.
Al numero civico 184 di Via Libertà, a  Mistretta, era sita la Ex Casa degli Esercizi, edificio a due elevazioni costruito alla fine del‘600.
Originariamente era un complesso conventuale con annessa la chiesa delle Anime Purganti e, probabilmente, costruito su un edificio ancora più antico, come hanno dimostrato le tracce individuate al suo interno durante le fasi di ristrutturazione.
Successivamente divenne la sede del Palazzo di Giustizia e, attualmente, è l’edificio che ospita il Museo regionale delle Tradizioni Silvo-Pastorali “Giuseppe Cocchiera”.

???????????????????????????????

La facciata del palazzo è molto ricca di portali, separati da alte colonne semplici e scanalate, e di finestre arcuate.

3 ok

4 ok

Sulla chiave di volta del portale principale è scolpito il medaglione marmoreo con all’interno lo stemma aragonese.

???????????????????????????????

Il Museo Regionale delle Tradizioni Silvo-pastorali “Giuseppe Cocchiara” è il primo museo demo-etno-antropologico regionale concepito ex novo in Sicilia.
Le istituzioni e i partners, che hanno consentito di realizzare il Museo a Mistretta, sono stati: la Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Messina, l’Amministrazione comunale di Mistretta, l’Ente Parco dei Nebrodi.
La progettazione e l’effettiva realizzazione del Museo sono state merito del dott. Sergio Todesco di cui è stato anche il primo direttore.
Il Museo, inaugurato nel mese di marzo del 2007, è stato intitolato a Giuseppe Cocchiera.
Giuseppe Cocchiera, nato a Mistretta il 5 marzo del 1904, è morto nel 1965, a soli 61 anni d’età, nel fiore della vita, quando ancora la sua giovane capacità mentale, molto produttiva, avrebbe potuto arricchire il patrimonio culturale di altre importanti informazioni.
Giuseppe Cocchiera è stato un illustre antropologo, demologo, studioso di tradizioni popolari, scienziato di fama internazionale, professore di letteratura delle Tradizioni Popolari all’Università di Palermo, discepolo e continuatore dell’opera di Giuseppe Pitrè, nonché riordinatore e direttore del Museo Etnografico Siciliano Pitrè di Palermo dal 1935 al 1965.
Il Museo “Giuseppe Cocchiara” è una realtà museale nuova sia nei contenuti sia nelle strategie espositive il cui fine è quello di esplicare, mediante una serie ordinata di rappresentazioni, i molteplici nessi che l’universo pastorale ha prodotto in Sicilia nel corso delle sue giornate storiche.
Il dott. Sergio Todesco, nella guida rapida alla “
fruizione del Museo Regionale<Giuseppe Cocchiara>, uno spazio tra memoria e identità”, scrive: “[…]La cultura pastorale oggi non esiste più, ovvero sta per essere drammaticamente fagocitata dal <progresso>, dalla moderna società dei consumi (e dal profitto che dai consumi si trae) che come una macchina schiacciasassi distrugge al suo passaggio ogni specificità, appiattendo e omologando tutto quanto è diversità culturale, o anche memoria di tale diversità. Eppure essa, in Sicilia come nel resto del mediterraneo, ha costituito forse la prima realtà antropologicamente rilevante che abbia interessato, lungo l’arco di alcuni millenni, la civiltà euro-asiatica. Già riscontrabile nella Bibbia e nei poemi omerici, la percezione sociale del pastore è stata infatti sempre fortemente caratterizzata nei vari contesti economici, rituali, mitici, leggendari.
Le attività pastorali hanno perciò espresso sotto qualunque latitudine profonde corrispondenze a livello tecnologico e rivelato una sostanziale unitarietà di fondo all’interno delle culture mediterranee e medio-orientali; tali attività hanno inoltre veicolato, a livello ideologico-simbolico, la persistenza di alcune rappresentazioni quali le figure del buon pastore e della pecorella smarrita, dell’agnello sacrificale e del capro espiatorio, che hanno attraversato l’intera storia del mondo antico e della cultura occidentale che di tale mondo è oggi l’erede. Altre caratteristiche comuni a tutte le comunità pastorali quali il nomadismo, ossia il mutamento continuo degli spazi di lavoro, il ricorso a tecnologie essenziali e l’adozione di forme di gestione collettiva dei fattori di produzione, i pascoli e il gregge, hanno ricoperto un ruolo non secondario nella storia sociale ed economica del mondo quale esso si è mantenuto fino alle soglie della modernità….
L’espressione <Tradizioni silvo-pastorali> intende pertanto porre l’accento su forme di cultura elaborate da gruppi e comunità la cui esistenza si è dispiegata attraverso un continuo rapporto dialettico tra natura e cultura nelle loro diverse determinazioni storiche e territoriali.
La cultura di cui il museo intende rappresentare le forme non è dunque solo quella relativa ai pastori, ma anche ai taglialegna, ai carbonai, ai cacciatori, a tutti coloro insomma che hanno nel corso del tempo antropizzato le zone interne dell’isola elaborando forme di cultura e habitat fortemente radicati in tale peculiare ecosistema
[…]”.
Il visitatore del Museo delle tradizioni silvo-pastorali è accolto cordialmente dal personale della reception ubicata nell’androne e dove può ammirare un grande pannello a parete formato da un collage di immagini sull’universo agro-pastorale numerose riproduzioni dei dipinti di Antonio Mancuso Fuoco (1921-1996), un pittore naїf di Capizzi e antichi carretti siciliani finemente dipinti .

5b ok

5c ok

Quindi accede al primo piano servendosi dell’ascensore o della scala dove alle pareti può ammirare numerosi pannelli contenenti fotografie d’epoca relative a momenti di vita pastorale in ambito peloritano e nebrodeo.

5d ok

Al primo piano è presente la sezione “Miracula in vitro”, una rilevante collezione di dipinti su vetro.

6 ok

7 ok

8 ok

Immagine1 copia

 Il secondo piano è dedicato alla rappresentazione di tutte le forme di cultura storicamente presenti nei contesti agro-silvo-pastorali in Sicilia.
La superficie è divisa nelle sezioni: La sala introduttiva o d’accoglienza, la sala immersiva, la sala dei picurara e vistiamara, la sala dei carbonai e delle altre attività del bosco, la sala della caccia, la sala dell’arte pastorale, le sale dei cicli agricoli, la sala delle macchine ad acqua, la sala multimediale.
Nella sala d’accoglienza sono presenti pannelli introduttivi e gigantografie.
Un significativo pannello riproduce alcune pagine dedicate alla figura del pecoraio tratte da “La Piazza Universale di tutte le professioni del mondo”, (ed: del 1589), di Tommaso Garzoni, dove l’autore analizza oltre 500 tipi di mestieri e di occupazioni del suo tempo.
Un altro esplicito pannello introduce al museo silvo-pastorale e un altro ancora è dedicato alla figura di Giuseppe Cocchiara.
La sala immersiva espone principalmente una grande carta aerofotogrammetria della Sicilia in cui sono rilevabili le aree boschive ed alcuni pannelli fotografici illustranti realtà geo-antropiche caratterizzate da forme di cultura agro e silvo-pastorale.
Nella sala dei picurara e vistiamara sono presenti le vetrine che espongono oggetti relativi al pastore e al suo mondo: l’abbigliamento, gli oggetti d’uso comune, gli strumenti per la caseificazione. I pannelli illustrano: il calendario pastorale, i cavallucci di provola, le fiere, l’addomesticamento dei cavalli, la marchiatura.
Sono esposti anche modelli realizzati in scala di tipologie di architettura pastorale.
Nella sala dei carbonai e delle altre attività del bosco è esposta una ricostruzione in scala di una carbonaia.
Sono esposti anche oggetti relativi ad arti e mestieri del bosco quali: il ciclo della produzione del carbone, la frassinicultura, la produzione della manna, le attività dei taglialegna e dei mastri d’ascia.
Un grande pannello espone 15 specie arboree maggiormente presenti nell’area dei Nebrodi che si possono riconoscere per la sezione del tronco e per la forma della foglia.
Le schede informano sul nome scientifico e sul sinonimo locale. Alle pareti sono appesi strumenti di lavoro dei carbonai e dei maestri d’ascia.
Nella sala della caccia sono esposti oggetti di vario genere tra cui spiccano: un fucile ad avancarica ottocentesco, una cassetta per trasportare il furetto e un corno inciso porta polvere da sparo risalente al XVIII secolo.
La sala dell’arte pastorale ospita splendidi reperti del mestiere dei pastori tra cui: gli stampi per il formaggio, la fascedda per la ricotta, i collari degli animali, i bastoni, le borracce di zucca, i bicchieri di corno e una serie di oggetti di legno.
Nelle sale dei cicli agricoli primari, rispettivamente olio e vino, grano e lino, sono esposti pochi, ma significativi manufatti e alcuni modelli in scala di impianti produttivi tradizionali quali: il frantoio, il palmento, il mulino ad acqua, realizzati sullo schema delle macchine di Leonardo da Vinci.
Nella  sala multimediale, su un maxischermo, sono proiettati filmati relativi all’universo agro e silvo-pastorale siciliano.
Diversi monitors con touch screen, sui quali scorrono immagini relative all’universo silvo-pastorale, intrattengono per circa quattro ore il visitatore per una più veloce e ampia fruizione del patrimonio oggettuale esposto. La sede del Museo si mette a disposizione anche per condividere altri momenti di cultura quali l’esposizione di mostre fotografiche, di presepi e presepini.
Ecco un breve itinerario fotografico all’interno del museo:

9 ok

???????????????????????????????

???????????????????????????????

???????????????????????????????

???????????????????????????????

???????????????????????????????

???????????????????????????????

???????????????????????????????

14 ok

???????????????????????????????

???????????????????????????????

???????????????????????????????

???????????????????????????????

???????????????????????????????

???????????????????????????????

21 a ok

21 b ok

21 c ok

21 d ok

21 e ok

21 f ok

21 ok

22 ok

???????????????????????????????

???????????????????????????????

???????????????????????????????

27 ok

28 ok

???????????????????????????????

30 ok

May 25, 2017 - Senza categoria    Comments Off on RIAPERTURA AL PUBBLICO DELLA CHIESA DI SAN FRANCESCO A LICATA

RIAPERTURA AL PUBBLICO DELLA CHIESA DI SAN FRANCESCO A LICATA

???????????????????????????????

Dopo otto lunghi anni, durante i quali la chiesa di San Francesco dei PP. Minori Conventuali è stata chiusa al culto dei fedeli, finalmente oggi, 12 maggio 2017, con una grande la celebrazione è stata inaugurata la Sua riapertura al pubblico, ma non al culto. La proposta della riapertura al pubblico è stata sollecitata dall’Amministrazione comunale di Licata, guidata dal sindaco Angelo Cambiano, e coordinata dall’assessore alla Pubblica Istruzione Annalisa Cianchetti, in sinergia con la Curia Arcivescovile e la Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Agrigento. I lavori di restauro sono stati finanziati dal Fec (Fondo edifici culto).

 1 ok

1a ok

I lavori, avviati nel mese di dicembre del 2016 e parzialmente completati nel mese di maggio 2017, destinati soprattutto al restauro conservativo della cappella dell’Infermeria, hanno restituito al tempio il suo antico prestigio.

2 ok

2a ok

2b ok

3 ok

4 ok

5 ok

6 ok

L’Amministrazione comunale ha nominato il geom. Antonino Napoli quale responsabile unico del procedimento (RUP) per la realizzazione di interventi a tutela e a salvaguardia delle opere d’arte conservate all’interno della chiesa di San Francesco. Il RUP ha avuto il compito di curare la fase di progettazione, di affidamento ed esecuzione dei lavori che sono stati effettuati dalla ditta Vitruvio 21 per conto della Curia Vescovile di Agrigento. Ha diretto i lavori l’arch. Vincenzo Ortega. Il restauratore è Angelo Cristaudo.

7 ok

 Probabilmente, presto la chiesa sarà riaperta anche al culto dei fedeli. Le chiese che non aprono al culto muoiono, si perdono nel degrado! In questi mesi la chiesa è stata riaperta grazie alla disponibilità dei “Cantieri della conoscenza”, cantieri di recupero dei beni religiosi voluti dalla Curia Arcivescovile di Agrigento, guidata dal Card. Francesco Montenegro, e ai Beni archeologici della Soprintendenza di Agrigento, diretta della dott.ssa Gabriella Costantino. I cantieri di restauro dei monumenti hanno dato la possibilità ai licatesi e ai turisti di effettuare visitate didattiche della chiesa di San Francesco anche durante i lavori, cioè con il cantiere aperto. E’, però, una riapertura straordinaria considerato il fatto che gli interventi di restauro e di ristrutturazione non sono stati ancora completati.

8 okok

8a ok ok

9 ok

 Dal 21 del mese di aprile 2017 gli studenti delle scuole locali hanno partecipato all’iniziativa “La scuola adotta un monumento”.

10 ok

La chiesa di San Francesco, nel il progetto formativo “Alternanza Scuola Lavoro”, è stata adottata dagli alunni della classe IV sez. C del Liceo scientifico “Vincenzo Linares” guidati dalla prof.ssa Emanuela Licata.

11 ok ok

Il cicerone della giornata è stato Alessandro Cappello

Alla cerimonia inaugurale sono intervenuti: Sua Eccellenza l’Arcivescovo Cardinale Francesco Montenegro, vescovo di Agrigento,

12 ok

  padre Giuseppe Pontillo, responsabile dei Beni culturali della Curia di Agrigento,

12a ok

 S.E. Nicola Diomede, Prefetto di Agrigento,

13 ok

  la dott.ssa Gabriella Costantino, Soprintendente ai Beni Culturali di Agrigento,

14 ok

  il dott. Angelo Cambiano, sindaco di Licata,

15 ok

  l’Assessore alla Pubblica Istruzione dott.ssa Annalisa Cianchetti,

16 ok

16a ok

il questore di Agrigento, il comandante della capitaneria di porto, il comandante provinciale di carabinieri di Agrigento, il comandante provinciale della guardia di Finanza di Agrigento, il dott. Marco Alletto, dirigente del Commissariato di Pubblica Sicurezza di Licata, il comandante della compagnia di carabinieri di Licata, il comandante dalla stazione di carabinieri di Licata, il comandante dei vigili urbani, le Benemerite dell’Arma  dei Carabinieri, fra le quali la poetessa licatese Ylenia Torregrossa, gli Scout, moltissimi sacerdoti e un folto pubblico.

17 ok

Dopo la benedizione eucaristica, impartita da  padre Giuseppe Pontillo davanti al portone d’ingresso della chiesa, il sindaco di Licata ha tagliato il nastro permettendo l’accesso a tutte le persone presenti.

 18 ok

19 ok

???

Sua Eccellenza, il Cardinale Montenegro, nel suo discorso, ha detto: ” In questa città, se pur travagliata, che soffre per quello che sta avvenendo oggi, si può trovare il segreto per andare avanti perché, mettendo insieme le forze si può ottenere tanto. Questo momento è importante perché è il momento della memoria, la chiesa di San Francesco è un luogo di arte e di bellezza, non solo di culto. Se non ci fossero state persone che si sono messe in gioco, oggi, questa chiesa sarebbe un rudere. Ricchi di quanto abbiamo ricevuto, possiamo guardare avanti. Continuiamo il nostro cammino. I padri francescani ci hanno lasciato qualcosa di bello, ora tocca a noi consegnarlo a chi verrà dopo di noi”.

20 ok

Il prefetto Nicola Diomede, nel suo breve discorso, si è congratulato col sindaco di Licata, Angelo Cambiano, per il notevole patrimonio artistico-monumentale che la città possiede augurandogli di poterlo sempre salvaguardare e valorizzare.

21 ok

La sovrintendente Gabriella Costantino ha messo in luce l’importanza di questa chiesa sita nel centro storico di Licata. Il sindaco di Licata, Angelo Cambiano, esprimendo grande soddisfazione per la valorizzazione di questo importante patrimonio religioso-artistico, così ha detto: ” con la riapertura al pubblico della chiesa di San Francesco si raggiunge un’altra importante tappa del lungo e non facile percorso intrapreso da questa Amministrazione per il recupero e la valorizzazione del patrimonio artistico – monumentale – paesaggistico –archeologico -culturale della città di Licata. Intensa e proficua è stata la collaborazione dell’Amministrazione Comunale con la Curia Vescovile, con la Soprintendenza ai Beni Culturali di Agrigento, con la Prefettura. Ricordo che l’anno scorso, nel mese di luglio 2016, è stato riaperto il Museo Archeologico della Badia. Speriamo possa essere riaperta presto anche la Chiesa del Carmine. In questa giornata desidero ringraziare coloro che si sono adoperati perchè si raggiungesse il risultato auspicato e quanti, con la loro presenza, hanno contribuito a rendere ancora più bella questa giornata di festa per Licata“.

23 ok

24 ok

Hanno piacevolmente animato la manifestazione gli alunni dell’Istituto Superiore di Studi Musicali “A. Toscanini” di Ribera. “I Solisti del Toscanini” erano: Paolo Alongi alla chitarra, Francesco Russello, Anna Lucia Di  Mora, Francesco Mistretta, Gabriele Zambuto, Maria Elena Caramella ai violini, Calogero Marotta, Benjamin Scaglione, Margherita Tortorici ai violoncelli hanno ricevuto molto applausi come premio alla loro bravura.

25 ok

26 ok

 Gli alunni dell’ Istituto alberghiero “ Filippo Re Capriata “ sono stati molto bravi nell’accoglienza turistica.

26a ok

Il complesso della chiesa di San Francesco, del chiostro e del convento, occupa una vasta area compresa fra il Corso Vittorio Emanuele I, la via San Francesco, la via Vincenzo Bruscia. E’ una chiesa antichissima e, prima di essere dedicata a San Francesco, era gestita dai cavalieri di Malta votati a San Giovanni degli eremiti. Infatti, nel portale c’è la croce di Malta.

27 ok

30 ok

???????????????????????????????

Si accede all’interno della chiesa dalla porta principale, salendo alcuni gradini esterni.

31 ok

Il prof. Calogero Carità, nel suo libro <<Imanis Gela nunc  Alicata urbs dilectissma AC…>> “ La Vedetta” editrice, Licata 2007 (pp. 342-349), così descrive la storia e le origini del convento dei PP. Minori conventuali e della chiesa di San Francesco: “Dalla cronaca del francescano maltese, P. M. Filippo Cagliola, si apprende che il 19 marzo 1316 un certo frate francescano di nome Sterba, nonostante la proibizione fatta da papa Bonifacio VIII, avuta concessa dai Cavalieri Gerosolimitani la chiesa di San Giovanni Battista, cercò di costruire un convento a Licata; ma, a quanto sembra, questo suo glorioso tentativo dovette fallire. Tre anni dopo, infatti e precisamente il 24 giugno 1319, papa Giovanni XXII mandò ufficialmente in Sicilia i Francescani con l’incarico di edificarvi cinque conventi. A Licata venne un tal fra Giovanni da Cesarea, nel secondo anno del suo generalato, per costruire presso l’oratorio dei Cavalieri di Gerusalemme una casa per trenta francescani dell’ordine dei PP. Minori Conventuali. E questa casa, per il prestigio che andò acquistandosi nel 1456, ospitò persino un capitolo provinciale nel corso del quale venne eletto ministro provinciale il licatese P. M. Calcerano d’Andrea. Il sacco franco-turco dell’11 luglio 1553 causò ingenti danni al convento. Un incendio distrusse un cero di noce e di cipresso, opera di un abile cesellatore, molti quadri, quasi tutte le antiche scritture, buona parte della biblioteca, due organi dorati, i tetti, le porte. Le mura non resistettero alla quasi totale distruzione. Come se ciò non fosse stato sufficiente, i Turchi portarono via dal convento, tra le altre cose, anche un’enorme campana molto cara ai licatesi. I restauri che seguirono furono lenti e laboriosi. La chiesa e il convento forse riacquistarono l’antico decoro dieci anni dopo, quando il 14 febbraio 1563 P. Alessandro Bonanno di Palermo vi celebrò una congregazione di religiosi. Il programma dei restauri generali e di ampliamento della chiesa e del convento venne ripreso e promosso, sin dai primi anni del sec. XVII, dal licatese P. M. Baldassare Milazzo. Un altro chiostro, con ingresso anche da via Dante, demolito alla fine degli anni cinquanta, addirittura venne aggiunto alle fabbriche del convento a sud-est, di fronte al cenobio delle moniali di S. Benedetto, verso il 1758, destinato ad accogliere il Liceo Serroviriano, la prima scuola pubblica a Licata. Oggi la chiesa di San Francesco sorge maestosa nella parte mediana del Corso Vittorio Emanuele e fa, unitamente alle fabbriche del convento, da cardine del quartiere barocco e della città. Il suo marmoreo prospetto, dalle linee tardo seicentesche, con risentito telaio di membratura e plastico aggetto di timpani e cornici, fu eseguito nel 1750, su disegno dell’architetto G. Biagio Amico, da maestri scalpellini trapanesi.

33 ok

L’interno è ad una navata, con copertura a volta, e con cinque altari laterali, tre a destra e due a sinistra.

33a ok

  34 ok

 Gli affreschi della volta sono stati ripresi nel 1929 dal pennello del licatese Ignazio Spina. L’anonimo pittore, riferibile alla fine del ‘600 e non più tardi alla prima metà del ‘700, in tre riquadri, ha illustrato tre momenti della vita di S. Francesco: “la glorificazione”, “ il Santo in mezzo al presepe”, “la conversione del lupo di Gubbio”. Gli affreschi sono stati restaurati dal maestro pittore licatese prof. Antonio Mazzerbo.

IMG_20170910_184310 OK

7 ok

IMG_20170910_184350 OK

Ai piedi della navata si trova la cantoria lignea con l’antico organo molto frammentario, una volta attivato da un congegno a mantice, ancora esistente e posto in un vano attiguo, con accesso dal convento.

34d ok

organo ok

Sotto la cantoria stanno le tombe marmoree  del duca Palmerio Serrovira e quella del capitano spagnolo Diego de Figueroa. Quella di Palmerio Serrovira, con medaglione-ritratto a rilievo dell’estinto (alt. cm. 60), porta la data del 1730. L’epitaffio, in castigliano antico, è inciso in un cartiglio tra due cherubini.

sepolcri ok

34g sarcofago ok

2 serrovira 1 ok

E’ un’opera di pregevole fattura, di ignoto scultore siciliano. Sul letto funebre sta il capitano Diego de Figueroa giacente in abiti marziali. Opera datata  1587.

4 ok

4a ok ok

5 ok

6 ok

L’opera è piuttosto ambiziosa, ma, nel complesso, di ambito provinciale. Peraltro la fattura  non è disprezzabile. Sul lato sinistro della navata si apre la cappella dell’Immacolata col prezioso altare seicentesco di legno intagliato e dorato. In questa cappella nel 1551,  con bolla pontificia di Gregorio XIII, venne fondata la confraternita dell’Immacolata che lo stesso Pontefice, con bolla di aggregazione rilasciata in Roma il 22 maggio IX indiz. 1581, unì all’Arciconfraternita di S. Lorenzo di Damaso di Roma. I confrati dell’Immacolata ebbero poi concesso da Mons. Giovanni Horosio, vescovo di Agrigento, con lettera del 20 settembre XI Indiz. 1604, di portare sul sacco bianco anche l’immagine della Santissima Vergine. Nel 1583 Gregorio XIII, con breve apostolico autorizzò la celebrazione quotidiana della Santa Messa, nell’altare di questa cappella, reso mobile da un particolare congegno, dove, tra due colonne tortili, che rivelano il gusto manierato di quest’opera tardo seicentesca, sta un dipinto in tela (cm.215×100) con l’immagine della Vergine Immacolata che chiude la nicchia che custodisce una delicata scultura lignea della Vergine del sec. XVII.

34i  ok

34i1 ok

Per i nove giorni antecedenti la festa di Maria SS.ma Immacolata ho partecpato alla novena animata dall’Associazione culturale zampognari “Andrea Mule”

 

 CLICCA QUI

 

   Il 7 dicembre 2017, il giorno antecedente alla festa dell’Immacolata Concezione , nella chiesa di San Francesco per la prima volta ho assistito alla tradizionale “Scinnuta” della statua della Vergine Immacolata. Il quadro della Vergine, che occupa l’altare, in realtà nasconde la statua. Spostato il quadro, è apparsa la statua dell’Immacolata in tutta la sua bellezza. Ho visto piangere di commozione tante persone! Con una piccola processione dentro la chiesa, la Vergine Immacolata è stata portata sul presbiterio ed esposta alla venerazione dei fedeli.

0 ok

1 ok

2 ok

4 ok

5 ok

7 ok

8 ok

10 ok

11 ok

12 ok

13 scinnuta ok

 L’0tto dicembre l’Immacolata Concezione è stata portata in processione per le vie di Licata.

15 ok

16 ok

17 ok

18 ok

19 ok

22 ok

La tela dell’Immacolata Concezione, deturpata da alcune posteriori ridipinture, è stata sistemata dalla Banca Popolare Sant’Angelo nel 75° anniversario della sua fondazione. L’opera, eseguita da Domenico Provenzani, è comunque difficile da collocare per la sua ecletticità. Si notano, infatti, richiami alla pittura napoletana e romana per quanto attiene l’impostazione della figura e la morbidezza del panneggio e influenze emiliane per quanto riguarda la modellazione del volto.  Alla parete destra della cappella, la cui cupola venne realizzata da Mario Callisto, presente a Licata per la costruzione della chiesa di S. Angelo, c’è un’immagine lignea di un Cristo alla colonna con chiari accenti realistici, opera di Ignazio Spina.

 34m ok

34m ECCE HOMO ok

 In alto alle parastie di ordine ionico che intervallano i cinque altari sitemati in profonde arcate a pieno centro ricavate dagli stessi muri della navata, sono i ritratti circolari di illustri francescani:Giovanni Duns Scoto (obiit 1308), Antonio Serrovira (obiit 1736), Salvatore Serrovira (obiit 1715), a sinistra;Baldassare Milazzo (obiit 1629), Francesco Serrovira (obiit 1715), Papa Sisto V (obiit 1580) a destra.

 Degli altari, il più interessante è il secondo da sinistra con un ricco reliquiario entro quadretti disposti lungo tutto il sottarco, un crocefisso ligneo tardo seicentesco di discreta fattura ed una stipite lignea con antine apribili, dipinta con l’immagine della Vergine da P. Serafino da Licata (al secolo Francesco Spina), e formelle riccamente smaltate, dove si custodisce la Vergine Assunta giacente, opera di P. Angelo Maria da Licata (al secolo Ignazio Spina), proveniente dalla chiesa dei Cappuccini.

34o ok

34p SANTA ASSUNTA ok

Nel presbiterio si conserva ancora l’altare marmoreo che sostituì verso la fine del settecento il preesistente in legno lavorato. IMG_20170910_184443 OK

34q ok

altare magiore ok

1 ok

3 ok

4

L’altare maggiore ospita il Cristo in Croce. Sul tetto domina la raggera con la M di Maria.

 34q1 ok

34q2 ok

34q3 ok

 Alla parete sinistra di questo vano si trova una preziosa edicola di legno finemente scolpito e dorato con colonnine tortili ed antine. Vi si custodisce un Bambino Gesù collocabile nell’ambito dell’arte popolare del ‘600, di cui non si hanno più notizie da alcuni anni.

34R ok               La Madonnina

IMG_20171126_190103 ok

La zona absidale, a struttura pentagonale, è occupata da un coro in legno, tinto di noce, di ampie dimensioni, con 22 stalli, terminanti ai due estremi con un armadio per parte.

34S ok

Fra gli scanni, posti dietro all’altare maggiore, la porta conduce all’uscita dalla chiesa di San Francesco attraverso il chiostro.

12 ok

Esso è solo interrotto al centro da una porta che immette nella sagrestia, recentemente restaurata. Nel coro, il serrato coronamento dei più tipici elementi decorativi del XVIII, il trattamento prospettico degli specchi delle spalliere, l’andamento quasi scenografico dell’insieme, permettono di pensare all’ignoto autore come ad un esperto artigiano culturalmente piuttosto avvertito. A coronamento della porta centrale sta il dipinto con il Battista che battezza Gesù nel Giordano, unica testimonianza dell’antica chiesa dei Cavalieri Gerosolimitani.

34T ok

IMG_20170910_185219 OK

L’opera per la struttura e per la ricerca coloristica si ritiene possa essere riferita alla prima metà del ‘600. Lungo tutta la parete del coro stanno, invece, i ritratti di alcuni francescani: Emanuele Licata (obiit 1907), Francesco De Pasquali (obiit 1847), Bonaventura Pestritto (obiit 1837), Giuseppe Maria Cipriano (manca la data), Luigi Marino Sapio (obiit 1929), Gaetano Licata (obiit 1839), Pompeo Cipriano (obiit 1884), Francesco Nogara (obiit 1842). Nella chiesa si conservano anche diverse serie di candelabri del XVIII e XIX sec. in legno intarsiato, di buon artigianale locale, alcuni ostensori e calici in lega di metallo argentato e dorato, opera di argentiere siciliano del XVIII sec., una tela (cm. 90×70) raffigurante in primo piano l’Immacolata finemente modellata, opera degna di Domenico Provenzani (sec. XVIII), scomparsa alcuni anni fa. Sono andati purtroppo perduti molti artistici reliquiari lignei, a forma di bracci, e varie tele, lasciate assurdamente abbandonate in un vano deposito in mezzo alla polvere e alle ragnatele. La decorazione di superficie della navata ha subito profonde manomissioni e modificazioni. Fortunatamente invece tutti quanti gli altari conservano ancora i paliotti secenteschi variamente disegnati ed ornati. Il convento appartiene oggi al Comune che ha destinato per tantissimi anni i suoi locali ad uffici giudiziari (ex refettorio) e ad aule scolastiche (scuola media Gaetano De Pasquali).

???????????????????????????????

34V ok

Oggi Istituto Comprensivo “Francesco Giorgio”

E’ sede anche del Fondo Libraio Antico, sezione distaccata della biblioteca comunale “Luigi Vitali”.

34x ok

34z ok

Il suo prospetto, realizzato tra il 1750 e il 1755, su disegno dell’ architetto Giovan Biagio Amico, scenografico e severo nel disegno, risulta tra i più sontuosi di Licata. In particolare il dinamismo dell’intero complesso francescano, frutto della cultura barocca palermitana del tardo Settecento, è dato soprattutto dalla facciata della chiesa non perfettamente allineata con quella del convento, la cui plastica e dirompente partitura (archi e colonne su alto zoccolo al piano terra, finestre e paraste al primo piano) è schiarita dalla balaustra che risolve in alto la chiusura. Delle sue originali strutture rimane purtroppo ben poco, se si fa eccezione dello scaleo marmoreo che conduce all’ex pretura, già refettorio dei Francescani, del classicheggiante chiostro di via S. Francesco, le cui arcate furono chiuse per ricavarvi aule didattiche nei primi anni del Novecento dopo la soppressione degli ordini religiosi e di nuovo restituito al suo originario splendore nell’autunno del 2003 dopo un lungo ed attento restauro, l’ingresso al liceo Serroviriano col suo semplice portoncino ancora sormontato dallo stemma dei PP. Francescani. Al generale rifacimento è sfuggita la cappella dell’infermeria del convento, attigua alla sala dell’antico organo a mantice, sul lato di ponente del complesso. Fu costruita nella 2a metà del sec. XVIII e venne completamente rivestita di pannelli di legno di grandi dimensioni, artisticamente dipinti.

cappella 1ok

Sulla parete di fondo di essa sono due medaglioni con Sant’ Antonio da Padova e Sant’Angelo.

36 ok

e San Luigi Marino Sapio

37 ok

Su quelle laterali un medaglione con Giacobbe e Rebecca

38 ok

 ed un altro con Ester ed Assuero

39 ok

oltre a figure di Angeli, coppie di putti, colonne ed ornamenti vari. Sull’altare stava un dipinto, oggi trasferito nella chiesa, con l’Immacolata (cm. 101×73) entro preziosa cornice di legno intagliato e laminato d’oro trafugata negli anni ottanta finché la chiesa era «chiusa» al culto. cappella 2 ok

40a ok

La parte anteriore della cappella è costituita da un’alta cancellata di legno dipinto, squisita opera di abile tornitore. Il paliotto dell’altare raffigura la fonte della Grazia ed è decorato a fiorami.

IMG_20170910_184708 OK L’intero ambiente, nonostante le proteste, è lasciato nell’ abbandono. La cappella era adibita per i frati ammalati e convalescenti, vecchi o impediti da qualsiasi per sentire o dire messa nella chiesa. La tradizione locale, come sempre, troppo generosa, attribuisce i pannelli dipinti al pennello di Domenico Provenzani, che, peraltro, dotò di pitture ed ornamenti la chiesa della Carità di patronato della famiglia Serrovira.. L’opera però, pur interessantissima come complesso decorativo, appare troppo rozza per essere riferita alla mano del pittore palmese. I padri Conventuali di Licata ebbero anche una dimora-rifugio in campagna, per ripararvi durante le incursioni barbaresche. L’occasione fu data dai giurati licatesi che, verso la fine del XVI sec., donarono ai religiosi un luogo, detto “Porto Salvo”, lontano nove miglia dalla città, situato nell’ex feudo “Vallone Secco”. Qui il P. M. Giuseppe Noto, licatese, nel mese di maggio 1596, autorizzato da Mons. Giovanni Osorio de Cavarruias, vescovo di Agrigento, eresse una chiesetta che intitolò alla Madonna di Porto Salvo che il P. M. Baldassare Milazzo fece rappresentare nel legno da un abile artigiano locale. Un piccolo convento completò il disegno del P. M. Giuseppe Noto. Il convento di S. Francesco nel 1867, sindaco di Licata il cav. Antonino Bosio, venne in gran parte destinato a caserma dei R. Carabinieri a cavallo, poi una porzione a pretura mandamentale e il suo chiostro a scuola tecnica, mentre un ampio vano terra attiguo alla grande sacrestia a biblioteca comunale. La chiesa, che fu anche il cimitero della famiglia Serrovira, in applicazione degli articoli 6 e 8 della legge 27 maggio 1929, n. 848 venne retrocessa dal Comune, con atto del notaio Gaetano Sapio di Licata del 5 agosto 1937, alla Curia Vescovile di Agrigento, unitamente ad una porzione dell’ex convento al piano terra di via V. Bruscia per i bisogni del rettore e della rettoria”.

La dott.ssa Elisa Conti, bravissima e gentilissima, illustra  ai turisti guidandoli la cappella dell’infermeria. Elisa Conti OK

La chiesa di San Francesco, dopo la sua riapertura, è stata molto visitata dai turisti giunti a Licata nel periodo estivo 2017. La presidente dell’Associazione Archeologica Licatese, prof.ssa Vitalba Sorriso, alla quale è stata affidata la gestione turistica di alcuni beni archeologici e monumentali di Licata, si esprime cono queste parole: “Oggi, 10 settembre 2017, non ci siamo fermati un solo minuto. Una marea di turisti nei nostri tre siti: chiostro e Chiesa San Francesco e teatro Re Grillo. Americani, Bulgari, Milanesi, Siciliani etc. Contemporaneamente si parlava in inglese e in  italiano. Mancava lo spagnolo! Chissà, può darsi che capiterà qualche volta di fare la guida turistica e di parlare tre lingue contemporaneamente. Comunque bilancio super positivo e grande soddisfazione. La professionalità ripaga sempre.

LE ISCRIZIONI DELLA CHIESA DI S. FRANCESCO

       

                                                                         I

D.O.M. / YA MI DESTIERO ES CUMPLIDO / YA MI TIERRA MELBOLVIDO / A MI DIOS SUPLICO Y FIDO / NO MIRANDO A QUELSIDO / SE ACUERDE SIEMPRE DE MI / EL CAPITAN DIEGO DE FIGUEROA / ANNO DOMINI MDLXXXVII» / (a destra dell’ingresso).

II

 

D.O.M. / PRAECLARISSIMAM SERROVIRA FAMILIAM / PIETATE DOCTRINA ARMISQ: A PRIMIS REDEMPTIONES fi. RAE SAECULIS / IN CATOLONNIA NULLI SECUNDAM SEMPER EXTITISSE. NON OBSURn / AC POSTEA TEMPORUM VICISSITUDINE IN SICILIAM EVECTAM / A PETRO ARAGONIAE LUDOVICO ET FRIDERICO TRINACRIAE REGIBUS / PARIBUS TAM ANTIQUAE NOBILITATI INSIGNITAM FUISSE MUNERIBUS / RÈLIGIO HIEROSSOLYMITANA ET VETUSTA CHIROGRAPHA TESTANTUR/ ILL: DIVUS D. PALMERIUS SERROVIRA CATENA DUX / EX TANTA PROSAPIA SUPERSTES ADHUC VIVENS POSTREMI DIEI MARMOR / SIBI, SUISQ: HOC POSUIT MONUMENTUM. / ANNO D.ni MDCCXXX MENSE JANUARIO /. (a sinistra dell’ingresso).

III

 

MISSAE INVALETUDINARII VEL ALIO AD HOC / DESIGNATO COENOBII SACELLO MINISTRI / PROVINCIALIS AUCTORITATE ERECTO A RE/ LIGIOSIS INFIRMIS CONVALESCENTIBUS, SENIBUS ALIOQUE LEGITIMO IMPEDIMENTO DE / TENTIS ALIISVE SACERDOTIBUS, PRO EORUMDEM COMMODITATE QUANDOCUMQUE CELEBRATAE PRIVILEGIO ALTARIS PRO OMNIBUS DE / FUNCTIS PERPETUO GAUDENT ATQUE ONE/ RIBUS HUJUS ECCLESIAE (sic) ALTARIBUS ADDICTIS / SATISFACIUNT EX INDULTO BENEDICTI PA / PAE. XIV. DIE. XVIII JANUARII MDCCLII./ (sopra l’altare della cappella dell’infermeria del convento).

 

IV

 ALLA MEMORIA DI / TOMMASO CASCINO / CAVALIERE DELLO SPERON D’ORO / DOTTORE IN LEGGE / CHE PER 38 ANNI IL CONSOLATO / INGLESE RESSE / CONOSCITORE DI MUSICALI ARMONICI CONCERTI / E COMPOSITORE / COLTISSIMO. / CHE A 23 XMBRE 1838 / DI ANNI 67 MORIA / LASCIANDO EREDITÀ DI AFFETTI / IL SUO MAGGIORE FIGLIO / ANGELO. / (a destra dell’ingresso, sopra la tomba del Figueroa).

Alcune iscrizioni in alto sono poco visibili. Altre sono state cancellate e illegibili.

IMG_20171126_185954 ok

IMG_20171126_190014 ok

IMG_20171126_190032 ok

IMG_20171126_190139 ok

IMG_20171126_190159 ok

IMG_20171126_190216 ok

Il chiostro ospita la statua del Cristo alla colonna, della chiesa di Maria SS.ma Carità, il mercoledì e il giovedì della settimana santa.

40c ok

41 ok

Un altro gradito momento musicale è stato offerto dagli alunni dell’Istituto Superiore di Studi Musicali “A. Toscanini” nella bellissima cornice scenografica del chiostro.

42 ok

43 ok

 Le statue di San Francesco e di Sant’Antonio di Padova, sculture realizzate in legno dal maestro Picone Giuseppe nel 1732,

54 ok

54b SANT'aNTONIO ok

sono state restaurate nel 1960-’61 dal pittore licatese  Salvatore (Totò) De Caro, che ha restaurato anche le cappelle in stucco,  grazie al contributo di generosi benefattori (foto dal mio archivio fotografico).

55 ok

56 ok

57 ok

L’altare dell’Addolorata accoglie la statua.

58 ok

L’altare di San Giuseppe accoglie il Santo

59 sa giuseeppe okok

Caratteristico è il complesso di statue con Santa Rita da Cascia posta al centro.

59a santa rita da cascia ok

La statua di San Calogero

59b sa calogero ok

La statua di Santa Chiara d’Assisi

59c ok

Altre statue

59d ok

59e ok

Cristo Gesù

59g ok

59h ok

59i  ok

la Madonna

59m ok

Gli affreschi del tetto, che raccontano scene di vita di San Francesco, opera di Ignazio Spina deceduto nel 1954, una ventina di anni fa sono stati restaurati dal prof. Antonino Mazzerbo, come da testuali sue parole.

60 ok

 Il monumentale organo, di pregevole fattura, è molto decorato. Purtroppo non è funzionante perché gli sono state sottratte le canne.

62 ok

Elemento decorativo è anche il confessionale.

63 ok

Giornata di festa per gli alunni dell’Istituto comprensivo “Salvatore Quasimodo”! In occasione della riapertura della Chiesa di San Francesco, nell’ambito del progetto curriculare “L’arte dei madonnari”, si sono divertiti a dipingere sui marciapiedi del Corso Vittorio Emanuele di Licata volti di Madonne e di Cristi usando la tecnica dei gessetti colorati. Ecco i nomi degli alunni: Daniele Bonvissuto, Erika Bonvissuto, Althea Casula, Aurora Di Vita, Giada Falcone, Aurora Ferranti, Salvatore Florio, Gloria Licata, Mario Magliarisi, Alexia Malfitano, Elisa Pavone, Lorenzo Riccobene, Domenico Ruvio, Jason Trevisan, Gaetano Truisi, Carmela Urso, Vincenzo Volpe, Angelo Volpe, Michele Zarbo, Valentina Wang. (Fonte: Qui Licata.it)

96 ok

97 ok

98 ok

99 ok

100 ok

101 ok

102 ok

103 ok

104 ok

105 okokok

106 ok

107 ok

108 ok

109 ok

110 ok

111 ok

112 ok

Alla fine della cerimonia Mons. Francesco Montenegro ha ammirato i lavori dei giovani artisti lodandoli con “Bravi”. Mons. Montenegro, insieme al prof. Luigi Costanza, Direttore didattico dell’Istituto Comprensivo “Salvatore Quasimodo”, ai docenti referenti del progetto Fiorella Silvestri Antona, Maria Laura Comparato e Giuseppe Antona, ha concesso ai giovani artisti il suo ricordo fotografico .

113 ok

Foto di: -Ivana De Caro -Giuseppe Federico -Lo Iacono Antonino -Angelo Mazzerbo -Nella Seminara -Fiorella Silvestri Antona -Qui Licata.it -Radio Azzurra -Francesco Sottile -Pierangelo Timoneri

May 17, 2017 - Senza categoria    Comments Off on MARE – POESIA DI CARMELO DE CARO

MARE – POESIA DI CARMELO DE CARO

Carmelo!

Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare;
parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:
pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:
è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza
.”
Sono solo alcuni versi della poesia “La morte non è niente”  di Sant’Agostino.

1 ok

2 ok

Voglio ricordare a tutti la presenza, anche se  immateriale, di Carmelo De Caro nel  17° anno della sua morte, attraverso la sua poesia:

MARE

Senti come dolce è stasera il mormorio del mare?
E’ nell’argentata onda la sua voce.
Di nostalgia gonfia nell’ascoltarlo il cuore,
se infocato è d’amor come una face.
Il mare è per coloro che ad amare stanno
niun’altri puon capirlo se non duo cor gentil
che ad ascoltarlo stan rapiti come in sogno.
Per loro crea la giusta atmosfera,
per loro crea la fola dell’amore,
a loro la racconta con voce sincera
e loro ad ascoltarlo stan solo col cuore.
O, vasto, scuro, misterioso oceano,
se un uomo un giorno, d’amor naufragato,
venisse a te, ti prego, tendi la mano,
lascialo pur senza l’amor, ma fa che sia salvato.

luglio 1962

Tratta dal ilbro “Sintiti, Sintiti” di Carmelo De Caro.

3 ok

4 ok

5

6

8

7

I SOCI DEL CENTRO ATTIVITA’ SUBACQUEE

May 10, 2017 - Senza categoria    Comments Off on LA PIANTA DI PRASIUM MAJUS DAI PICCOLI FIORI BIANCHI AZZURRINI

LA PIANTA DI PRASIUM MAJUS DAI PICCOLI FIORI BIANCHI AZZURRINI

???????????????????????????????

Alcuni fenomeni naturalistici non possono passare inosservati!
Percorrendo la strada che conduce al mio villino, a Licata, non è sfuggita alla mia vista la macchia di fiori bianco-azzurrini, traslucidi, che prepotentemente si addossa alla parete rocciosa invasa da altre erbe, da cladodi di ficodindia, da turioni di asparagi selvatici.
E’ il Prasium majus.

1a ok

2 ok

Il suo nome scientifico è “Prasium majus”, ma in Sicilia è conosciuto come il “The siciliano”.
In altre regioni d’Italia è chiamato anche “Prasio”.
In Sicilia, inoltre, è chiamato “Camedriu biancu”.
Nelle varie zone della Sardegna è conosciuto con nomi molto diversi: “Erba craba, pani de conillus, Intrezzu, Menta de conillus, Pes de liebre”. Etimologicamente l’origine del nome del genere Prasium è di incerta derivazione.
Probabilmente deriva dal greco ” ᴨράσιον ” “ marrubio“,  nome usato da Teofrasto per una specie di Marrubium, in riferimento al colore verde lucente delle sue foglie.
Il nome della specie deriva dal latino “majus” maggiore, più grande” e si riferisce alle grandi dimensioni della pianta.

2a ok

La Guida Botanica D’Italia, ossia le chiavi analitiche per determinare le piante spontanee che crescono nella penisola, compilata da Eugenio Baroni, riporta il Prasium majus L. come genere unico descrivendolo così: “Famiglia Lamiaceae, fiori bianchi, o leggermente porporini, solitari, ascellari. Foglie opposte, picciolate, verdi, ovali od ovali–lanceolate, ottuse, spesso cuoriformi alla base, crenulate. Suffrutice ramoso, a rami quadrangolari, legnosi in basso, erbacei in alto 2-5 dm. Colli sassosi prossimi al mare e rupi maritme. Pen. Dalla Toscana (M. Argentario) e Gargano in giù ed isole. Marzo- Giugno”.
Per la mia diretta osservazione posso affermare che il Prasium majus è un suffrutice cespuglioso, con fusto legnoso solo alla base, perenne.
I fusticini sono quadrangolari e molto ramificati.
Le foglie, opposte, provviste di picciolo, di forma ovata, acuminate, con margine seghettato, lucide, sono di colore verde scuro e coperte da una fine peluria più o meno abbondante nella pagina inferiore.
Il Prasium majus è una pianta caducifoglia pertanto le foglie cominciano già a ingiallire quando maturano i semi.
In estate la pianta è completamente secca.
I fiori, riuniti in verticilli di 1 o 2 fiori, sono bianchi macchiettati di violetto. La corolla è tubulosa, con il labbro superiore arcuato e il labbro inferiore trilobato col lobo centrale molto pronunciato. Il calice, campanulato, lievemente bilabiato, ha il labbro superiore diviso in 3 lembi, quello inferiore in 2 lembi. Gli stami sono sporgenti, paralleli, e sostengono le antere biloculari. Lo stilo è molto semplice.
La fioritura avviene da aprile a giugno.


IMG_20210405_121420 OK

1 stami ok

2b Prasium majus The siciliano ok

3 ok

3a ok

4 ok

6 ok

Il frutto è formato da 4 nucule carnose, globose, dapprima di colore verde che, a completa maturazione, assumono una colorazione nera e lucente.

7 ok

2 frutto ok

3 ok

???????????????????????????????

???????????????????????????????

2

I semi germinano alla temperatura di 20 °C e in presenza di umidità elevata.
La propagazione può essere effettuata anche per talea.
Il the siciliano, di tipo corologico Steno-Mediterraneo, è una specie eliofila, che cresce spontaneamente in molte regioni italiane che si affacciano sul mar Mediterraneo vegetando bene nelle garighe, nelle macchie basse e, soprattutto, negli ambienti litoranei e costieri caratterizzati dal clima caldo e secco. Cresce bene anche negli ambienti rocciosi e all’interno delle pinete e dei boschi della macchia mediterranea ad altitudini comprese tra 0 e 600 metri sul livello del mare.
Ama appoggiarsi su suoli piuttosto freschi, silicei e calcarei.
E’ una pianta gradevole e ornamentale per la bellezza dei suoi fiori. E’ coltivata come rampicante per coprire tettoie e graticciate.
Tuttavia la perdita precoce delle foglie limita il suo valore estetico.
I fiori  sono molto graditi dalle api, che li visitano spesso.
In passato i tralci di Prasium majus erano utilizzati dai contadini come legacci per fissare ai pali tutori le giovani piante arboree.
Il Prasium majus è una pianta molto ricca di vitamina E dalla buona capacità anti-ossidante.
Le foglie sono usate per preparare infusi e decotti utili per favorire la diuresi e combattere i calcoli renali.

 

 

 

May 1, 2017 - Senza categoria    Comments Off on ANEMONE HORTENSIS

ANEMONE HORTENSIS

???????????????????????????????

La Natura che è fiorita stamane mi ha aspettato davanti al cancello della mia casa di campagna a Licata regalandomi questo meraviglioso fiore che ho salutato con tanta gioia.
E’ l’Anemone stellato.

2 OK

Il suo nome scientifico è Anemone hortensis, Classificato da Linneo nel 1753, ma è conosciuto come “Fiore stella”.
Possiede altri sinonimi: Anemone versicolor, Anemone hortensioides, Anemone coronarioides.
Il nome del genere “Anemone”
deriva dal greco ἄνεμος “soffiare, spirare, vento”, perchè il suo fiore si apre al soffio dei venti.
Plinio il Vecchio (23 d.C. – 25 agosto 79 d.C.) nella Naturalis historia lib. Xxi scrive: “flos numquam se aperit nisi vento spirante, unde et nomen accipere” “il fiore si apre solo quando soffia il vento, per tal motivo ha preso questo nome”.
La Naturalis historia è un’opera enciclopedica in 37 libri sulle Scienze Naturali che vuole essere la summa del sapere scientifico antico.
Anche Dioscoride (I sec. d. C.) chiama questo genere di piante “ἀνεμώνη” “anemone” identificando il genere ἄγρια” “selvatico, ” e il genere “ἥμερος” “coltivato”.
Il termine della specie “hortensis” deriva dal latino “hortus”orto, giardino”, in riferimento ai suoi habitat preferiti e alla facilità di coltivazione negli orti e nei giardini.
E’ detto “Fiore stella” per la forma stellata dei petali.

??????????

Diversi sono racconti i mitologici che riguardano il fiore di Anemone.
Secondo la mitologia greca Anemone era una bellissima ninfa che viveva alla corte di Chloris, la dea dei fiori, la moglie di Zefiro e la madre di Carpo. Di Anemone, per la sua bellezza, si innamorarono contemporaneamente Borea, il freddo vento di tramontana, e di Zefiro, il leggiadro vento di primavera.
Per conquistare la bella Anemone i due contendenti iniziarono a lottare tra di loro per contendersi il cuore della loro amata Anemone provocando nell’aria continue tempeste e bufere. Chloris, gelosa dell’amore che Zeffiro e Borea provavano per Anemone, la trasformò in un fiore. La ninfa Anemone fu così condannata a un destino crudele: Zefiro, con il suo delicato, dolce amore, l’avrebbe fatta schiudere velocemente, Bora, con le sue violente carezze, avrebbe fatto disperdere nell’aria ancora fredda i fragili petali delle corolle di Anemone ancor prima che gli altri fiori primaverili potessero godere della sua bellezza.
Un altro mito racconta che Venere si innamorò di Adone ucciso dal gelosissimo Marte trasformatosi in cinghiale. Dalle lacrime di Venere e dal sangue di Adone sbocciarono gli Anemoni.

4 OK

4A ok

Per questo mitologico motivo il fiore di Anemone è così delicato e di brevissima durata.
A causa della sua vita effimera, l’Anemone così lo descrive G.B Marini:
“Purpureo è il fiore ed anemone è detto,
breve, come fu breve il suo diletto”.
Basta il soffio di un leggero vento per spazzarlo via.

Il genere Anemone comprende più di un centinaio di specie presenti nel Mediterraneo centro-settentrionale. In Italia è presente, allo stato spontaneo, dal Sud fino al Centro-Nord, isole comprese. Al nord è presente solo in Emilia Romagna e in Liguria dove la sua fioritura sui rilievi appenninici annuncia l’inizio della primavera.

5 OK

E’ assente nelle regioni del Nord: Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta. Gli Anemoni sono piante erbacee perenni alte da 15 a oltre 100 cm, con radici ingrossate o rizomatose. Le foglie sono profondamente divise. Hanno fiori formati da numerosi tepali colorati i cui colori vanno dal bianco al rosso, al viola, al blu e al rosa. Fioriscono, a seconda della specie, in primavera o in autunno.

6OK

 
 L’Anemone hortensis è una pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Ranunculacee. Essa si fissa al suolo mediante una piccola radice tuberosa nerastra, legnosa, dalla quale si eleva il fusto eretto. Possiede un involucro di tre brattee intere o poco divise, ravvicinatissimo al fiore e simulante il calice.
Le foglie cauline sono disposte in un verticillo di tre sotto il fiore. Le foglie basali, lungamente picciolate, hanno la lamina di forma palmata con 3-5 lobi cuneiformi.
Lo scapo fiorifero, esile, pubescente, incurvato durante l’accrescimento, si erge alla fioritura raggiungendo l’altezza di 30-35 cm. Sostiene un singolo fiore, ermafrodita, a simmetria raggiata, profumato, formato dal perianzio composto da numerosi sepali petaloidi di norma violaceo-chiari, dalla corolla formata di 8-20 petali lanceolati e acuti di colore in genere violaceo-chiaro più raramente bianco o rosato e sempre con venature violette ben evidenti. I numerosi pistilli (ginecei), l’insieme degli elementi femminili del fiore, sono circondati dagli stami con antere di colore azzurro-scuro. Il frutto è un poliachenio formato da numerosi acheni oblungo-ovoidali lanosi derivati da carpelli liberi e indipendenti e portanti un lungo rostro apicale.
L’antesi avviene nel periododafebbraio a maggio.
In Sardegna e nelle Regioni più meridionali, alle quote più basse, l’antesi inizia già a gennaio.
La fioritura è scalare e protrae per lungo tempo se la stagione è favorevole. La moltiplicazione avviene in primavera per talea o per divisione dei cespi.

7 OK

???????????????????????????????

In estate entra in riposo vegetativo col disseccamento di tutte le parti aeree. In autunno avviene la ripresa vegetativa con la comparsa delle nuove foglie basali.
L’Anemone hortensis cresce nei luoghi aridi, nei prati incolti, nelle radure, negli oliveti nei boschi, nella macchia, nei giardini, nei bordi stradali, dal livello del mare fino a circa 1200 metri di altitudine.
Predilige i terreni freschi e le piogge invernali e primaverili.

8 OK

Come tutti gli Anemoni, anche l’Anemone hortensis è una pianta velenosa perché contiene protoanemonina, una sostanza chimica che può provocare serie irritazioni topiche. Queste tossiche irritano le mucose del bestiame al pascolo. Pertanto non è commestibile.
Il fiore, una volta essiccato, nella medicina popolare era usato contro i dolori articolari ma, già da tempo, è in disuso. Tuttavia dimostra di possedere proprietà antidepressive, lenisce i mali degli apparati urinario e digerente. Inoltre è utile contro l’insonnia e l’insorgere di otiti.
Di questa pianta non è conosciuto nessun uso cosmetico o erboristico.
Nel linguaggio dei fiori e delle piante l’Anemone rappresenta l’effimero, la brevità delle gioie d’amore edell’instabilità dei sentimenti, l’abbandono, la tristezza, ma, per essere un fiore molto bello, rappresenta la speranza.
Chi lo regala, invia il messaggio a chi lo riceve di sentirsi trascurato, abbandonato o di essere tradito in amore.
Questi simboli potrebbero sembrare in contraddizione fra loro.
Secondo una leggenda della tradizione cristiana, che si raccontava in Terra santa, luogodove gli Anemonicrescevano molto numerosi e profumati, l’Anemone dal fiore di colore rosso vivo è nato dalle gocce di sangue cadute dal corpo di Cristo crocefisso ai piedi della Croce.
Per questo motivo questo fiore rappresenta “la speranza che nasce subito dopo la tristezza”.
Plinio il Vecchio racconta che i Magi, per allontanare malefici e negatività, suggerivano di raccogliere il primo Anemone che fioriva in quell’anno e di indossarlo al collo dopo averlo avvolto in un panno rosso.
Per gli Egizi l’Anemone era il simbolo di malattia.
Per gli etruschi era il fiore dei morti. Tuttora le più estese distese di Anemone coronaria, dal fiore di colore azzurro pallido, ricoprono le necropoli etrusche vicino a Tarquinia.
Nell’Ottocento e fino ai primi decenni del Novecento, l’Anemone è stato un fiore molto usato in Europa, ma poi fu sostituito da altre varietà.

Apr 14, 2017 - Senza categoria    Comments Off on LA FESTA DEL CRISTO REDENTORE – LA CHIESA DEL SS.MO SALVATORE- LA CONFRATERNTA DEL SS.MO SALVATORE A LICATA

LA FESTA DEL CRISTO REDENTORE – LA CHIESA DEL SS.MO SALVATORE- LA CONFRATERNTA DEL SS.MO SALVATORE A LICATA

1 ok

La Santa Pasqua cristiana, che è celebrata la domenica seguente il primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera, segna i suoi momenti liturgici nei quaranta giorni della Quaresima e, in modo particolare, in quelli della settimana santa che inizia la domenica delle Palme, quando sono benedetti i ramoscelli d’ulivo, e si conclude il giorno di Pasqua.
Per la Santa Pasqua s’intende un insieme di ricorrenze religiose dell’anno liturgico che, in Sicilia, ha dato origine a molte feste che uniscono momenti salienti della Passione, della Morte e della Resurrezione di Gesù Cristo. Durante queste manifestazioni religiose rilevante è la partecipazione del popolo siciliano che si manifesta non solo nei classici cortei processionali, ma anche nell’alternanza di sentimenti tristi e luttuosi per la morte di Gesù Cristo e di sentimenti allegri e festosi per la Sua Resurrezione.
A Licata la settimana santa inizia con la festa dell’Addolorata alla quale seguono: la processione del Cristo alla Colonna, la visita ai Santi Sepolcri, le varie funzioni religiose in chiesa, es. la Via Crucis e la Lavanda dei piedi, la rappresentazione del Venerdì Santo, la festa del Cristo Risorto.
Il giorno di Pasqua a Licata è festa grande. E’ la festa del Cristo Risorto. Fervono i preparativi fra i confrati della Confraternita del SS.mo Salvatore. Già la mattina della domenica di Pasqua la piazzetta davanti alla chiesa del SS.mo Salvatore è animata dai gruppi folkloristici e dal suono della banda musicale.

2 ok

Alla funzione eucaristica, officiata dall’assistente spirituale rev. Giuseppe Sciandrone, partecipano tutte le Autorità civili e militari e moltissimi fedeli.

a ok

foto di Giulia Cascina

3 A ok

3 B ok

3 C ok

3 ok

4 ok

5 ok

Durante la funzione religiosa sono accolti nel sodalizio, benedetti del sacerdote, tanti altri giovani adepti che hanno espresso il desiderio di unirsi alla Confraternita del SS.mo  Salvatore per condividere con i vecchi confrati gli stessi propositi.

6 ok

7 ok

8 ok

9 ok

12 OK

13 OK

14 OK

16 OK

17 OK

18 OK

19 OK

21 OK

22 OK

23 OK

Il simulacro del Cristo Risorto, “u Signori cu munnu nmanu”, nelle prime ore pomeridiane esce dalla chiesa del SS.mo Salvatore ed è trasportato in processione lungo le vie della città.

10 ok

11 a

12 ok

13 ok

angelo ok

Durante il cammino processionale entra in alcune chiese di Licata. Il santuario di Sant’Angelo Martire Carmelitano, molto vicino alla chiesa del SS.mo Salvatore, è il primo luogo che accoglie il Cristo Risorto che si avvicina all’urna di Sant’Angelo.

14 A ok

14 B

14 C

14 ok

15 ok

Il cammino processionale prosegue per la Via Rizzo, per il Corso Umberto, per il Corso Serrovira, per il Corso Roma. Attraversa il Corso Vittorio Emanuele I per giungere alla Chiesa Madre. Infine, percorrendo la Via Dante Alighieri, arriva nella Piazzetta Confraternita SS.mo Salvatore dove è ubicata la chiesa del SS.mo Salvatore.
A tarda sera il Cristo Risorto ritorna nella Sua chiesa sempre accompagnato dai confrati, da una grande folla di fedeli, dalla banda musicale.
I fuochi d’artificio concludono la festa.

CLICCA QUI

La domenica successiva alla festività della Santa Pasqua di Resurrezione la comunità della chiesa del  SS.mo Salvatore  per la pima volta ha assistito all’ascesa del Cristo Redentore. Alcuni  confrati della confraternita, guidati dal governatore, l’avv. Vincenzo Graci, con grande  entusiasmo  si impegnarono ad allestire la nicchia dell’altare maggiore che custodisce la statua.

0a ok

1 ok

2 ok

3 ok

Altri trascinarono il fercolo  fino ai piedi dell’altare.

3a ok

Foto di Angelo Curella

3b ok

4 ok

5 ok

6 ok

7 ok

 Quindi  sollevarono  il Cristo Risorto.

9 ok

19 ok

20 ok

U Signori cu munnu nmanu è ora al suo posto.

21 ok

23 ok

24 ok

25 ok

26 ok

28 ok

Il coro “Fiore del Carmelo” ha  intonato canti di lode.

29 ok

Alla fine della mansione i devoti hanno salutato il Cristo con un lungo e devotissimo applauso.

16 a ok

 

LA CHIESA DEL SS.MO SALVATORE A LICATA

16 ok

La chiesa del SS.mo Salvatore si trova nella Piazzetta “Confraternita SS.mo Salvatore” tra l’ala meridionale del convento del santuario di Sant’Angelo Martire Carmelitano e l’ala settentrionale della Badia delle Benedettine, oggi, in parte, sede del Museo archeologico e, in parte, sede di una scuola elementare. La chiesa è corredata da un piccolo giardino sul lato sinistro dove si staglia l’alta statua della Madonna, di marmo bianco, e separata dalle mura urbiche da uno stretto vicolo.

17 a ok

18 ok

La chiesa è molto antica, doveva esistere sicuramente prima del 1242. Nel 1986 e per due lunghi anni è stata sottoposta a urgenti lavori di restauro disposti dalla Soprintendenza ai BB.CC di Agrigento e seguiti dall’architetto Turi Scuto. Durante questi lavori sono stati rinvenuti alcuni elementi architettonici riconducibili al quel periodo.
Le sue origini appartengono alla Confraternita del SS.mo Salvatore che l’ha costruita come oratorio. Un documento, sfuggito all’invasione dei turchi nel1553, perché non era conservato nella chiesa, porta la data del 14 febbraio del 1551, periodo in cui era vescovo di Agrigento Mons.Antonio Lanza. La confraternita del SS.mo Salvatore già nel 1547 si era trasferita nella chiesa di nuova costruzione e aveva ottenuto da Mons. Rodolfo Pio del Carpo, vescovo di Agrigento, la bolla di fondazione della confraternita con le relative regole.
La chiesa è in stile barocco.
Il prospetto, realizzato in marmo di Trapani nel 1697, è abbellito dal portone di legno intagliato realizzato sotto l’impulso del cappellano Melchirre Mantia e con il contributo di alcuni devoti. Qualche modificazione è stata eseguita intorno al 1733, come si nota nella scritta sotto la finestrella centrale del campanile.

19 ok

La torre campanaria, alta 24 metri, pregiata opera di architettura, posta su un alto basamento a due piani di elevazione,  presenta strutture gotiche e ampie finestre e fu completata nel 1773.

20 ok

21 ok

Al  centro della facciata, sopra il portone d’ingresso, l’ampio rosone, di circa due metri quadrati, permette alla luce del giorno di illuminare l’interno della chiesa.

22 a ok

22 b ok

 22 c ok

La chiesa, a navata unica, è impreziosita da stucchi bianchi su fondo celeste.
All’interno la chiesa custodisce numerose opere d’arte: statue, tele, affreschi, stucchi.

IMG_20170312_174500 ok

L’altare centrale, nell’abside, di marmo bianco, ospita nella nicchia la statua lignea di Cristo Redentore realizzata nei primi anni del novecento ad opera di autore ignoto. E’ in atteggiamento benedicente. Ha il braccio destro alzato e la mano aperta. Il braccio sinistro è piegato e la mano sinistra regge una sfera di colore verde che rappresenta il mondo. La sfera è sormontata da una croce dorata. E’ chiamato “u Signuri cu munnu in manu” ed è la statua che è portata in processione la domenica di Pasqua. La statua, dalle dimensioni di 180×80 cm, raffgura Cristo che indossa una tunica bianca a fiori coperta dal mantello dorato all’interno e rosso porpora all’esterno.

 22 ok

 23 a ok

 23 ok

La porta del taberancolo, in legno, è impreziosita dall’ immagine sacra del Buon Pastore. Cantano la ninna nanna al Bambinello i pastori  dellAss. zampognari “Andrea Mulè”.

tabernacolo ok

IMG_20161218_184723 ok

Sopra il presbiterio l’agnello, seduto sulla nuvola, circondato dai raggi del sole, con la croce sul dorso, rappresenta la Santa Pasqua.

ok 1

25 ok

Altare addobbao durante la Quaresima

okok okok

All’ingresso della chiesa, nella nicchia di destra alloggia la statua in cartapesta di Santa Barbara, di ignoto artista siciliano, del XVIII sec., invocata come protettrice contro lampi e tuoni, elementi di rischio per chi lavora nei campi. Santa Barbara ha il volto celestiale, dai lineamenti sottili.
La corona cinge la testa coperta dai lunghi capelli castani. Nella mano destra, col braccio alzato per sostenere il mantello verde-bianco, stringe la palma del martirio. Con la mano sinistra sostiene il libro della sapienza appoggiato all’osso dell’anca. E’ vestita da una tunica rossa fiorata e da una sopraveste trasparente.

26  Santa Barbara ok

Nella nicchia di sinistra alloggia il simulacro ligneo di San Gaetano da Thiene, del XVIII secolo, coperto dall’ampio e morbido panneggio delle vesti. Tiene  in mano il Bambin Gesù e una spiga di grano, simbolo di abbondanza dei raccolti. E’chiamato “Padre della Provvidenza” ed è stato eletto protettore degli agricoltori e dei pastori, categorie presenti tra i confratelli della confraternita.

27 San Gaetano ok

Il Crocifisso, scultura lignea policroma, dell’800, posto sull’altare della navata destra, caratterizzato da un forte patetismo accentuato dalla posizione contorta del corpo, dalla rilevanza della massa muscolare e dal volto scarno e sofferente, rappresenta il Cristo nel momento che precede la morte. Alcuni attribuiscono l’opera a Ignazio Spina, altri al canicattinese Antonio Lo Verde. L’artista ha voluto dare una visione perfetta dell’estrema trasfigurazione di Gesù morto in croce rappresentandoLo in un atteggiamento spasmodico.

28 ok

La nicchia, sempre nella parete di destra, accoglie l’immagine di cartapesta dell’Ecce Homo, alto cm. 160, attribuibile ad un artista locale del 700, forse allo scultore Giovanni Spina, che ha trattato con molto realismo il volto di Gesù dolorante. Il Cristo è in piedi, col volto piegato sul lato destro della sua persona, il braccio sinistro disteso e il destro piegato. I colori, molto accesi, evidenziano il sangue, le ferite  e la sofferenza.

29 ok

La vicina piccola nicchia accoglie il busto della Madonna addolorata, di autore ignoto dell’800.
La drammatica espressività dei gesti e delle masse plastiche del viso comunica il senso del dolore di una madre per la morte del proprio diletto figlio. La testa è cinta da una corona dorata e molto decorata. Un’aureola dorata, formata da tante piccole stelle, circonda il Suo volto. Il fazzoletto, di colore azzurro, copre la testa e il busto fino all’altezza delle spalle. Il collo è cinto da una sciarpa di colore verde. Il corpo di Maria è coperto da una tunica nera. Il grande pugnale Le trafigge il cuore. Le braccia aperte denotano accolgienza e amore materno.

30 ok

 Nella parete di sinistra pregiata è la tela della Madonna con Santa Barbara e San Gaetano da Thiene, di autore ignoto dell’800. Al centro domina la figura di Maria che tiene in braccio il Bambino Gesù. Indossa la tunica di colore arancio e il mantello di colore blu. Ai suoi piedi stanno quattro angeli, San Gaeteno e Santa Barbara, che tiene una palma nella sua mano destra.

31 Madonna con San gaetano ok

Nelle tele,  circondate da cornici di gesso, sono rappresentati alcuni episodi del Nuovo Testamento. Nella parete laterale sinistra sono rappresentati: la resurrezione di Lazzaro,

32 resurrezione di Lazzaro ok

 il miracolo del centurione guarito.

33 il miracolo del FIGLIO DEL centurione GUARITO ok

Nella parete laterale di destra sono rappresentati: la guarigione degli storpi,

 34 la guarigione degli storpi ok

 la guarigione del cieco nato.

35 guarigione del cieco nato ok

Di dimensioni di cm.139x 190 sono attribuiti a Giuseppe Spina nel XVIII sec. Lateralmente all’altare centrale: a sinistra è rappresentata la guarigione dei lebbrosi

36 GUARIGIONE DEI LEBBROSI ALTARE LATO SINISTRO ok

 e a destra la guarigione dell’idropico.

37 GUARIGONE DEL'IDROPICO ALTARE LATO DESTRO ok

Sono in ottimo stato conservazione dopo il restauro eseguito nel 2007 dalla ditta Geraci di Messina.
Otto sono le tele dei santi Apostoli dipinti su fondo scuro con la scrittura il latino. Sono opere attribuite a Giuseppe Spina (1790-1861).
Nella parete laterale destra ci sono: S. Andreae,

 38 Sant' Andera ok

S. Simonis,

39 San Simeone ok

 S. Bartholomaei,

40 San Bartolomeo ok

 S. Taddaei.

41  a taddeo ok

 Nella parete laterale sinistra ci sono: S. Thomae,

42 San tommaso ok

 S. Matthaei,

43 San Matteo ok

  S. Jacopae,

44 San Iacopo ok

S. Philippi.

45 San Filippo ok

La tela, di fattura moderna, raffigura la Madonna del Lume.

 46 a Madonna del Lume ok

  Una piccola nicchia accoglie il presepe.

46 ok

Gli affreschi della volta della chiesa, che raffigurano i miracoli eucaristici, fanno di questo luogo un importante scrigno d’arte. Lodevole è l’impegno della confraternita per la loro buona conservazione.
Raffigurano: le nozze di Cana,

47 le nozze di Cana ok

 La cena a casa di Simone il Fariseo,

48cena in casa di Simone il fariseo

 la moltiplicazione dei pani e dei pesci.

 

49 la moltiplicazione dei pani ok

Il dipinto sopra la porta raffigura il Cristo benedicente

50 ok

E’ IL Cristo Maestro di Vita donato dal f confratello Angelo Lumia.  E’ una copia del mosaico situato sul Colle Portuense a Roma. L’opera è attribuita all’artista  suor M. Agar Loche per la chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo Divino Maestro.
Questa lapide ricorda Don Carmelo Di Bartolo, fondatore dello Scoutismo, per aver creato il primo gruppo Scout a Licata alla fine del 1940 quando era parroco della chiesa del SS.mo Salvatore.

IMG_20170317_184158 ok

OK

Gli arredi sacri della chiesa sono stati arricchiti dalla preziosa pisside donata dai coniugi Salvatore (Totò) Gambino – Ivana De Caro devotissimi a San Pio da Pietralcina.

51 ok

52 ok

53 a ok

La statua di San Pio è stata donata alla Chiesa del SS.mo Salvatore dal confrate signor Carmelo La China, devotissimo di San Pio, tornato alla Casa del Padre.

53 ok

La signora Ivana De Caro racconta: ”Ho un ricordo nella mia mente: ” Un giorno, credo un paio di anni fa, lo vidi entrare nella chiesa del SS.mo Salvatore e, dopo aver fatto il segno della Croce e l’inchino al Santissimo Sacramento, si avvicinò a Padre Pio, lo guardò e gli occhi gli diventarono lucidissimi…quell’immagine mi è rimasta impressa e, anche a distanza di anni, ricordo questa scena come se fosse ieri. Educato, rispettoso, non rinunciava mai al saluto”!
Il calice è stato donato alla chiesa del SS.mo Salvatore da una signora che preferisce mantenere l’anonimato. Dal lato sinistro della chiesa si accede alla sagrestia, che consente l’accesso alla sala di riunione dei confrati, al campanile e alla cripta sotterranea. Gli armadi della sagrestia custodiscono gli arredi sacri della chiesa e della confraternita.
Il sagrato della chiesa comprendeva un piccolo cimitero riservato alla sepoltura dei confrati deceduti   si estendeva dal marciapiede fino all’ingresso della chiesa. Nel corso di recenti restauri è stata anche portata alla luce e ripristinata l’antica cripta sotterranea per tutta la lunghezza della chiesa, con scolatoi E ossari. Nel suo interno sono visibili i resti di un altare,datato 1744.
Agli inizi degli 1980 la cripta fu restaurata dalla Soprintendenza ai BB.CC di Agrigento su progetto dell’architetto Salvatore Scuto che la rese fruibile.

Anima le funzioni religiose la signora Ivana De Caro Gambino pregando, cantando, suonando

IMG_20170312_183906 ok

IMG_20170312_183853 ok

LA CONFRATERNITA DEL SS.MO SALVATORE

54 ok

La confraternita del SS.mo Salvatore può essere considerata il più antico sodalizio ecclesiastico-laicale sorto nella città di Licata e, anche se non si conosce esattamente la data della sua fondazione, essa risale a prima del 1242, secondo quanto è scritto in un documento del Consiglio Generale degli Ospizi della ex provincia di Agrigento del 16 ottobre del 1850. “I primi chiamati a riconoscere il Salvatore nato nel mondo furono uomini di campagna, pastori di regge nella foresta di Betlemme, cui l’Angelo del Signore diede tale felice annunzio, quia natus est vobis hodie Salvator. Eglino i primi ad essere illuminati, claritas Dei circumfulsit illos. Eglino i primi intesero intimare dal coro di què Spiriti celesti la gloria dovuta a Dio in cielo; la pace che vuolea in terra conservarsi fra gl’uomini; or sendo stati  le primizie del suo amore, li primi ammessi alla sua adorazione, e i primi illuminati; a corrispondere adunque alle prime premure del Salvatore verso di essi è stata coltivata da gran tempo già trascorso, e devesi coltivare la nostra Congregazione, quale costa di tal genere, e sorta di persone; e questi pertanto son chiamati tra tanti ad un particolare istituto di vita, e costumi, per cui restasse glorificato il Salvatore in Cielo”.

55 ok

Le Costituzioni e le Regole della Confraternita del SS.mo Salvatore iniziano con queste parole integralmente sopra riportate. Secondo Francesco Giorgio, uno statuto è stato redatto il 18 maggio del 1543, anche se l’atto giuridico più antico, conservato presso la Curia Vescovile di Agrigento, risale al 26 aprile del  1547 e si riferisce all’intervento di don Pietro Valentino, vicario generale del vescovo di Agrigento Mons. Rodolfo Pio del Carpo che, essendosi reso vacante il beneficio del SS. Salvatore, di Jus Patronatus della confraternita, per la morte del sac. Don Antonio Galluzzo, conferma come beneficiale il sac. Antonino de Scotia, presentato, secondo i canoni della confraternita, da don Michele lo Brunetto, Nicola Galluzzo, Andrea Palumbo.
La confraternita del SS.mo Salvatore era costituita da massari e da contadini che avevano scelto come loro sede la chiesa intitolata anche allora al SS.mo Salvatore. Questa sede, anteriormente al 1547, fu distrutta e abbandonata dai confrati che si trasferirono nella sede attuale sita nella “Piazzetta Confraternita  SS.mo Salvatore”.
Quando, nel mese di luglio del 1553, la città di Licata fu devastata da una flotta Turco-Francese, anche la confraternita del SS.Salvatore fu privata delle sue antiche scritture relative alla fondazione e alle regole della confraternita. Il giorno undici maggio del 1563 don Geronimo Bazzio, vicario generale di Mons. Cardinale Rodolfo Pio del Carpo, trovandosi a Licata un decennio più tardi, rinnovò ai confrati sia le Bolle di fondazione sia lo statuto. Confermò al sodalizio la gestione dell’attuale chiesa e la sepoltura ecclesiastica nel cimitero della confraternita annesso alla chiesa e diede la facoltà di eleggere il cappellano Beneficiale. Il 18 maggio del  1543 Mons.Cardinale Rodolfo Pio del Carpo, durante una sacra visita, confermò quanto aveva disposto don Geronimo Bazzio. Il primo gennaio del 1575 Mons Cesare Marullo, il nuovo vescovo di Agrigento, confermò tutte le concessioni precedentemente ottenute.
La Confraternita ebbe il suo massimo splendore nella seconda metà del ‘500. Era costituita da 400 confratelli quando giunse a Licata, durante una sacra visita, Mons Diego de Haedo, vescovo di Agrigento, che stabilì che l’abito uniforme doveva consistere in un sacco di tela bianca con cappelli e mantelli rosati.
Nel secolo XVII la confraternita s’impegnò nella costruzione dell’oratorio detto anche chiesa del “SS. Salvatore”.
Il sagrato della chiesa comprendeva il cimitero e una cripta era riservata alla sepoltura dei confrati.

56 ok

29512970_402334963511113_1259956078212215394_OKn

29497055_402334940177782_7436157413074269452_OKn

Le Costituzioni e le Regole della confraternita furono confermate il 14 febbraio del 1771 da mons. Antonino Cavaleri, vicario generale di mons. Antonino Lanza, vescovo di Agrigento. Il 19 luglio del 1784 le Costituzioni e le Regole furono approvate dalla giunta dei presidenti e dei consultori e riconosciute con dispaccio del viceregio il 21 luglio del 1784.
I pontefici che si succedettero negli anni concessero alla confraternita numerose indulgenze. Con bolla del 24 aprile del 1770 da Clemente XIV fu concessa l’indulgenza plenaria ai confrati nel primo giorno del loro ingresso nel sodalizio. Con bolla del 29 novembre dello stesso anno concesse l’indulgenza plenaria ai confrati defunti che avevano osservato le regole dello statuto. Il rapporto tra il sodalizio e il confrate defunto non si interrompeva con la sua morte, ma continuava con l’attenzione dei confrati per la salvezza dell’anima per mezzo di speciali pratiche spirituali e con la celebrazione delle Sante Messe di suffragio celebrate nell’altare principale.
La confraternita, come avviene ancora oggi, si impegnava a festeggiare la solennità della Santa Pasqua di Resurrezione.
In occasione del triduo pasquale aveva il privilegio di esporre il Ss.mo Sacramento durante le sante Quarantore.
I confrati, obbligatoriamente, dovevano sostare per almeno un’ora di tempo vicino all’altare con la corona di spine sulla testa e con la corda al collo. Nel tardo ‘800, essendosi estinta la confraternita di San Giacomo, che nel giorno di Pasqua portava in processione il simulacro del Cristo Risorto, la confraternita del SS.mo Salvatore assunse l’incarico di condurre per le vie di Licata il simulacro del Cristo Risorto, la statua che presiede la nicchia situata sull’altare centrale. Durante la Via Crucis del Venerdì Santo la confraternita occupava il secondo posto mentre, durante le altre processioni, occupava l’undicesimo posto seguendo il cerimoniale prestabilito che stabiliva l’ordine di ciascuna confraternita nel corteo delle processioni. Infatti, spesso, motivo di scontro tra i vari sodalizi, anche con violente risse, era il posto tenuto da ciascuna confraternita durante le processioni. Per questo motivo l’autorità ecclesiastica di Agrigento assegnò un posto fisso a ciascun sodalizio.
La confraternita, durante la sua istituzione, ha avuto qualche periodo di stasi. Secondo lo statuto, i confrati si dovevano dedicare anche all’esercizio di pie attività verso i poveri e gli ammalati. Durante la festività di Pasqua ogni confrate doveva portare il pane o altri generi alimentari, in processione, nel cimitero della confraternita dove, dopo la benedizione del cappellano, una parte era destinata ad opere di elemosina ai carcerati e agli ammalati ricoverati nell’Ospedaletto degli Incurabili della venerabile Compagnia di Maria SS.ma della Carità, in suffragio dell’anima dei confrati defunti, un’altra parte era distribuita ai poveri che si recavano nel loro cimitero. Nel periodo della raccolta del grano nei campi si faceva la questua il cui ricavato serviva, in parte, per le quotidiane necessità della chiesa e, in parte, per sopperire alle necessità dei poveri e dei bisognosi. Però, l’istituzione della processione del simulacro di Cristo Risorto, molto partecipata dai confrati e dai fedeli, distrasse i confrati dalla frequenza giornaliera dell’oratorio, da cui derivava il loro arricchimento spirituale che avrebbe consentito di “trovare il Salvatore nella gloria per goderlo alla svelata al pari di quelli fortunati Pastori nella grotta di Bettelemme”.
Nel 1968 la soppressione da parte di Mons.Giuseppe Petralia, vescovo di Agrigento, di molte feste religiose, anche di quella a cui si era dedicata la confraternita del SS.mo Salvatore, indusse la stessa alla quasi inattività, durata quasi sino ai giorni nostri, limitandosi alla sola gestione amministrativa del suo patrimonio.
La Confraternita del SS.mo Salvatore attualmente concentra la sua attenzione sull’organizzazione della processione del Cristo Redentore detto “u Signori cu munnu nmanu“. E’ una festa molto partecipata dai confrati e dai fedeli

57 ok

Al fine di adeguare l’istituzione ai tempi, l’assemblea dei confrati, governata dal signor Salvatore Montana, nel 1966 approvò lo statuto corrente. Attualmente la confraternita è composta di 79 confratelli ed è diretta dal Governatore che, al momento, è il dott. Vincenzo Graci,

58 ok

 e da cinque Consiglieri. Il governatore più anziano degli ultimi 50 anni è il signor Cavaleri Vincenzo, oggi novantenne,

59 ok

Carmelo La China, Vincenzo Cavaleri, Vincenzo Bonfiglio, Vincenzo Graci

 Il rettore e padre spirituale è il rev. Padre Giuseppe Sciandrone.

60 ok

La confraternita nell’icona, un piccolo vessillo a fondo scuro, ha inserito l’azzurro globo terrestre, stretto tra tre braccia, e sormontato da una croce, simbolo di Gesù Cristo Salvatore del mondo.

61 ok

Inoltre portano al collo una collana di cordoncino rosso e nel cerchio del medaglione, bordato di rosso,  è raffigurato il Cristo Redentore

62 ok

 e lo stendardo, un drappo rosso damascato di forma triangolare diviso a coda di rondine e sorretto da un’asta con globo terrestre finale sormontato da una croce, simbolo del sodalizio.

63 ok

64

L’altro stendardo è di forma rettangolare, di raso bianco, con contorni arabescati e smerli dorati. La parte centrale è occupata dalla figura del Cristo Risorto.

65 ok

Poichè a Licata sono presenti diverse confraternite, ciò ha spinto l’Autorità ecclesiastica a istituire un Centro Diocesano delle confraternite al fine di promuovere la crescita alla luce del Concilio Ecumenico Vaticano II e di proiettarle a pieno titolo nella chiesa del terzo millennio con l’augurio che, sotto la guida spirituale della chiesa, possano mantenere, vivo il legame tra fede religiosa ed impegno civile.

Oggi, 27 dicembre 2017, il Duomo di Santa Maria La Nova, la Chiesa Madre di Licata, ha accolto le spoglie mortali del signor Vincenzo Cavaleri.
Uomo buono, dotato di una grande nobiltà d’animo, è stato onorato dalla Confraternita del SS.mo Salvatore  di cui è stato governatore per un periodo di tempo lungo 14 anni, come ha riferito l’avv . Vincenzo Graci, attuale governatore della stessa Confraternita.
Ha officiato don Tonino Cilia, parroco della chiesa delle Sette Spade di Licata.

IMG_20171227_163337 ok

IMG_20171227_163343 ok

IMG_20171227_163657 ok

IMG_20171227_164116 governatore graci ok

IMG_20171227_164125 ok

IMG_20171227_164802 ok

IMG_20171227_164806 ok

IMG_20171227_164809 ok

IMG_20171227_164813 ok

IMG_20171227_164822 ok

 Gli angeli e i santi del Paradiso ti accolgano in gloria, fratello Vincenzo!

 

 

Apr 12, 2017 - Senza categoria    Comments Off on LA COMMEMORAZIONE DEL VENERDI’ SANTO A LICATA- LA CHIESA DI SAN GIROLAMO- LA CONFRATERNITA DI SAN GIROLAMO DELLA MISERICORDIA

LA COMMEMORAZIONE DEL VENERDI’ SANTO A LICATA- LA CHIESA DI SAN GIROLAMO- LA CONFRATERNITA DI SAN GIROLAMO DELLA MISERICORDIA

0 ok

Il Venerdì Santo è la ricorrenza religiosa più attesa dalla popolazione di Licata alla quale partecipa con devozione e commozione. E’ rievocata la Crocifissione e la morte di Cristo. L’organizzazione del Venerdì Santo è azione lodevole della Confraternita di San Girolamo della Misericordia. Già la sera del giovedì santo i Confrati, dopo aver partecipato alla santa Messa celebrata nella Chiesa di San Girolamo, vestiti col saio bianco, col cappuccio bianco, con la cintura di cordone rosso annodato lungo i fianchi e stringendo nella mano un cero acceso, rigorosamente disposti in fila, preceduti dallo stendardo e dalla croce, escono dalla Chiesa di San Girolamo e, con passo cadenzato, s’incamminano attraversando le strade della Marina

1 ok

2 ok

Percorrono la via Martinez, il Corso Vittorio Emanuele, dove entrano al Chiostro San Francesco per salutare il Cristo alla Colonna.

ok

3 ok

4 ok

4a

4a ok

Foto di Francesco e Rosalba Nogara

Continuano lungo il Corso Umberto I per giungere al Calvario allestito all’incrocio tra il Corso Umberto I, il Corso Serrovira e la Piazza Vincenzo Linares, per compiere la visita penitenziale con esercizio della Via Crucis animata dalla venerabile confraternita.

Anno 2017

2

17626305_593890274134302_100843403694548797_n ok

visitala calvario della cofnfr San Girolamo 3

6 ok

7a ok

7b ok

8 ok

Anno 2018

1 ok

2 ok

2a ok

3 ok

4 ok

5 ok

7 ok

8 ok

8a ok

8b ok

8c ok

8d ok

9 ok

10 ok

11ok

Il Calvario ligneo ospita la grande croce di Cristo e due altre croci che, secondo il racconto evangelico, servivano per crocefiggere i due ladroni. Durante il percorso rievocano le stazioni della Via Crucis.

All’alba del Venerdì Santo inizia la traslazione del Cristo “u Signuri da notti“. Alle ore 3:30, al grido d’implorazione “Misericordia”, i confrati della chiesa di San Girolamo trasportano il corpo di Cristo, disteso sulla lettiga e ricoperto da un prezioso telo liturgico, seguito dalla Madonna Addolorata, nella cappella del palazzo La Lumia. La Madonna è custodita nella chiesa di Sant’Angelo.

10 a

a ok

9 ok

1 ok

2 foto di Enzo D'Andrea ok

3 ok

foto di Enzo D’Andrea

Durante il percorso è ricoperto dai petali dei delicati e profumanti fiori che piovono dai balconi illuminati. E’ quasi l’alba quando il corpo di Cristo è deposto nella piccola camera ardente, detta “la casa del Signore”, preparata nell’androne del palazzo della nobile famiglia La Lumia e che Lo ospiterà fino alla Sua crocifissione. Oggi, a questa traslazione notturna partecipa una moltitudine di fedeli, mentre una volta era compiuta in gran segreto dai soli Confrati. Alle ore 13.00 la porta della chiesa di San Girolamo si apre. I fedeli rivolgono a quella porta i loro attenti sguardi. Si ode il grido: “Tutti a na vuci: MISERICORDIA“. Dalla porta della Chiesa modestamente appare il Cristo con la croce.

e

10 ok

uscita del cristo dalla chiesa sa ngirolamo ok

Inizia la processione del Cristo Crocifero, “u Signuri ca cruci ‘ncoddu”, “Gesù con la croce sopra la spalla”, in catene e con la corona di spine sulla testa. I confrati, elegantemente vestiti con smoking nero e camicia bianca, con cravattino a farfalla e guanti bianchi, in religioso raccoglimento, escono dalla chiesa di San Girolamo e portano a spalla il Cristo Crocifero. Posti l’uno vicino all’altro, i confrati formano una schiera fitta di portatori che avanzano con la caratteristica “annacata” dondolando a destra e a sinistra. Si muovono con l’esperienza acquisita durante le esercitazioni effettuate nei giorni antecedenti alla processione. Il religioso silenzio è massimo. Il momento è emozionante. Il pathos è indescrivibile.

10a ok

10b  ok

10a ok

Il prezioso simulacro attraversa i Quattro Canti, la via Martinez, nel quartiere Marina, giunge in Piazza Duomo e prosegue per il Corso Vittorio Emanuele.

11 ok

Il procedere di Gesù Crocifero, sempre con la caratteristica “annacata“, un passo lento e cadenzato, un passo avanti, uno di fianco a destra, uno di fianco a sinistra, è sempre accompagnato dal suono delle marce funebri.
Pianto eterno, di Pasquale Quatrano, La dolente, di Cataldo Curri,  Una lacrima sulla tomba di mia madre, di Amedeo Vella, musiche che si estendono alternativamente all’uscita, al rientro, durante la processione, sono intonate dalla banda locale.
Alle ore 14:30 in Piazza Progresso, di fronte al Palazzo di Città, annunciata da uno squillo di tromba, avviene la “Giunta”, l’incontro della Madonna Addolorata, che giunge di corsa dalla Chiesa di Sant’Angelo, dove è stata trasportata dai confrati durante la notte, col proprio Figlio.
Si pone al Suo fianco e lo accompagnerà fino alla crocifissione.

12 ok

Al passaggio di Cristo e dell’Addolorata dai balconi scende una pioggia di fiori.
La “Giunta” è uno dei momenti più toccanti dell’intera commemorazione!  Il Cristo è portato dai confrati della confraternita della Misericordia, la Madonna Addolorata è portata dai lavoratori del mercato agricolo, anche loro impeccabilmente vestiti in abito nero e guanti bianchi.

Il Cristo e l’Addolorata proseguono il cammino verso il Calvario procedendo affiancati l’uno all’altra.

13 ok

1 ok

con i cara bin corso umberto ok

Il Corso Umberto è stracolmo di gente.

14 ok

foto di Rosolino Cirrincione

Poco prima di giungere al Calvario, il Cristo Crocifero entra nell’androne del palazzo del barone La Lumia, sotto la pioggia abbondante di fiori, e subito dopo esce l’altro simulacro, privo della Croce sulle spalle, che si avvia al Calvario per subire la crocefissione. Alle ore 15.00 si celebra il rito della crocefissione.

2 ok

15 ok

1

2a  ok

Ai piedi del Calvario Lo attende il rev. Gerlando Montanalampo che, con una breve omelia, fa meditare la grande folla sul significato della  Passione di Cristo e sul  perdono.

15a aomelia ok

11 ok

Il simulacro di Cristo, attraverso un bianco lenzuolo legato sotto le ascelle, è sollevato sulla croce e legato con dei nastri ai due bracci della croce da due giovani sacerdoti.

3 ok

16 ok

4 ok

5 ok

6 ok

16b

17 ok

E’ presente quasi annualmente il rev. sac. padre Totino Licata, assistente spirituale della Confraternita di San Girolamo della Misericordia.
Il chiodo ai piedi, come da tradizione, è piantato da un infermiere. La Madonna Addolorata è posta ai piedi della Croce per vegliare il Suo diletto Figlio.

21 ok

22 ok

7 ok

8 ok

9 ok

Fanno la guardia alle croci i giovani Scout.

23 ok

10 ok

 Come narra il Vangelo, il cielo si oscurò. Nel vangelo di Marco, in agonia e morte (15,33-39), si legge: ”Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle ore tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lema sabactàni?, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: “Ecco, chiama Elia!”. Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: ”Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce”. Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio si squarciò in due, dall’alto in basso. Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: ”Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”.

Anche l’evangelista Luca, in agonia e morte (23,44-46), scrive: “Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: ”Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo spirò”.

Per tutto il pomeriggio gruppi di penitenti “i ‘ncurunati”, associazioni religiose, confraternite, scout, in pellegrinaggio, si recano al Calvario per onorare il Cristo crocefisso sulla Croce e per portare corone di fiori.

24 ok

Alle ore 19:30 i confrati della Misericordia, partendo in processione dalla chiesa di San Girolamo, trasportano in spalla l’Urna dorata, damascata all’interno e illuminata da tanti artistici fanalini, che accoglierà il Cristo morto al momento della sua deposizione dalla Croce.

25 ok

26 ok

Alle ore 21:00 il Cristo Gesù viene “sceso“, deposto dalla Croce.

27a

27b  ok

27c  ok

27d ok

 e poggiato sul catafalco all’interno della sacra urna.

28 ok

 Inizia la processione del Cristo morto.

urna e madonna  ok

30 ok

 Sempre col solito incedere lento e cadenzato dei portatori, la sacra Urna risale lungo il Corso Umberto I e, in parte, lungo il corso Roma fino all’arrivo nella chiesa del Carmine dove Cristo è accolto dai fedeli che intonano lamentazioni e canti religiosi del Venerdì Santo.
Quindi, il Cristo deposto, riscende per il Corso Roma e per il corso Vittorio Emanuele. Dopo avere compiuto un’altra sosta all’interno della Chiesa Madre, ritorna nella propria chiesa di San Girolamo.

30a  ok

30b ok

30c ok

3

31 ok

.Al grido di “Misericordia”, al rientro della sacra Urnala chiesa chiude le porte.

 

CLICCA QUI

 

LA CHIESA DI SAN GIROLAMO A LICATA

32 ok

La Chiesa di San Gerolamo è una piccola costruzione sita nella “Piazzetta Confraternita di San Girolamo”, distante pochi metri dal mare, sorta nel XV secolo ed edificata sul preesistente Monastero di Santa Chiara quando il quartiere Marina era il cuore della città di Licata.

La sua posizione topografica è molto caratteristica perché è circondata da casette collocate in un dedalo di strette viuzze. Il prospetto esterno è molto semplice e mostra modeste strutture architettoniche.

33 ok

34 okokok

 La chiesa, a navata unica, molto decorosa, ordinata e pulita, è corredata da tre importanti altari, dalle croci, e dalle tele.

35 ok

Molto interessante è l’altare del presbiterio, rifatto nella seconda metà del ‘700, che accoglie la tela raffigurante San Girolamo in una spelonca con il leone e i suoi libri. E’ di grandi dimensioni, misura 300×250 cm.

36 ok

36a ok

La tela, del XVII secolo, è attribuita a Michelangelo Merisi da Caravaggio, il grande pittore che si fermò a Licata diretto a Malta, che  la famiglia Caro ospitò nel suo palazzo. Oppure a qualche allievo della scuola del Caravaggio, secondo anche il parere  del critico d’arte Vittorio Sgarbi, impropriamente attribuito al pittore Filippo Plaladini, ma, probabilmente al manierista licatese Giovanni Portaluni.
La cornice che circonda la tela è preziosa perchè è incisa e rivestita di oro zecchino.
Il dipinto era stato già restaurato nei primi anni del 1980 dalla Soprintendenza alle Gallerie della Sicilia Occidentale di Palermo,  diretta dal prof. Vincenzo Scuderi,  su sollecitazione dell’allora ispettore onorario ai BB.CC prof. Calogero Carità e quando era governatore della Confraternita  l’avv. Giuseppe Montana.
Da notare lo stemma della confraternita posto sopra la tela di San Gerolamo.
Nell’anno 2017 il dipinto è stato restaurato dalla restauratrice, la signora Giovanna Comes,  su incarico del Consiglio d’Amministrazione e su proposta del dott. Angelo Gambino, attuale governatore della Confraternita di San Girolamo della Misericordia.
L’inizio dei lavori è stato comunicato alla Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Agrigento.
L’intervento di restauro è consistito nella pulitura, nella disinfestazione, nel fissaggio di porzioni di colore sollevatosi dalla tela, nella stuccatura e nella reintegrazione pittorica e verniciatura.

36b ok

La chiesa di San Gerolamo ospita i simulacri dei Sacri Misteri, del Cristo e della Madonna Addolorata, e la sacra Urna,  portati in processione durante le celebrazioni del Venerdì Santo sotto l’organizzatore dalla Confraternita di San Gerolamo della Misericordia.

4

 37 ok

 La parete laterale destra mostra una piccola cappella che accoglie la miniatura della rappresentazione del Venerdì Santo e, superiormente, l’urna originale per il trasporto del Cristo all’alba del Venerdì nella cappelletta allestita nel palazzo del barone La Lumia.

38 ok

39 urna del XIX sec ok

L’urna, a lettiga, del sec. XIX, fu restaurata nell’anno giubilare della misericordia nel febbraio 2016. Nei buchi laterali erano inserite le lampade ad acetilene le cui luci illuminavano il Cristo durante il cammino nella notte. L’altare della Madonna ospita la statua dell’Addolorata, del XX secolo.

 40 sinistra di ok

 Nella parete laterale sinistra, quasi all’ingresso, la piccola cappella accoglie la miniatura del Cristo legato alla Colonna.

41dababnti asinistra ok

L’altare del Crocefisso accoglie il simulacro di gesso di Cristo in croce.

42 destra di gesso ok

Gli altri due Crocefissi snodabili sono uno di cartapesta, il cui volto, le mani e i piedi sono stati realizzati da Ignazio Spina nel XIX secolo, l’altro di legno, del XX secolo. Le due croci, la più piccola, recente, l’altra più grande, del 1870, sono di legno scuro.

 43 ok

44 ok

L’urna lignea, che trasporta il Cristo deposto dopo la crocifissione, in stile barocco, è rivestita di oro zecchino e imbottita all’interno con stoffa damascata. E’ stata realizzata a Catania dallo scultore Perez nel 1900.

45 ok

 Lateralmente all’altare di San Girolamo, ben visibile, c’è un piccolo crocefisso bianco che ricorda il giovane Ferraro Giuseppe morto a soli 9 anni di età.

46 Ferraro Giuseppe morto a 9 anni ok

 Giuseppe aveva potato sulle sue deboli spalle la croce di legno durante una processione del Venerdì Santo a Licata. In memoria di Giuseppe, il suo papà, il signor Matteo, realizzò nel suo laboratorio di marmista il simulacro di Gesù in marmo bianco. Lo collocò sulla stessa croce portata da Giuseppe sulla sua spalla. I suoi genitori, il signor Matteo e la signora Maria, lo regalarono alla confraternita di San Girolamo della Misericordia. Nella targa sono incisi: il nome Giuseppe, la sua data di nascita e di morte.

La tela, di fattura recente, è una riproduzione su tela di VOGEL, rinomato pittore rinascimentale. Rappresenta Gesù che accoglie i bambini. Testimonia l’amore di Gesù per i bambini che sono l’espressione diretta dell’ingenuità, della serenità, dell’inconsapevolezza e dell’amore. E’ stata donata per devozione dal confratello Giulio Di Franco nel Natale del 2013, in occasione della Santa Messa .

Il Confratello Di Franco ha voluto esprimere la sua gioia per la donazione con queste parole:
MI SENTO IN DOVERE DI RINGRAZIARE LA CONFRATERNITA IN PRIMIS, IL GOVERNATORE FRANCESCO LAURIA, PER L’OPPORTUNITA’ DATAMI DI PORTARE A TERMINE IL GESTO DI DEVOZIONE CHE RAPPRESENTA DA UNA PARTE L’ATTACCAMENTO ALLA CONFRATERNITA DI CUI MI ONORO DI FAR PARTE, DALL’ALTRA LA MIA FORTE, SINCERA E PROFONDA FEDE CRISTIANO-CATTOLICA.
UNA FEDE FRUTTO DI UN’EDUCAZIONE IMPARTITA DALLA MIA FAMIGLIA MA ANCHE DI UNA SCELTA PERSONALE LIBERA ED INCONDIZIONATA A CREDERE IN UNA DIVINITA’ SUPERIORE ALL’UOMO CHE CI HA CREATI PER VIVERE IN QUESTO MONDO TERRENO E CI RICHIAMERA’ ALLA VITA ETERNA.
UNA FEDE, CHE HA AVUTO NEL TEMPO UN CRESCENDO, AIUTANDOMI NEI MOMENTI BUI ED OSTILI CHE LA VITA CI RISERVA”.

47 ok

 La tela che raffigura “Gesù confido in te” è stata donata, per devozione dai confrati Giovanbattista Platamone e Salvatore Russo.

48 ok

Il quadro, che rappresenta il Cristo morto fra le braccia della Madre, con accanto l’angelo, è stato donato da Desirè Di Liberto.

49 quadro di desirè Di Liberto ok

Si fa ammirare, per la sua bellezza, il tetto ligneo a “cassettoni “, del XVIII secolo, opera di maestranze locali.

50 ok

Nella sacrestia sono custoditi: un piccolo simulacro della Madonna Addolorata in cera del XIX secolo, appartenuto alla Monaca Santa,

51 ok

e un simulacro di medie dimensioni del Cristo Risorto in cartapesta del XX secolo.

52 ok

 Il tetto è dipinto con alcune scene della vita di Gesù.

53 ok

54 ok

56 ok

Di semplice fattura è l’acquasantiera.

 58 ok

 Grazie alla tenacia e al grande impegno della confraternita di San Girolamo della Misericordia e alla generosità dei licatesi la chiesetta di San Girolamo, che versava in precarie conduzioni, di recente fu completamente restaurata.

La confraternita nella sua sede espone numerosi quadri, crocefissi e la croce che apre il cammino processionale della Settimana Santa.

58a ok

58b ok

58c ok

58d ok

58e ok

 58fok

LA CONFRATERNITA DI SAN GIROLAMO DELLA MISERICORDIA

59 ok

11108866_1095276017164962_3564727137397951398_nok

Fondata nel 1578, la Confraternita di San Girolamo della Misericordia ha la sua sede nella Chiesa di San Girolamo, nel cuore dell’antico quartiere della “Marina“.
E’ l’autorevole istituzione religiosa che da centinaia di anni celebra i riti del Giovedì e del Venerdì Santo quando è commemorata la Passione e la Morte di Gesù Cristo a Licata. La scelta della denominazione di San Girolamo quasi certamente deriva dal fatto che il gruppo fondatore della confraternita era costituito da individui forniti di un titolo accademico.
Infatti, come si evince dall’introduzione dello statuto della fondazione, coloro che volevano aderire al sodalizio dovevano seguire l’esempio di San Girolamo che, nella sua giovinezza, si istruì nelle “arti liberali” per perseguire, nella maturità, l’ideale religioso.
Durante la riunione dell’assemblea generale dei Confratelli del 20 gennaio del 1964, nell’art.3 dello Statuto fu confermato lo scopo primario della fondazione della confraternita che riaffermò che l’appartenenza al sodalizio era riservata a “Laureati o professionisti zelanti del culto cristiano“.
Nel nuovo Statuto, approvato dall’assemblea generale dei Confratelli il 19 gennaio 2003, è riaffermato che gli aspiranti ad essere ammessi come confrati della confraternita non dovevano obbligatoriamente possedere un titolo accademico, ma persiste comunque il vincolo del possesso di un diploma di Scuola Media Superiore di secondo grado.

60 ok

La confraternita è regolata da 11 capitoli, confermati da Mons,Lorenzo Gioeni e Cordova,  vescovo di Agrigento, durante la visita pastorale a Licata il 14 gennaio del 1734, che orientano la vita dei confrati e fissano le regole per i festeggiamenti della Settimana Santa.
I confrati dovevano esercitarsi “nelle opere sante e di misericordia”. Il numero degli iscritti alla Confraternita non poteva superare il numero di 72 unità considerato che “ la multitudo arguit imperfectione” e dovevano essere uomini probi “d’onesti parenti e di buoni costumi” Non erano ammesse “le persone scandalose ed infami che senza freno e timor di Dio inclinano al peccato”.
Il nuovo aspirante doveva presentare la sua richiesta al Governatore che informava gli altri confratelli. Segretamente con la votazione col “bussolo” segreto decidevano l’ammissione o il rifiuto dell’aspirante confrate in seno alla Compagnia.
Tutti i confrati dovevano obbedienza al Governatore e ai Consiglieri. Dovevano indossare il sacco di tela cruda e il mantello di lana oscura per trasportare i cadaveri dei confrati deceduti nel cimitero di San Girolamo  e i quelli di altre chiese.
Chi era Sofronio Eusebio Girolamo? Girolamo nacque nel 342 a Stridone, in terra non lontana da Aquileia, in Italia, da una famiglia cristiana, nobile e ricca. Il padre Eusebio, avendo compreso le attitudini di Girolamo verso lo studio, lo mandò a Roma dove il giovane si dedicò agli studi della grammatica, della retorica e della filosofia. Allievo di Mario Vittorino e di Elio Donato, il famoso professore di lingue pagano, Girolamo si dedicò allo studio del latino.
Fu anche un bravo conoscitore del greco e di altre lingue. Imparò a memoria i libri di grandi autori latini e greci: Cicerone, Virgilio, Orazio, Tacito, Omero,  Platone. Fu certamente la sua inesperienza giovanile che lo portò a tuffarsi nell’ambiente mondano e dissoluto della Roma del suo tempo.
Girolamo presto si rese conto che questo comportamento lo aveva allontanato dal suo vero cammino. Tuttavia comprese anche che Dio non lo aveva mai abbandonato e che lo guidava costantemente. Chiese perdono, colmo dell’amore di Dio, e fu perdonato. Divenne catecumeno. Continuava i suoi studi e si preparava ad essere battezzato. Ricevette il santo battesimo da Papa Liberio a 18 anni.
Terminati gli studi, si trasferì a Treviri, dove era ben nota l’anacoresi egiziana, insegnata per qualche anno da Sant’Atanasio durante il suo esilio. Si trasferì poi ad Aquileia dove entrò a far parte di una cerchia di asceti riuniti in comunità sotto il patronato dell’arcivescovo Valeriano.
Deluso dalle inimicizie che erano sorte fra gli asceti, partì per l’Oriente.
Ritiratosi nel deserto Chalcis, in Siria, vi rimase quattro anni vivendo una dura vita di anacoreta e approfondendo le sue conoscenze di ebraico e gli scritti di San Paolo di Tebe. A Calcide, deluso anche qui dagli alterchi fra gli eremiti, divisi dalla dottrina ariana, fece ritorno ad Antiochia, rimanendovi fino al 378, frequentando le lezioni di Apollinare di Laodicea, e divenendo presbitero, ordinato dal vescovo Paolino di Antiochia. Quindi si recò a Costantinopoli per perfezionare lo studio della lingua greca sotto la guida di Gregorio Nazianzeno.
Rimase lì tre anni a studiare con San Gregorio che gli aprì lo spirito all’amore per la esegesi delle Sacre Scritture. Oltre al latino e al greco, conosceva l’ebraico e anche l’aramaico, lingue molto legate ai testi Sacri. Scriveva con classica eleganza in latino e tradusse tutta la Bibbia.
Da questo lavoro nacque il testo della Bibbia noto come “Vulgata“, che significa “di uso comune“.
Allorché Gregorio Nazianzeno lasciò Costantinopoli, nel 382 Girolamo tornò a Roma dove fu segretario di papa Damaso I. Qui riunì un gruppo di giovanette vergini e di vedove, capeggiate dalla nobile Marcella e dalla ricca vedova Paola alle quali si unirono le figlie Eustochio e Blesilla. Andarono ad abitare presso la Grotta del Presepe,  e scelsero di vivere una vita ascetica in preghiera, in meditazione, in astinenza e in penitenza. Girolamo divenne il loro padre spirituale.
Il rigore morale di Girolamo, favorevole all’introduzione del celibato ecclesiastico e all’eradicazione del fenomeno delle cosiddette agapete, non era ben visto da buona parte del clero. Le agapete erano vergini cristiane che consacravano la propria vita a Dio facendo voto di castità e conducendo la vita comunitaria con ecclesiastici che professavano il celibato. Erano chiamate anche “sorelle adottive”.
Alla morte di papa Damaso I la curia romana contrastò l’elezione di Girolamo a padre spirituale ritenendolo responsabile della morte della sua discepola Blesilla. Gli avversari di Girolamo affermarono che le mortificazioni corporali erano espressione di atti di fanatismo i cui effetti dannosi avevano causato la prematura morte della giovane Blesilla.
Girolamo, seguito dal fratello Paoliniano, da alcuni seguaci, dalle discepole Paola ed Eustochio e da altre giovanette appartenenti alla comunità delle ascete romane, nel mese di agosto del 385 s’imbarcò da Ostia per tornare in Oriente dove continuò la sua battaglia in favore del celibato clericale.
A Betlemme Girolamo fondò un monastero maschile, dove andò a vivere, uno femminile e una casa di accoglienza dei pellegrini che arrivavano da tutte le parti del mondo per visitare il luogo in cui era nato Gesù.
Trascorse i suoi ultimi 35 anni in quel luogo dove continuò fino alla morte i suoi studi e i lavori biblici. Con molta energia scriveva ancora contro gli eretici che si azzardavano a negare le verità della Santa Chiesa Cattolica.
Morì a Betlemme il 30 settembre del 420, proprio nell’anno in cui il celibato, dopo essere stato lungamente disatteso, fu imposto al clero da una legge emanata dall’imperatore Onorio.
Per questo suo comportamento di studioso, numerosi pittori rappresentarono Girolamo come San Girolamo penitente che scrive nella sua cella monastica, ispirato dallo Spirito Santo ed accompagnato dal fedele leone.
La leggenda racconta che  un pomeriggio i monaci erano riuniti ad ascoltare la lezione del giorno. Girolamo si trovava tra di loro e ascoltava attento. Improvvisamente, avendo visto un leone che si avvicinava, tutti fuggirono.
Solo Girolamo rimase e mantenne la calma. Si alzò e si avvicinò a nuovo arrivato.
Il leone era un animale di grande mole che usava soltanto tre zampe per camminare. Teneva la quarta sollevata. Era chiaro che il leone, avvicinandosi, voleva comunicare qualcosa offrendo la sua zampa sollevata a Girolamo. Girolamo si rese conto che l’animale era gravemente ferito.
Chiamò il meno timoroso dei monaci per aiutarlo a pulire e a curare la ferita infetta e piena di spine. Girolamo gli tolse le spine e lo medicò. L’animale guarì. Le cure ammansirono la “bestia“. Il leone rimase nel monastero comportandosi pacificamente e sempre accanto a Girolamo. Girolamo, rivolto ai suoi seguaci, disse: “Pensate a questo e voi potrete trovarvi lezioni di vita. Io credo che non sia stato tanto per la cura della sua zampa che Dio lo inviò fino a noi, perché il leone si sarebbe curato senza il nostro aiuto. Dio ci inviò questo leone per mostrare quanto la Provvidenza era ansiosa di farci avere ciò di cui abbiamo bisogno per il nostro bene“.

61

 San Girolamo, per essere studioso e dottore della chiesa, è stato scelto come emblema dalla confraternita di San Girolamo della Misericordia.
La confraternita, composta attualmente di 140 confratelli,

62

62a ok

Foto di A. Ruvio

di cui 18 appartenenti alla confraternita da oltre 50 anni.

63 50 ann ok

Foto di A. Ruvio

E’ governata dal Governatore, collaborato dal Consiglio di Amministrazione. Governatori onorari sono: i confratelli Giovanbattista Platamone  e. Salvatore Bonelli.

64 ok

65 ok

bonelli-1 ok

Il geometra Salvatore Bonelli è il più anziano componente la Confraternita di San Girolamo della Misericordia. L’ex amministratore del Comune, governatore onorario della confraternita, ha compiuto 90 anni e, per l’occasione l’istituzione religiosa licatese, che organizza i Riti della Settimana Santa, il 27 gennaio 2019 lo ha festeggiato subito dopo la santa messa celebrata dall’assistente spirituale don Totino Licata.
Il dott. Angelo Gambino, governatore della confraternita di San Girolamo della Misericordia, ha commentato: “Siamo orgogliosi di questo nostro confratello che, con umiltà e con dedizione, ha reso un grande servizio alla nostra comunità ricoprendo vari ruoli, da portatore a confratello, fino ad occupare un posto nel consiglio di amministrazione diventando anche governatore ed oggi governatore onorario. Un cammino lungo e sempre all’insegna del servizio”. 
Salvatore Bonelli è stato dipendente della Regione Siciliana, rivestendo ruoli importanti, più volte assessore del Comune di Licata e presidente della Commissione Toponomastica oltre che straordinario marito, padre e nonno affettuoso.

Assistente spirituale della confraternita di San Girolamo della Misericordia è il rev. padre Totino Licata

66 ok

Domenica,  27 novembre  2016, sono state rinnovate le cariche sociali ed è stato eletto, con 76 voti, il dott. Angelo Gambino, nuovo Governatore della confraternita,

67 ok

che succede, nella massima carica, al dott. Francesco Lauria.
Francesco Lauria ha ricevuto l’importante onorificenza di essere stato nominato Governatore Onorario della Confraternita di San Girolamo della Misericordia.

68 ok

Angelo Gambino e Francesco Lauria, oggi Governatore Onorario

Vicegovernatore è stato eletto il signor Licata Angelo Maria, segretario il signor Ruvio Adriano, tesoriere il signor Santamaria Maurizio, consiglieri sono i signori: Alaimo Giuseppe, Lauria Carmelo, Pintacorona Giuseppe. Sono stati eletti nel Collegio dei Sindaci Revisori i signori: Alaimo Roberto, Rizzo Salvatore e Benvenuto Carlo. Deleghe speciali sono state assegnate ai confratelli: Francesco Pira (Cultura e Comunicazione) e Ivan Marchese (Sito web, pagina Facebook, Illuminazione Chiesa, Urna e Statue). I nuovi eletti governeranno la confraternita per il prossimo quinquennio. Auguri per un proficuo lavoro e per un cammino spirituale all’insegna della fraternità.
Lo stemma della confraternita di San Girolamo della Misericordia è uno scudo a fondo azzurro caricato di una croce e una scala posta su un monte, il tutto sormontato da un cappello cardinalizio. Il motto della compagnia è “Misericordia”.

69 ok

 Gli scopi principali della Confraternita sono: la promozione dei riti sacri della Settimana Santa a Licata, in particolare nei giorni del Giovedì e del Venerdì Santo, quando è commemorata la Passione e la Morte di Gesù Cristo, la beneficenza e la solidarietà sociale.
Infatti, sono stati adottati numerosi bambini a distanza. Inoltre, la confraternita s’impegna a proseguire il cammino di fede cattolica, a mantenere pulita e ordinata la chiesa e gli altri ambienti scelti come la loro sede che, in seguito ai lavori di restauro sono più accoglienti e funzionali.
Come ha scritto il Cardinale Francesco Montenegro:” Essere confrati della Confraternita di San Girolamo non è solo un onore, ma una responsabilità nei riguardi del Signore e della gente. Significa vivere, nella Chiesa e nella città, una vita che viaggia sui binari della fede, della trasparenza, della legalità, dell’onestà, della condivisione, dell’accoglienza, insomma significa dire no a una vita cristiana mediocre. Curare i riti della Settimana Santa non è un semplice atto esteriore, ma dire a tutti che la Pasqua del Signore è importante nella vita di ogni cristiano e dei Confrati della Confraternita di San Girolamo della Misericordia in particolare”.
Il 21 maggio del 2016 è stato presentato il libro dal titolo: “ La Ven.le confraternita di San Girolamo e il Venerdì Santo a Licata”.

70 ok

 Il Governatore di allora, il dott. Francesco Lauria, ha ringraziato gli autori Calogero Carità e Francesco Pira per avere redatto questo nuovo volume, i Governatori onorari, i membri del Consiglio d’Amministrazione, tutta l’assemblea dei Confratelli e i portatori, gli amici intervenuti alla presentazione del libro.
Ha ringraziato particolarmente la Curia di Agrigento, nella persona del cardinale Francesco Montenegro, il Barone Nicolò La Lumia, per essere stato negli anni affettuoso e presente sostenitore delle attività, il rev. Sac. Totino Licata, guida spirituale della Confraternita e parroco della Parrocchia di San Giuseppe Maria Tomasi, per aver messo a disposizione la sala Falcone-Borsellino.

CLICCA QUI

71

72 ok

Nell’anno della Misericordia la Confraternita di San Girolamo della Misericordia è più che mai viva e presente. Gli applausi sono stati molto calorosi.
Ammirevole è stata l’iniziativa della Confraternita di San Girolamo della Misericordia che, per valorizzare il rito del Venerdì Santo a Licata, quest’anno 2017 ha organizzato due importanti eventi: La Mostra Fotografica e il Concorso “Racconta il Venerdì Santo a Licata” riservato agli studenti delle Scuole Medie di Licata.

1 okNei giorni 7-8-9 aprile 2017, nella singolare Piazzetta Confraternita di San Girolamo della Misericordia sono state esposte molte fotografie che raccontano i riti del Giovedì e del Venerdì Santo a Licata curati dall’omonima Confraternita.

a ok

b ok

2 ok

3 ok

Le fotografie a colori sono patrimonio del Prof. Rosolino Cirrincione, che le ha scattate nei giorni 24 e 25 marzo 2016 registrando le fasi della commemorazione del Venerdì Santo che coinvolgono i circa 150 Confratelli e i Portatori di San Girolamo della Misericordia.

3a ok

Le fotografie in bianco e nero sono patrimonio del Maestro fotografo Carlo Santamaria, che le ha scattate negli anni sessanta dello scorso secolo e che ha messo a disposizione della comunità prelevandole dal suo nutrito archivio.
Notevole è stato l’afflusso della gente che ha visitato la mostra, che ha esposto circa ottanta opere, apprezzando le immagini di Rosolino Cirrincione e di Carlo Santamaria.
Queste le parole del dottor Angelo Gambino: “Con questo doppio evento abbiamo voluto dare testimonianza del servizio che svolgiamo da anni nella nostra Comunità che non vuole essere soltanto quello legato ai riti del Giovedì e Venerdì Santo, ma ribadire quello che la Confraternita di San Girolamo della Misericordia rappresenta una realtà presente nel nostro territorio immersa nel tessuto sociale”.
Per quanto riguarda il Concorso “Racconta il Venerdì Santo a Licata” numerosa è stata la partecipazione degli studenti.
La segreteria del Concorso ha ricevuto circa 100 elaborati fra racconti, poesie e disegni elaborati dagli alunni degli Istituti Comprensivi “Francesco Giorgio, Guglielmo Marconi, Giacomo Leopardi, Salvatore Quasimodo”.
Tutti gli elaborati sono stati attentamente esaminati dai membri della giuria composta dal dott. Angelo Gambino, governatore della confraternita, dal prof. Angelo Maria Licata, vice governatore, dai confratelli, il dottor Giuseppe Pintacorona, il prof. Angelo Bonfiglio, il prof. Francesco Pira e il geometra Adriano Ruvio, segretario del Consiglio di Amministrazione.
I lavori premiati, secondo il regolamento, sono stati in numero di tre.
La giuria ha avuto difficoltà a selezionare i lavori migliori essendo meritevoli anche tutti gli altri elaborati pervenuti.
Il giorno 8 aprile 2017 la Chiesa di San Girolamo della Misericordia è stata la magnifica sede, ideale per la fase della Premiazione degli alunni che hanno partecipato al Concorso “Racconta il Venerdì Santo a Licata”.

3b ok

Ha dato inizio ai lavori il dottor Angelo Gambino. Ha coordinato il professor Francesco Pira, delegato alla Cultura. Il prof. Angelo Maria Licata ha esposto la storia e la tradizione della Confraternita di San Girolamo della Misericordia.

4 ok

Da sx: Francesco Pira, Angelo Gambino, Angelo Maria Licata

Il Primo Premio è stato assegnato agli alunni Giulia Calabrese, Emanuela Gibaldi e Giorgia Tealdo, studenti dell’Istituto Comprensivo “Gugliemo Marconi”, per aver realizzato il racconto ” La scoperta di Riccardo..il Venerdì Santo a Licata”. La Giuria si è espressa con la motivazione: “Per lo stile narrativo lineare e preciso e per l’attenta e minuziosa analisi storica che permette di vivere compiutamente le tradizioni”.

Il secondo Premio, ex aequo, è stato assegnato ai giovani  Vincenzo Bonfissuto, Luigi Caccetta, Elisa Casa, Michela Mulè, Ada Rusu e Andrea Schembri, alunni dell’Istituto Comprensivo “Francesco Giorgio”, per aver realizzato il DISEGNO. Per la poesia “Tutta na vuci…Misericordia” il premio ex aequo è stato assegnato agli alunni Aurora Corvitto, Nicole Marino e Gabriele Rizzo. Anche loro bravi alunni dell’Istituto Comprensivo “Francesco Giorgio”.

Il terzo Premio è stato assegnato, ex aequo, alla giovane Althea Casula, alunna dell’Istituto Comprensivo “Salvatore Quasimodo”, per avere realizzato il DISEGNO con la tecnica a collage guidata dalla sua insegnante prof.ssa Fiorella Silvestri.

4a ok

5 ok

e agli alunni Sofia Antona, Annamaria Di Blasi e Ludovica Lauria, studenti dell’Istituto Comprensivo “Giacomo Leopardi” per un altro DISEGNO.

I premi sono consistiti in elargizione di somme di denaro da spendere per l’acquisto di altri libri. Tutti i partecipanti al Concorso hanno ricevuto l’Attestato di partecipazione.
Con l’attestato di Benemerenza hanno ricevuto il meritato riconoscimento, per il loro contributo di divulgare la conoscenza delle attività della Confraternita, il Prof. Rosolino Cirrincione, docente di Petrografia nell’Ateneo di Catania e Reporter della Nikon, e il Maestro Carlo Santamaria, il più anziano dei fotografi di Licata.

6 ok

Da sx: Carlo Santamaria, Angelo Gambino, Rosolino Cirrincione

TARGA OK

Inoltre il dott. Gambino ha donato il quadro, con l’effige del Cristo portato in spalla, ai Dirigenti Scolastici degli Istituti: al prof. Francesco Catalano, dirigente dell’Istituto Francesco Giorgio, al prof. Maurilio Lombardo, dirigente dell’Istituto Gugliemo Marconi, al prof. Maurizio Buccoleri, dirigente dell’Istituto Giacomo Leopardi, al prof. Luigi Costanza, dirigente dell’Istituto Salvatore Quasimodo.

7 ok

1francesco Catalano ok

Francesco Catalano

2 maurilio lombardo ok

Maurilio Lombardo

3 maurzio buccoleri ok

Maurizio Buccoleri

4  luigi costanza ok

Luigi Costanza

Hanno ricevuto l’Attestato le docenti degli Istituti Comprensivi impegnate nel progetto. Sono le prof.sse: Tiziana Alesci, Ilaria Ferraro, Angelica Graci, Maria Graci, Rosalia Licata, Grazia Macrì, Caterina Mannino, Rosalia Nogara, Viviana Porrello, Vittoria Rizzo, Fiorella Silvestri.

Insegnanti e alunni insieme!

5 ok

6 ok

7 ok

8 ok

9 ok

10 ok

11 ok

Foto tratte dal profilo fb di Francesco Pira

Alcune foto sono di:
-Francesco e Rosalba Nogara
– Ivana De Caro Gambino
-Ivan Marchese
-Altre tratte da: www.confraternitasangirolamo.com

Pagine:«1...23242526272829...45»