Apr 14, 2017 - Senza categoria    Comments Off on LA FESTA DEL CRISTO REDENTORE – LA CHIESA DEL SS.MO SALVATORE- LA CONFRATERNTA DEL SS.MO SALVATORE A LICATA

LA FESTA DEL CRISTO REDENTORE – LA CHIESA DEL SS.MO SALVATORE- LA CONFRATERNTA DEL SS.MO SALVATORE A LICATA

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La Santa Pasqua cristiana, che è celebrata la domenica seguente il primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera, segna i suoi momenti liturgici nei quaranta giorni della Quaresima e, in modo particolare, in quelli della settimana santa che inizia la domenica delle Palme, quando sono benedetti i ramoscelli d’ulivo, e si conclude il giorno di Pasqua.
Per la Santa Pasqua s’intende un insieme di ricorrenze religiose dell’anno liturgico che, in Sicilia, ha dato origine a molte feste che uniscono momenti salienti della Passione, della Morte e della Resurrezione di Gesù Cristo. Durante queste manifestazioni religiose rilevante è la partecipazione del popolo siciliano che si manifesta non solo nei classici cortei processionali, ma anche nell’alternanza di sentimenti tristi e luttuosi per la morte di Gesù Cristo e di sentimenti allegri e festosi per la Sua Resurrezione.
A Licata la settimana santa inizia con la festa dell’Addolorata alla quale seguono: la processione del Cristo alla Colonna, la visita ai Santi Sepolcri, le varie funzioni religiose in chiesa, es. la Via Crucis e la Lavanda dei piedi, la rappresentazione del Venerdì Santo, la festa del Cristo Risorto.
Il giorno di Pasqua a Licata è festa grande. E’ la festa del Cristo Risorto. Fervono i preparativi fra i confrati della Confraternita del SS.mo Salvatore. Già la mattina della domenica di Pasqua la piazzetta davanti alla chiesa del SS.mo Salvatore è animata dai gruppi folkloristici e dal suono della banda musicale.

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Alla funzione eucaristica, officiata dall’assistente spirituale rev. Giuseppe Sciandrone, partecipano tutte le Autorità civili e militari e moltissimi fedeli.

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foto di Giulia Cascina

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Durante la funzione religiosa sono accolti nel sodalizio, benedetti del sacerdote, tanti altri giovani adepti che hanno espresso il desiderio di unirsi alla Confraternita del SS.mo  Salvatore per condividere con i vecchi confrati gli stessi propositi.

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Il simulacro del Cristo Risorto, “u Signori cu munnu nmanu”, nelle prime ore pomeridiane esce dalla chiesa del SS.mo Salvatore ed è trasportato in processione lungo le vie della città.

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Durante il cammino processionale entra in alcune chiese di Licata. Il santuario di Sant’Angelo Martire Carmelitano, molto vicino alla chiesa del SS.mo Salvatore, è il primo luogo che accoglie il Cristo Risorto che si avvicina all’urna di Sant’Angelo.

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Il cammino processionale prosegue per la Via Rizzo, per il Corso Umberto, per il Corso Serrovira, per il Corso Roma. Attraversa il Corso Vittorio Emanuele I per giungere alla Chiesa Madre. Infine, percorrendo la Via Dante Alighieri, arriva nella Piazzetta Confraternita SS.mo Salvatore dove è ubicata la chiesa del SS.mo Salvatore.
A tarda sera il Cristo Risorto ritorna nella Sua chiesa sempre accompagnato dai confrati, da una grande folla di fedeli, dalla banda musicale.
I fuochi d’artificio concludono la festa.

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La domenica successiva alla festività della Santa Pasqua di Resurrezione la comunità della chiesa del  SS.mo Salvatore  per la pima volta ha assistito all’ascesa del Cristo Redentore. Alcuni  confrati della confraternita, guidati dal governatore, l’avv. Vincenzo Graci, con grande  entusiasmo  si impegnarono ad allestire la nicchia dell’altare maggiore che custodisce la statua.

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Altri trascinarono il fercolo  fino ai piedi dell’altare.

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Foto di Angelo Curella

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 Quindi  sollevarono  il Cristo Risorto.

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U Signori cu munnu nmanu è ora al suo posto.

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Il coro “Fiore del Carmelo” ha  intonato canti di lode.

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Alla fine della mansione i devoti hanno salutato il Cristo con un lungo e devotissimo applauso.

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LA CHIESA DEL SS.MO SALVATORE A LICATA

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La chiesa del SS.mo Salvatore si trova nella Piazzetta “Confraternita SS.mo Salvatore” tra l’ala meridionale del convento del santuario di Sant’Angelo Martire Carmelitano e l’ala settentrionale della Badia delle Benedettine, oggi, in parte, sede del Museo archeologico e, in parte, sede di una scuola elementare. La chiesa è corredata da un piccolo giardino sul lato sinistro dove si staglia l’alta statua della Madonna, di marmo bianco, e separata dalle mura urbiche da uno stretto vicolo.

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La chiesa è molto antica, doveva esistere sicuramente prima del 1242. Nel 1986 e per due lunghi anni è stata sottoposta a urgenti lavori di restauro disposti dalla Soprintendenza ai BB.CC di Agrigento e seguiti dall’architetto Turi Scuto. Durante questi lavori sono stati rinvenuti alcuni elementi architettonici riconducibili al quel periodo.
Le sue origini appartengono alla Confraternita del SS.mo Salvatore che l’ha costruita come oratorio. Un documento, sfuggito all’invasione dei turchi nel1553, perché non era conservato nella chiesa, porta la data del 14 febbraio del 1551, periodo in cui era vescovo di Agrigento Mons.Antonio Lanza. La confraternita del SS.mo Salvatore già nel 1547 si era trasferita nella chiesa di nuova costruzione e aveva ottenuto da Mons. Rodolfo Pio del Carpo, vescovo di Agrigento, la bolla di fondazione della confraternita con le relative regole.
La chiesa è in stile barocco.
Il prospetto, realizzato in marmo di Trapani nel 1697, è abbellito dal portone di legno intagliato realizzato sotto l’impulso del cappellano Melchirre Mantia e con il contributo di alcuni devoti. Qualche modificazione è stata eseguita intorno al 1733, come si nota nella scritta sotto la finestrella centrale del campanile.

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La torre campanaria, alta 24 metri, pregiata opera di architettura, posta su un alto basamento a due piani di elevazione,  presenta strutture gotiche e ampie finestre e fu completata nel 1773.

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Al  centro della facciata, sopra il portone d’ingresso, l’ampio rosone, di circa due metri quadrati, permette alla luce del giorno di illuminare l’interno della chiesa.

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La chiesa, a navata unica, è impreziosita da stucchi bianchi su fondo celeste.
All’interno la chiesa custodisce numerose opere d’arte: statue, tele, affreschi, stucchi.

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L’altare centrale, nell’abside, di marmo bianco, ospita nella nicchia la statua lignea di Cristo Redentore realizzata nei primi anni del novecento ad opera di autore ignoto. E’ in atteggiamento benedicente. Ha il braccio destro alzato e la mano aperta. Il braccio sinistro è piegato e la mano sinistra regge una sfera di colore verde che rappresenta il mondo. La sfera è sormontata da una croce dorata. E’ chiamato “u Signuri cu munnu in manu” ed è la statua che è portata in processione la domenica di Pasqua. La statua, dalle dimensioni di 180×80 cm, raffgura Cristo che indossa una tunica bianca a fiori coperta dal mantello dorato all’interno e rosso porpora all’esterno.

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La porta del taberancolo, in legno, è impreziosita dall’ immagine sacra del Buon Pastore. Cantano la ninna nanna al Bambinello i pastori  dellAss. zampognari “Andrea Mulè”.

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Sopra il presbiterio l’agnello, seduto sulla nuvola, circondato dai raggi del sole, con la croce sul dorso, rappresenta la Santa Pasqua.

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Altare addobbao durante la Quaresima

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All’ingresso della chiesa, nella nicchia di destra alloggia la statua in cartapesta di Santa Barbara, di ignoto artista siciliano, del XVIII sec., invocata come protettrice contro lampi e tuoni, elementi di rischio per chi lavora nei campi. Santa Barbara ha il volto celestiale, dai lineamenti sottili.
La corona cinge la testa coperta dai lunghi capelli castani. Nella mano destra, col braccio alzato per sostenere il mantello verde-bianco, stringe la palma del martirio. Con la mano sinistra sostiene il libro della sapienza appoggiato all’osso dell’anca. E’ vestita da una tunica rossa fiorata e da una sopraveste trasparente.

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Nella nicchia di sinistra alloggia il simulacro ligneo di San Gaetano da Thiene, del XVIII secolo, coperto dall’ampio e morbido panneggio delle vesti. Tiene  in mano il Bambin Gesù e una spiga di grano, simbolo di abbondanza dei raccolti. E’chiamato “Padre della Provvidenza” ed è stato eletto protettore degli agricoltori e dei pastori, categorie presenti tra i confratelli della confraternita.

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Il Crocifisso, scultura lignea policroma, dell’800, posto sull’altare della navata destra, caratterizzato da un forte patetismo accentuato dalla posizione contorta del corpo, dalla rilevanza della massa muscolare e dal volto scarno e sofferente, rappresenta il Cristo nel momento che precede la morte. Alcuni attribuiscono l’opera a Ignazio Spina, altri al canicattinese Antonio Lo Verde. L’artista ha voluto dare una visione perfetta dell’estrema trasfigurazione di Gesù morto in croce rappresentandoLo in un atteggiamento spasmodico.

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La nicchia, sempre nella parete di destra, accoglie l’immagine di cartapesta dell’Ecce Homo, alto cm. 160, attribuibile ad un artista locale del 700, forse allo scultore Giovanni Spina, che ha trattato con molto realismo il volto di Gesù dolorante. Il Cristo è in piedi, col volto piegato sul lato destro della sua persona, il braccio sinistro disteso e il destro piegato. I colori, molto accesi, evidenziano il sangue, le ferite  e la sofferenza.

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La vicina piccola nicchia accoglie il busto della Madonna addolorata, di autore ignoto dell’800.
La drammatica espressività dei gesti e delle masse plastiche del viso comunica il senso del dolore di una madre per la morte del proprio diletto figlio. La testa è cinta da una corona dorata e molto decorata. Un’aureola dorata, formata da tante piccole stelle, circonda il Suo volto. Il fazzoletto, di colore azzurro, copre la testa e il busto fino all’altezza delle spalle. Il collo è cinto da una sciarpa di colore verde. Il corpo di Maria è coperto da una tunica nera. Il grande pugnale Le trafigge il cuore. Le braccia aperte denotano accolgienza e amore materno.

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 Nella parete di sinistra pregiata è la tela della Madonna con Santa Barbara e San Gaetano da Thiene, di autore ignoto dell’800. Al centro domina la figura di Maria che tiene in braccio il Bambino Gesù. Indossa la tunica di colore arancio e il mantello di colore blu. Ai suoi piedi stanno quattro angeli, San Gaeteno e Santa Barbara, che tiene una palma nella sua mano destra.

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Nelle tele,  circondate da cornici di gesso, sono rappresentati alcuni episodi del Nuovo Testamento. Nella parete laterale sinistra sono rappresentati: la resurrezione di Lazzaro,

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 il miracolo del centurione guarito.

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Nella parete laterale di destra sono rappresentati: la guarigione degli storpi,

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 la guarigione del cieco nato.

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Di dimensioni di cm.139x 190 sono attribuiti a Giuseppe Spina nel XVIII sec. Lateralmente all’altare centrale: a sinistra è rappresentata la guarigione dei lebbrosi

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 e a destra la guarigione dell’idropico.

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Sono in ottimo stato conservazione dopo il restauro eseguito nel 2007 dalla ditta Geraci di Messina.
Otto sono le tele dei santi Apostoli dipinti su fondo scuro con la scrittura il latino. Sono opere attribuite a Giuseppe Spina (1790-1861).
Nella parete laterale destra ci sono: S. Andreae,

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S. Simonis,

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 S. Bartholomaei,

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 S. Taddaei.

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 Nella parete laterale sinistra ci sono: S. Thomae,

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La tela, di fattura moderna, raffigura la Madonna del Lume.

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  Una piccola nicchia accoglie il presepe.

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Gli affreschi della volta della chiesa, che raffigurano i miracoli eucaristici, fanno di questo luogo un importante scrigno d’arte. Lodevole è l’impegno della confraternita per la loro buona conservazione.
Raffigurano: le nozze di Cana,

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 La cena a casa di Simone il Fariseo,

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 la moltiplicazione dei pani e dei pesci.

 

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Il dipinto sopra la porta raffigura il Cristo benedicente

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E’ IL Cristo Maestro di Vita donato dal f confratello Angelo Lumia.  E’ una copia del mosaico situato sul Colle Portuense a Roma. L’opera è attribuita all’artista  suor M. Agar Loche per la chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo Divino Maestro.
Questa lapide ricorda Don Carmelo Di Bartolo, fondatore dello Scoutismo, per aver creato il primo gruppo Scout a Licata alla fine del 1940 quando era parroco della chiesa del SS.mo Salvatore.

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Gli arredi sacri della chiesa sono stati arricchiti dalla preziosa pisside donata dai coniugi Salvatore (Totò) Gambino – Ivana De Caro devotissimi a San Pio da Pietralcina.

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La statua di San Pio è stata donata alla Chiesa del SS.mo Salvatore dal confrate signor Carmelo La China, devotissimo di San Pio, tornato alla Casa del Padre.

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La signora Ivana De Caro racconta: ”Ho un ricordo nella mia mente: ” Un giorno, credo un paio di anni fa, lo vidi entrare nella chiesa del SS.mo Salvatore e, dopo aver fatto il segno della Croce e l’inchino al Santissimo Sacramento, si avvicinò a Padre Pio, lo guardò e gli occhi gli diventarono lucidissimi…quell’immagine mi è rimasta impressa e, anche a distanza di anni, ricordo questa scena come se fosse ieri. Educato, rispettoso, non rinunciava mai al saluto”!
Il calice è stato donato alla chiesa del SS.mo Salvatore da una signora che preferisce mantenere l’anonimato. Dal lato sinistro della chiesa si accede alla sagrestia, che consente l’accesso alla sala di riunione dei confrati, al campanile e alla cripta sotterranea. Gli armadi della sagrestia custodiscono gli arredi sacri della chiesa e della confraternita.
Il sagrato della chiesa comprendeva un piccolo cimitero riservato alla sepoltura dei confrati deceduti   si estendeva dal marciapiede fino all’ingresso della chiesa. Nel corso di recenti restauri è stata anche portata alla luce e ripristinata l’antica cripta sotterranea per tutta la lunghezza della chiesa, con scolatoi E ossari. Nel suo interno sono visibili i resti di un altare,datato 1744.
Agli inizi degli 1980 la cripta fu restaurata dalla Soprintendenza ai BB.CC di Agrigento su progetto dell’architetto Salvatore Scuto che la rese fruibile.

Anima le funzioni religiose la signora Ivana De Caro Gambino pregando, cantando, suonando

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LA CONFRATERNITA DEL SS.MO SALVATORE

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La confraternita del SS.mo Salvatore può essere considerata il più antico sodalizio ecclesiastico-laicale sorto nella città di Licata e, anche se non si conosce esattamente la data della sua fondazione, essa risale a prima del 1242, secondo quanto è scritto in un documento del Consiglio Generale degli Ospizi della ex provincia di Agrigento del 16 ottobre del 1850. “I primi chiamati a riconoscere il Salvatore nato nel mondo furono uomini di campagna, pastori di regge nella foresta di Betlemme, cui l’Angelo del Signore diede tale felice annunzio, quia natus est vobis hodie Salvator. Eglino i primi ad essere illuminati, claritas Dei circumfulsit illos. Eglino i primi intesero intimare dal coro di què Spiriti celesti la gloria dovuta a Dio in cielo; la pace che vuolea in terra conservarsi fra gl’uomini; or sendo stati  le primizie del suo amore, li primi ammessi alla sua adorazione, e i primi illuminati; a corrispondere adunque alle prime premure del Salvatore verso di essi è stata coltivata da gran tempo già trascorso, e devesi coltivare la nostra Congregazione, quale costa di tal genere, e sorta di persone; e questi pertanto son chiamati tra tanti ad un particolare istituto di vita, e costumi, per cui restasse glorificato il Salvatore in Cielo”.

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Le Costituzioni e le Regole della Confraternita del SS.mo Salvatore iniziano con queste parole integralmente sopra riportate. Secondo Francesco Giorgio, uno statuto è stato redatto il 18 maggio del 1543, anche se l’atto giuridico più antico, conservato presso la Curia Vescovile di Agrigento, risale al 26 aprile del  1547 e si riferisce all’intervento di don Pietro Valentino, vicario generale del vescovo di Agrigento Mons. Rodolfo Pio del Carpo che, essendosi reso vacante il beneficio del SS. Salvatore, di Jus Patronatus della confraternita, per la morte del sac. Don Antonio Galluzzo, conferma come beneficiale il sac. Antonino de Scotia, presentato, secondo i canoni della confraternita, da don Michele lo Brunetto, Nicola Galluzzo, Andrea Palumbo.
La confraternita del SS.mo Salvatore era costituita da massari e da contadini che avevano scelto come loro sede la chiesa intitolata anche allora al SS.mo Salvatore. Questa sede, anteriormente al 1547, fu distrutta e abbandonata dai confrati che si trasferirono nella sede attuale sita nella “Piazzetta Confraternita  SS.mo Salvatore”.
Quando, nel mese di luglio del 1553, la città di Licata fu devastata da una flotta Turco-Francese, anche la confraternita del SS.Salvatore fu privata delle sue antiche scritture relative alla fondazione e alle regole della confraternita. Il giorno undici maggio del 1563 don Geronimo Bazzio, vicario generale di Mons. Cardinale Rodolfo Pio del Carpo, trovandosi a Licata un decennio più tardi, rinnovò ai confrati sia le Bolle di fondazione sia lo statuto. Confermò al sodalizio la gestione dell’attuale chiesa e la sepoltura ecclesiastica nel cimitero della confraternita annesso alla chiesa e diede la facoltà di eleggere il cappellano Beneficiale. Il 18 maggio del  1543 Mons.Cardinale Rodolfo Pio del Carpo, durante una sacra visita, confermò quanto aveva disposto don Geronimo Bazzio. Il primo gennaio del 1575 Mons Cesare Marullo, il nuovo vescovo di Agrigento, confermò tutte le concessioni precedentemente ottenute.
La Confraternita ebbe il suo massimo splendore nella seconda metà del ‘500. Era costituita da 400 confratelli quando giunse a Licata, durante una sacra visita, Mons Diego de Haedo, vescovo di Agrigento, che stabilì che l’abito uniforme doveva consistere in un sacco di tela bianca con cappelli e mantelli rosati.
Nel secolo XVII la confraternita s’impegnò nella costruzione dell’oratorio detto anche chiesa del “SS. Salvatore”.
Il sagrato della chiesa comprendeva il cimitero e una cripta era riservata alla sepoltura dei confrati.

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Le Costituzioni e le Regole della confraternita furono confermate il 14 febbraio del 1771 da mons. Antonino Cavaleri, vicario generale di mons. Antonino Lanza, vescovo di Agrigento. Il 19 luglio del 1784 le Costituzioni e le Regole furono approvate dalla giunta dei presidenti e dei consultori e riconosciute con dispaccio del viceregio il 21 luglio del 1784.
I pontefici che si succedettero negli anni concessero alla confraternita numerose indulgenze. Con bolla del 24 aprile del 1770 da Clemente XIV fu concessa l’indulgenza plenaria ai confrati nel primo giorno del loro ingresso nel sodalizio. Con bolla del 29 novembre dello stesso anno concesse l’indulgenza plenaria ai confrati defunti che avevano osservato le regole dello statuto. Il rapporto tra il sodalizio e il confrate defunto non si interrompeva con la sua morte, ma continuava con l’attenzione dei confrati per la salvezza dell’anima per mezzo di speciali pratiche spirituali e con la celebrazione delle Sante Messe di suffragio celebrate nell’altare principale.
La confraternita, come avviene ancora oggi, si impegnava a festeggiare la solennità della Santa Pasqua di Resurrezione.
In occasione del triduo pasquale aveva il privilegio di esporre il Ss.mo Sacramento durante le sante Quarantore.
I confrati, obbligatoriamente, dovevano sostare per almeno un’ora di tempo vicino all’altare con la corona di spine sulla testa e con la corda al collo. Nel tardo ‘800, essendosi estinta la confraternita di San Giacomo, che nel giorno di Pasqua portava in processione il simulacro del Cristo Risorto, la confraternita del SS.mo Salvatore assunse l’incarico di condurre per le vie di Licata il simulacro del Cristo Risorto, la statua che presiede la nicchia situata sull’altare centrale. Durante la Via Crucis del Venerdì Santo la confraternita occupava il secondo posto mentre, durante le altre processioni, occupava l’undicesimo posto seguendo il cerimoniale prestabilito che stabiliva l’ordine di ciascuna confraternita nel corteo delle processioni. Infatti, spesso, motivo di scontro tra i vari sodalizi, anche con violente risse, era il posto tenuto da ciascuna confraternita durante le processioni. Per questo motivo l’autorità ecclesiastica di Agrigento assegnò un posto fisso a ciascun sodalizio.
La confraternita, durante la sua istituzione, ha avuto qualche periodo di stasi. Secondo lo statuto, i confrati si dovevano dedicare anche all’esercizio di pie attività verso i poveri e gli ammalati. Durante la festività di Pasqua ogni confrate doveva portare il pane o altri generi alimentari, in processione, nel cimitero della confraternita dove, dopo la benedizione del cappellano, una parte era destinata ad opere di elemosina ai carcerati e agli ammalati ricoverati nell’Ospedaletto degli Incurabili della venerabile Compagnia di Maria SS.ma della Carità, in suffragio dell’anima dei confrati defunti, un’altra parte era distribuita ai poveri che si recavano nel loro cimitero. Nel periodo della raccolta del grano nei campi si faceva la questua il cui ricavato serviva, in parte, per le quotidiane necessità della chiesa e, in parte, per sopperire alle necessità dei poveri e dei bisognosi. Però, l’istituzione della processione del simulacro di Cristo Risorto, molto partecipata dai confrati e dai fedeli, distrasse i confrati dalla frequenza giornaliera dell’oratorio, da cui derivava il loro arricchimento spirituale che avrebbe consentito di “trovare il Salvatore nella gloria per goderlo alla svelata al pari di quelli fortunati Pastori nella grotta di Bettelemme”.
Nel 1968 la soppressione da parte di Mons.Giuseppe Petralia, vescovo di Agrigento, di molte feste religiose, anche di quella a cui si era dedicata la confraternita del SS.mo Salvatore, indusse la stessa alla quasi inattività, durata quasi sino ai giorni nostri, limitandosi alla sola gestione amministrativa del suo patrimonio.
La Confraternita del SS.mo Salvatore attualmente concentra la sua attenzione sull’organizzazione della processione del Cristo Redentore detto “u Signori cu munnu nmanu“. E’ una festa molto partecipata dai confrati e dai fedeli

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Al fine di adeguare l’istituzione ai tempi, l’assemblea dei confrati, governata dal signor Salvatore Montana, nel 1966 approvò lo statuto corrente. Attualmente la confraternita è composta di 79 confratelli ed è diretta dal Governatore che, al momento, è il dott. Vincenzo Graci,

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 e da cinque Consiglieri. Il governatore più anziano degli ultimi 50 anni è il signor Cavaleri Vincenzo, oggi novantenne,

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Carmelo La China, Vincenzo Cavaleri, Vincenzo Bonfiglio, Vincenzo Graci

 Il rettore e padre spirituale è il rev. Padre Giuseppe Sciandrone.

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La confraternita nell’icona, un piccolo vessillo a fondo scuro, ha inserito l’azzurro globo terrestre, stretto tra tre braccia, e sormontato da una croce, simbolo di Gesù Cristo Salvatore del mondo.

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Inoltre portano al collo una collana di cordoncino rosso e nel cerchio del medaglione, bordato di rosso,  è raffigurato il Cristo Redentore

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 e lo stendardo, un drappo rosso damascato di forma triangolare diviso a coda di rondine e sorretto da un’asta con globo terrestre finale sormontato da una croce, simbolo del sodalizio.

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L’altro stendardo è di forma rettangolare, di raso bianco, con contorni arabescati e smerli dorati. La parte centrale è occupata dalla figura del Cristo Risorto.

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Poichè a Licata sono presenti diverse confraternite, ciò ha spinto l’Autorità ecclesiastica a istituire un Centro Diocesano delle confraternite al fine di promuovere la crescita alla luce del Concilio Ecumenico Vaticano II e di proiettarle a pieno titolo nella chiesa del terzo millennio con l’augurio che, sotto la guida spirituale della chiesa, possano mantenere, vivo il legame tra fede religiosa ed impegno civile.

Oggi, 27 dicembre 2017, il Duomo di Santa Maria La Nova, la Chiesa Madre di Licata, ha accolto le spoglie mortali del signor Vincenzo Cavaleri.
Uomo buono, dotato di una grande nobiltà d’animo, è stato onorato dalla Confraternita del SS.mo Salvatore  di cui è stato governatore per un periodo di tempo lungo 14 anni, come ha riferito l’avv . Vincenzo Graci, attuale governatore della stessa Confraternita.
Ha officiato don Tonino Cilia, parroco della chiesa delle Sette Spade di Licata.

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 Gli angeli e i santi del Paradiso ti accolgano in gloria, fratello Vincenzo!

 

 

Apr 12, 2017 - Senza categoria    Comments Off on LA COMMEMORAZIONE DEL VENERDI’ SANTO A LICATA- LA CHIESA DI SAN GIROLAMO- LA CONFRATERNITA DI SAN GIROLAMO DELLA MISERICORDIA

LA COMMEMORAZIONE DEL VENERDI’ SANTO A LICATA- LA CHIESA DI SAN GIROLAMO- LA CONFRATERNITA DI SAN GIROLAMO DELLA MISERICORDIA

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Il Venerdì Santo è la ricorrenza religiosa più attesa dalla popolazione di Licata alla quale partecipa con devozione e commozione. E’ rievocata la Crocifissione e la morte di Cristo. L’organizzazione del Venerdì Santo è azione lodevole della Confraternita di San Girolamo della Misericordia. Già la sera del giovedì santo i Confrati, dopo aver partecipato alla santa Messa celebrata nella Chiesa di San Girolamo, vestiti col saio bianco, col cappuccio bianco, con la cintura di cordone rosso annodato lungo i fianchi e stringendo nella mano un cero acceso, rigorosamente disposti in fila, preceduti dallo stendardo e dalla croce, escono dalla Chiesa di San Girolamo e, con passo cadenzato, s’incamminano attraversando le strade della Marina

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Percorrono la via Martinez, il Corso Vittorio Emanuele, dove entrano al Chiostro San Francesco per salutare il Cristo alla Colonna.

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Foto di Francesco e Rosalba Nogara

Continuano lungo il Corso Umberto I per giungere al Calvario allestito all’incrocio tra il Corso Umberto I, il Corso Serrovira e la Piazza Vincenzo Linares, per compiere la visita penitenziale con esercizio della Via Crucis animata dalla venerabile confraternita.

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Il Calvario ligneo ospita la grande croce di Cristo e due altre croci che, secondo il racconto evangelico, servivano per crocefiggere i due ladroni. Durante il percorso rievocano le stazioni della Via Crucis.

All’alba del Venerdì Santo inizia la traslazione del Cristo “u Signuri da notti“. Alle ore 3:30, al grido d’implorazione “Misericordia”, i confrati della chiesa di San Girolamo trasportano il corpo di Cristo, disteso sulla lettiga e ricoperto da un prezioso telo liturgico, seguito dalla Madonna Addolorata, nella cappella del palazzo La Lumia. La Madonna è custodita nella chiesa di Sant’Angelo.

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foto di Enzo D’Andrea

Durante il percorso è ricoperto dai petali dei delicati e profumanti fiori che piovono dai balconi illuminati. E’ quasi l’alba quando il corpo di Cristo è deposto nella piccola camera ardente, detta “la casa del Signore”, preparata nell’androne del palazzo della nobile famiglia La Lumia e che Lo ospiterà fino alla Sua crocifissione. Oggi, a questa traslazione notturna partecipa una moltitudine di fedeli, mentre una volta era compiuta in gran segreto dai soli Confrati. Alle ore 13.00 la porta della chiesa di San Girolamo si apre. I fedeli rivolgono a quella porta i loro attenti sguardi. Si ode il grido: “Tutti a na vuci: MISERICORDIA“. Dalla porta della Chiesa modestamente appare il Cristo con la croce.

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Inizia la processione del Cristo Crocifero, “u Signuri ca cruci ‘ncoddu”, “Gesù con la croce sopra la spalla”, in catene e con la corona di spine sulla testa. I confrati, elegantemente vestiti con smoking nero e camicia bianca, con cravattino a farfalla e guanti bianchi, in religioso raccoglimento, escono dalla chiesa di San Girolamo e portano a spalla il Cristo Crocifero. Posti l’uno vicino all’altro, i confrati formano una schiera fitta di portatori che avanzano con la caratteristica “annacata” dondolando a destra e a sinistra. Si muovono con l’esperienza acquisita durante le esercitazioni effettuate nei giorni antecedenti alla processione. Il religioso silenzio è massimo. Il momento è emozionante. Il pathos è indescrivibile.

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Il prezioso simulacro attraversa i Quattro Canti, la via Martinez, nel quartiere Marina, giunge in Piazza Duomo e prosegue per il Corso Vittorio Emanuele.

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Il procedere di Gesù Crocifero, sempre con la caratteristica “annacata“, un passo lento e cadenzato, un passo avanti, uno di fianco a destra, uno di fianco a sinistra, è sempre accompagnato dal suono delle marce funebri.
Pianto eterno, di Pasquale Quatrano, La dolente, di Cataldo Curri,  Una lacrima sulla tomba di mia madre, di Amedeo Vella, musiche che si estendono alternativamente all’uscita, al rientro, durante la processione, sono intonate dalla banda locale.
Alle ore 14:30 in Piazza Progresso, di fronte al Palazzo di Città, annunciata da uno squillo di tromba, avviene la “Giunta”, l’incontro della Madonna Addolorata, che giunge di corsa dalla Chiesa di Sant’Angelo, dove è stata trasportata dai confrati durante la notte, col proprio Figlio.
Si pone al Suo fianco e lo accompagnerà fino alla crocifissione.

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Al passaggio di Cristo e dell’Addolorata dai balconi scende una pioggia di fiori.
La “Giunta” è uno dei momenti più toccanti dell’intera commemorazione!  Il Cristo è portato dai confrati della confraternita della Misericordia, la Madonna Addolorata è portata dai lavoratori del mercato agricolo, anche loro impeccabilmente vestiti in abito nero e guanti bianchi.

Il Cristo e l’Addolorata proseguono il cammino verso il Calvario procedendo affiancati l’uno all’altra.

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Il Corso Umberto è stracolmo di gente.

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foto di Rosolino Cirrincione

Poco prima di giungere al Calvario, il Cristo Crocifero entra nell’androne del palazzo del barone La Lumia, sotto la pioggia abbondante di fiori, e subito dopo esce l’altro simulacro, privo della Croce sulle spalle, che si avvia al Calvario per subire la crocefissione. Alle ore 15.00 si celebra il rito della crocefissione.

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Ai piedi del Calvario Lo attende il rev. Gerlando Montanalampo che, con una breve omelia, fa meditare la grande folla sul significato della  Passione di Cristo e sul  perdono.

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Il simulacro di Cristo, attraverso un bianco lenzuolo legato sotto le ascelle, è sollevato sulla croce e legato con dei nastri ai due bracci della croce da due giovani sacerdoti.

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E’ presente quasi annualmente il rev. sac. padre Totino Licata, assistente spirituale della Confraternita di San Girolamo della Misericordia.
Il chiodo ai piedi, come da tradizione, è piantato da un infermiere. La Madonna Addolorata è posta ai piedi della Croce per vegliare il Suo diletto Figlio.

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Fanno la guardia alle croci i giovani Scout.

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 Come narra il Vangelo, il cielo si oscurò. Nel vangelo di Marco, in agonia e morte (15,33-39), si legge: ”Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle ore tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lema sabactàni?, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: “Ecco, chiama Elia!”. Uno corse a inzuppare di aceto una spugna e, postala su una canna, gli dava da bere, dicendo: ”Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce”. Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio si squarciò in due, dall’alto in basso. Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: ”Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”.

Anche l’evangelista Luca, in agonia e morte (23,44-46), scrive: “Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: ”Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo spirò”.

Per tutto il pomeriggio gruppi di penitenti “i ‘ncurunati”, associazioni religiose, confraternite, scout, in pellegrinaggio, si recano al Calvario per onorare il Cristo crocefisso sulla Croce e per portare corone di fiori.

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Alle ore 19:30 i confrati della Misericordia, partendo in processione dalla chiesa di San Girolamo, trasportano in spalla l’Urna dorata, damascata all’interno e illuminata da tanti artistici fanalini, che accoglierà il Cristo morto al momento della sua deposizione dalla Croce.

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Alle ore 21:00 il Cristo Gesù viene “sceso“, deposto dalla Croce.

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 e poggiato sul catafalco all’interno della sacra urna.

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 Inizia la processione del Cristo morto.

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 Sempre col solito incedere lento e cadenzato dei portatori, la sacra Urna risale lungo il Corso Umberto I e, in parte, lungo il corso Roma fino all’arrivo nella chiesa del Carmine dove Cristo è accolto dai fedeli che intonano lamentazioni e canti religiosi del Venerdì Santo.
Quindi, il Cristo deposto, riscende per il Corso Roma e per il corso Vittorio Emanuele. Dopo avere compiuto un’altra sosta all’interno della Chiesa Madre, ritorna nella propria chiesa di San Girolamo.

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.Al grido di “Misericordia”, al rientro della sacra Urnala chiesa chiude le porte.

 

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LA CHIESA DI SAN GIROLAMO A LICATA

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La Chiesa di San Gerolamo è una piccola costruzione sita nella “Piazzetta Confraternita di San Girolamo”, distante pochi metri dal mare, sorta nel XV secolo ed edificata sul preesistente Monastero di Santa Chiara quando il quartiere Marina era il cuore della città di Licata.

La sua posizione topografica è molto caratteristica perché è circondata da casette collocate in un dedalo di strette viuzze. Il prospetto esterno è molto semplice e mostra modeste strutture architettoniche.

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 La chiesa, a navata unica, molto decorosa, ordinata e pulita, è corredata da tre importanti altari, dalle croci, e dalle tele.

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Molto interessante è l’altare del presbiterio, rifatto nella seconda metà del ‘700, che accoglie la tela raffigurante San Girolamo in una spelonca con il leone e i suoi libri. E’ di grandi dimensioni, misura 300×250 cm.

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La tela, del XVII secolo, è attribuita a Michelangelo Merisi da Caravaggio, il grande pittore che si fermò a Licata diretto a Malta, che  la famiglia Caro ospitò nel suo palazzo. Oppure a qualche allievo della scuola del Caravaggio, secondo anche il parere  del critico d’arte Vittorio Sgarbi, impropriamente attribuito al pittore Filippo Plaladini, ma, probabilmente al manierista licatese Giovanni Portaluni.
La cornice che circonda la tela è preziosa perchè è incisa e rivestita di oro zecchino.
Il dipinto era stato già restaurato nei primi anni del 1980 dalla Soprintendenza alle Gallerie della Sicilia Occidentale di Palermo,  diretta dal prof. Vincenzo Scuderi,  su sollecitazione dell’allora ispettore onorario ai BB.CC prof. Calogero Carità e quando era governatore della Confraternita  l’avv. Giuseppe Montana.
Da notare lo stemma della confraternita posto sopra la tela di San Gerolamo.
Nell’anno 2017 il dipinto è stato restaurato dalla restauratrice, la signora Giovanna Comes,  su incarico del Consiglio d’Amministrazione e su proposta del dott. Angelo Gambino, attuale governatore della Confraternita di San Girolamo della Misericordia.
L’inizio dei lavori è stato comunicato alla Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Agrigento.
L’intervento di restauro è consistito nella pulitura, nella disinfestazione, nel fissaggio di porzioni di colore sollevatosi dalla tela, nella stuccatura e nella reintegrazione pittorica e verniciatura.

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La chiesa di San Gerolamo ospita i simulacri dei Sacri Misteri, del Cristo e della Madonna Addolorata, e la sacra Urna,  portati in processione durante le celebrazioni del Venerdì Santo sotto l’organizzatore dalla Confraternita di San Gerolamo della Misericordia.

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 La parete laterale destra mostra una piccola cappella che accoglie la miniatura della rappresentazione del Venerdì Santo e, superiormente, l’urna originale per il trasporto del Cristo all’alba del Venerdì nella cappelletta allestita nel palazzo del barone La Lumia.

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L’urna, a lettiga, del sec. XIX, fu restaurata nell’anno giubilare della misericordia nel febbraio 2016. Nei buchi laterali erano inserite le lampade ad acetilene le cui luci illuminavano il Cristo durante il cammino nella notte. L’altare della Madonna ospita la statua dell’Addolorata, del XX secolo.

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 Nella parete laterale sinistra, quasi all’ingresso, la piccola cappella accoglie la miniatura del Cristo legato alla Colonna.

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L’altare del Crocefisso accoglie il simulacro di gesso di Cristo in croce.

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Gli altri due Crocefissi snodabili sono uno di cartapesta, il cui volto, le mani e i piedi sono stati realizzati da Ignazio Spina nel XIX secolo, l’altro di legno, del XX secolo. Le due croci, la più piccola, recente, l’altra più grande, del 1870, sono di legno scuro.

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L’urna lignea, che trasporta il Cristo deposto dopo la crocifissione, in stile barocco, è rivestita di oro zecchino e imbottita all’interno con stoffa damascata. E’ stata realizzata a Catania dallo scultore Perez nel 1900.

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 Lateralmente all’altare di San Girolamo, ben visibile, c’è un piccolo crocefisso bianco che ricorda il giovane Ferraro Giuseppe morto a soli 9 anni di età.

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 Giuseppe aveva potato sulle sue deboli spalle la croce di legno durante una processione del Venerdì Santo a Licata. In memoria di Giuseppe, il suo papà, il signor Matteo, realizzò nel suo laboratorio di marmista il simulacro di Gesù in marmo bianco. Lo collocò sulla stessa croce portata da Giuseppe sulla sua spalla. I suoi genitori, il signor Matteo e la signora Maria, lo regalarono alla confraternita di San Girolamo della Misericordia. Nella targa sono incisi: il nome Giuseppe, la sua data di nascita e di morte.

La tela, di fattura recente, è una riproduzione su tela di VOGEL, rinomato pittore rinascimentale. Rappresenta Gesù che accoglie i bambini. Testimonia l’amore di Gesù per i bambini che sono l’espressione diretta dell’ingenuità, della serenità, dell’inconsapevolezza e dell’amore. E’ stata donata per devozione dal confratello Giulio Di Franco nel Natale del 2013, in occasione della Santa Messa .

Il Confratello Di Franco ha voluto esprimere la sua gioia per la donazione con queste parole:
MI SENTO IN DOVERE DI RINGRAZIARE LA CONFRATERNITA IN PRIMIS, IL GOVERNATORE FRANCESCO LAURIA, PER L’OPPORTUNITA’ DATAMI DI PORTARE A TERMINE IL GESTO DI DEVOZIONE CHE RAPPRESENTA DA UNA PARTE L’ATTACCAMENTO ALLA CONFRATERNITA DI CUI MI ONORO DI FAR PARTE, DALL’ALTRA LA MIA FORTE, SINCERA E PROFONDA FEDE CRISTIANO-CATTOLICA.
UNA FEDE FRUTTO DI UN’EDUCAZIONE IMPARTITA DALLA MIA FAMIGLIA MA ANCHE DI UNA SCELTA PERSONALE LIBERA ED INCONDIZIONATA A CREDERE IN UNA DIVINITA’ SUPERIORE ALL’UOMO CHE CI HA CREATI PER VIVERE IN QUESTO MONDO TERRENO E CI RICHIAMERA’ ALLA VITA ETERNA.
UNA FEDE, CHE HA AVUTO NEL TEMPO UN CRESCENDO, AIUTANDOMI NEI MOMENTI BUI ED OSTILI CHE LA VITA CI RISERVA”.

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 La tela che raffigura “Gesù confido in te” è stata donata, per devozione dai confrati Giovanbattista Platamone e Salvatore Russo.

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Il quadro, che rappresenta il Cristo morto fra le braccia della Madre, con accanto l’angelo, è stato donato da Desirè Di Liberto.

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Si fa ammirare, per la sua bellezza, il tetto ligneo a “cassettoni “, del XVIII secolo, opera di maestranze locali.

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Nella sacrestia sono custoditi: un piccolo simulacro della Madonna Addolorata in cera del XIX secolo, appartenuto alla Monaca Santa,

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e un simulacro di medie dimensioni del Cristo Risorto in cartapesta del XX secolo.

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 Il tetto è dipinto con alcune scene della vita di Gesù.

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Di semplice fattura è l’acquasantiera.

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 Grazie alla tenacia e al grande impegno della confraternita di San Girolamo della Misericordia e alla generosità dei licatesi la chiesetta di San Girolamo, che versava in precarie conduzioni, di recente fu completamente restaurata.

La confraternita nella sua sede espone numerosi quadri, crocefissi e la croce che apre il cammino processionale della Settimana Santa.

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LA CONFRATERNITA DI SAN GIROLAMO DELLA MISERICORDIA

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Fondata nel 1578, la Confraternita di San Girolamo della Misericordia ha la sua sede nella Chiesa di San Girolamo, nel cuore dell’antico quartiere della “Marina“.
E’ l’autorevole istituzione religiosa che da centinaia di anni celebra i riti del Giovedì e del Venerdì Santo quando è commemorata la Passione e la Morte di Gesù Cristo a Licata. La scelta della denominazione di San Girolamo quasi certamente deriva dal fatto che il gruppo fondatore della confraternita era costituito da individui forniti di un titolo accademico.
Infatti, come si evince dall’introduzione dello statuto della fondazione, coloro che volevano aderire al sodalizio dovevano seguire l’esempio di San Girolamo che, nella sua giovinezza, si istruì nelle “arti liberali” per perseguire, nella maturità, l’ideale religioso.
Durante la riunione dell’assemblea generale dei Confratelli del 20 gennaio del 1964, nell’art.3 dello Statuto fu confermato lo scopo primario della fondazione della confraternita che riaffermò che l’appartenenza al sodalizio era riservata a “Laureati o professionisti zelanti del culto cristiano“.
Nel nuovo Statuto, approvato dall’assemblea generale dei Confratelli il 19 gennaio 2003, è riaffermato che gli aspiranti ad essere ammessi come confrati della confraternita non dovevano obbligatoriamente possedere un titolo accademico, ma persiste comunque il vincolo del possesso di un diploma di Scuola Media Superiore di secondo grado.

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La confraternita è regolata da 11 capitoli, confermati da Mons,Lorenzo Gioeni e Cordova,  vescovo di Agrigento, durante la visita pastorale a Licata il 14 gennaio del 1734, che orientano la vita dei confrati e fissano le regole per i festeggiamenti della Settimana Santa.
I confrati dovevano esercitarsi “nelle opere sante e di misericordia”. Il numero degli iscritti alla Confraternita non poteva superare il numero di 72 unità considerato che “ la multitudo arguit imperfectione” e dovevano essere uomini probi “d’onesti parenti e di buoni costumi” Non erano ammesse “le persone scandalose ed infami che senza freno e timor di Dio inclinano al peccato”.
Il nuovo aspirante doveva presentare la sua richiesta al Governatore che informava gli altri confratelli. Segretamente con la votazione col “bussolo” segreto decidevano l’ammissione o il rifiuto dell’aspirante confrate in seno alla Compagnia.
Tutti i confrati dovevano obbedienza al Governatore e ai Consiglieri. Dovevano indossare il sacco di tela cruda e il mantello di lana oscura per trasportare i cadaveri dei confrati deceduti nel cimitero di San Girolamo  e i quelli di altre chiese.
Chi era Sofronio Eusebio Girolamo? Girolamo nacque nel 342 a Stridone, in terra non lontana da Aquileia, in Italia, da una famiglia cristiana, nobile e ricca. Il padre Eusebio, avendo compreso le attitudini di Girolamo verso lo studio, lo mandò a Roma dove il giovane si dedicò agli studi della grammatica, della retorica e della filosofia. Allievo di Mario Vittorino e di Elio Donato, il famoso professore di lingue pagano, Girolamo si dedicò allo studio del latino.
Fu anche un bravo conoscitore del greco e di altre lingue. Imparò a memoria i libri di grandi autori latini e greci: Cicerone, Virgilio, Orazio, Tacito, Omero,  Platone. Fu certamente la sua inesperienza giovanile che lo portò a tuffarsi nell’ambiente mondano e dissoluto della Roma del suo tempo.
Girolamo presto si rese conto che questo comportamento lo aveva allontanato dal suo vero cammino. Tuttavia comprese anche che Dio non lo aveva mai abbandonato e che lo guidava costantemente. Chiese perdono, colmo dell’amore di Dio, e fu perdonato. Divenne catecumeno. Continuava i suoi studi e si preparava ad essere battezzato. Ricevette il santo battesimo da Papa Liberio a 18 anni.
Terminati gli studi, si trasferì a Treviri, dove era ben nota l’anacoresi egiziana, insegnata per qualche anno da Sant’Atanasio durante il suo esilio. Si trasferì poi ad Aquileia dove entrò a far parte di una cerchia di asceti riuniti in comunità sotto il patronato dell’arcivescovo Valeriano.
Deluso dalle inimicizie che erano sorte fra gli asceti, partì per l’Oriente.
Ritiratosi nel deserto Chalcis, in Siria, vi rimase quattro anni vivendo una dura vita di anacoreta e approfondendo le sue conoscenze di ebraico e gli scritti di San Paolo di Tebe. A Calcide, deluso anche qui dagli alterchi fra gli eremiti, divisi dalla dottrina ariana, fece ritorno ad Antiochia, rimanendovi fino al 378, frequentando le lezioni di Apollinare di Laodicea, e divenendo presbitero, ordinato dal vescovo Paolino di Antiochia. Quindi si recò a Costantinopoli per perfezionare lo studio della lingua greca sotto la guida di Gregorio Nazianzeno.
Rimase lì tre anni a studiare con San Gregorio che gli aprì lo spirito all’amore per la esegesi delle Sacre Scritture. Oltre al latino e al greco, conosceva l’ebraico e anche l’aramaico, lingue molto legate ai testi Sacri. Scriveva con classica eleganza in latino e tradusse tutta la Bibbia.
Da questo lavoro nacque il testo della Bibbia noto come “Vulgata“, che significa “di uso comune“.
Allorché Gregorio Nazianzeno lasciò Costantinopoli, nel 382 Girolamo tornò a Roma dove fu segretario di papa Damaso I. Qui riunì un gruppo di giovanette vergini e di vedove, capeggiate dalla nobile Marcella e dalla ricca vedova Paola alle quali si unirono le figlie Eustochio e Blesilla. Andarono ad abitare presso la Grotta del Presepe,  e scelsero di vivere una vita ascetica in preghiera, in meditazione, in astinenza e in penitenza. Girolamo divenne il loro padre spirituale.
Il rigore morale di Girolamo, favorevole all’introduzione del celibato ecclesiastico e all’eradicazione del fenomeno delle cosiddette agapete, non era ben visto da buona parte del clero. Le agapete erano vergini cristiane che consacravano la propria vita a Dio facendo voto di castità e conducendo la vita comunitaria con ecclesiastici che professavano il celibato. Erano chiamate anche “sorelle adottive”.
Alla morte di papa Damaso I la curia romana contrastò l’elezione di Girolamo a padre spirituale ritenendolo responsabile della morte della sua discepola Blesilla. Gli avversari di Girolamo affermarono che le mortificazioni corporali erano espressione di atti di fanatismo i cui effetti dannosi avevano causato la prematura morte della giovane Blesilla.
Girolamo, seguito dal fratello Paoliniano, da alcuni seguaci, dalle discepole Paola ed Eustochio e da altre giovanette appartenenti alla comunità delle ascete romane, nel mese di agosto del 385 s’imbarcò da Ostia per tornare in Oriente dove continuò la sua battaglia in favore del celibato clericale.
A Betlemme Girolamo fondò un monastero maschile, dove andò a vivere, uno femminile e una casa di accoglienza dei pellegrini che arrivavano da tutte le parti del mondo per visitare il luogo in cui era nato Gesù.
Trascorse i suoi ultimi 35 anni in quel luogo dove continuò fino alla morte i suoi studi e i lavori biblici. Con molta energia scriveva ancora contro gli eretici che si azzardavano a negare le verità della Santa Chiesa Cattolica.
Morì a Betlemme il 30 settembre del 420, proprio nell’anno in cui il celibato, dopo essere stato lungamente disatteso, fu imposto al clero da una legge emanata dall’imperatore Onorio.
Per questo suo comportamento di studioso, numerosi pittori rappresentarono Girolamo come San Girolamo penitente che scrive nella sua cella monastica, ispirato dallo Spirito Santo ed accompagnato dal fedele leone.
La leggenda racconta che  un pomeriggio i monaci erano riuniti ad ascoltare la lezione del giorno. Girolamo si trovava tra di loro e ascoltava attento. Improvvisamente, avendo visto un leone che si avvicinava, tutti fuggirono.
Solo Girolamo rimase e mantenne la calma. Si alzò e si avvicinò a nuovo arrivato.
Il leone era un animale di grande mole che usava soltanto tre zampe per camminare. Teneva la quarta sollevata. Era chiaro che il leone, avvicinandosi, voleva comunicare qualcosa offrendo la sua zampa sollevata a Girolamo. Girolamo si rese conto che l’animale era gravemente ferito.
Chiamò il meno timoroso dei monaci per aiutarlo a pulire e a curare la ferita infetta e piena di spine. Girolamo gli tolse le spine e lo medicò. L’animale guarì. Le cure ammansirono la “bestia“. Il leone rimase nel monastero comportandosi pacificamente e sempre accanto a Girolamo. Girolamo, rivolto ai suoi seguaci, disse: “Pensate a questo e voi potrete trovarvi lezioni di vita. Io credo che non sia stato tanto per la cura della sua zampa che Dio lo inviò fino a noi, perché il leone si sarebbe curato senza il nostro aiuto. Dio ci inviò questo leone per mostrare quanto la Provvidenza era ansiosa di farci avere ciò di cui abbiamo bisogno per il nostro bene“.

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 San Girolamo, per essere studioso e dottore della chiesa, è stato scelto come emblema dalla confraternita di San Girolamo della Misericordia.
La confraternita, composta attualmente di 140 confratelli,

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Foto di A. Ruvio

di cui 18 appartenenti alla confraternita da oltre 50 anni.

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Foto di A. Ruvio

E’ governata dal Governatore, collaborato dal Consiglio di Amministrazione. Governatori onorari sono: i confratelli Giovanbattista Platamone  e. Salvatore Bonelli.

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Il geometra Salvatore Bonelli è il più anziano componente la Confraternita di San Girolamo della Misericordia. L’ex amministratore del Comune, governatore onorario della confraternita, ha compiuto 90 anni e, per l’occasione l’istituzione religiosa licatese, che organizza i Riti della Settimana Santa, il 27 gennaio 2019 lo ha festeggiato subito dopo la santa messa celebrata dall’assistente spirituale don Totino Licata.
Il dott. Angelo Gambino, governatore della confraternita di San Girolamo della Misericordia, ha commentato: “Siamo orgogliosi di questo nostro confratello che, con umiltà e con dedizione, ha reso un grande servizio alla nostra comunità ricoprendo vari ruoli, da portatore a confratello, fino ad occupare un posto nel consiglio di amministrazione diventando anche governatore ed oggi governatore onorario. Un cammino lungo e sempre all’insegna del servizio”. 
Salvatore Bonelli è stato dipendente della Regione Siciliana, rivestendo ruoli importanti, più volte assessore del Comune di Licata e presidente della Commissione Toponomastica oltre che straordinario marito, padre e nonno affettuoso.

Assistente spirituale della confraternita di San Girolamo della Misericordia è il rev. padre Totino Licata

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Domenica,  27 novembre  2016, sono state rinnovate le cariche sociali ed è stato eletto, con 76 voti, il dott. Angelo Gambino, nuovo Governatore della confraternita,

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che succede, nella massima carica, al dott. Francesco Lauria.
Francesco Lauria ha ricevuto l’importante onorificenza di essere stato nominato Governatore Onorario della Confraternita di San Girolamo della Misericordia.

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Angelo Gambino e Francesco Lauria, oggi Governatore Onorario

Vicegovernatore è stato eletto il signor Licata Angelo Maria, segretario il signor Ruvio Adriano, tesoriere il signor Santamaria Maurizio, consiglieri sono i signori: Alaimo Giuseppe, Lauria Carmelo, Pintacorona Giuseppe. Sono stati eletti nel Collegio dei Sindaci Revisori i signori: Alaimo Roberto, Rizzo Salvatore e Benvenuto Carlo. Deleghe speciali sono state assegnate ai confratelli: Francesco Pira (Cultura e Comunicazione) e Ivan Marchese (Sito web, pagina Facebook, Illuminazione Chiesa, Urna e Statue). I nuovi eletti governeranno la confraternita per il prossimo quinquennio. Auguri per un proficuo lavoro e per un cammino spirituale all’insegna della fraternità.
Lo stemma della confraternita di San Girolamo della Misericordia è uno scudo a fondo azzurro caricato di una croce e una scala posta su un monte, il tutto sormontato da un cappello cardinalizio. Il motto della compagnia è “Misericordia”.

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 Gli scopi principali della Confraternita sono: la promozione dei riti sacri della Settimana Santa a Licata, in particolare nei giorni del Giovedì e del Venerdì Santo, quando è commemorata la Passione e la Morte di Gesù Cristo, la beneficenza e la solidarietà sociale.
Infatti, sono stati adottati numerosi bambini a distanza. Inoltre, la confraternita s’impegna a proseguire il cammino di fede cattolica, a mantenere pulita e ordinata la chiesa e gli altri ambienti scelti come la loro sede che, in seguito ai lavori di restauro sono più accoglienti e funzionali.
Come ha scritto il Cardinale Francesco Montenegro:” Essere confrati della Confraternita di San Girolamo non è solo un onore, ma una responsabilità nei riguardi del Signore e della gente. Significa vivere, nella Chiesa e nella città, una vita che viaggia sui binari della fede, della trasparenza, della legalità, dell’onestà, della condivisione, dell’accoglienza, insomma significa dire no a una vita cristiana mediocre. Curare i riti della Settimana Santa non è un semplice atto esteriore, ma dire a tutti che la Pasqua del Signore è importante nella vita di ogni cristiano e dei Confrati della Confraternita di San Girolamo della Misericordia in particolare”.
Il 21 maggio del 2016 è stato presentato il libro dal titolo: “ La Ven.le confraternita di San Girolamo e il Venerdì Santo a Licata”.

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 Il Governatore di allora, il dott. Francesco Lauria, ha ringraziato gli autori Calogero Carità e Francesco Pira per avere redatto questo nuovo volume, i Governatori onorari, i membri del Consiglio d’Amministrazione, tutta l’assemblea dei Confratelli e i portatori, gli amici intervenuti alla presentazione del libro.
Ha ringraziato particolarmente la Curia di Agrigento, nella persona del cardinale Francesco Montenegro, il Barone Nicolò La Lumia, per essere stato negli anni affettuoso e presente sostenitore delle attività, il rev. Sac. Totino Licata, guida spirituale della Confraternita e parroco della Parrocchia di San Giuseppe Maria Tomasi, per aver messo a disposizione la sala Falcone-Borsellino.

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Nell’anno della Misericordia la Confraternita di San Girolamo della Misericordia è più che mai viva e presente. Gli applausi sono stati molto calorosi.
Ammirevole è stata l’iniziativa della Confraternita di San Girolamo della Misericordia che, per valorizzare il rito del Venerdì Santo a Licata, quest’anno 2017 ha organizzato due importanti eventi: La Mostra Fotografica e il Concorso “Racconta il Venerdì Santo a Licata” riservato agli studenti delle Scuole Medie di Licata.

1 okNei giorni 7-8-9 aprile 2017, nella singolare Piazzetta Confraternita di San Girolamo della Misericordia sono state esposte molte fotografie che raccontano i riti del Giovedì e del Venerdì Santo a Licata curati dall’omonima Confraternita.

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Le fotografie a colori sono patrimonio del Prof. Rosolino Cirrincione, che le ha scattate nei giorni 24 e 25 marzo 2016 registrando le fasi della commemorazione del Venerdì Santo che coinvolgono i circa 150 Confratelli e i Portatori di San Girolamo della Misericordia.

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Le fotografie in bianco e nero sono patrimonio del Maestro fotografo Carlo Santamaria, che le ha scattate negli anni sessanta dello scorso secolo e che ha messo a disposizione della comunità prelevandole dal suo nutrito archivio.
Notevole è stato l’afflusso della gente che ha visitato la mostra, che ha esposto circa ottanta opere, apprezzando le immagini di Rosolino Cirrincione e di Carlo Santamaria.
Queste le parole del dottor Angelo Gambino: “Con questo doppio evento abbiamo voluto dare testimonianza del servizio che svolgiamo da anni nella nostra Comunità che non vuole essere soltanto quello legato ai riti del Giovedì e Venerdì Santo, ma ribadire quello che la Confraternita di San Girolamo della Misericordia rappresenta una realtà presente nel nostro territorio immersa nel tessuto sociale”.
Per quanto riguarda il Concorso “Racconta il Venerdì Santo a Licata” numerosa è stata la partecipazione degli studenti.
La segreteria del Concorso ha ricevuto circa 100 elaborati fra racconti, poesie e disegni elaborati dagli alunni degli Istituti Comprensivi “Francesco Giorgio, Guglielmo Marconi, Giacomo Leopardi, Salvatore Quasimodo”.
Tutti gli elaborati sono stati attentamente esaminati dai membri della giuria composta dal dott. Angelo Gambino, governatore della confraternita, dal prof. Angelo Maria Licata, vice governatore, dai confratelli, il dottor Giuseppe Pintacorona, il prof. Angelo Bonfiglio, il prof. Francesco Pira e il geometra Adriano Ruvio, segretario del Consiglio di Amministrazione.
I lavori premiati, secondo il regolamento, sono stati in numero di tre.
La giuria ha avuto difficoltà a selezionare i lavori migliori essendo meritevoli anche tutti gli altri elaborati pervenuti.
Il giorno 8 aprile 2017 la Chiesa di San Girolamo della Misericordia è stata la magnifica sede, ideale per la fase della Premiazione degli alunni che hanno partecipato al Concorso “Racconta il Venerdì Santo a Licata”.

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Ha dato inizio ai lavori il dottor Angelo Gambino. Ha coordinato il professor Francesco Pira, delegato alla Cultura. Il prof. Angelo Maria Licata ha esposto la storia e la tradizione della Confraternita di San Girolamo della Misericordia.

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Da sx: Francesco Pira, Angelo Gambino, Angelo Maria Licata

Il Primo Premio è stato assegnato agli alunni Giulia Calabrese, Emanuela Gibaldi e Giorgia Tealdo, studenti dell’Istituto Comprensivo “Gugliemo Marconi”, per aver realizzato il racconto ” La scoperta di Riccardo..il Venerdì Santo a Licata”. La Giuria si è espressa con la motivazione: “Per lo stile narrativo lineare e preciso e per l’attenta e minuziosa analisi storica che permette di vivere compiutamente le tradizioni”.

Il secondo Premio, ex aequo, è stato assegnato ai giovani  Vincenzo Bonfissuto, Luigi Caccetta, Elisa Casa, Michela Mulè, Ada Rusu e Andrea Schembri, alunni dell’Istituto Comprensivo “Francesco Giorgio”, per aver realizzato il DISEGNO. Per la poesia “Tutta na vuci…Misericordia” il premio ex aequo è stato assegnato agli alunni Aurora Corvitto, Nicole Marino e Gabriele Rizzo. Anche loro bravi alunni dell’Istituto Comprensivo “Francesco Giorgio”.

Il terzo Premio è stato assegnato, ex aequo, alla giovane Althea Casula, alunna dell’Istituto Comprensivo “Salvatore Quasimodo”, per avere realizzato il DISEGNO con la tecnica a collage guidata dalla sua insegnante prof.ssa Fiorella Silvestri.

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e agli alunni Sofia Antona, Annamaria Di Blasi e Ludovica Lauria, studenti dell’Istituto Comprensivo “Giacomo Leopardi” per un altro DISEGNO.

I premi sono consistiti in elargizione di somme di denaro da spendere per l’acquisto di altri libri. Tutti i partecipanti al Concorso hanno ricevuto l’Attestato di partecipazione.
Con l’attestato di Benemerenza hanno ricevuto il meritato riconoscimento, per il loro contributo di divulgare la conoscenza delle attività della Confraternita, il Prof. Rosolino Cirrincione, docente di Petrografia nell’Ateneo di Catania e Reporter della Nikon, e il Maestro Carlo Santamaria, il più anziano dei fotografi di Licata.

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Da sx: Carlo Santamaria, Angelo Gambino, Rosolino Cirrincione

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Inoltre il dott. Gambino ha donato il quadro, con l’effige del Cristo portato in spalla, ai Dirigenti Scolastici degli Istituti: al prof. Francesco Catalano, dirigente dell’Istituto Francesco Giorgio, al prof. Maurilio Lombardo, dirigente dell’Istituto Gugliemo Marconi, al prof. Maurizio Buccoleri, dirigente dell’Istituto Giacomo Leopardi, al prof. Luigi Costanza, dirigente dell’Istituto Salvatore Quasimodo.

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Francesco Catalano

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Maurilio Lombardo

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Maurizio Buccoleri

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Luigi Costanza

Hanno ricevuto l’Attestato le docenti degli Istituti Comprensivi impegnate nel progetto. Sono le prof.sse: Tiziana Alesci, Ilaria Ferraro, Angelica Graci, Maria Graci, Rosalia Licata, Grazia Macrì, Caterina Mannino, Rosalia Nogara, Viviana Porrello, Vittoria Rizzo, Fiorella Silvestri.

Insegnanti e alunni insieme!

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Foto tratte dal profilo fb di Francesco Pira

Alcune foto sono di:
-Francesco e Rosalba Nogara
– Ivana De Caro Gambino
-Ivan Marchese
-Altre tratte da: www.confraternitasangirolamo.com

Apr 11, 2017 - Senza categoria    Comments Off on GLI ALTARI DELLA REPOSIZIONE NELLE CHIESE DI MISTRETTA

GLI ALTARI DELLA REPOSIZIONE NELLE CHIESE DI MISTRETTA

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La liturgia cristiana impone ai fedeli la visita ai sepolcri la sera del giovedì e la mattina del venerdì santo. Durante il pellegrinaggio bisogna mantenere un comportamento afflitto, recitare i misteri dolorosi del Santo Rosario, sostare in preghiera davanti al sepolcro.
Durante la visita ai Sepolcri si recita anche l’orazione:

Nna stu sepulcru santu
sta ‘nchiusu lu Signuri,
misu ‘ncruci patiu tantu
pi nuatri misiri piccaturi.
Pi lu vostru sparsu sangu,
pirdunatimi, Signuri.

Si visitano 7 chiese, o in numero dispari, recitando per tre volte questa preghiera insieme a 3 Pater, a 3 Ave e Gloria e a 3 Eterno riposo.

Gli altari della reposizione, conosciuti come i “sepolcri”, nella tradizione cattolica del rito della settimana santa a Licata come anche a Mistretta, sono gli altari addobbati nelle chiese parrocchiali il giovedì che precede la Pasqua.
Si chiamano Sepolcri perché caratterizzano i sepolcri in cui è custodito il SS.mo Sacramento per l’eucaristia dopo la Messa del giovedì e per l’azione liturgica del venerdì santo.
L’altare della reposizione nella cappella del Cristo Nero nella chiesa Madre di Licata.

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 Gli altari della reposizione  nella cappella del SS.mo Sacramento nel Santuario della Madonna dei Miracoli a Mistretta.

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Gli altari della reposizione  nella parrocchia di San Nicolò di Bari a Mistretta.

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Gli altari della reposizione  nella parrocchia di Santa Caterina a Mistretta.

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Negli altari della reposizione è offerto a Cristo, che dovrà risorgere, il frumento.
Nei  corsi principali, particolarmente illuminati, a Licata c’è una moltitudine di  persone in movimento per visitare i sepolcri, in teoria in numero non inferiore a quattro.
A Mistretta la popolazione è poco numerosa, quindi l’affluenza nelle chiese è limitata.
Gli altari della reposizione sono magnificamente addobbati con fiori freschi, con piante  e con i caratteristici “curuneddi”.

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I “curuneddi”, “i sabburchi”,  si preparano facendo germogliare in una ciotola le cariossidi di frumento sparse in una coltura idroponica e nascosta in un luogo buio e umido per alcuni giorni. Il germoglio di frumento, non potendo compiere la fotosintesi clorofilliana, assume la colorazione bionda, anziché verde, e cresce in lunghezza.
Quindi i germogli, fitti, uniformi, legati da un nastro di raso rosso e adornati con fiori di camelie e di rose, sono portati in chiesa.
Gli altari della reposizione sono addobbati, oltre che con i curuneddi, anche con particolari simboli della passione.

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Gli altari della reposizione sono la continuazione, sotto un altro nome, del culto dei giardini di Adone, la giovane divinità che, nell’antica Grecia, incarnava la morte e la resurrezione. Come le piante, egli moriva d’inverno e rinasceva in primavera a significare il ritorno della stagione agricola.
Adone era il bellissimo giovane nato dall’amore di Ciniro e di Mirra e ardentemente amato da Astarte. Secondo il mito fenicio, poiché Adone era stato ucciso da un cinghiale durante una battuta di caccia, Astarte piangeva sconsolatamente la perdita dell’amato.
Ogni anno le donne di Byblos esponevano il simulacro del corpo del dio sopra un letto di fiori detto “il giardino di Adone”, vi si disponevano intorno e auspicavano la sua resurrezione. In ogni giardino di Adone c’è la fede e la pietà cristiana.
La sera del giovedì santo molto seguito, in Chiesa Madre, è il rito della lavanda dei piedi officiato dal parroco arciprete.
Il pomeriggio del giovedì santo i Confrati delle confraternite, preceduti dalle insegne della Confraternita di appartenenza e indossando il saio bianco, partendo dalla propria Chiesa, si recano in visita penitenziale al Calvario.
Durante il percorso sono rievocate le stazioni della Via Crucis.

 

Apr 8, 2017 - Senza categoria    Comments Off on LA PROCESSIONE DEL CRISTO ALLA COLONNA – LA CHIESA DI MARIA SS.MA DELLA CARITA’– LA VENERABILE CONFRATERNITA DI MARIA SS.MA DELLA CARITA’ A LICATA

LA PROCESSIONE DEL CRISTO ALLA COLONNA – LA CHIESA DI MARIA SS.MA DELLA CARITA’– LA VENERABILE CONFRATERNITA DI MARIA SS.MA DELLA CARITA’ A LICATA

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Dopo la processione dell’Addolorata, venerata nella chiesa di Sant’Agostino, un altro evento molto atteso dai licatesi è il mercoledì della Settimana Santa per partecipare alla processione penitenziale del Cristo alla Colonna, il Cristo flagellato, che precede la più sontuosa processione del Venerdì Santo. La manifestazione è organizzata con grande perizia dalla Confraternita di Maria SS.ma della Carità guidata dal governatore prof. Francesco la Perna.

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La commemorazione liturgica inizia la mattina del mercoledì santo con la celebrazione eucaristica nella chiesa di Maria SS.ma della Carità officiata dall’assistente spirituale della confraternita rev. don Angelo Fraccica.

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Rev. Angelo Fraccica

Partecipano le Autorità civili e militari. La chiesa non può contenere il gran numero delle persone presenti per devozione al Cristo alla Colonna, per cui affollano il sagrato esterno. Il pomeriggio, intorno alle ore 18:00, il cammino processionale del Cristo alla Colonna, in ginocchio sul fercolo e legato alla colonna, inizia dalla chiesa di Maria SS.ma della Carità.

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Il fercolo, portato a spalla dai confrati della venerabile confraternita della Carità in maniera composta, sosta per pochi minuti nella piazzetta davanti alla Sua chiesa.

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Quindi, molto lentamente e col procedere caratteristico della “a ‘nnacata”, un passetto avanti, uno di fianco a destra, uno di fianco a sinistra, i confrati danno inizio al cammino processionale guidati dal governatore Francesco La Perna.

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Dopo avere percorso la via Sotto Tenente Sapio,

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il Cristo alla Colonna giunge in piazza Duomo. Intorno alle ore 19:00 il fercolo sosta davanti alla chiesa Madre per un momento di preghiera.

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Continua il Suo cammino nel Corso Vittorio Emanuele II, nella piazzetta Regina Elena,

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in piazza Progresso.

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Sosta davanti al palazzo di città dove l’on. Maria Grazia Brandara offre il mazzo di fiori.

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Prosegue per il Corso Roma

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Alle ore 20.00 è  in Corso Roma.

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si ferma davanti alla chiesa di San Domenico per un altro momento di preghiera.

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Alle ore 21:00 giunge davanti alla chiesa del Carmine dove sono intonati i canti liturgici.

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Quindi riprende il percorso in senso inverso e, dal Corso Roma, dalla piazza Progresso, dalla piazzetta Regina Elena il fercolo del Cristo alla Colonna giunge, intorno alle ore 22:30, in Corso Vittorio Emanuele dove il simulacro è accolto nell’atrio dell’ex convento dei PP. Minori Conventuali Francescani della chiesa di San Francesco ed esposto all’adorazione delle altre confraternite e dei fedeli per tutta la giornata del giovedì successivo.

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Visita della confraternita di San Girolamo della Misericordia al Cristo alla Colonna

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Alle ore 21:00 del giovedì santo il Cristo alla Colonna inizia il cammino processionale a ritroso e, lasciando il chiostro della chiesa di San Francesco,

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fa ritorno nella sua chiesa. Entra all’interno della chiesa Madre dove è accolto dai fedeli in rispettoso silenzio. Durante il cammino processionale è accompagnato dal corpo bandistico, che intona motivi musicali dolorosi, e da una moltitudine di persone.

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Notizie su questa apprezzabile festività sono riportate in documenti redatti nel 1624 e nel 1629.
Nel 1637 il tabernacolo della chiesa del Carmine fu profanato.
I confrati, guidati dal licatese Ven.le Padre Luigi La Nuza, gesuita, organizzarono, come atto di riparazione alla violazione, una processione penitenziale nella chiesa dei Padri Carmelitani inclusa nel giorno del Mercoledì Santo.
I documenti raccontano di contributi elargiti per la realizzazione della processione del Cristo alla Colonna quando era governatore della Confraternita del SS.mo Crocefisso don Angelo Niesi. Il documento del 1641 racconta che don Andrea Labiso, tesoriere della città di Licata, versò a don Baldassare Di Caro, deputato della processione della Casazza del Giovedì Santo, un contributo di 4 onze e si disponeva nel contempo il pagamento al pittore Michelangelo Falcuni per il restauro dei Misteri. Altra disposizione di pagamento di un contributo da parte di don Giovambattista Gatto, tesoriere della città di Licata, a don Giovambattista Grugno, deputato della processione della “Casazza” è del 1645.
La processione del Cristo alla Colonna non fu più commemorata dal 1866 in poi. Fu ripresa nel 1904 con l’esposizione del Cristo alla Colonna nella cappella del Pileri o della Madunnuzza nella chiesa Madre. Da quell’anno la processione non ebbe più luogo.
Il simulacro del Cristo alla Colonna, della 2° metà del XVIII sec., realizzato con apprezzato realismo da Giovanni Spina nel 1926, per proteggerLo dalle precarie condizioni in cui versava la sacrestia della chiesa di Maria SS.ma della Carità, fu trasferito nella rettoria della chiesa del Purgatorio, cioè nella chiesa di San Giacomo Apostolo dell’Ospedale, dal sac. Giuseppe Dominici e con il consenso della Confraternita della Carità.
Nel 1988, ad opera dei Cavalieri di San Giuseppe Maria Tomasi e Caro, il Cristo alla Colonna fu esposto sul sagrato della chiesa Madre. Successivamente fu restituito alla Confraternita della Carità che, dal 2005, ripristinò l’antica processione esponendo il Cristo alla Colonna nel chiostro del convento dei PP. Minori Conventuali di San Francesco, anziché nella cappella dell’Immacolata, nella chiesa di San Francesco, oggi completamente distrutta, come avveniva per antica tradizione.

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Alla festa del Cristo alla Colonna seguono altri riti della Settimana Santa. Il venerdì santo si celebra la Crocifissione del Cristo flagellato. Momenti molti intensi emotivamente sono: la “Giunta”, annunciata da uno squillo di tromba, cioè la rappresentazione di Maria Addolorata che incontra il Suo diletto Figlio, la “Crocifissione”, la “Scinnuta” del Cristo dalla Croce dal calvario allestito in piazza Vincenzo Linares. La domenica è la Santa Pasqua, il giorno della Resurrezione. La confraternita del SS.mo Salvatore organizza la processione di Cristo Re, meglio conosciuta dai licatesi come la festa di “U Signuri cu munnu in manu”.

 

LA CHIESA DI MARIA SS.MA DELLA CARITA’ A LICATA

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La Chiesa di Maria SS.ma della Carità sorge nel centro storico di Licata, nella piazzetta “Confraternita della Carità”, vicino alle altre due importanti chiese: alla chiesa del SS.mo Salvatore e al santuario di Sant’Angelo Martire Carmelitano. E’adiacente alla Villa “Regina Elena”, nome che le è stato imposto nel 1900. Nel 1820 a Licata furono abbattute torri, bastioni, fortezze e mura. Anche il bastione di Mangiacasali, attorno al 1860, fu completamente distrutto e l’ampio spiazzo, che si era formato e che si estendeva fino alla chiesa Madre, fu usato dai licatesi come discarica. Fu allora che l’onestissima amministrazione, diretta dal signor Pasquale Re, collaborato dal signor Giovanni Bosio, assessore ai lavori pubblici, nel 1896 decise di bonificare quell’area e di mettere a dimora grandi piante per dare alla città pulizia e decoro urbano.
La chiesa, costruita nel periodo compreso tra il 1619 e il 1622, a ridosso delle mura di cinta della città, grazie alle offerte elargite dagli stessi confrati, fu benedetta da Don Michele Taormina, confratello e vicario foraneo. E’ sede della confraternita di Maria SS.ma della Carità, fondata nel 1503, e ancora oggi esistente e molto funzionante. Nella facciata laterale sinistra, all’inizio di via Dante, l’edicola custodisce l’immagine di Maria SS.ma della Carità.

 

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Alle spalle della chiesa, in via Dante Alighieri, c’è l’ospedaletto del 1654, allora luogo molto importante per l’accoglienza degli ammalati incurabili e delle donne povere e bisognose. Oggi l’ospedaletto è in condizioni molto precarie e avrebbe bisogno di una radicale ristrutturazione.

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Il prospetto esterno della chiesa mostra un’architettura molto semplice, con campanile a vela, del VIII sec.

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Si accede all’interno della chiesa attraverso il superamento di alcuni gradini.
La chiesa, a navata unica, decorata con stucchi azzurri in campo bianco, custodisce importanti opere d’arte.

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Lo splendido altare maggiore, risalente al1739, in marmo rosso di Francia con colonne tortili sormontate da un fregio spezzato e con volti do angeli, espressione locale di un certo gusto barocco, recentemente restaurato,

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accoglie la statua lignea di Maria SS.ma della Carità, alta 150 cm, pregiata opera dello scultore Pietro Patalano, come risulta dalla firma e dalla scritta dietro il  piedistallo “fecit nell’anno 1735,  su committenza di Suor Maria Anna Serrovira e Figueroa, badessa del vicino monastero cistercense.

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 Il capo della Madonna è ornato da una corona d’argento sbalzato e cesellato con stellario, donata alla Madonna da Suor Maria Anna Serrovira, come si evince dall’iscrizione incisa sul bordo inferiore della corona. La figura della Vergine, da poco tempo restaurata, è posta su un alto basamento dove, nella parte posteriore, è raffigurato lo stemma della famiglia Serrovira e Figueroa.  La Madonna è vestita da un panneggio colorato mosso da sinuose ondulazioni e intrecci di morbide pieghe secondo lo stile della prima metà del XVIII secolo. Il volto, tondeggiante, incorniciato dai capelli castani, richiama il viso, certamente molto familiare all’artista esecutore dell’opera, di tante donne siciliane.
La  Madonna della Carità ha in braccio il Bambino che sostiene una cesta con dei pani. Anche la Madonna ha un pane in mano che dona, come simbolo di carità.

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In realtà bisogna dare una lettura diversa. La Madonna  col Bambino è un atto di carità, ma è un atto di carità che va al di là di quello fisico in quanto la Madonna offre il proprio figlio per la redenzione dell’umanità. I pani nel cestino del bambino rappresentano la pisside con le sacre particole, cioè le ostie.
Molto decorata è la parte sottostante dell’altare maggiore con il tabernacolo.

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La chiesa di Maria SS.ma della Carità possiede molte opere di inestimabile valore artistico. Gli affreschi della volta, attribuiti a Giuseppe Spina, raffigurano la “Dormitio di Maria Vergine”,

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 l'”Assuntio di Maria Vergine”,

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  l’ “Incoronatio di Maria Vergine”,

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 il “Refugium agonizantium”.

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Lungo le pareti della navata si ammirano i pregevoli dipinti su tela, alti 150x65cm, opera di Giuseppe Spina, del  XIX sec, che rappresentano le Beatitudini.

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 Altri dipinti su tela, di Giuseppe Spina, di pregiata fattura, sono:

l’Adultera,

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 La Samaritana, alti 190×139 cm.

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 Gli altari sono: del Crocefisso, che accoglie la statua ligneadel SS.mo Cristo Crocefisso.  L’artista è riuscito a esprimere il sentimento dell’umana sofferenza del Cristo Crocefisso espressa da una fortissima drammaticità e passionalità accentuate dalla testa inclinata, dalla bocca semiaperta e dagli occhi chiusi. Una figura afflitta, dal corpo asciutto, dove si possono contare le costole, dalla pelle lacerata in cui il colore del sangue, sgorgando dalle numerose ferite, contrasta con l’accentuato livore corporeo. La corona di spine sulla testa e il costato trafitto ne esaltano il pathos.

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Sotto la Croce sono sistemate delle cassette che contengono delle reliquie provenenti da Roma. Sono frammenti di ossa che sono state estratte dalle catacombe a partire dalla metà ‘500 e fino agli inizi dell’800.  Sono i cosiddetti frammenti dei “corpi santi”, persone che subirono il martirio nei primi secoli e furono sepolte nelle catacombe . Nel ‘500, quando si iniziò a riscoprire questi luoghi di sepoltura, molte di queste ossa sono state recuperate e distribuite gratuitamente nelle chiese. Le chiese conservano le attestazioni che hanno rilasciato i vescovi e i custodi delle catacombe, che erano cardinali incaricati da papa.

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Allora si pensava che i defunti inumati nelle catacombe fossero  dei martiri. Questi frammenti provengono dalle cavità più antiche delle catacombe romane dove, appunto, furono inumati i primi martiri.  Queste reliquie contengano i sigilli e le attestazioni di autenticità. Nel 1790, sulla scia di queste estrazioni di corpi santi, che venivano donati agli oratori, alle chiese, ai signori che avevano le cappelle private, il barone Martines  dl Licata ha chiesto  al vaticano il corpo di un santo martire.
Il cardinale Passarini, essendo in buoni rapporti col Martines, riuscì ad ottenere  il corpo santo, il corpo di un martire del III secolo,  probabilmente di un soldato romano, come risulta dal suo vestiario, e glielo donò. Era consuetudine, dopo che erano estratti dalle catacombe, rivestirli con simulacri che simulavano il corpo fisico. In realtà non è un corpo imbalsamato, ma è un simulacro antropomorfo all’interno del quale sono conservate le reliquie, cioè le ossa.
L’urna contiene i resti mortali di San Vitale Martire estratti dalla catacomba di santa Ciriaca a Roma nel 1790. Dal 1792 San Vitale Martire si venera  in questa chiesa.

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Continuando la visita della chiesa si ammira il quadro del Sacro Cuore di Gesù con i santi Angelo e Giuseppe Maria Tomasi, dipinto di Giuseppe Spina.  84 ok

di San Camillo De Lellis.

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di Santa Caterina d’Alessandria che accoglie la statua lignea di Santa Caterina d’Alessandria, del XVII secolo. Santa Caterina d’Alessandria, del XII sec, statua proveniente dalla stessa chiesa distrutta, è avvolta da un mantello dall’ampio panneggio che, scendendo dalla spalla sinistra, avvolge la figura e si annoda sullo stesso fianco. Sulla mano destra esibisce la palma del martirio. La corona è in argento sbalzato e cesellato. La corona riprende la tipologia a sommità aperta diffusa tra le corone di statue nel Seicento e nel Settecento, ma la presenza di originalità fitomorfi e floreali, proprie del gusto eclettico della prima metà del XX secolo, riconducono i lavori artigianali ad una bottega palermitana di quel periodo.

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Il busto ligneo dell’Addolorata, del XVIII secolo, mostra il dolore della vergine Addolorata nell’espressione dei suoi occhi rivolti al cielo, nella forte stretta delle sue mani, nella croce che le trafigge il cuore, nell’abito nero, il colore del lutto.

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La chiesa custodisce la reliquia che contiene un frammento della colonna della flagellazione di Cristo.

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Questo frammento è stato donato alla confraternita agli inizi del’’700 proprio perché la confraternita ha come devozione il secondo mistero doloroso che è il culto di Gesù flagellato.  Questo culto non è stato scelto a caso, infatti nello statuto della confraternita del 1625 esiste la così detta “disciplina” cioè delle giornate dedicate alla flagellazione, alla mortificazione del corpo. Questa disciplina veniva messa in atto fino  alla metà del ‘700  e i confrati la praticavano a porte chiuse per evitare che diventasse un atto di esibizionismo.
Il Cristo deposto è la statua esposta, sopra un catafalco  dorato, nel pavimento della chiesa solo durante il periodo dei riti della Settimana Santa. Giovanni Spina, autore dell’opera, ha raffigurato il Cristo nel momento del trapasso.
Il Cristo  velato rappresenta il  sepolcro.

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Dai racconti evangelici le donne che seguirono Gesù durante il triduo pasquale e presenti sotto la croce erano tre: Maria,la madre di Gesù; Maria di Màgdala; Maria di Cleofa. Le tre pie donne, che vegliano il Cristo morto,  sono state esposte dopo circa 70 anni. Da notare come una donna sostiene Maria, la madre di Gesù che sta per svenire, appoggiando la mano dietro la sua schiena.

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Il Bambinello, posseduto della confraternita di Maria SS.ma della Carità, di autore sconosciuto, del 1700, mostra un’espressione gioiosa e un atteggiamento tenero e affettivo.

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Il Cristo alla Colonna, di cartapesta, opera di Ignazio Spina, del XIX sec, è il simulacro che i confratelli portano in processione la sera del mercoledì Santo lasciandoLo nel chiostro del convento della chiesa di San Francesco e riportato nella propria chiesa della Carità la sera del giovedì Santo.

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Nell’ampia sala, sede della venerabile confraternita della Carità, sono, inoltre, custodite: il prezioso tesoro di argenti della chiesa, le antiche scritture, l’archivio della chiesa. Fanno anche parte del patrimonio della confraternita di Maria SS.ma della Carità i corredi liturgici dei paramenti sacri.
La confraternita custodisce, inoltre, le  sante reliquie di San Vitali martire, un soldato romano del terzo secolo,  donate dal barone Tommaso Martinez che, a sua volta, lo ricevette in dono nel 1790 da un cardinale.
Il barone Martinez lo custodì nella cappella del suo palazzo, ma, poiché nel 1792 doveva trasferirsi a Palermo,  prima del suo trasferimento nella nuova città, essendo stata restaurata la chiesa della Carità ed essendo egli stesso un confratello, decise di non portare le reliquie a Palermo, ma di donarle alla confraternita.
In suffragio, per questa donazione, si riservò  la celebrazione di sante messe dopo la sua morte.
La donazione è avvenuta con atto notarile stipulato presso il notaio Ortega nel 1792.
I sacri resti furono collocati sotto un altare.
Negli anni ’70,  quando la chiesa fu molto trascurata, le sacre ossa furono spostate e conservate in una cassa nei locali attigui.
I fedeli anziani, che ricordano  le ossa di San Vitali martire, saranno riesposte nella chiesa, in una vetrina, per la sua venerazione, a cura sempre della confraternita.
L’interno della chiesa di Maria SS.ma della Carità è stato finemente restaurato grazie all’interessamento del governatore Prof. Francesco La Perna, di tutti i confratelli, che sono stati disponibili a versare il proprio contributo, e di volontari generosi .

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La cantoria è lineare, con frontale ornato da scanalature bianche, sotto la quale adorna la parete di sinistra il Cristo Crocefisso.

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LA VENERABILE CONFRATERNITA DI MARIA SS.MA DELLA CARITA’

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 L’associazionismo religioso, espressione tipicamente cattolica, fu il primitivo “fenomeno” cristiano. Anche a Licata, che vanta secoli di piena appartenenza alla Chiesa Cattolica, ha avuto innumerevoli testimonianze di esperienza associativa intra-ecclesiale come dimostra l’esistenza di conventi e di monasteri. Le associazioni di allora erano, perciò, istituzioni sorte nei conventi e in molte chiese di quartiere nelle quali gli obiettivi erano: l’attuazione di relazioni apostoliche e di assistenza spirituale e di mutuo soccorso. Questi motivi invogliavano le iscrizioni di tante persone. Le associazioni si chiamano tuttora “Congregazioni” per il fatto che erano legate a una determinata Chiesa o a un Convento con le descritte finalità.

Le confraternite presenti nelle chiese di Licata un tempo erano tante, anzi ogni chiesa aveva la sua confraternita. Purtroppo diverse confraternite oggi non esistono più. Le confraternite, sorte come associazioni di laici cattolici, riconosciute dalla Chiesa ufficiale, sono organizzate secondo una rigorosa struttura gerarchica interna a capo della quale c’è un superiore, detto “Governatore”. Le confraternite erano formate da persone appartenenti alla piccola e alla media borghesia: muratori, falegnami, massari, artigiani, commercianti, portuali. Sin dal 1400 ebbero una grande importanza nei comportamenti della comunità licatese non solo di carattere religioso, ma anche di carattere socio-etico-politico. L’appartenenza ad una confraternita offriva ai confrati vari benefici quali il soccorso dei fratelli nel bisogno, il funerale dignitoso e l’accompagnamento alla sepoltura nel cimitero del sodalizio. Erano azioni atte a fare crescere nei confrati l’amore verso Dio a imitazione di Cristo Crocefisso, per la salvezza dell’anima con le celebrazioni delle sante Messe. Quindi, non solo solidarietà associativa sociale e civile, ma preghiere, opere buone “in vita e in Morte”. Le Confraternite partecipano alle Sacre rappresentazioni ispirate alla Passione e alla Redenzione di Cristo. Le statue, provenienti dalle chiese di Licata, sfilano per le vie della città accompagnate dalla spiritualità delle confraternite e dei fedeli.
La venerabile Confraternita di Maria SS.ma della Carità è stata istituita nel 1503 come riferiscono alcune cronache di quel periodo.
La costituzione canonica risale al 1619 quando il vescovo di Agrigento, Mons. Frà Vincenzo Bonincontro, dichiarò la sua presenza nell’oratorio della chiesa di Maria SS.ma della Carità. La Confraternita di Maria SS.ma della Carità chiese e ottenne, con una Bolla pontificia del 18 gennaio del 1734 di Papa Clemente XII e confermata dal Vescovo di Agrigento, Mons. Lorenzo Giorni, l’aggregazione all’Arciconfraternita della Natività di Gesù Cristo e degli Agonizzanti della città di Roma.

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Lo statuto della confraternita, di 27 capitoli, dove si elencavano gli scopi sociali e cultuali della confraternita, fu approvato nel 1625. Lo statuto attuale raccoglie l’origine, lo scopo e l’organizzazione interna della confraternita riconosciuta dallo Stato con decreto del Ministero dell’Interno. Oggi tutte le confraternite dipendono dall’autorità ecclesiastica e sono regolate dal Codice di Diritto canonico. Attività principali in quel periodo erano: l’inumazione dei morti in povertà nel cimitero annesso alla chiesa della Carità e la divulgazione della fede cristiana con incontri settimanali nell’oratorio. La confraternita si dedicava anche ad altre opere pie nei confronti dei confratelli che si trovavano in stato di malattia e di indigenza.  Lo statuto prevedeva che l’ammalato dovesse essere sostenuto moralmente e religiosamente dai confrati e, in caso di prolungata malattia, aiutato anche dalle elemosine degli stessi. I confrati dovevano essere caritatevoli non solo con i confratelli in difficoltà, ma anche con i poveri e gli ammalati incurabili che erano accolti nell’ospedale, chiamato “Ospedaletto”, fatto costruire nel 1624 dal rev. Bonaventura Murcio, che lo unì alla chiesa della Carità, grazie a donazioni ed elemosine. In questo ospedale i poveri ammalati incurabili erano sorretti nella malattia sino alla morte. All’inumazione dei deceduti si dedicava la pia Confraternita di Santa Caterina che, nel 1655, si aggregò alla Confraternita della Carità che, alla chiusura del sodalizio di Santa  Caterina, accolse i beni, gli archivi e i confrati. Nello stesso oratorio nel 1731 nacque l’”Opera dell’agonia“, istituzione finalizzata alla salvezza dell’anima grazie a particolari pratiche spirituali compiute durante l’agonia dell’iscritto.  Nell’ostensorio era esposto il SS.mo Sacramento.
Se l’esposizione si protraeva anche nelle ore notturne, a turno dodici confrati vegliavano in preghiera il SS.mo Sacramento e aiutavano il confrate a morire spiritualmente. Tale pia istituzione fu apprezzata dai licatesi e molte persone aderirono all’iniziativa versando al procuratore dell’opera inizialmente una quota e, successivamente, la somma di un grano alla settimana.
Tutte le entrate erano diligentemente registrate su libretti, oggi ancora esistenti, in cui, accanto al nome del donatore con un cerchietto erano segnati i grani. A ogni cerchietto corrispondeva un grano versato. Attività religiose erano, ieri come oggi, la chiusura del ciclo delle Quarantore, l’esposizione del simulacro ligneo di Gesù flagellato durante il Giovedì Santo.
Nel corso del XVIII secolo la confraternita si dedicò all’abbellimento dell’oratorio e della chiesa facendo realizzare da Pietro Patalano, grazie alle elemosine raccolte dalla Badessa Suor Maria Serrovira, la statua di Maria SS.ma della Carità inserita nell’ altare di marmo rosso di Francia realizzato nel 1739. Durante il XIX secolo, l’Ospedaletto fu trasformato in ospizio per povere donne che, per età o per malattia, non potevano lavorare. In seguito per la scarsità delle rendite, dovuta anche alla divisione tra le rendite per il sodalizio e quelle per l’opera pia, le povere donne furono costrette a chiedere l’elemosina per sopravvivere o ad essere sostenute da famiglie nobili che facevano opere di carità consegnando il loro contributo direttamente all’ospedaletto.
Anche la rendita del Comune fu insufficiente per il loro mantenimento.  Il parroco della chiesa Madre, sac, Calogero Marotta, nel 1835 fece restaurare i locali dell’ospedaletto per dare conforto alle povere donne. Quando furono soppresse le confraternite, l’ospedaletto ha chiuso la sua funzione di accoglienza e gli ammalati incurabili furono assistiti dall’ospedale San Giacomo d’Altopasso. Nel XX secolo la confraternita, a poco a poco, cominciò a perdere molto di quel fervore che l’aveva contraddistinta in passato sia per la mancanza di attività pubbliche, quali le feste religiose, che potevano mantenere viva l’attività e la presenza dei giovani, sia perché altre attività private causarono l’allontanamento dei giovani e di molti fedeli. I membri della confraternita facevano parte della classe civile e nelle processioni, secondo l’ordine prestabilito dal vescovo per evitare risse, avevano il settimo posto; vestivano un abitino bianco raccolto in vita da un cinturino nero e una piccola mozzetta nera recante sulla sinistra un cuore fiammeggiante con su scritto “Charitas“, il motto della compagnia.

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Attualmente la Confraternita della Carità, che conta 80 confrati, annualmente prepara la processione del Cristo flagellato alla Colonna.

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-alcune foto sono della signora  Ivana De Caro

Apr 1, 2017 - Senza categoria    Comments Off on I RITI DELLA SETTIMANA SANTA A LICATA – LA COMMEMORAZIONE DI MARIA SS.MA ADDOLORATA – LA CHIESA DI SANT’AGOSTINO- LA CONFRATERNITA DI MARIA SS.MA ADDOLORATA

I RITI DELLA SETTIMANA SANTA A LICATA – LA COMMEMORAZIONE DI MARIA SS.MA ADDOLORATA – LA CHIESA DI SANT’AGOSTINO- LA CONFRATERNITA DI MARIA SS.MA ADDOLORATA

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Maria Addolorata, Maria Dolorosa, Madonna Addolorata, l’Addolorata, Madonna dei Sette Dolori, in latino “Mater Dolorosa“, sono gli appellativi con i quali è chiamata e invocata dai cristiani Maria, la Madre di Gesù.
A dare il via ai riti della Passione a Licata è la commemorazione   della Madonna Addolorata del “Carricadore”, come era chiamato l’antico molo di Licata, o di Sant’Agostino, che si celebra il venerdì precedente a quello della Crocifissione di Cristo Gesù e culmina con la Commemorazione del Venerdì Santo e la festa del Redentore, in una mescolanza di religiosità, di folklore, di credenze popolari.

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Il culto della Madonna Addolorata a Licata,  chiamata “la Madonna delle troccole“, è una ricorrenza religiosa e tradizionale molto sentita dalla popolazione licatese alla quale partecipano moltissime persone.
Quest’anno le funzioni religiose, in onore della Madonna Addolorata, si svolgono dal 29 marzo al 9 aprile del 2017 secondo il programma:

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Il celebrante è padre Tobias Kuzeza

Oggi è domenica 2 aprile 2017.  Alle ore 11:00 è stata celebrata la giornata dei bambini e dei giovani con la partecipazione dei lupetti e delle coccnelle del Gruppo Scout  “LICATA 1”  con la  Benedizione dei vestitini,  simile  al vestito dell’Addolorata.

La sera ci sarà la Promessa dei confratelli aspiranti e il rinnovo della promessa di tutta la confraternita di Maria SS.ma Addolorata

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Alle ore 19;30 dello stesso giorno i confratelli dell’intera confraternita di Maria SS.ma Addolorata hanno rinnovato la promessa di continuare il culto dell’Addolorata.  Emozionante è stata la vestizione dei  nuovi aspiranti confrati ammessi in seno alla confraternita.

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I confrati entrano in chiesa

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Foto di Giovanni Mantia

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Foto di Ivana De Caro

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Celebrano la funzione religiosa i sacerdoti: padre Tobias Kuzeza e padre Alessandro Rovello

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Rinnovo della promessa dell’intera confraternita

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I nuovi aspiranti confrati

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La benedizione dei confrati

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La Vestizione dei nuovi confrati

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La celebrazione eucaristica continua. L’offertorio.

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I confrati escono dalla chiesa santuario di Sant’Agostino

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Le foto raccontano la numerosa partecipazione dei licatesi e le manifestazioni di fede alla Madonna Addolorata.

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Il culto è stato introdotto per la prima volta nel 1756 nella chiesa di San Giacomo dell’Ospedale e attuato dalla Confraternita della Penitenza denominata del “SS.mo Sacramento del’Addolorata e di Santa Margherita di Cortona” fondata nella chiesa di San Giacomo dell’Ospedale  i cui  capitoli furono approvati da Mons. Andrea Lucchesi Palli, vescovo di Agrigento, giunto a Licata per una visita pastorale.
Il quartiere Marina, sito nel cuore di Licata, dove si trova il santuario di Sant’Agostino, che accoglie la statua dell’Addolorata, addobbato a festa con striscioni colorati e bandierine, e tutta la città vivono i giorni che precedono questa processione in devoto fermento.

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La sera del giovedì, dopo la celebrazione eucaristica, la statua dell’Addolorata è tolta dall’altare maggiore, a “ Scinnuta”, ed è posta nel fercolo per essere più vicina ai fedeli per venerarLa.

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Foto di Vincenzo e Valentina Iacona

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Il cammino processionale inizia la mattina del venerdì che precede la Settimana Santa, circa alle ore 12:00, subito dopo la celebrazione eucaristica officiata da almeno tre sacerdoti su un altare posto in alto su un ripiano preparato di proposito nel piazzale davanti alla chiesa.

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foto di Giacomo Vedda

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Grande è il numero delle persone che assistono alla funzione religiosa e seguono poi il fercolo dell’Addolorata che, sostenuto dai confrati della Confraternita di Maria SS.ma Addolorata di Sant’Agostino, principalmente portuali, inizia il suo lento cammino. Dalla via Cristoforo Colombo il simulacro dell’Addolorata è condotto in processione in Chiesa Madre.

 

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In dialetto licatese si dice “U viaggiu” perché l’Addolorata è alla ricerca del proprio Divino Figlio. E’ una festa commovente!
Molti fedeli accompagnano la Madonna a piedi scalzi, in segno di penitenza e di ringraziamento per una grazia richiesta o ricevuta.

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Per lo stesso motivo alcune bambine sono vestite dalle loro mamme con abitini penitenziali che riproducono l’abito dell’Addolorata fornito di aureola e relativo pugnale.

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Il corteo è accompagnato da motivi musicali funebri intonati dalla banda locale. Le note delle marce musicali danno il passo alla processione e ai portatori della statua dell’Addolorata. E’ un passo lento, ritmato, con la caratteristica “annacata”, che si esegue con movimenti laterali e di passi in avanti, seguiti da qualche passo all’indietro.

La festa della Madonna Addolorata è caratteristica anche per il suono assordante delle “troccole”, piccoli strumenti musicali formati da tavolette di legno che, sbattendo tra di loro, emettono un suono grave e profondo al passaggio della Madonna e, per questo motivo, è chiamata anche “a Madonna ri trocculi“.

Dai balconi delle case della Marina, addobbati con coperte ricamate, al passaggio dell’Addolorata cade un’abbondante pioggia di fiori che forma un tappeto floreale sopra il quale passa l’Addolorata. Il percorso continua attraversando la via Principe di Napoli, la via Barrile, la via Guglielmo Marconi, la Piazza Progresso, fermandosi davanti al palazzo di Città,

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Il percorso continua attraversando la via Principe di Napoli, la via Barrile, la via Guglielmo Marconi, la Piazza Progresso, fermandosi davanti al palazzo di Città,

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L’Associazione Culturale  Zampognari Licatesi “V. Calamita” omaggia la Madonna Addolorata in Piazza Progresso, esibendosi in poesie e canti davanti al Palazzo della città di Licata.

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Angelo Graffeo ha recitato la sua poesia

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Tutto il gruppo dei musici ha eseguito “Lu venniri matinu” di Rosa Balistreri

 

 

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La processione riprende lungo il Corso Roma fino alla chiesa del Carmine. Quindi ritorna indietro percorrendo il Corso Vittorio Emanuele per concludersi all’interno della Chiesa Madre dove rimarrà fino alla Domenica delle Palme.

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Moltissimi fedeli, emozionati e addolorati, accolgono l’Addolorata. Per tre giorni sosta nella Chiesa Madre che diventa meta per molti devoti appartenenti a tutte le parrocchie cittadine. All’interno della Chiesa Madre fervono momenti di devozione e di canti.
Il pomeriggio della domenica delle Palme la processione dell’Addolorata riprende il suo cammino e, dalla Chiesa Madre, si conclude in tarda serata con il ritorno del simulacro nel Santuario di Sant’Agostino.

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Durante questo percorso di ritorno, il simulacro dell’Addolorata attraversa la parte opposta della città, cioè il quartiere Oltreponte, il Corso Serrovira, il Corso Italia, la zona di Settespade per poi ridiscendere verso il quartiere della Marina e, attraversando la via Principe di Napoli, rientra nella sua casa. Chiudono i festeggiamenti i confratelli della Compagnia dell’Addolorata. Un confratello grida:  “tutti a na vuci” gli altri rispondono:” Viva Maria Addulurata”. E’ molto emozionante!

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Foto di Pierangelo Timoneri

Il culto alla Madonna Addolorata era già molto sentito a Licata nella 2a metà del ‘700, ma la processione ebbe inizio nella 2a metà dell’800.
E’ la festa per eccellenza degli uomini di mare, perché protettrice dei pescatori, dei naviganti e dei lavoratori del porto, che partecipano con devozione tralasciando anche il lavoro perchè la festa avviene di venerdì, giorno infrasettimanale.

Una leggenda narra che la statua dell’Addolorata è approdata a Licata verso la fine del XVIII secolo in seguito all’attracco nel porto di Licata di un bastimento a vela che stava per abbattersi sulla scogliera presso lo sbarcatoio del Caricatore di grano a causa di una furiosa tempesta.
I portuali licatesi si buttarono in mare per cercare di aiutare i marinai in difficoltà. Tutti furono salvati, anche il prezioso carico trasportato nella stiva del bastimento. Era una bellissima statua dell’Addolorata.
I marinai del bastimento, scampato il pericolo, ringraziarono i loro salvatori. e decisero, prima di ripartire, di ringraziare la Vergine Addolorata con una messa solennemente celebrata nella vicina chiesa di S. Margherita (Sant’Agostino). Il prezioso carico, però, si rifiutò di ripartire ostacolando anche la loro partenza.
Allora decisero di lasciare a Licata la miracolosa statua dell’Addolorata e di donaLa ai licatesi. La statua fu trasportata nella chiesa di Santa Margherita, che si trovava nei pressi del mare, e collocata sull’altare per essere benedetta dai Padri Agostiniani.
Oggi è l’attuale Santuario di Sant’Agostino. Da allora la Madonna Addolorata a Licata è venerata con fede e festeggiata annualmente.

La devozione all’Addolorata è molto sentita non solo a Licata, ma in tutta la Sicilia, in Italia e nel mondo forse perché mostra la Sua condizione umana trovando la sua massima estensione durante la Settimana Santa.
Il culto dell’Addolorata è rilevato dalla diffusione delle preghiere a Maria Addolorata, dalla recita del rosario dei Sette Dolori, dai canti mariani.

Maria Addolorata va alla ricerca del diletto Figlio. Molti sono stati i canti composti per questo evento.
Io ricordo mio padre Giovanni e i confrati della confraternita di San Nicolò, a Mistretta, con la testa cinta dalla corona di spine, realizzata con l’intreccio dei rami probabilmente della pianta di Gleditsia triacanthos, durante la processione dei Misteri, cantavano dietro la vara di Giuda il famoso canto siciliano “Maria passa ni na strata nova”.

E ntussicata Maria – povira ronna!-

circannu a lu so figghiu a-ccorchi bbanna.

 Nun lu circari, no, ch’è a la culonna

bbattutu cu na ranni  virdi canna!

Maria passa ri na strata nova

e a porta ru  furgiaru aperta era:

 <<Oh, caru mastru, chi fai apiertu a st’ura?>>

<<Fazzu  na lancia e ttri ppuncenti chjova!>>

<<Oh caru mastru, tu pi-ccu l’a-ffari?>>.

<<L’a-ffari pi lu figghju ri Maria!>>

 <<Oh caru mastru, nun li fari ora:

ri nuovu ti la paju la mastria!>>.

<<Oh, cara ronna, si-fforra pi-mmia,

cchju-lluonghi e-senza punta li farria!>>.

 <<Oh, caru mastru tuttu mmalirittu

ca r’unni passi tu n-truovi rrisiettu!>>.

Maria passa ri na strata nova,

e a porta  fallignami aperta era.

 <<Oh,  caru mastru, chi-ffai apiertu a st’ura?>>.

<<Fazzu na cruci e na curune e spini!>>.

<<Facitili cchju-llieggi chi-putiti

pirchì sunu carnuzzi ddilicati!>>

 <<Oh, cara ronna, si-fforra pi-mmia,

tutti ri rossi e-sciuri li farria!>>.

<<Oh, caru mastru, tuttu bbinirittu

ca r’unni vai tu truovi rrisiettu!>>.

 <<Sienti, sienti, Maria: to figghju passa

e-pporta na catina longa e ggrossa;

ri quant’è-llonga tuttu lu scuncassa,

ca purpi n-avi cchjui supra ri l’ossa!>>.

 <<Chiamatimi a Ggiuanni ca lu uogghju.

 quantu m’ajuta a-cchianciri a-mme figghju!

La lampa ora muriu;canciati l’uogghju:

ora ca viu ch’è-mmuortu me figghju!

 Ora ca viu ch’è-mmuortu me figghju,

ri niviru mi miettu lu cummuogghju!

Manciati carni o sabbitu, ca uogghiu:

 vardatici  lu venniri a-mme figghju:

a-cu n-ci varda u venniri a-mme figghju

li carni si cci abbbrucinu cuom’ uogghju!>>.       

Oh, Santa Croce, voi vengo a trovare;

piena di sangue vi trovo allagata!

Chi fu quell’uomo che venne a morire?

Fu Gesù Cristo ch’ebbe un colpo di lancia!

Acqua domanda, non potè averne:

gli diedero la spugna intossicata!

E intossicata (è) Maria-povera donna!-

cercando suo figlio da qualche parte.

Non cercarlo, no, ch’è alla colonna,

percosso con una grande canna verde!

Maria passa da una strada nuova

e la porta del fabbro era aperta:

<<Oh, caro mastro, che fai aperto a quest’ora?>>

<<Faccio una lancia e tre pungenti chiodi!>>

<<Oh, caro mastro, per chi devi farli?>>

<<Devo farli per il figlio di Maria!>>

<<Oh, caro mastro, non li fare ora:

nuovamente te lo pago il tuo lavoro!>>

<<Oh, cara donna, se fosse per me,

più lunghi e senza punta li farei !>>

<<Oh, caro mastro tutto maledetto,

che dove passi tu non trovi pace!>>

Maria passa da una strada nuova

e la porta del falegname aperta era.

<<Oh, caro mastro, che fai aperto a quest’ora?>>

<<Faccio una croce e una corona di spine!>>

<< Fateli più leggeri che potete

perché sono carni delicate!>>

<<Oh, cara donna, se fosse per me,

tutte di rose e fiori le farei !>>

<<Oh, caro mastro tutto benedetto,

che dove vai tu trovi pace!>>

<< Senti, senti, Maria: tuo figlio passa

e porta una catena lunga e grossa;

di quant’è lunga tutto lo sconquassa,

tanto che non ha più carne sopra le ossa!>>

 << Chiamatimi Giovanni che lo voglio,

perché mi aiuti a piangere mio figlio!

La lampada s’è spenta; cambiate l’olio:

ora che vedo ch’è morto mio figlio!

Ora che vedo ch’è morto mio figlio,

di nero me lo metto il manto!

Mangiate carne il sabato, lo permetto:

ma rispettate il venerdì per mio figlio:

A chi non rispetta il venerdì a mio figlio

le carni gli si brucino come olio!>>

 L’ascolto di questo canto suscitava tanta commozione!

Questi canti raccontano la ricerca di Maria Addolorata del Figlio Divino. Maria incontra Giovanni e gli chiede di Gesù. Le risponde: “Gesù è incarcerato nelle prigioni di Pilato”. L’Addolorata parla con il fabbro ferraio, che sta preparando i chiodi per la crocefissione e gli dice. “Non fate i chiodi, vi pago lo stesso il lavoro e la mastria”. Risponde: “Maria, li devo fare per forza, perchè se non li faccio dove c’è Cristo in croce mettono a me”.

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Angelo Graffeo, in questi  spontanei  e  commoventi  versi, che integralmente trascrivo, esprime la devozione sua e dei suoi paesani alla Madonna Addolorata della chiesa di Sant’Agostino di Licata:

MADUNNUZZA ADDULURATA
Madunnuzza addulurata
ca di tuttu lu munnu siti vinirata,
pi la gran pena ca pruvastivu pi lu Signuri
c’aviti na spada intra lu vostru cori.
A Licata, lu venniri matinu,
currunu prestu tutti li divoti ni la cesa di sant’Austinu!
Co vi porta cullani, co vi porta l’orecchini, cu si la fa scauzza la prucissioni
pirchi cu vui cianu la pirmisioni.
A cco cu fedi e va addumanna aiutu,
Vui la grazia ci l’atu cuncidutu.
Maddunnuzza miraculusa,
che na grazia a fari intra ogni casa,
pirchi ognunu avi li so peni
e addumannarivi na grazia veni.
Nisciuta di la cesa vi mittiti a caminari,
arrivati a lu portu vi mettimi a facci o mari
unni ci su tutti li piscaturi
ca cu sono di na navi vi vonnu salutari,
caminati alleggiu alleggiu
e arrivati sutta l’orologiu,
circati u vostru figliu tantu amatu,
arrivati a matrici ma ancora o Signuruzzu unni l’atu truvatu.
A Duminica a sira vi mittiti arrè a caminari,
pirchi lu figliu vostru vuliti truvari,
tuttu lu paisi vi veni appressu
pianu pianu, lentu è lu vostru passu.
Vi faciti tuttu lu vostru caminu,
a notti tardi turnati a Sant’ Austinu!
A.Graffeo

Ringrazio il signor Giovanni Mantia per avermi  gentilmente concessa questa fotografia che raffigura la processione dell’Addolorata nel 1961. Sono vecchi ricordi che non si dimenticano!

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In ogni chiesa cattolica c’è sempre un’immagine della Vergine Addolorata rappresentata in forma di  statua, di dipinto, di affresco, di bassorilievo, nella via Crucis, nella Via Matris, in una Cappella, in un altare, sulle pareti della chiesa. Unitamente all’immagine dell’Addolorata si trovano: le immagini della Pietà, della Deposizione, della Crocifissione di Cristo.

Agli amici che hanno voglia di leggere e di approfondire il culto dell’Addolorata a Licata il prof. Calogero Carità  offre il seguente saggio, tratto dal suo libro “Immanis Gela nunc Alicata, urbs dilecta ac fidelis” (Licata 1988, La vedetta editrice) e dal libro “La Ven.le Confraternita di San Girolamo e il Venerdì Santo a Licata” (Licata 2016, La Vedetta editrice) degli autori Calogero Carità e Francesco Pira.
Il culto della Madonna Addolorata a Licata è stato sempre vivo e molto sentito a Licata. Sarebbe stato introdotto per la prima volta, nel 1756, nella chiesa di S. Giacomo dell’Ospedale, ove aveva sede anche la confraternita dei Nobili ed era seguito dalla Confraternita della Penitenza sotto il titolo del SS. Sacramento dell’Addolorata e di S. Margherita di Cortona, fondata in questa chiesa, i cui capitoli vennero approvati nel corso della visita pastorale a Licata dal vescovo di Agrigento, mons. Andrea Lucchesi Palli.
La Vergine Addolorata veniva venerata anche nella chiesetta del Maenza presso il regio castello a mare San Giacomo, dall’omonima confraternita , i cui capitoli, approvati dal predetto prelato nel 1761 in corso di visita pastorale a Licata, sono custoditi presso l’archivio vescovile di Agrigento .
Nel 1770 il culto dell’Addolorata venne introdotto nella chiesa del Cotturo a seguito della costituzione in essa della omonima confraternita .
Nel 1884, infine, all’Addolorata fu intitolata la chiesetta dei “Sette dolori della Vergine”, comunemente chiamata “chiesa di Settespade”, fatta edificare in aperta campagna dal benefattore Vincenzo Cibella con il concorso della confraternita degli argillai .
Dell’Addolorata che si venera e si festeggia nella chiesa di S. Margherita dei PP. Agostiniani, presso il Carricadore, antico molo di Licata, si hanno poche notizie nelle cronache locali. Non ne parla il Pitrè, di cui si conoscono le benemerenze nel settore etnografico, che dedicò tanta attenzione alle feste religiose e patronali siciliane. Anche Luigi Vitali, autore di una storia di Licata, edita nel 1909, pur citando le maggiori festività licatesi, tace sulla Addolorata di S. Agostino. Ma da una lettera di invito del 28 marzo 1817 del responsabile del Caricatore di Grano, custodita presso l’archivio parrocchiale della Chiesa Madre, inviata al Capitolo dell’Insigne Collegiata della maggiore chiesa licatese, per la partecipazione alla processione della Santa Addolorata, si evince chiaramente che questa ricorrenza fosse già in uso sin dai primi anni dell’800.
Della sacra immagine lignea dell’Addolorata (alta cm. 163) di ignoto autore, da collocare nella seconda metà del 700, si sa ben poco. Tuttavia viene attribuita a un tal Giuseppe Picone, sconosciuto allievo del Serpotta. La sua presenza a Licata è avvolta da mistero e leggenda come in altri casi analoghi, tra cui quello del S. Crocefisso di Siculiana . Si narra, infatti, che verso la fine del XVIII sec. un veliero naufragò presso lo sbarcatoio del Caricatore di Licata, prossimo alla chiesa di S. Margherita. I marinai licatesi prestarono il loro soccorso al veliero, mettendolo in salvo con tutto il suo equipaggio. La stiva della nave ospitava un insolito carico, una statua lignea dell’Addolorata. Una messa di ringraziamento venne celebrata in S. Margherita e, al termine della funzione, i marinai licatesi, forti del sostegno della gente del quartiere Marina, che aveva gridato al miracolo, non consentirono che la bellissima immagine della Vergine Addolorata prendesse il largo e pretesero ed ottennero dal comandante del veliero che fosse lasciata a Licata.
Probabilmente la venerazione dell’Addolorata di S. Agostino rimase sino ai primi anni del 900 all’interno del perimetro dell’antico quartiere Marina, finché non si estese a tutta quanta la città.
La festa viene celebrata puntualmente, ogni anno, il venerdì di passione e segna l’inizio dei festeggiamenti più solenni che la città da secoli, ormai, è solita tributare al Venerdì Santo. E’ una ricorrenza molto attesa e seguita con commossa devozione da tutta la cittadinanza e soprattutto dal popoloso quartiere della Marina nonostante cada in un giorno feriale. Protagonisti di questo giorno di festa sono stati da sempre i lavoratori del Caricatore, l’antico molo di Licata, e sino al 2003, anno in cui si è costituita la Confraternita dell’Addolorata, i lavoratori del porto. E tanta è stata la loro devozione che addirittura prima della seconda guerra mondiale, quando il traffico mercantile del porto di Licata registrava un alto volume, loro, pur di essere presenti sotto la bara della Madonna, recuperavano la mattina del venerdì lavorando tutta la notte del giovedì.
Alle spese per i festeggiamenti si fa fronte solo con la questua tra la gente della Marina che si è sempre dimostrata molto generosa. Come era solito raccontarci, don Michele Polizzi, che questa chiesa parrocchiale resse per svariati lustri, a partire dal 1° gennaio 1954, anche la gente più povera e più bisognosa non ha mai fatto mancare il suo obolo a sostegno dei festeggiamenti della Addolorata. Addirittura, una volta, una povera donna rincorse il suo figlioletto che era andato a comprare la sua merendina, gli prese le 50 lire che gli aveva dato e le consegnò a don Michele. Una elemosina di poco conto, ma era felice perché anche lei aveva contribuito. E fatti come questi, anche se i tempi sono mutati, accadono tutti gli anni tra i vicoli, quei pochi ancora abitati, della Marina. E sono questi soprattutto i motivi per cui il vescovo di Agrigento, mons. Giuseppe Petralia, accolse la supplica di don Michele Polizzi del 19 marzo 1973 ed elevò il 13 aprile successivo, nel corso di una pubblica e solenne cerimonia, la chiesa dell’Addolorata a Santuario.
La processione della sacra bara, seguita da numerose persone a piedi scalzi ed in abito penitenziale , inizia a mezzogiorno e si snoda lentamente, al suono di bellissime e commoventi marce musicali, da via Colombo verso via Barrile per procedere da via Guglielmo Marconi, lungo la quale viene salutata dal particolare suono di antichi strumenti lignei di origine ebraica, detti localmente “troccoli” e “firriaroli”, verso piazza Progresso. Da qui prosegue verso la chiesa del Carmine da dove, dopo una breve pausa, riprende a ritroso il suo cammino per raggiungere la chiesa Madre dove viene ospitata, esposta sull’altare maggiore, per tre giorni sino alla sera della Domenica delle Palme. Qui riceve l’omaggio da tutto il popolo licatese che la sera della domenica, stringendosi numeroso attorno alla sua bara, la riporta in processione, questa volta lungo la via Principe di Napoli, nella sua chiesa. Molto commovente è l’ultima fase della processione. Infatti, un coro di cinque anziani, ex agricoltori, accanto ai marinai e ai portuali che di generazione in generazione si contendono il privilegio del trasporto della bara della Vergine, intona nenie ed incomprensibili ed accorate lamentanze in vernacolo partecipando al dolore della Madre Addolorata che non è riuscita a trovare il Figlio, già arrestato dai Giudei.
Una di queste lamentanze così recita:
“Giuda trenta dinari su vinnia/ Grida sangu nill’ortu di Gesù/ Ligatu e fracillatu a la colonna/ o chi pungenti spini su la so’ cruna/ o chi pisanti lignu iè la so’ cruci/ Spira l’arma a Gesù e cu tanti peni./ Orfani arristammu senza Patri o Diu di Amuri/ Sopra ddi du munti chiova piangennu Maria/ piangemmo ccu Maria l’Addilurà/” ).
Alla fine, verso mezzanotte, la bara della Madonna, dopo un lento procedere, varca la soglia del santuario tra gli evviva dei fedeli, molti dei quali appositamente ritornati a Licata persino da paesi oltreoceano. Così l’Addolorata, trafitta nel cuore da una spada d’argento e adorna di uno stellario e di un medaglione pure d’argento, contenente una reliquia della Santa Croce, donata dalla famiglia Taschetta, i cui antenati l’ebbero dal santo cardinale Giuseppe Tomasi, ritorna sull’altare maggiore, il cui sottarco è adornato da sette piccole tele circolari ad olio, attribuiti all’artista locale Giuseppe Spina, che ha voluto in esse raffigurare i sette dolori della Vergine. A chiudere la festa sono i confratelli della Compagnia dell’Addolorata urlando “tutta na vuci: viva Maria Addulurata”.
Ad occuparsi dei festeggiamenti dell’Addolorata è la confraternita da qualche anno appositamente istituita con l’approvazione del vescovo di Agrigento.
Rosa Balistreri, illustre licatese, dedicò a Maria Addolorata una significativa canzone in vernacolo licatese che, musicata, incluse nell’album delle sue cantate:

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IL SANTUARIO DI SANT’AGOSTINO A LICATA

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Il Santuario di Sant’Agostino si trova a Licata, nel quartiere Marina, all’incrocio fra la fine della via Guglielmo Marconi e la via Cristoforo Colombo. Anticamente era localizzata presso il caricatore di grano quando a Licata era fiorente il commercio del frumento ancor prima del commercio dello zolfo.

La chiesa era dedicata a Santa Margherita d’Antiochia di Pisidia, vergine e martire cristiana. E’ stata intitolata a Sant’Agostino dai Padri Agostiniani che abitavano nel convento della chiesa di Santa Maria del Soccorso, oggi non più esistente, nei pressi del costruendo Castel Sant’Angelo.  Nel 1611 i Padri Agostiniani si spostarono verso il caricatore del grano fermandosi lì fino al 1735, quando fu soppresso il convento dove abitavano.

La chiesa di Santa Margherita d’Antiochia di Pisidia fu distrutta dalle invasioni africane, non rimanendo nulla dell’originaria struttura. Abbandonata per tanti anni, riedificata e più volte ristrutturata, la chiesetta solo nel prospetto conserva alcuni elementi originali che fanno pensare alla prima metà dell’800. Sono le due paraste in conci di pietra, il portale e la finestra quadrilobata. Riaperta al culto, la chiesa fu eletta parrocchia nel 1950.

Il 13 aprile del 1973 la chiesa di Sant’Agostino, per la grande devozione alla Madre Addolorata, con decreto vescovile del Vescovo Mons. Giuseppe Petralia, su richiesta di don Michele Polizzi, è stata elevata a Santuario della “Vergine Santissima Addolorata” affinchè “l’insigne onore, con cui viene decorata la chiesa di Sant’Agostino, serva, per la grazia di Cristo e per la fede del popolo di Licata, ad aumentare la filiale fiducia nella Regina dei Martiri Maria”.

Una solenne liturgia è stata officiata da Mons. Giuseppe Petralia e da don Michele Polizzi nel piazzale di fronte alla chiesa alla quale parteciparono tutte le Autorità civili e militari locali e un folto numero di devoti. Al termine della funzione Mons. Giuseppe Petralia diede lettura del decreto di elevazione della chiesa di Sant’Agostino a Santuario della “Vergine Santissima Addolorata” e del telegramma di auguri inviato dal cardinale Villot per conto del Papa Sua Santità Paolo VI. Numerosissimi sono stati gli applausi!

Quindi è il “Santuario dell’Addolorata di Santo Agostino”.

Sono stati i padri Agostiniani a modificare il vecchio impianto della chiesa. Ribaltarono completamente l’orientamento della chiesa e costruirono un edificio per ospitare la loro comunità, attiva fino al 1735, che è quello che esiste ancora oggi. Inizialmente l’ingresso della chiesa era a ovest, dove oggi è il presbiterio. Il convento che ospitava gli Agostiniani corrisponde dove oggi ci sono gli uffici parrocchiali e di cui rimangono alcune parti architettoniche. Aprirono un nuovo ingresso ad Est, di fronte alla porta urbica di Donna Agnese. Oggi l’ingresso principale è in via Cristoforo Colombo.

Il prospetto esterno della chiesa è molto semplice con impronte classicheggianti.

Il portale d’ingresso è limitato da due colonne che sostengono piccoli capitelli e termina con un arco semicircolare. Sopra di esso ci sono: la finestra a forma di quadrifoglio e lo stemma.

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La finestra quadrilobata, durante i recenti restauri, è stata riempita da una vetrata colorata di rosso dove è stato raffigurato il Pesce, simbolo della Marina, il quartiere dove sorge la chiesa vicino al mare.

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 Nello stemma si intrecciano: la M di Maria e la C della Croce, simboli che richiamano la Fede alla Madonna e al Cristo.
Il prospetto termina con un timpano semicircolare spezzato con tre forature allungate nella parte centrale dove sono alloggiate le tre campane e con due accenni di volute sormontate da due pigne di cemento di recente costruzione. La croce di metallo indica la presenza della chiesa.

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L’intonaco del prospetto è di colore rosso mattone, per distinguere la chiesa dai palazzi circostanti costruiti successivamente, lasciando a vista i conci delle paraste, della porta e delle ghiere delle finestre creando magnifici accostamenti bicromatici.
I recenti lavori di restauro, eseguiti nel primo decennio degli anni Ottanta del secolo scorso, sono stati progettati ed eseguiti dagli amici architetti Pietro Meli e Turi Scuto che, su incarico del rev. Michele Polizzi, allora parroco della chiesa, e con i contributi elargiti dai fedeli volontari, hanno restituito alla chiesa l’originario aspetto.
La chiesa di Sant’Agostino era stata già oggetto di restauro da parte dei fratelli Antonio e Salvatore De Caro.  Le decorazioni con gli stucchi furono realizzate dal pittore Salvatore De Caro.

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Totò De Caro al lavoro

Le applicazioni in oro zecchino furono realizzate dal pittore Antonio De Caro nel 1967.

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Nel restauro della chiesa i due artisti hanno dato la parte migliore della loro maturità artistica rendendo la chiesa armonica in tutte le sue strutture. I recenti stucchi, ricoperti di oro zecchino, sono stati applicati dalla ditta Sadi di Vicenza.
A indicare la chiesa, quasi a guardia del sagrato, è un monumento in pietra con una grande Croce la cui realizzazione risale al 1818.

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Si accede all’interno della chiesa dopo avere superato una piccola area protetta da una cancellata in ferro battuto. La chiesa è a navata unica. Nell’abside l’altare maggiore ospita la statua lignea dell’Addolorata, alta 163 cm, scolpita in legno dall’artista Giuseppe Picone nel 1732, probabilmente allievo della scuola del Serpotta.

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Per le sue precarie condizioni ha dovuto subire necessariamente un importante intervento di restauro. Il restauratore Salvatore (Totò) De Caro nel mese di marzo del 1963 aveva fatto già un bel lavoro restituendo alla statua dell’Addolorata il Suo antico splendore.

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Prima del restauro

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Dopo il restauro

 Il tempo, però, è stato nuovamente inclemente per cui a questo restauro ne è seguito un altro.
La Madonna è vestita con l’abito celeste scuro. Le spalle sono coperte da un mantello viola, segno della Passione di Cristo sul Calvario, con i bordi dorati che Le avvolge il corpo. La testa, coronata da uno stellario d’argento, inclinata a destra, mostra il volto afflitto dal dolore. Il pugnale d’argento trafigge il Suo cuore a dimostrazione del grande dolore per la morte del Suo diletto Figlio. Dal collo pende un medaglione d’argento con le reliquie della colonna della flagellazione, dono della famiglia Taschetta i cui antenati lo ricevettero da San Giuseppe Maria Tomasi e Caro, compatrono di Licata. Nella mano sinistra stringe il fazzoletto pronto per asciugare le lacrime del suo pianto.

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Attorno alla statua dell’Addolorata, nel sottarco dell’altare, ci sono sette dipinti circolari su tela, attribuiti al pittore licatese Giuseppe Spina, raffiguranti i sette dolori della Madonna. Procedendo in ordine da sinistra verso destra: “Maria presenta al sacerdote Simeone Gesù Bambino nel tempio”, “la fuga in Egitto”, “la perdita e il ritrovamento di Gesù nel tempio”, “la Madonna che incontra Gesù con la croce sulle spalle”, “Gesù in croce e la Madonna che piange ai suoi piedi”,”Gesù crocifisso trafitto dalla lancia di un centurione sotto gli occhi della Madre”, “la Madonna dinanzi al sepolcro di Cristo”.

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Altri due altari, uno per ogni lato, sono nelle pareti laterali. L’altare della parete destra della chiesa custodisce una tela, del XVII sec., raffigurante la Madonna della Cintura con il Bambino e Sant’Agostino a sinistra e Santa Monica a destra, tra una schiera di angeli. In basso è raffigurata una scena di anime purganti.

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 L’altare della parete sinistra custodisce il settecentesco Crocefisso ligneo, di ottima fattura.

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La tela di Sant’Agostino, vescovo e teologo berbero, e quella di San Gregorio Magno, papa e dottore della chiesa, provengono dalla Chiesa di San Girolamo.

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La statua di Sant’Agostino e i quadri arricchiscono la chiesa. La statua di Sant’Agostino è stata donata da Epifania, Salvatore, Rossella, Martina De Caro per ringraziamento per grazia ricevuta.

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Il dipinto moderno dell’Addolorata è stato realizzato dal signor Cammilleri Giuseppe nel 2008. Il dipinto del Cristo con le pie donne è stato realizzato dal signor Angelo Sorce nel 2011.

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quadro di Cammilleri Giuseppe

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Quadro di Angelo Sorce

La cantoria è abbellita dagli stucchi che riproducono i momenti dell’Eucaristia.

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Addossato alla parte laterale del santuario di Sant’Agostino è stato innalzato il monumento a memoria del naufragio della nave “Seagull”, “Gallinella di mare”.

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Il pittore licatese prof. Antonio Mazzerbo nel 1984 ha realizzato la scultura bonzea “Il volo del Gabbiano” proprio per ricordare i marinai della “Seagull” che attraversavano i mari volando come i gabbiani.

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Il naufragio della nave “Seagull”, di bandiera liberiana, è avvenuto davanti alle coste del mare di Licata il 17 febbraio del 1974 e morirono per annegamento le trenta personedell’equipaggio composto da: il comandante francese, 2 italiani, 2 spagnoli, un turco, 19 africani, giovani provenienti dalla Nigeria, dal Camerun, dal Ghana, dal Gambia.
Per otto giorni nessuno ha indagato sulla sorte della nave dalla quale non si avevano notizie. Solo lei, in assenza di notizie, si preoccupò di iniziare le ricerche della nave. Fu Raina Junakovic, la moglie di Frane Junakovic, di 62 anni, ufficiale marconista di bordo. E’ morto anche il radiotelegrafista Claudio Corrado, di 22 anni, di Ruda (UD). Questo giovane è ricordato da una targa posta nell’ex Istituto per Radiotelegrafisti di Grado (GO).
La nave mercantile, una vecchia “carretta del mare”, di 6507 tonnellate di stazza, costruita nel 1947 e allungata nel 1961, viaggiante sotto “bandiera ombra“, proveniente da Casablanca e diretta ad Augusta, in Sicilia, con un carico di circa 9.000 tonnellate di fosfati, trovandosi in difficoltà nel Canale di Sicilia, a causa del mare agitato, lanciò un SOS. Fu l’ultimo messaggio!
Alcuni giorni dopo il comandante della nave italiana VELA/ICMV, arrivato a Genova, avvisò la Capitaneria di porto che il 18 febbraio, intorno alle ore 1:45, aveva avvistato, tra i resti di un naufragio, una scialuppa di salvataggio abbandonata dove si leggeva una parte del nome “Seagull”. Iniziarono le ricerche. Fu rinvenuto il corpo di un marinaio.
Nel mese di dicembre del 1974, a seguito della segnalazione di un pescatore, il relitto della nave fu individuato a nove miglia da Licata alla profondità di 100 metri.

LA CONFRATERNITA DI MARIA SS.MA ADDOLORATA A LICATA

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La confraternita di Maria SS.ma Addolorata è una Associazione Ecclesiale di Laici costituita secondo le norme del Diritto Canonico, fondata con Decreto vescovile il 30 aprile del 2003. E’ regolata da 11 articoli che compongono lo statuto e da un regolamento interno.
E’ costituita dalla sezione Femminile, dalla sezione Maschile, dagli Aspiranti (10-15 anni), dai Novizi (16-17anni), dai Devoti, che sono quelli che indossano il saio soltanto durante la celebrazione dell’Addolorata, non hanno né diritti, né doveri, dall’Assemblea, dal Consiglio di Amministrazione, dal Consiglio dei Probiviri, dall’Assistente spirituale. Questi organi collegiali si rinnovano ogni 4 anni tramite elezioni a scrutinio segreto.
L’Assemblea è costituita non da tutti gli iscritti alla confraternita, ma soltanto dai Professi osservanti dei doveri imposti.
Il Consiglio di Amministrazione è composto dal Governatore che, rappresenta la Confraternita, che attualmente è il signor Fedele Amato, dal Vicegovernatore, il signor Maurizio Incorvaia, dai consiglieri: Giovanni Mantia, Vincenzo Iacona, Rocco Lauria, Maurizio Incorvaia, dal tesoriere e dal segretario, il signor Giovanni Mantia, dal Collegio dei Probiviri: Angelo Fricano, Calogero Incorvaia, Francesco Cosentino. I Probiviri sono i cosiddetti “uomini onesti“, persone che, per particolare autorità morale, sono investite di poteri giudicanti e arbitrali sull’andamento dell’associazione, sugli eventuali contrasti interni, sui rapporti con altri enti. L’ordine, la fratellanza, il rispetto reciproco sono valori che uniscono i confrati.

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L’Assistente spirituale, nominato dal Vescovo di Agrigento è padre Tobias Kuzeza.
Il fine generale della confraternita è proprio quello di formare i confrati a vivere, da laici, secondo gli insegnamenti scaturiti dal Battesimo che ciascuno ha ricevuto. Il carisma specifico è quello di promuovere il culto di Maria Ss.ma Addolorata testimoniando che la devozione mariana è la via più semplice per vivere la vita da veri cristiani attraverso l’ascolto della Parola, la partecipazione ai Sacramenti, il sentimento della carità. Infatti la confraternita  ha adottato a distanza alcuni bambini.

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I confrati vivono l’ecclesialità e la laicità seguendo l’esortazione apostolica “Christifideles laici” che papa Giovanni Paolo II, oggi  Santo, firmò a Roma il 30 dicembre del 1988 come sintesi e compendio della dottrina sorta dal Sinodo dei vescovi del 1987 sul tema “Vocazione e missione dei laici nella chiesa e nel mondo“.
La confraternita possiede lo stemma  dove è inciso il volto di Maria Addolorata. Lo stesso viso è impresso negli stendardi che i confrati espongono durante le processioni. Anche il vestiario dei confrati è stabilito dagli organi statutari.

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Annualmente la Confraternita Maria SS.ma Addolorata conta 123 confrati molto presenti e attivi in seno alla confraternita.

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Si riuniscono in assemblea l’ultimo venerdì di ogni mese nella sede presso l’oratorio del santuario di Sant’Agostino, nel quartiere “Marina”. Gli ambienti della sede sono puliti, ordinati, accoglienti e dignitosamente arredati.

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La Confraternita Maria SS.ma Addolorata, oltre ad organizzare la festa dell’Addolorata e a portare in processione il Suo fercolo,

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continua il lavoro iniziato dal “Comitato Seagull” per la difesa dei diritti dei marinai organizzando la cerimonia officiata nel Santuario di Sant’Agostino dove c’è il monumento che ricorda le vittime del naufragio. Quest’anno, il 16 febbraio 2016, la funzione religiosa è stata officiata dal parroco della chiesa padre Tobias Kuzeza come anche l’anno scorso.

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 Numerosa è sempre stata la partecipazione di associazioni e di confraternite alla funzione religiosa, al momento di preghiera davanti al monumento dei caduti in mare e alla deposizione della corona di fiori.
E’ stata ricordata la figura della signora Raina Junakovic, moglie di Frane Junakovic, il marconista deceduto che, per diversi anni, è venuta a Licata per commemorare la tragedia del naufragio della nave “Seagull”, per partecipare alla funzione religiosa e per dare il suo saluto agli uomini caduti in mare.
Quest’anno la signora Raina, che avrebbe superato il secolo d’età, era assente. Sue sono le parole: ”Io sono sempre stata presente, tranne quando ho avuto problemi gravi di salute”. La sua indomita vitalità l’ha spinta a intraprendere estenuanti ma vittoriose battaglie contro le oscure potenze degli “armatori ombra”, a recarsi in India, ove è già stata per collaborare a una comunità in difesa delle donne.

Fonti:

-Calogero Carità – Alicata Dilecta – La Vedetta 1988

-Calogero Carità – Il Santuario della Chiesa di Sant’Agostino di Licata, Licata 1989

-Calogero Carità – Immanis Gela Nunc Alicata urbis dilectissima AC…- La Vedetta  2007

-Calogero Carità – Francesco Pira – La Ven.le Confraternita di San Girolamo e il Venerdì Santo a Licata – La vedetta 2016

-Cesare Carbonelli – Breve profilo storico di Licata e delle sue chiese – Stab. Tipog. A.T.E.C.- Canicattì 1968

-Francesco La Perna – Calogero Lo Greco – Le Antiche Confraternite di Licata – Ed. C.S. – Licata 1998

-Angelo Schembri  – Guida Storico – Artistica di Licata – La terra del re sicano Cocalo – Cooperativa Turistica Sikania 2007

– Web – Confraternita San Girolamo della Misericordia- Licata

– Web – Confraternita SS.mo Salvatore- Licata

–  Francesco e Rosalba Nogara

 

Mar 22, 2017 - Senza categoria    Comments Off on OMAGGIO A ROSA BALISTRERI CANTANTE FOLK LICATESE

OMAGGIO A ROSA BALISTRERI CANTANTE FOLK LICATESE

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Rosa canta, canta con la tua voce roca. Canta come hai cantato sempre! Canta l’amore, la passione, la fatica del lavoro, la pesca, il sole cocente, il dolore,  il carcere.  Canta per tutti!
Il poeta Ignazio Buttitta scrisse:  “la voce di Rosa, il suo canto strozzato, drammatico, angosciato, pareva uscisse dalla terra arsa della Sicilia…”.

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GINO LETO, ARTISTA PITTORE LICATESE, HA DONATO ALLA CITTA’ DI LICATA DUE DIPINTI CHE RITRAGGONO ALCUNI MOMENTI MUSICALI DI ROSA BALISTRERI.

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da sx: il vicesindaco Daniele Vecchio, il pittore Gino Leto

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Hanno interpretrato le canzoni di Rosa Balistreri i giovani CLARA MOSCATO E DOMENICO CARLINO

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IL PITTORE E SCULTORE GINO LETO HA DONATO ALLA CITTA’ DI LICATA IL MONUMENTO A ROSA BALISTRERI CHE ABBELLISCE LA VIA BRIG. SALVO D’ACQUISTO, VICINO ALLA VILLA COMINALE “REGINA ELENA”.

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Felice Leto, conosciuto da tutti come Gino, nasce a Licata nel 1949 e sin dalla giovane età manifesta spiccate attitudini al disegno e alla pittura.
In seguito alla frequentazione di scultori d’arredi sacri, si concretizza l’amore per la scultura su legno.
Nel 1993 nasce la sua prima opera su faggio crudo e, fiducioso dei risultati e dei consensi ottenuti, continua nella scultura di altorielivi policromi. Entra a far parte del gruppo “Pittori e Associati ” di Licata e partecipa a mostre e rappresentazioni culturali nell’interland. Partecipa a varie manifestazioni: Natale e l’arte contemporanea a Licata; Scultura e pittura di artisti Licatesi; Valorizza un angolo di licata a colori; artisti a confronto al palacongressi di Agrigento, Al museo della grafica di Naro a palazzo Malfitano viene premiato per la scultura L’Olocausto dall’Accademia Iblea di Lettere Scienze ed Arte. Partecipa alla biennale Internazionale d’Arte Contemporanea Premio EKNOMOS con uno spazio dedicato all’altorilievo policromo. Partecipa alla nascita del Nuovo Rinascimento Italiano con lo studio d’Arte “Les Palmares”del prof. Nanni Latini di Roma, portando, in collettiva, quattro opere in giro per palazzi storici e centri  romani e promuovendo il figurativo. Per questo viene premiato nel 2003 alla Biennale di Venezia, in una gran cerimonia all’Hotel Principe di Venezia col premio (San Marco). Nel 2003 La casa editrice “Il Quadrato” di Milano lo inserisce nel volume Quotazioni di pittori italiani del 900, a cura del critico d’arte Giorgio Falossi.
Nel 2004 intraprende un percorso accademico sullo studio della tecnica del colore ad olio, soffermandosi su  Picasso, Matisse e Chagall: fermo sul concetto di pittura formale, schiarisce la propria tavolozza e semplifica il disegno lavorando molto con i colori complementari.
Nel 2009 entra a far parte della rosa degli artisti presentati della Galleria Zodiaco di Licata (AG), sede ufficiale per l’Italia della International Art Biennale Malta.
Partecipa alla International Art Biennale Malta, esponendo in collettiva al Museo della grafica di Naro, a palazzo degli Scolopi di Palma di Montechiaro, e alla galleria Zodiaco e a Malta a Museum wignacourt LaValletta  ottenendo numerosi consensi.
Fermo nel concetto del figurativo schiarisce la propria tavolozza e semplifica il disegno lavorando coi colori puri e complementari .
Esegue vari temi quali “I colori del pisciotto”, “Cose di Licata”, “Sogetti metafisici e satirici formali”, presentati nell’ultima personale di pittura e scultura intitolata “I colori di Licata” a Giugno del 2010.

GRANDE MANIFESTAZIONE A PALERMO!
Il 21 marzo del 2017 è stato intitolato a Rosa Balistreri il “GIARDINO DELLE ROSE” di Villa Terrasi, in via Brigata Verona a Palermo.
Rosa avrebbe compiuto 90 anni il 21 marzo.
Alla cerimonia di inaugurazione erano presenti:  il prof. Leoluca Orlando, sindaco della città di Palermo, il dott. Salvatore Orlando, presidente del Consiglio comunale di Palermo, la consigliera Alessandra Veronese e Michelangelo Salamone, responsabile della toponomastica del Comune di Palermo, il prof. Angelo Cambiano, sindaco della città di Licata,  la signora Annalisa Cianchetti,  assessore alle Politiche scolastiche e pari opportunità di Licata, il signor Luca Torregrossa, nipote di Rosa Balistreri.
Il pensiero del sindaco Leoluca Orlando: “Nel cuore della Palermo moderna  nasce oggi il <<Giardino Rosa Balistreri>>, un modo per fare gli auguri a questa straordinaria artista licatese,  interprete della sicilianità nel mondo, in occasione del suo novantesimo compleanno.
Rosa, con le sue canzoni orgogliosamente cantate in dialetto siciliano, è stata una grande protagonista della cultura e dello spettacolo.
Questo giardino, recentemente recuperato dopo anni di abbandono, è  diventato il giardino di due donne delle quali porta i nomi:  da un lato quello di Rosa Balistreri, dall’altro quello di Caterina Uzzo, donna migrante e   vittima dell’incendio della Triangle Shirtwaist di New York del 1911”.

Il Sindaco Angelo Cambiano ha detto:” La partecipazione odierna a Palermo sancisce l’avvio di un un percorso da condividere per risaltare la figura di Rosa Balistreri tra Licata, la città che vanta di averle dato i natali, e Palermo, città in cui la nostra illustre concittadina ha vissuto e ha sviluppato la sua formazione di cantante folk. Il tutto nella consapevolezza che l’arte di Rosa Balisteri rappresenta un patrimonio artistico e culturale inestimabile, che va valorizzato per farla conoscere alle nuove generazioni perchè possano riscoprire, attraverso la nostra Rosa, le tradizioni culturali siciliane.
Lo stesso percorso sarà intrapreso anche con il Comune di Firenze, città che Rosa considerava la sua seconda patria e dove è sepolta presso il cimitero Trespiano.
Licata, Palermo e Firenze potranno tenere sempre viva la memoria di Rosa Balistreri, cantante folk licatese che ha rappresentato, e rappresenta tuttora, la voce di Sicilia”.

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foto di Mike Palazzotto

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Foto di Nella Seminara

Rosa Balistreri sarà inserita nel registro delle Eredità Immateriali della Regione Siciliana.
La richiesta è stata avanzata dall’On. Maria Grazia Brandara, commissario straordinario del Comune di Licata, all’Assessorato Regionale dei Beni Culturali, Ambientali e d’Identità Siciliana.
L’On. Maria Grazia Brandara ha commentato:“L’iniziativa mira a rendere merito alla famosa artista licatese Rosa Balistreri per la sia voce, per le sue canzoni che rappresentano un testamento melodico – culturale e storico della nostra terra. Desidero ringraziare l’assessore, nonché vice presidente della regione dott.ssa Mariella Lo Bello per avere sostenuto la nostra iniziativa e l’Ass.re Aurore Notarianni per avere subito dato avvio alla procedura da noi richiesta.” L’iniziativa, secondo quanto annunciato dal Comune, è stata sostenuta da Mariella Lo Bello, vice presidente della Regione.
La signora Mariella Lo Bello così dice:“Con la deliberazione adottata il 30 ottobre del 2017 dalla Giunta Regionale  si è reso un atto di giustizia ad una grande artista siciliana, Rosa Balistreri che, con la sua arte, ha rappresentato e rappresenta tuttora, a distanza di tanti anni dalla morte, il segno del riscatto delle donne siciliane, un modello di coraggio e di una vita ravagliata che ne hanno fatto un esempio di come l’arte e la cultura possano essere strumenti e mezzi per il riscatto sociale non solo nel mondo femminile, ma di un intero popolo, di una terra. La sua storia è la storia dei siciliani non rassegnati. La sua ribellione, il suo coraggio, la sua non rassegnazione, sono da sprone per la conquista di una vita migliore”.

Oggi, 20 marzo 2018, la Redazione di Qui Licata ha scritto la bella notizia che Rosa Balistreri è stata inserita nel “Registro delle Eredità immateriali della Sicilia – Libro delle pratiche espressive e dei repertori orali” con questa motivazione: “Ha rappresentato magistralmente le asprezze di una terra difficile, elevando le difficoltà di una situazione soggettiva a condizione umana collettiva, tanto che è riuscita a farsi apprezzare ben oltre i confini dell’isola e ricevendo validi riconoscimenti”. Recentemente aveva avanzato la richiesta l’on. Maria Grazia Brandara, commissario straordinario del Comune di Licata. Questa è stata la sua motivazione: “Da non licatese di nascita, ma di vera ammiratrice di Licata, delle sue bellezze, delle sue ricchezze, della sua storia e dei suoi personaggi, ho ritenuto doveroso adoperarmi per rendere merito a Rosa Balistreri, artista popolare di fama internazionale e universale, per la sua voce e per le sue canzoni che rappresentano un melodico testamento culturale e storico della nostra amata terra. Un riconoscimento, quello conferito a Rosa Balistreri, che dà lustro non solo alla stessa persona , ma a tutta quanta la comunità licatese che vede accrescere sempre più il ricco patrimonio culturale che da secoli ne caratterizza la storia”.
Complimenti a Rosa Balisteri da parte di tutti i licatesi, che la amano, per l’autorevole riconoscimento conseguito per la sua arte e per la sua forte personalità.

Domenica, 29 aprile 2018,  avrebbe dovuto essere inaugurato il Murales “La nostra Rosa per il mondo” presso la parete dello Stadio Calogero Saporito a Licata. Purtroppo, per giustificabili  motivi, l’inaugurazione è stata spostata a domenica, 29 aprile.

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 L’iniziativa, nata dall’idea del signor Gianluca Mantia ed elaborata concettualmente dalla dott.ssa Desirè Di Liberto.

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si propone di riqualificare una zona periferica di Licata, che si trova in un stato di abbandono, attraverso un murales realizzato a più mani da Desirè Di Liberto, Erica Damanti e Gloria Cardella.

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Le tre artiste: Erica Damanti, Desirè Di Liberto, Gloria Cardella

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Desirè Di Liberto

I giovani dell’’Associazione Culturale “Vincenzo Calamita” e con Salvatore Savio Gueli, Marco Angelo Zimmile, Aloisia Bottaro, Salvatore Collura, Vincenzo, Valentina Iacona, Angelo Vecchio, Angelo Graffeo, Daniel Lo Vasco, Valeria MD De Marco, Maria Loquace, Salvo Incorvaia, Pina e Giuseppe Galanti e Angelo Collura sono stati magnifici nella loro esibizione finale.

 

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Il murales racchiude un messaggio di speranza per la città di Licata. Dalla chitarra di Rosa Balistreri, nota cantante folk licatese, si propaga una scia di note musicali, su sfumature di verde speranza, diretta all’interno di una giara delineata ancora da note musicali, come a comunicare che la cantante stessa, con la sua musica e con le sue canzoni, invia un messaggio di speranza a tutti i licatesi.

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 La giara infatti, ispirata all’antico mito del vaso di Pandora, ( la speranza è l’ultima a morire!),

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racchiude al suo interno gesti e immagini che vogliono trasmettere, appunto, il sentimento della speranza con il  simboli: la mano di un bambino, che rappresenta il futuro, che stringe quella di un adulto, le spighe di grano, che rappresentano i frutti che dona la nostra terra,  la tartaruga caretta caretta, specie protetta nel territorio di Licata dal WWF, per ricordare la forza della vita di queste creature fin dalla schiusa delle uova, e così via.

 Oggi, 7 Giugno 2018, all’interno del reparto di rianimazione dell’ospedale Villa Sofia di Palermo è stata scoperta la lapide dedicata alla memoria della cantante Rosa Balistreri, di  Licata, per ricordare il luogo e la data della sua morte avvenuta il 20 settembre del 1990.

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Alla cerimonia erano presenti: la dott.ssa Maria Elena Volpes, nuovo commissario straordinario del Comune di Licata, il dott. Maurizio Aricò, commissario dell’ospedale di Villa Sofia, il dott.Pietro Greco, direttore sanitario della struttura ospedaliera, il medico che ha personalmente curato l’artistica licatese durante la sua degenza nel reparto di rianimazione dell’ospedale Villa Sofia, numerosi altri medici e infermieri.

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Il merito di aver proposto di collocare la lapide in memoria di Rosa Balistreri all’interno dell’ospedale Villa Sofia di Palermo spetta all’ex Commissario straordinario di Licata, la dott.ssa Maria Grazia Brandara, ma portata a termine dall’attuale commissario dott.ssa Maria Elena Volpes.

La cantante licatese Rosa Balistreri è stata omaggiata anche a Mistretta dalla CORALE “CLAUDIO MONEVERDI” che, nel suo ventottesimo anniversario dalla sua fondazione , inserita nel programma dell’estate amastratina del 20 agosto 2018,ha cantato la famosissima  canzone
CU TI LU DISSI”.
I ringraziamenti sono dovuti al giovane Lorenzo Cocilovo, assessore al turismo sport e spettacolo per avere sostenuto la Corale e alla dirigente scolastica, prof. Maria Grazia Antinoro , per aver concesso l’uso dell’ aula magna dell’Istituto Comprensivo “Tomaso Aversa” .
Gli applausi dei presenti sono stati meritati, calorosi, croscianti!
Le cattive condizioni meteorologiche hanno impedito al coro di esibirsi fuori, all’aperto, per rendere maggiormente complice il folto numero degli amanti della musica.
La corale “CLAUDIO MONEVERDI”, composta di 20 coristi effettivi e da alcuni membri in fase di formazione, è magistralmente diretta dal Maestro, il dott. Sebastiano Zingone, che ha come meta lo studio e la diffusione della musica corale polifonica.
I coristi amastratini sono uomini e donne, giovani e meno giovani, che da 28 anni cantano con armonia, con entusiasmo, con gioia accomunati dalla stessa passione per il canto e per la buona musica, non certamente spinti da aspirazioni professionali e senza fini di lucro.
Per la sua bravura nell’arte del cantare il Coro “Claudio Monteverdi” è gradito non solo ai cittadini di Mistretta, dove esso ha avuto i suoi primi esordì e dove svolge la propria attività di aggiornamento e di esercitazione alle prove, ma è piacevolmente ascoltato anche da tantissime altre realtà della Sicilia e di molte altre regioni dell’Italia.
Il coro si diletta a eseguire brani non solamente sacri e, attualmente, è particolarmente impegnato nella innovazione del repertorio inserendo brani tratti dalla musica leggera, da colonne sonore di films, da brani gospel, dalla musica contemporanea, non trascurando, ovviamente, la musica corale classica e rinascimentale in particolare.

 

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Mar 14, 2017 - Senza categoria    Comments Off on COTONEASTER JAPONICA E COTONEASTER FRIGIDUS

COTONEASTER JAPONICA E COTONEASTER FRIGIDUS

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 Nella villa comunale “Giuseppe Garibaldi” di Mistretta i bei fiori di Cotoneaster Japonica recentemente mi hanno accolto con un sorriso.
Come ho risposto?
Grazie!

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Il nome Cotoneaster deriva dal greco “κυδaνιον” “cotogno” (e questo da “Κυδωνία”, “Cidonia”, città dell’isola di Creta), e dal suffisso “ἀστήρ” “astro”, vale a dire “cotognastro” perché indica la somiglianza delle foglie di alcune specie a quelle delle mele cotogne.
Il Cotoneaster è originario dell’Africa settentrionale, dell’Asia, dell’Europa e comprende circa 40 specie delle quali due sono spontanee in Italia: il Cotoneaster integerrimus e il Cotoneaster nebrodensis.
Nella villa comunale “Giuseppe Garibaldi” di Mistretta vegetano: il Cotoneaster japonica 

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e il Cotoneaster frigidus.

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 Il Cotoneaster japonica, dai bei fiori dal colore cremisi e fiorisce nei mesi di febbraio-marzo.

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 Il Cotoneaster frigidus, dai bei fiori di colore bianco, fiorisce in estate.

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Il Cotoneaster japonica e il Cotoneaster frigidus sono arbusti appartenenti alla Famiglia delle Rosaceae.
Il Cotoneaster japonica è un arbusto perenne il cui tronco raggiunge una modesta altezza da cui partono i rami ramificati e anche prostrati.

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Le foglie, caduche, portate da un breve picciolo, a margine intero, alterne, coriacee, hanno la pagina superiore glabra, lucida e di colore verde scuro, quella inferiore coperta di una leggera lanugine. Per quest’aspetto cotonoso della pagina inferiore delle foglie stato imposto il nome di “Cotoneaster”.

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I fiori, ermafroditi, all’ascella delle foglie, generalmente solitari, portati da pedicelli brevissimi, hanno il calice composto da 5 sepali triangolari, e la corolla di 5 petali di colore rosso. Gli stami, in numero di 12, sono più corti dei petali.

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I frutti sono piccole mele subglobose di colore rosso brillante contenenti 2-3 semi.

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Il Cotoneaster frigidus, chiamato anche “Ciliegio tardivo”, proveniente dall’Himalaya, è stato introdotto in Europa all’inizio del sec. XIX e coltivato per ornamento. Non è sempreverde, però possiede un bel fogliame allungato e molto colorato che conferisce alla pianta una forma arrotondata e, se non è potata, sviluppa diversi fusti principali mostrando un aspetto disordinato e ispido.

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Il Ciliegio tardivo ha uno sviluppo eretto e, col tempo, raggiunge anche i quattro metri d’altezza, le dimensioni di un albero. Il tronco è rivestito dalla corteccia grigiastra con delle lenticelle orizzontali. Le foglie, piccole, intere, alterne, coriacee, assottigliate alla base sono di colore verde scuro sulla pagina superiore, di colore verde pallido nella pagina inferiore e, in autunno, tendono al rosso.

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I fiori, piccoli, bianchi, dal gradevole profumo, sono riuniti in infiorescenze a corimbo e fioriscono nel mese di giugno. Non sono molto appariscenti, ma sono visitati volentieri dalle api. 

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I frutti, piccole drupe, riuniti in densi grappoli, maturano in autunno, diventano rossi, conferendo alla pianta un particolare effetto estetico e decorativo. Contengono due noccioli. I frutti rimangono sulla pianta per tutto l’inverno e sono una leccornia per gli uccelli che ne spogliano i rami.

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La riproduzione avviene per seme. La germinazione può avvenire solo dopo 18 mesi. Si può effettuare per talea nel periodo agosto-settembre e anche per propaggine nei mesi di ottobre-novembre.
Il Cotoneaster Japonica e il Cotoneaster frigidus sono arbusti molto rustici e resistenti, che crescono bene su tutti i tipi di terreno preferendo, però, quelli soffici, profondi e ben drenati. Le loro radici si diramano anche per decine di metri trovando facilmente gran parte dei nutrienti nel terreno.
Con il passare degli anni, lo sviluppo di un buon apparato radicale consente alle piante di accontentarsi delle piogge che cadono dal cielo.
E’ necessario annaffiare solo quando il substrato è perfettamente asciutto. Un’eccessiva umidità potrebbe provocare il marciume radicale che, inesorabilmente, porterebbe le piantuzze alla morte.
Malattie fungine e attacchi parassitari non sono molto numerosi, ma il nemico peggiore è il “colpo di fuoco batterico”, l’Erwinia amylovora, una pericolosa batteriosi che colpisce diverse piante della famiglia delle Rosacee ed è molto diffusa nell’Italia Centro-Orientale. Si manifesta sulle foglie dove si osserva la formazione di un’area triangolare necrotica con il vertice diretto verso il picciolo. I fiori anneriscono e i frutti avvizziscono. L’unica difesa è la prevenzione! Le piante colpite devono, purtroppo, essere distrutte e bruciate per evitare il contagio di altre piante.
Nei vari periodi stagionali le piante devono essere nutrite con concime minerale da sciogliere nell’acqua delle annaffiature.
I Cotoneaster gradiscono alcune ore al giorno d’irradiamento solare. I giovani esemplari necessitano di maggiori cure rispetto agli adulti.  Durante l’inverno le giovani piantine accettano di essere protette dal vento e dal freddo, mentre la pianta adulta sopporta temperature molto rigide, quindi è adatta a essere coltivata all’aperto senza temere gli inverni rigidi mistrettesi.
Tollerano l’inquinamento atmosferico, pertanto il loro uso è consigliato anche in ambito urbano.
La potatura deve limitarsi allo stretto necessario perché ogni eccesso rischia di ridurre la bellezza della fruttificazione.
In estate il fusto e le foglie del Cotoneaster possono essere attaccate dagli Afidi e dalle Cocciniglie che rendono le piante fuligginose e appiccicaticce. Il Mal del Piombo attacca le foglie che diventano grigio argento, i rami seccano, la pianta muore.
L’illustre esperto di piante e di giardini, Sir Peter Smithers, nel suo libro “Adventures of a Gardener” scrive: “ I Cotoneaster non sono fra le mie piante preferite, ma se un giardino è tormentato dal problema della presenza di vespe una pianta di Cotoneaster horizontalis è un utile antidoto”.
I Cotoneaster sono piante ornamentali e non abbelliscono solamente la villa di Mistretta, ma anche le ville private, i giardini rocciosi e i parchi.

 

 

Mar 2, 2017 - Senza categoria    Comments Off on LA BERGENIA SAXIFRAGA DAI FIORI VILETTI

LA BERGENIA SAXIFRAGA DAI FIORI VILETTI

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 Scrisse Chateaubriand che “ il fiore è il figlio del mattino, la delizia della primavera, la sorgente dei profumi, la grazia delle vergini, l’amore dei poeti”.
Le piante di Bergenia saxifraga in fiore  nella villa comunale “Giuseppe Garibaldi” di Mistretta vogliono dare proprio il benvenuto alla Primavera del 2017.
Sia che tappezzano l’interno delle aiuole,

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 sia che circondano il tronco degli alberi,

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 sia che rivestono il muro,

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  le piante di  Bergenia saxifraga sono il primo e forse l’unico fiore presente nella villa in questo periodo.

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La Bergenia saxifraga è una pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Saxifragaceae che riunisce un gran numero di specie.
Sono tutte piante originarie delle zone temperate e delle zone artiche ed aventi una distribuzione tipicamente boreale. Sono presenti in Europa, in Asia, nel Nord America, in Sud America, fin sulla catena delle Ande e nel Nord Africa.
Verso Nord si spingono fino agli estremi limiti della vegetazione, in Groenlandia, in Norvegia, nell’arcipelago delle Svalbard e in tante altre isole del Mar Glaciale Artico.
Generalmente le sassifraghe, dal latino “saxum”, “sasso” e “frango”, “rompo”, si presentano come dense rosette di foglioline che tendono ad avere uno sviluppo tappezzante.

La Bergenia saxifraga possiede il fusto epigeo brevemente strisciante d’altezza variabile tra i 5 e i 15 centimetri.  In primavera produce steli carnosi che portano uno o alcuni fiorellini di colore di tutte le tonalità del bianco, del rosa chiaro, del rosa scuro, del violaceo. I rami fioriferi sono leggermente ramificati.

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Le foglie, larghe, intere, rotondo-cuoriformi, a margine dentellato, spesse, carnose, lucide, di colore verde chiaro, arrossate inferiormente, provviste di picciolo, partono tutte da una rosetta basale.

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Il fiore, ermafrodita, con ovario supero e con 10 stami, dialipetalo, è formato da 5 sepali arrossati nel calice e da 5 petali rosei o violacei nella corolla a forma di campanula. I fiori, numerosi, sono raccolti in infiorescenze a corimbo compatte che fioriscono da novembre fino alla fine dell’inverno. Il frutto è una capsula che contiene molti semi.

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 La pianta è stata introdotta in Europa e coltivata a scopo ornamentale per abbellire giardini e parchi, ma ha poca utilità. Dalle radici si estrae una sostanza usata per conciare le pelli. Dai rizomi si ricavano estratti con proprietà medicinali.
Poco esigente, indifferente a qualsiasi substrato, raramente tende ad inselvatichire anche se si può scoprire in zone limitrofe ai centri abitati o in ambienti semi ruderali. La pianta ama essere esposta in luoghi molto luminosi, in pieno sole nelle stagioni fredde e tiepide, a mezz’ombra in estate. Non teme il freddo, mentre più facilmente paventa i caldi intensi dei mesi di luglio e d’agosto.
Necessita di abbondanti annaffiature evitando di lasciare asciugare il terreno. In inverno è bene diradare le annaffiature lasciando anche seccare il terreno per brevi periodi.
Gradisce qualsiasi tipo di terreno da giardino purché sciolto, ricco di sali minerali e ben drenato per evitare dannosi ristagni idrici. Per riprodurla basta staccare, in autunno, i polloni, che la pianta tende a formare naturalmente, e che vanno fatti attecchire in un miscuglio di torba e di sabbia, quindi si rinvaseranno la primavera successiva.
La pianta può essere attaccata da alcuni parassiti quali gli Afidi e la Cocciniglia.

 

Feb 23, 2017 - Senza categoria    Comments Off on VENTENNALE DEL CUSCA- CONSEGNA ATTESTATI DI BENEMERENZA

VENTENNALE DEL CUSCA- CONSEGNA ATTESTATI DI BENEMERENZA

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Il giorno 30 gennaio 2017 il Teatro “Re Grillo” di Licata è stato il prestigioso luogo dove il CUSCA (Centro Universitario Socio Culturale Adulti) ha festeggiato il VENTENNALE della sua nascita con la consegna degli attestati di benemerenza ai docenti che, nel secondo decennio di vita dell’Associazione, hanno piacevolmente intrattenuto gli associati con le loro conferenze culturali e didattiche.

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  Numerosa è stata la partecipazione della gente di Licata.

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 La cerimonia è iniziata con l’ascolto dell’inno di Mameli che, come sempre, emoziona noi italiani.

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Ha introdotto i lavori il sociologo Francesco Pira, docente di Comunicazione Istituzionale, Teorie e Tecniche del linguaggio giornalistico, Giornalismo Digitale e Comunicazione Integrata presso l’Università degli Studi di Messina.

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Quindi ha preso la parola la presidente, l’insegnante Cettina Greco che, nel suo interessante discorso, ha esposto la nascita e la vita del CUSCA.

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L’Unitre nasce il 30 gennaio del 1997 con atto costitutivo e con statuto stipulato dal notaio Salvatore Abbruscato alla presenza di 18 soci fondatori. Il 6 novembre del 1997 è stato inaugurato il primo anno accademico sotto la presidenza dell’arch. Pietro Lucchesi. Il decennale è stato festeggiato il 6 novembre del 2007 con una conviviale all’hotel “Al Faro”.

L’8 settembre del 2008 l’Unitre cambia nome.

In una saletta della Chiesa Madre di Licata nasce il CUSCA alla presenza del vecchio direttivo, dei soci fondatori, dei soci ordinari e con la notifica del notaio Angelo Comparato.

Neo-presidente è eletta l’insegnante Santina Vincenti che guida il gruppo con fervore, con dedizione e con professionalità organizzativa per alcuni anni. La ricordiamo tutti con grande stima e affetto.

 Il CUSCA è: progetto di vita, socializzazione e autorealizzazione, centro di servizio per l’umanità, espressione di vita comunitaria, animazione, divertimento.

 Gli obiettivi del CUSCA sono: educare, formare, informare, fare prevenzione, promuovere la ricerca, conoscere il territorio, viaggiare. E’ soprattutto AMORE.

I membri del CUSCA si riuniscono due volte alla settimana, ospiti nella sala “Rosa Balistreri” del chiostro Sant’Angelo, concessa gratuitamente dal Comune di Licata, dove docenti e associati sono impegnati a svolgere e a seguire il programma annuale.

Ogni docente manifesta la propria professionalità, ogni associato la volontà a prendere parte e ad intervenire nelle varie attività.

Successivamente, interessante è stato l’intervento di Daniele Vecchio, vicesindaco di Licata e assessore alla cultura che, nel portare il saluto del sindaco Angelo Cambiano, non presente per impegni istituzionali, ha elogiato l’operato del CUSCA distinguendosi nel territorio di Licata.

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il primo a sx Daniele vecchio

L’arch. Pietro Lucchese, in qualità di primo presidente, ha raccontato in breve la vita dell’associazione.

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Il prof. Calogero Carità, storico di Licata e già dirigente scolastico al liceo Montanari di Verona,

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giunto di proposito a Licata per essere presente all’autorevole cerimonia, ha elogiato l’energia e l’entusiasmo della presidente Cettina Greco nel preparare e realizzare il programma del CUSCA collaborata dal direttivo formato dalla vicepresidente Adele Giandalia, dalla segretaria Maria Pia Arena, dalla direttrice dei corsi Francesca Alaimo, dal tesoriere Giovanni Mancuso, dal cerimoniere Francesco Pira.

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da sx: Giovanni Mancuso, Francesca Alaimo, Francesco Pira, Cettina Greco, Adele Giandalia, M. Pia Arena

Queste sono le parole del prof. Carità: “Ringrazio la presidente del CUSCA, la dinamica e superattiva maestra Cettina Greco, per avermi riservato questo breve spazio e soprattutto per avermi inserito tra la ricca rosa di docenti impegnati in questa davvero benemerita organizzazione che da anni garantisce alla nostra comunità un serio e vario servizio culturale impegnando decine di persone non più giovani ,e ormai fuori dai circuiti lavorativi, strappandole alla solitudine e all’ignavia che dominano nella nostra città, aggregandole e facendole socializzare tra loro.

Ecco, questo è, secondo me, l’obiettivo centrato prima dall’UNITRE’ e oggi dal CUSCA: sollecitazione culturale e socializzazione.

 Ne approfitto per portare una mia esperienza di docente in alcune Università della Terza Età di Verona e della provincia dove l’organizzazione e la gestione dei corsi fanno capo all’Ente locale che garantisce alle associazioni un supporto amministrativo e logistico. Gli iscritti versano la loro quota d’iscrizione annua direttamente all’Ente locale che si fa carico dell’intera gestione dei corsi, addirittura retribuendo anche la docenza. Inoltre, per favorire la mobilità degli iscritti ai corsi, l’Ente locale, attraverso la società che gestisce i trasporti cittadini, offre un abbonamento particolare e a prezzo assai ridotto”.

La socia Francesca Alaimo, direttrice dei corsi, nel suo discorso ha messo in luce le numerose attività svolte che si possono sintetizzare  in: ascolto delle unità didattiche e culturali, recitazione, animazione, osservazione, partecipazione a funzioni religiose, escursioni nel territorio,  viaggi organizzati.

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Francesca Alaimo e Francesco Pira

 Gradevoli momenti sono stati gli intermezzi musicali. Il violinista Angelo Spadafora,

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magistralmente, ha riprodotto i celebri brani “Odissea Veneziana” di Giampiero Reverberi, “Palladio” di Karl Jenkins, “Libiam ne’ lieti calici” dalla “Traviata” di Giuseppe Verdi, il tema da “Nuovo Cinema Paradiso” di Ennio Morricone. Molto appaludito!

Il poeta dialettale licatese Lorenzo Peritore, che ha recitato la sua poesia, ha riscosso un notevole successo e un’infinità di applausi.

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PER I VENT’ANNI DEL CUSCA

 Soltanto poche strofe

scritte per encomiare

le attività che il CUSCA

 riesce a sviluppare.

 Vent’anni spesi bene

per scopi culturali

e altrettanti in prima fila

in attività sociali.

Un Centro in cui si studiano

materie e argomenti vari,

grazie anche al contributo

di docenti volontari.

 Per ciò che mi riguarda

 ci tengo a precisare

 che docente io non lo sono,

 non ho nulla da insegnare.

 Però sono onorato

 e ho assai soddisfazioni

a intrattenere il Gruppo

 con le mie composizioni.

 Il CUSCA è un centro adulti

 come una un’università

 che dà un bel contributo

 culturale alla città.

 La festa dei vent’anni

è una tappa assai importante,

ma di tappe per il CUSCA

 ce ne sono ancora tante.

 Auguri a questa scuola

 e a tutti i suoi studenti,

mille successi ancora

 e tanti altri di questi eventi.

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Quindi il conduttore Francesco Pira, chiamandoli per nome, rigorosamente in ordine alfabetico, ha invitato i docenti a salire sul palco del Teatro Re Grillo per ricevere il meritato riconoscimento.

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Insegnanti, professionisti, giornalisti, sacerdoti, avvocati, medici, storici, dirigenti scolastici, poeti, scrittori, esperti di marketing hanno svolto la funzione di docenti.

 Tutte persone qualificate che, gratuitamente, hanno offerto la propria specializzazione accompagnando il percorso cognitivo dei soci del CUSCA che, con interesse sempre crescente, seguono le lezioni fino alla chiusura dell’anno accademico.

108 docenti hanno ricevuto l’attestato di benemerenza.

In ordine alfabetico sono: Antonino Agnello, Fabio Amato,

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Alfredo Amato (per il figlio Fabio)

  Francesca Alaimo, Massimo Albanese, Daniela Alongi, Armando Antona, Calogero Avarello, Giovanni Bilotta,

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Giovanni Bilotta

  Luigi Bonsignore, Alessandro Bifarelli,

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Alessandro Bifarelli

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Cettina Callea

Mario Caltabellotta, Decimo Cammilleri, Calogero Carità, Giuseppe Catania,

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Giuseppe Catania

Don Tonino Cilia, Franca Carrubba,

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Franca Carrubba,

Giuseppe Cellura, Antonino Cellura, Giacomo Cellura, Maria Grazia Cimino,

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 Maria Grazia Cimino

Vincenza Consagra,

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Vincenza Consagra

Giuseppe Cosentino, Don Antonino Corda, Floriana Costanzo,

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Floriana Costanzo

Daniela Cretesi,

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Daniela Cretesi

Angela Damanti, Mariolina Di Salvo,

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Mariolina Di Salvo

Enzo Di Natale, Don Gaspare Di Vincenzo, Michele Di Franco (alla memoria), Grazia Favata, Maria Teresa Farenella, Bernadette Farruggio, Adele Filì, Piero Fiaccabrino, Riccardo Florio, Giuseppe Ferraro, Don Angelo Fraccica,

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Don Angelo Fraccica

 Rosario Garofalo,

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Rosario Garofalo

Giuseppe Glicerio, Daniela Greco, Rosaria Greco,

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Rosaria Greco

Franco Grillo, Ezio Iacono,

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 Ezio Iacono

Giuseppina Incorvaia,

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Incorvaia Giuseppina

Francesco La Perna,

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 Francesco La Perna

Gaetana Lauria, Santino Lo Presti, Guglielmo La Marca, Calogero Lo Greco, Don Totino Licata, Corrado Macaluso, Mimmo Macaluso,

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Macaluso Mimmo

Angela Mancuso,

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Angela Mancuso

Vincenzo Marrali, Giuseppe Malfitano,

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Giuseppe Malfitano

 Guglielmo Marra, Donato Masaracchio, Rosaria Merro,

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Rosaria Merro

 Annita Montana,

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Annita Montana

 Bruna Montana, Giuseppe Montana, Concita Montana, Rosa Montante, Angelo Mazzerbo, Maria Mulè,

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Maria Mulè

 Emilio Nogara, Giuseppe Nicoletti, Angela Oliveri,

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Angela Oliveri

Vincenzo Pace, Carmelo Palumbo,

Carmel Palumbo

Carmelo Palumbo

Patti Melchiorre

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Patti Melchiorre

Ottavia Palumbo, Giovanni Peritore,

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Giovanni Peritore

 Nino Peritore,

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Nino Peritore

 Lorenzo Peritore,

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Lorenzo Peritore

 Gerlando Peritore, Giuseppe Peritore,  Francesco Pira,

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Francesco Pira

 Daniela Pira,

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Vania Pistolozzi, Mauro Porcelli, Agostino Profeta,

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Agostino Profeta

Aldo Profeta, Alfredo Quignones, Francesco Racalbuto,

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Racalbuto Francesco

Gina Rap, Antonino Rizzo, Don Carmelo Rizzo, Ester Rizzo,

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Ester Rizzo

 Mimma Russotto, Caterina Russo,

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Caterina Russo

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Francesca Santamaria

 Giovanni Salvio, Delizia Scaglione, Carmela Sciandrone, Tiziana Sciria, Angelo Schembri,

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Angelo Schembri

 Nella Seminara,

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Nella Seminara

Anna Sica, Fiorella Silvestri,

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Fiorella Silvestri

Pierangelo Timoneri, Ada Tabone,

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Ada Tabone

Don Tobias Kuzeza, Patrizia Urso, Daniele Vecchio, Mel Vizzi,

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 Mel Vizzi

Carmela Zangara.

Un riconoscimento particolare al violista Angelo Spadaro

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Al termine dei lavori di consegna degli attestati di benemerenza la presidente Cettina Greco ha ringraziato i docenti, i giovani della Protezione Civile, gli alunni della Scuola alberghiera e gli intervenuti concludendo: “E’ stato un modo di condividere un momento di gioia del nostro Centro con tutti i docenti che abbiamo invitato negli ultimi 10 anni. Il CUSCA è un patrimonio della città ed ogni anno gli iscritti aumentano”.

Oggi, in 20 anni di attività e di presenza nel territorio di Licata, il CUSCA registra un notevole incremento nel numero degli associati che, attualmente, ne conta 130.

L’omaggio floreale offerto dal tesoriere Giovanni Mancuso alla presidente Cettina Greco è stato molto gradito.

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e l’omaggio del violinista Angelo Spadafora

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Il bouffet finale, molto abbondante e gradito, preparato dal maitre des cerimonies, con la collaborazione degli allievi dell’Istituto Superire “Filippo Re Capriata” di Licata, ha allietato gli animi ed ha maggiormente rafforzato il legame di amicizia.

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Foto di Lorenzo Peritore e di Nella Seminara

Feb 17, 2017 - Senza categoria    Comments Off on LA SOPHORA JAPONICA

LA SOPHORA JAPONICA

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Carissimo Simone, il nostro recente incontro a Mistretta è stato molto piacevole non solo perché ha rafforzato il nostro legame di amicizia, ma perché mi ha dato la possibilità di mostrarti l’importante giardino all’italiana “Giuseppe Garibaldi” che Mistretta possiede.

Per me è sempre un’esperienza emozionante passeggiare dentro la villa, percorrere i viali dove si affacciano i lunghi rami degli alti alberi che sembra volessero abbracciarmi per fermarmi davanti a loro, per parlarmi. Se le piante della villa potessero parlare…!

In questo periodo di fine febbraio le piante della villa ancora sono quasi a riposo avendo dovuto difendersi dai rigori di questo inverno particolarmente rigido. Ti ho mostrato come la Sophora japonica si è difesa. Spogliandosi!

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Durante il tuo prossimo soggiorno a Mistretta inviteremo la guida turistica locale, il signor Nino Dolcemaschio, che ci accompagnerà per mostrarti le bellezze architettoniche di Mistretta.

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La “Sophora japonica”, nome scientifico “Styphnolobium japonicum”,  è la pianta conosciuta con il nome comune di “Acacia del Giappone”. La incontriamo percorrendo il viale di sinistra quasi fino alla fine, superando abbondantemente la fontanella dell’acqua.

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E’ una specie esotica proveniente dal Giappone, da cui il nome arabo “Sufayra” , dalla Cina e dalla Corea e diffusasi in Europa nel XVIII secolo. Per il pregevole fogliame, per la bellezza della fioritura e per l’eleganza del portamento è stata sempre utilizzata come pianta ornamentale.

La Sophora japonica, appartenente alla Famiglia delle Leguminosae, è un albero deciduo, a portamento elegante e a crescita lenta, ma può raggiungere anche i 12 metri d’altezza. Possiede un apparato radicale di media profondità, ramificato ed espanso. Le sue radici riescono ad assorbire l’acqua e gli elementi nutritivi grazie alla presenza di un fungo che, se non ci fosse, metterebbe a rischio la vita stessa della pianta. Nello stesso tempo, se l’albero non esistesse, anche il fungo non riuscirebbe a sopravvivere. E’ un classico esempio di simbiosi mutualistica tra un vegetale e un fungo. Lo stretto accordo tra l’albero ed il fungo ha, inoltre, un altro aspetto molto interessante: l’accumulo di sostanze fertilizzanti nel terreno a disposizione di altri vegetali che ne traggono vantaggio. Il tronco della Sophora japonica, rivestito dalla corteccia di colore grigiastro tendente al marrone, che si screpola secondo linee tortuose, è eretto, moderatamente ramificato e da cui partono i ramuli non spinosi.

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Nella parte bassa il fusto è abbastanza spoglio, mentre nella parte alta si sviluppano molte ramificazioni. I rami sono verdi e sottili, elastici e robusti. Negli esemplari più giovani sono di colore verde-brillante.

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Le foglie, caduche, pennate, a lamina composta, con il margine intero e con nervature che si prolungano oltre l’apice appuntito, sono formate da 9-15  foglioline pelose, ovali-lanceolate, acute, di colore verde-scuro lucente nella pagina superiore e di colore verde più opaco nella pagina inferiore. In autunno, invece, assumono il caratteristico colore oro su entrambi i lati e poi cadono.

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L’insieme delle foglie forma la chioma moderatamente fitta, arrotondata, dai contorni regolari. L’abbigliamento spoglio invernale non è certo gradevole alla vista.

I fiori, bisessuali, piccoli, possiedono un calice scampanato con 5 denti ed una corolla papilionacea a 5 petali, di cui 2 uniti per racchiudere i 10 stami. Dal delicato profumo, dal colore bianco- cremato, sono riuniti in racemi formanti a loro volta grandi pannocchie terminali lunghe fino a 25 centimetri. Fioriscono in luglio e in agosto regalando bellissime fioriture estive. La fioritura avviene in esemplari che abbiano raggiunto almeno il decimo anno d’età.

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Il frutto è un legume allungato, carnoso, di colore verde-marrone, con vistose strozzature che contengono i semi ovoidali nerastri a maturità. I baccelli spesso rimangono sulla pianta per lungo tempo e non si aprono per far uscire il seme, ma si rompono all’altezza delle strozzature.

Credit: Photo by Franco Rossi

La Sophora iaponica è una pianta molto rustica, che si adatta a qualunque tipo di terreno purché ben drenato e con il pH leggermente basico. Resiste al clima siccitoso, all’inquinamento atmosferico, non teme il freddo, ma è sensibile al vento. Preferisce essere messa a dimora in un luogo dove può ricevere la luce diretta del sole. Necessita di annaffiature solo se la stagione è particolarmente asciutta. In genere è resistente alle malattie. Occasionali attacchi da parte di Afidi non compromettono lo sviluppo armonico della pianta. Di alto valore ornamentale, arricchisce il giardino vivendo sia a gruppi sia in solitudine. Inoltre possiede un legno duro e resistente adatto per lavori di intaglio.

 

 

 

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