Sep 15, 2020 - Senza categoria    Comments Off on IL LIBOCEDRUS DECURRENS GLOBOSO E IL LIBOCEDRUS AUREOMARGINATO NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

IL LIBOCEDRUS DECURRENS GLOBOSO E IL LIBOCEDRUS AUREOMARGINATO NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

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Il “Libocedrus decurrens” e il “Calocedrus decurrens globoso” sono sinonimi della stessa pianta.
Il nome scientifico “Libocedrus” deriva dalle parole latine “libanus”, “incenso” e “cedrus”, “cedro” e le motivazioni di questo termine vanno ricercate nel buon profumo che sprigiona la resina quando viene bruciata e nell’aroma di Cedro che il legno della pianta emana.
Il nome “Calocedro”deriva dal greco “καλός”, “bello”, vale a dire “Cedro bello”.

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 Il Libocedro non è un Cedro, ma appartiene alla famiglia delleCupressaceae.
Originario della California e dell’Oregon, dove è chiamato “incense cedar“, “albero dell’incenso” proprio per il caratteristico profumo sprigionato, l’albero è stato introdotto in Europa dopo il 1850 e diffuso in Italia soprattutto nelle regioni dei laghi.
E’ coltivato, a scopo ornamentale e decorativo nei parchi e nei giardini, per il suo effetto estetico, per la sua notevole rusticità e per la sua longevità. Può vivere anche 500 anni e, infatti, resti fossili sono stati ritrovati in Europa continentale e in Groenlandia, ma è lento nella crescita.
La storia di un giardino, essendo formato da organismi viventi, molto spesso va oltre la fantasia degli ideatori e dei realizzatori.
Gli alberi longevi sopravvivranno per moltissimi anni.
Sono i nostri avi!

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 Il Libocedrus decurrens globoso è una grande conifera d’eccezionale bellezza e, per il suo portamento ascendente, a forma globosa ed elegante, è un elemento ornamentale della villa comunale “Giuseppe Garibaldi” di Mistretta dove vive associato a varie specie di Pini, di Abeti di Cedri in un’armoniosa rappresentazione d’equilibrio fra arte e natura, ma sta bene anche come singolo esemplare.

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E’ un albero di prima grandezza, maestoso, imponente e, nel suo areale d’origine, può raggiungere i 50 metri d’altezza e i 3 metri di diametro.

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Possiede un fusto assai rastremato e rivestito dalla corteccia fibrosa bruno-cannella, profumata, screpolata in strisce.
I ramoscelli fronzuti, piatti, di colore verde chiaro su ambedue le facce, sono disposti verticalmente.
Il fogliame, sempreverde, lucido copre quasi completamente il tronco.
E’ costituito da foglie squamiformi disposte in quattro file, strette e allungate, molto inserite al rametto, persistenti. Le foglie, larghe, di colore verde opaco scuro sulla faccia esterna, giallognole verso l’interno, fragranti che, nei giorni caldi, profumano d’incenso, formano la chioma che nelle vecchie piante è più conica.

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I fiori, unisessuali, maschili e femminili sono portati dallo stesso individuo.
I fiori maschili sono costituiti da moltissimi coni ovoidali, terminali ai ramuli e di colore giallo-dorato le cui squame si aprono per diffondere il polline.
Le strutture riproduttive femminili sono generalmente singole e raggruppate su ramuli vicini. Sono inizialmente di colore verde, di forma ovale, lunghe alcuni centimetri, e si sviluppano in coni di colore marrone intenso.
La fioritura avviene tra gennaio e aprile.
Gli strobili, solitari, penduli, lunghi da 2 a 5 centimetri e moderatamente larghi, di colore rosso bruno, formati da 6 scaglie, a due a due uguali, sono ovali, con gli apici delle squame piegati all’infuori.
I semi, dotati di grosse ali, sono trasportati dal vento anche lontano dalla pianta madre.
Il Libocedro preferisce vegetare su terreni freschi e solo mediocremente secchi, con un’esposizione all’ombra, almeno all’inizio del periodo vegetativo, anche se il bisogno di luce aumenta con l’invecchiamento della pianta.
Si adatta bene a qualunque clima, ma è specifico dei paesi con clima secco e siccitoso vegetando bene fino a 2000 metri d’altitudine.
E’ resistente alle basse temperature, alle gelate invernali e all’aria inquinata.
Non necessita di annaffiature, si accontenta delle acque della pioggia.
Resistente alle malattie, talvolta è attaccato dall’Afide della Thuja, ma il Libocedro non ne risente particolarmente nonostante questo parassita cresca tra i suoi germogli per quasi tutto l’anno per poi rallentare la sua attività nel periodo autunnale e invernale.
Il legno, leggero, resistente e durevole, è utilizzato per la costruzione di staccionate e di traversine ferroviarie, per preparare listelli per gli infissi e per la fabbricazione di matite.
In California le piante vengono abbattute per produrre l’incenso.

Nella villa comunale “Giuseppe Garibaldi” di Mistretta vegeta bene anche il LIBOCEDRO DECURRENS AUREOMARGINATO le cui foglie hanno assunto una bellissima colorazione dorata.
Nella stessa aiuola, alle spalle dell’artista amastratino Noè Marullo, il Libocedro è circondato da tante piante di Hydrangea macrofilla fiorite, dalla profumata Lippia citriadora e da alcuni Buxus sempervirens modellati secondo l’ars topiaria.

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Il Libocedro è responsabile di molte antipatiche allergie a causa dell’abbondanza di polline immesso nell’aria.
I pollini sono innumerevoli, microscopici, quasi eterni.
Questo significa che, dopo essere stati prodotti in quantità enormi, milioni in una sola infiorescenza, miliardi in una pianta, si diffondono nell’ambiente grazie al fatto di essere piccolissimi e di essere rivestiti da una sostanza molto resistente.
Il termine “polline”, dal latino “pollen”, “fine farina”, fu usato per la prima volta dal medico tedesco Valerius Corduus (1515-1544) per indicare il ”rubiginosus pulvisculus” osservato nei fiori di Lilium.
Il polline ha il compito di trasportare il gamete maschile su di un pistillo di un fiore della sua stessa specie, in genere volando dalla pianta madre ad un’altra pianta.
Il polline, dunque, non è né un seme né un gamete, ma un vettore del gamete maschile.
Possiede pochissime cellule che gli permettono di sopravvivere in maniera autonoma fino al raggiungimento del pistillo del fiore da fecondare.
Durante il passaggio dall’antera al fiore, il polline ha la probabilità di essere inalato.
Se termina la sua vita in un naso umano, ha fallito il suo scopo.
Quando approda su un ambiente umido, come sulla mucosa dell’apparato respiratorio, il polline si idrata rilasciando le proteine di riconoscimento, come se si trovasse su di un pistillo.
Le proteine possono provocare la reazione allergica, detta “pollinosi”, che scatena starnuti, prurito al naso, lacrimazione e difficoltà respiratorie nei soggetti sensibili.
In realtà, il polline è prodotto da molte piante di specie assai diverse tra loro, ciascuna pianta con un proprio periodo di fioritura in parte legato a fattori genetici e, in parte, alle condizioni climatiche dell’ambiente in cui essa vive.
Le fioriture scandiscono le stagioni come un calendario naturale molto più vecchio delle invenzioni dell’uomo.
Libocedri, Ginepri, Cipressi, Cedri, Thuje, durante la loro fioritura, lasciano cadere larghi tappeti di polline giallo.
Si raggiungono valori di concentrazione annuale di pollini numericamente compresi tra 1000 e 5000 per metro cubo d’aria. Sono sempre più numerosi i casi segnalati di allergie ai pollini nei mesi invernali, da gennaio a maggio.

 

Sep 1, 2020 - Senza categoria    Comments Off on IL FAGUS SYLVATICA FASTIGIATA NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

IL FAGUS SYLVATICA FASTIGIATA NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

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La storia del Faggio iniziò tanti milioni di anni fa in Giappone da dove si allontanò e raggiunse l’Europa occidentale.
Il Faggio, ad ogni glaciazione, quasi scompariva dall’Italia. Ritornava quando il clima ridiventava favorevole.
Il Faggio rappresenta sicuramente una delle piante più pittoresche e, al tempo stesso, utili che esistano.
E’ l’albero tipico delle nostre montagne, il più importante costituente dei boschi di latifoglie. Adesso è abbondantemente distribuito su tutta la penisola italiana dominando nelle zone dell’Appennino e delle Prealpi. E’ presente nei boschi della Calabria e della Sicilia, sui Nebrodi, sulle Madonie, nei Peloritani, nelle Caronie.
E’ assente nella siccitosa Sardegna.
E’ un prestigioso albero ornamentale del piano montano dove vegeta rigoglioso fino a 2000 metri sul livello del mare. E’ una pianta socievole per eccellenza e sa creare associazioni con tigli, frassini, aceri, olmi, agrifogli, tassi, abeti.
Vegeta bene nella villa comunale “Giuseppe Garibaldi” di Mistretta.

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Il nome scientifico del genere”Fagus” ha un’origine incerta.
Alcuni studiosi ritengono che derivi dal greco “φαγείν”, “cibarsi” e significhi “albero il cui frutto si può mangiare”. Secondo altri deriva da “φαγός”, “divoratore, dispensatore di cibo“. In dialetto siciliano si chiama “ Faggiu, Fagu, Fau, Favu”.
Appartiene alla Famiglia delle Fagaceae, dette anche Cupulifere, per la particolarità del frutto contenuto in una specie di custodia spinosa chiamata appunto “cupola”.
La pianta presenta un aspetto elegante, a forma di cono rovesciato più o meno espanso.

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Il fusto, regolare, eretto, alto 18 metri circa, a portamento fastigiato, colonnare, cilindrico, sul quale, fin dalla base, s’inseriscono le branche con un angolo molto acuto, è rivestito dalla corteccia di colore grigio cenere con striature orizzontali, liscia e pulita, che invita ad abbracciarlo.

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Si racconta che Passieno Crispo, secondo marito di Agrippina minore, abbracciava il Faggio, di cui si era innamorato, lo baciava, lo aspergeva di vino e s’intratteneva con esso per lunghe ore.
Negli esemplari isolati di Faggio fastigiato presenti nella villa comunale “Giuseppe Garibaldi” di Mistretta i rami, ascendenti, strettamente appressati, modellano, insieme alle foglie, una chioma ampia, densa, superba.

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Le foglie sono di forma ovale, lisce, lucide, di colore verde brillante nella pagina superiore e di colore verde chiaro nella pagina inferire, semplici, coriacee, un po’ appuntite, piuttosto piccole, ma sempre abbondanti e molto vicine; il margine è finemente dentato e, lungo la nervatura, dalla parte sottostante, negli individui giovani è presente una leggera peluria in grado di trattenere l’acqua di condensazione che permette alla pianta di superare i lunghi periodi di siccità. Le foglie ingiallite, dotate di stipole, rimangono sui rami anche durante l’inverno.

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In primavera la chioma si presenta di un colore verde tenero, in estate di un colore verde più marcato ed infine, ai primi freddi autunnali, il colore acquista le sfumature del giallo e dell’arancio.

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Contemporaneamente alle foglie compaiono i fiori.
Il Faggio è una pianta monoica.
I fiori, unisessuali, insignificanti, sono presenti entrambi sulla stessa pianta, ma in posizioni diverse. I fiori maschili, staminiferi, di forma ovale un po’ campanulata, sono riuniti in amenti peduncolati, penduli, muniti di squame caduche.
I fiori femminili, formati da sepali piumosi, sono contenuti in un involucro cupuliforme a 4 lobi fornito di numerosi aculei deboli ed arricciati.
La fioritura avviene nella tarda primavera, tra aprile e maggio.
Il frutto, uno per ogni fiore, è simile ad una castagna a forma di piramide a base triangolare, bruno-rossiccia, chiamata volgarmente faggiola che matura nell’anno di produzione, a settembre. Le faggiole, a coppia, sono formate da un involucro coperto da lunghe squame libere, rigide, poco spinose, che si aprono a maturità in 4 valve permettendo la dispersione dei semi lasciandoli cadere sul terreno.

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Le faggiole sono ricche d’olio e costituiscono un prezioso alimento per i suini. Sono commestibili anche per l’uomo che, probabilmente, le utilizzava in passato durante i periodi di guerra e di carestia. Una volta le faggiole macinate erano usate anche come surrogato del caffè e le foglie come lettiere per gli animali e per l’imbottitura dei giacigli umani.
Il Faggio è una specie che fruttifica tardivamente. La pianta comincia a produrre i primi frutti dopo 40 anni d’età raggiungendo la piena produzione tra gli 80 e i 120 anni. Il Faggio può vivere anche 300 anni. La propagazione avviene per seme e anche tramite l’innesto eseguito preferibilmente nel periodo del riposo vegetativo. Forse l’ambiente in cui vegeta, la chioma che si protende, la corteccia di colore grigio metallico conferiscono al Faggio l’aria da vecchio saggio. E’ stato apprezzato da scrittori classici e da poeti che lo hanno esaltato con gli aggettivi: glorioso, maestoso, saldo, mite, imponente.
Tanti sono i poeti che ricordano nelle loro opere questo splendido albero: Virgilio, Pascoli, Camerana “la cui grigia casetta è dall’ombra dei faggi protetta”, Carducci che, nella poesia “Serenata”, della raccolta delle “Rime Nuove”, (novembre 1882), fa apparire la luna tra un glorioso Faggio:

Le stelle che viaggiano su ’l mare

Dicono – O bella luna, non dormire,

O bella luna, vògliti levare,

Ché noi vogliamo per lo mondo gire.

Vogliam fermarci su la camerella

Ove nel sonno sta nostra sorella,

Nostra sorella splendente e bruna

Che un mago ci ha rapita, o madre luna. –

Di cima al colle rispondono i pini

E da la riva del fiume gli ontani:

– O stelle da’ begli occhi piccolini,

Deh perché fate quei discorsi vani?

Ella ci apparve il dì primo di maggio

Tra un lauro snello e un glorïoso faggio,

E dove ella sbocciò ninfa dal suolo

Cresce una rosa e canta un rusignolo. –

Poi che le stelle tramontan nel mare,

Al monte e al piano tace ogni rumore:

La terra buia una camera pare

Ove s’addorme al fin l’uman dolore.

Come breve è la notte, o bella mia!

Desto nel bosco l’uccellin già pia.

L’alba di maggio t’imbianca il verone,

E il saluto del mondo in cuor ti pone.

Un canto silvestre all’ombra di un grande Faggio è stato descritto da Virgilio nelle “Eglogae” dove, con versi di grande dolcezza, descrive reali personaggi e nostalgici quadretti di vita campestre introducendo nel loro mondo vicende della propria vita o aspirazioni della sua età.
Nella Bucolica I scrive: “Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi /ilvestrem tenui Musam meditaris avena;/ nos patriae finis et dulcia linquimus arva./ nos patriam fugimus; tu, Tityre, lentus in umbra / formosam resonare doces Amaryllida silvas”. “O Titiro, tu sdraiato sotto l’ombra di un grande faggio, mediti un canto silvestre sull’esile flauto, noi invece lasciamo il territorio della nostra patria e i dolci campi. noi fuggiamo dalla nostra patria; tu, o Titiro, mollemente adagiato all’ombra, insegni alle foreste a far risuonare il nome della bella Amarillide”.
Nel romanzo “I promessi sposi”, di Alessandro Manzoni, Tonio scodella l’agognata polenta nella Tafferia di Faggio.  La foresta di Verzv, in Francia, era famosa per i suoi Faggi contorti e “mostruosi” e veniva considerata un bosco di streghe. In Bretagna si affermava che questi alberi ospitassero le anime che dovevano espiare una pena. Una leggenda narra del contadino Hervé Mingam che, uditi dei suoni attorno alla propria capanna, uscì fuori riconoscendo il lamento dei suoi genitori defunti all’interno di due Faggi.

Il Faggio è una pianta fermamente mesofita con particolari esigenze ambientali.
Infatti, ama in modo particolare il tipo di clima definito oceanico e si diffonde là dove maggiormente ci sono frescura e umidità insieme. Non sopporta gli eccessi di caldo e di freddo, di ombra e di luce, d’umidità e di siccità, rifiuta le depressioni profonde e le sommità asciutte, teme i ritorni di gelo primaverile, corre il rischio di essere abbattuto dal vento perché il suo apparato radicale non si spinge molto in profondità. Preferisce essere esposto in pieno sole o a mezz’ombra, ma vegeta rigoglioso sulle rive dei laghi, in collina e in montagna o, comunque, in quei luoghi dove l’estate è caratterizzata da piogge frequenti.
È favorito nella montagna di Mistretta perchè spesso si addensano le nebbie. I terreni privilegiati sono quelli freschi, profondi, ben drenati, calcarei, non troppo compatti, ben areati. Per essere un albero di prima grandezza, nel giardino di Mistretta gli è stato assegnato uno spazio degno di tanta regale imponenza ed è stato posto in un’aiuola centrale sotto il laghetto.
Il Faggio ricambia con una copiosa e rinfrescante ombreggiatura e accoglie fra la sua chioma miriadi di uccellini, piccoli mammiferi e nasconde anche giovani in atteggiamenti affettivi. Il Faggio è utilizzato come albero forestale, ma anche a scopo ornamentale nei giardini, disposto isolatamente o in gruppo.
Albero forestale per eccellenza, il Faggio produce un legno di pregio utile dal punto di vista dello sfruttamento economico. Si presenta flessibile, di colore rosso bruno con punti più scuri, con scarsa presenza di nodi perché i rami, cadendo precocemente, lasciano il tronco pulito e senza cicatrici, con tessitura a grana fine, proprietà che lo rendono adatto alla produzione di mobili d’arredamento, di utensili da cucina, di zoccoli, di compensati, di traverse ferroviarie, di remi, di doghe per botti.
Nell’industria cartaria è pregiato per la produzione di cellulosa. Dal legno si può distillare il catrame usato in medicina.
Dai semi era estratto un olio commestibile e da ardere utilizzato anche nell’industria dei saponi.
Il Faggio, come legno da ardere, è stato per secoli una fonte notevole di calore. Con la cenere del suo legno un tempo si preparavano unguenti per lenire infiammazioni e ascessi nell’uomo e negli animali. La cenere, lasciata per tutta una notte nell’acqua calda e filtrata al mattino, produce una soluzione saponosa ricca di potassio usata per pulire e detergere.
In erboristeria è usato il decotto di giovani radici raccolte in primavera o in autunno e che ha azione anticonvulsiva. Il decotto di corteccia, raccolta preferibilmente in primavera, spezzettata ed essiccata, ha proprietà febbrifughe ed astringenti. Per distillazione del legno si ottiene il creosoto, un liquido oleoso dall’odore acuto di fumo e dal sapore fortemente aromatico, utilizzato come disinfettante ed espettorante. Il Faggio è importantissimo, inoltre, per l’equilibrio idrogeologico. Il suo estesissimo apparato radicale e la sua folta chioma sono capaci di frenare i più forti rovesci di pioggia e di trattenere i terreni franosi.
Nell’arte floristica, una decorazione di foglie di Faggio attribuisce a qualsiasi composizione di fiori lo specifico significato: “Io ti dono il mio cuore“. Se i rami del Faggio hanno già acquistato le caratteristiche sfumature autunnali allora la simbologia è più energica poiché i fiori promettono “amore sino all’autunno della vita“, cioè per sempre. Nel linguaggio dei fiori il Faggio indica “prosperità”.

Aug 25, 2020 - Senza categoria    Comments Off on INAUGURAZIONE E BENEDIZIONE DELL’EDICOLA VOTIVA IN ONORE DI SANTA RITA DA CASCIA NEL SAGRATO DELLA PARROCCHIA DI SANTA CATERINA D’ALESSANDRIA A MISTRETTA

INAUGURAZIONE E BENEDIZIONE DELL’EDICOLA VOTIVA IN ONORE DI SANTA RITA DA CASCIA NEL SAGRATO DELLA PARROCCHIA DI SANTA CATERINA D’ALESSANDRIA A MISTRETTA

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Il 23 agosto 2020 nel sagrato della parrocchia di Santa Caterina d’Alessandria a Mistretta è stata inaugurata e benedetta l’edicola votiva che accoglie la statua di Santa Rita da Cascia, donata dal giovane Antonino La Ganga.

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Targa donata da Giovanni Ribaudo

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Da sx: Andrea Pane – Antonino La Ganga

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La cerimonia di inaugurazione e di benedizione, preceduta dalla celebrazione della Santa messa, è stata effettuata  dal parroco della chiesa padre Giovanni Lapin.
Il  comitato  di Santa Caterina è stato la macchina organizzativa dell’evento al quale vanno i complimenti e i ringraziamenti di tutti i mistrettesi.
Il comitato è formato dai membri: Padre Giovanni Lapin, Emanuele Di Marco, Andrea Pane, Emanuele Modica, Giuseppe Castiglia.
Grazie anche a tutti coloro che si sono adoperati  per la realizzazione dell’edicola votiva che ha reso questo angolo del piazzale della chiesa un nuovo luogo di preghiera.
Cari amici, leggiamo insieme la relazione del giovane Emanuele Di Marco che trascrivo integralmente:

INAUGURAZIONE E BENEDIZIONE DELLA NICCHIA DI SANTA RITA DA CASCIA NEL SAGRATO  DELLA PARROCCHIA DI SANTA CATERINA D’ALESSANDRIA A  MISTRETTA 23/08/2020

Il Comitato di Santa Rita che, dal 2018, si occupa dell’organizzazione dei festeggiamenti è un gruppo di giovani devoti alla Santa degli impossibili e attivo in parrocchia.

Il 25 gennaio scorso, recandoci in chiesa, abbiamo notato lo stato di degrado in cui versava questo piccolo angolo adiacente alla chiesa e ci siamo resi conto che questa “nicchia dimenticata” necessitasse di un’immediata ristrutturazione.

Da lì nasce subito la volontà di sistemarla, di pulirlo da tutte le sporcizie e l’idea di creare un piccolo angolo di preghiera.

In un primo momento non sapevamo quale immagine sacra porre all’interno della nicchia ma, pensando che la settimana successiva sarebbero iniziati i 15 Giovedì di Santa Rita e sapendo della grande devozione presente nella nostra parrocchia e in tutta la città di Mistretta, abbiamo pensato di mettere l’immagine di Santa Rita e di fare la benedizione della nicchia e di una statua, che avremmo acquistato successivamente nel periodo della festa.

Entusiasti per il piccolo progetto che avevamo pensato di realizzare, siamo andati a comunicare l’idea al nostro caro padre Giovanni per avere da lui l’approvazione.

Lui ci ha dato subito una risposta positiva e, anch’egli entusiasta dell’idea, si è attivato insieme a noi per concretizzare il tutto.

Abbiamo contattato subito l’amico Nino Ferraro che si è mostrato disponibile alle nostre richieste e, con grande devozione e generosità, ha effettuato i lavori di pulitura della pietra, sistemazione di una base in pietra e tutto ciò che serviva a rendere decorosa la nicchia.

Trovandoci a Catania per la festa di Sant’Agata, abbiamo acquistato la bellissima statua offerta dal devoto Antonino La Ganga che, precedentemente, aveva espresso la volontà di volerla donare interamente a sue spese.

Abbiamo inoltre contattato Alessandro Sirni per la realizzazione di uno sportello a protezione della statua sperando che l’opera fosse completa alla fine del mese di aprile.

I progetti di Dio, però, non sono quelli dell’uomo e a causa della terribile pandemia abbiamo dovuto fermare tutto: le nostre abitudini, la nostra vita sociale, il nostro lavoro e anche i lavori della ristrutturazione della nicchia.

Dal 18 maggio sono riprese le celebrazioni delle Sante Messe con la partecipazione dei fedeli e il 22 abbiamo celebrato la festa di Santa Rita tutti insieme attorno all’altare del Signore, ma la nicchia non era ancora completata e anche noi non eravamo ancora pronti a riprendere la vita normale, ancora “storditi” da quei mesi che ci hanno stravolto in tutto e per tutto.

A fine maggio sono ripresi i lavori che si sono conclusi definitivamente a metà giugno.

Dopo tutto ciò, padre Giovanni ha stabilito la data della benedizione della statua e della nicchia per oggi 23/08/2020.

In questo 2020 segnato da tante avversità ma anche da tante ricorrenze e anniversari, anche per Santa Rita rincorrono i 120 anni dalla canonizzazione, avvenuta il 24 maggio 1900 da papa Leone XIII.

Tante sono state le difficoltà e altrettante le gioie, le soddisfazioni pr l’opera pensata, progettata e realizzata e di questo ne siamo entusiasti noi ragazzi e padre Giovanni, motivo per cui dobbiamo ringraziare di vero cuore:

  • Nino Ferraro che ha interamente offerto e realizzato tutti i lavori edili, mettendo a disposizione i materiali e tutto ciò che è servito per l’opera.
  • Antonino La Ganga che, appena ha appreso la notizia della realizzazione dell’opera, ha subito espresso il desiderio di voler donare la statua.
  • Sebastiano Di Marco per aver realizzato e offerto le scossaline al fine di evitare infiltrazioni d’acqua sulla nicchia.
  • Marisa Cittadino che ha offerto lo sportello in ferro realizzato con grande professionalità e competenza da Alessandro Sirni.
  • Sebastiano Di Marco che ha realizzato e offerto la base in legno utile per rialzare la statua.
  • Giuseppe Porrello che ha offerto la vernice per pitturare lo sportello in ferro.
  • Rita Mancuso che ha offerto i materiali e i led con cui è stata realizzata l’illuminazione e una rosa stabilizzata che rimarrà nella nicchia.
  • Maurizio Pane che ha offerto la realizzazione dell’impianto.
  • Giovanni Ribaudo per offerto la targa che ricorda questa giornata.
  • Santino Cristaudo che ha offerto la composizione di rose per addobbare in questo giorno la nicchia.

Infine vorrei fare un plauso a noi componenti del comitato che, oltre ad aver collaborato nei lavori, abbiamo offerto la base in pietra su cui poggia la statua, realizzata da Serafino Azzolina.

Vi ringraziamo ancora di cuore che con generosità avete offerto tutto ciò che è servito per la realizzazione di quest’opera dedicata alla nostra amata Santa Rita e per la vostra presenza in questo giorno.

Ringraziamo infine tutti voi presenti questa sera a questo evento, per noi importante, e continuiamo a pregare il Signore Crocifisso, di cui Santa Rita era innamorata, affinché possa liberarci definitivamente dal COVID-19 e  farci tornare a vivere in salute e serenità.

GRAZIE A TUTTI  W SANTA RITA

Cari amici, guardiamo insieme il servizio realizzato dalla bravissima giornalista Rosalinda Sirni per TM Mistretta cliccando su

 

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e il filmato da me realizzato

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Rivolgiamoci alla Santa delle cose impossibili per chiedere e ricevere grazie!
La rosa è il simbolo di Santa Rita. Grazie al devoto Santino Cristaudo per aver offerto l’ addobbo floreale che ha abbellito l’edicola votiva in occasione di questa particolare giornata.
Mentre Dio ci accorda vita, diamo sempre i laudi a Rita sempre. Sempre sia lodato e Rita in cielo coronata.
WW Santa Rita

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 Margherita nacque a Roccaporena, a pochi chilometri di distanza da Cascia (PG), da Antonio Lotti e da Amata Ferri probabilmente nel mese di ottobre del 1381.
I genitori, ormai avanti negli anni, volevano un figlio maschio, ma diedero la vita alla loro unica figlia Rita allevandola nell’educazione religiosa. Piissima, pur desiderando di consacrarsi a Dio fin dalla sua giovane età, tuttavia, di indole mite, Rita, per accontentare i suoi genitori, accettò di sposare, a soli sedici anni, Paolo di Ferdinando Mancini, un giovane di carattere violento e a cui Rita era sottomessa.
Doveva chiedergli il permesso anche di recarsi in chiesa!
Pur sopportando umiliazioni di ogni genere.
Rita cercò di aiutarlo a convertirsi e a condurre una vita onesta e laboriosa. Nacquero i gemelli Giacomo Antonio e Paola Maria.
Rita guidava la sua famiglia conducendo una vita semplice colma di preghiera e di rettitudine. Una notte qualcuno, spinto dall’odio per aver subìto qualche cattiva azione, uccise barbaramente Paolo. Rita, coerente con le parole del Vangelo, perdonò l’assassino del marito.
Le sue prove di perdono e di mitezza non riuscirono a far cambiare idea ai figli che covavano nei loro cuori sentimenti di odio e di vendetta. Rita, piuttosto che saperli assassini, pregò Dio perché li prendesse con Sé. Morirono entrambi in giovane età poco tempo dopo la morte del loro padre. Rimasta sola e con il cuore straziato dal dolore, Rita si adoperò in opere di carità cercando di essere accolta nel monastero.
Per ben tre volte bussò alla porta del Monastero Agostiniano di Santa Maria Maddalena a Cascia. Le agostiniane la respingevano perché era donna, ma vedova.
Solo nel 1417 vi fu accolta per intercessione dei suoi protettori San Giovanni Battista, San Nicola da Tolentino e Sant’Agostino che, miracolosamente, la introdussero nel monastero dove visse per quaranta anni servendo Dio ed il prossimo con una generosità allegra e attenta agli eventi del suo ambiente e della Chiesa di quel tempo. La Madre superiora mise alla prova la sua ferrea volontà affidandole il compito di annaffiare ogni giorno un cespuglio di rose ormai appassito.
Tutti i giorni l’ubbidiente Rita annaffiava la pianta con amore. La pianta rifiorì dando bellissime rose.

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Ancora oggi si può visitare a Cascia il famoso roseto di Santa Rita che è coltivato e rinnovato. Devotissima alla Passione di Cristo, un Venerdì Santo, mentre pregava davanti al Cristo in croce, una spina si staccò dalla corona del Salvatore e l si conficcò sulla sua fronte.

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 Rita sopportò con grande forza il dolore della ferita sulla fronte per quindici anni, fino al termine della sua vita terrena.
Morì il sabato del 22 maggio del 1457. La campana suonava da sola.
Fu venerata come Santa.

Aug 13, 2020 - Senza categoria    Comments Off on L’ OLMO MONTANO PRESENTE NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

L’ OLMO MONTANO PRESENTE NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

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Nella villa comunale “Giuseppe Garibaldi” di Mistretta, nascosto da altri alti alberi e posto in un’area poco frequentata dai fruitori della villa, vive bene un albero di Olmo montano.

 

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L’Ulmus montano, detto comunemente “Olmo montano, Olmo riccio” e, in dialetto mistrettese “Urmu”, è un albero della specie tipica dei boschi di latifoglie delle nostre colline e delle nostre montagne.Il nome “montano” giustifica la diffusione della pianta particolarmente in ambienti montani dell’Europa Centrale fino alle Isole Britanniche e alla Penisola Scandinava. Proviene, infatti, dall’America Settentrionale, dall’Europa e dall’Asia. Fece la sua  comparsa nel Miocene, circa 25 milioni di anni fa. In latino il termine “Olmo” molto probabilmente significa “crescere, sorgere“. Il nome “riccio” gli è stato attribuito per il margine seghettato delle foglie.
Veramente il suo nome scientifico è ULMUS GLABRA.
In Italia è presente in tutte le regioni, tranne in Calabria e in Sardegna, ed è capace di spingersi sino a 1500 metri di quota insieme con altre latifoglie. L’Olmo montano, appartenente alla famiglia delle Ulmaceae, è una pianta legnosa, caducifoglia, alta circa  25 metri, sostenuta da un apparato radicale profondo formato prevalentemente da una fitta trama di radici che assicurano un ottimo ancoraggio.
Presenta un fusto eretto, diviso in più assi principali, molto ramificato, con i rami giovani rigidi, grossi, arcuati verso il basso, sparsi senza ordine, rivestiti da peluria.

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Ricopre il fusto la corteccia che, nella pianta giovane, è liscia e di colore grigio bruno e, col passar del tempo, diventa screpolata e suberosa.
Non produce polloni alla base del tronco. Le foglie, brevemente picciolate, sono di colore verde lucido e glabre, grandi, semplici, alterne, quasi ellittiche, con il margine doppiamente seghettato e acutamente dentato. La lamina è simmetrica alla base e presenta un lobo rotondeggiante che ricopre completamente il picciolo molto breve. Il lobo è acuminato all’apice e può presentare tre punte. La pagina superiore è rugosa al tatto, quella inferiore leggermente pelosa. L’insieme delle foglie forma una chioma espansa, globosa, larga, irregolare.

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Le foglie in autunno cadono e, raccolte, possono essere utilizzate come foraggio per l’alimentazione del bestiame. I fiori, ermafroditi, riuniti in gruppi di pochi elementi in fascetti ascellari, quasi sessili, hanno calice e corolla ridotti e di colore rosso, un numero di stami variabile da cinque a sei, le antere rosse e compaiono nel mese di marzo, prima delle foglie.

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 L’impollinazione è entomofila, la disseminazione anemofila.
Gli organi riproduttivi maturano i frutti che sono samare alate, glabre, arrotondate e smarginate all’apice, sostenute da corti peduncoli, numerosissime. Adornano l’albero nel periodo primaverile ed estivo. Ogni samara custodisce il seme in posizione centrale rispetto all’ala che lo aiuta nella dispersione. Le samare sono di colore verde che poi vira al rosa e, infine, seccando, al marrone chiaro. A maturità si staccano dall’albero per essere trasportate dal vento. I frutti immaturi possono essere mangiati crudi in insalata; hanno un gusto aromatico che lascia la bocca fresca e l’alito gradevole. Sono un buon alimento perché ricchi di proteine vegetali.
L’Olmo, che di solito vive allo stato libero nei boschi o impiegato per la decorazione del giardino, ha pochissime esigenze. Preferisce vegetare in ambienti non troppo luminosi e su terreni fertili, sciolti, profondi e freschi. Si adatta ugualmente sia a quelli calcarei sia a quelli silicei traendo innegabile vantaggio dalla somministrazione autunnale di un pò di concime.
E’gradita qualche annaffiatura durante la stagione più calda, specialmente quando la pianta è ancora in giovane età. Sopporta la siccità. Resiste agli inverni lunghi e freddi, alle nebbie, al vento e alla neve.
E’ una pianta di lunga vita, può raggiungere i 600 anni d’età, e, per la sua notevole longevità, simboleggia “l’amore fedele“; forse, per questo motivo, anticamente si usava piantare un filare di Olmi presso l’ingresso dei conventi o sul piazzale delle chiese come segno di devozione e di sottomissione alle regole monastiche. Si arrende, però, a qualche malattia.
Infatti, l’Olmo è stato colpito più volte dalla “grafiosi o moria dell’Olmo”, un grave morbo proveniente dall’Asia e causato dal micete “Graphium ulmi”. L’attacco di grafiosi del 1967 è stato il più dannoso perché ha portato alla distruzione migliaia di piante secolari che, improvvisamente, si sono disseccate irreversibilmente. Si tratta di una malattia causata da un fungo che si sviluppa nei vasi conduttori impedendo il passaggio della linfa e causando la morte della pianta. La diffusione del parassita è favorita dagli insetti “Scolitidi” che, essendo xilofagi, scavano gallerie tra la corteccia e il legno degli alberi seccati o morti creando caratteristici “disegni” sulla superficie del legno, da cui il nome di “grafiosi”.
Dopo che gli insetti adulti si sono riprodotti, i nuovi nati, trasferendosi sugli alberi sani, trasportano le spore e il micelio del fungo. La lotta alla grafiosi ha presentato notevoli difficoltà perché non esistono mezzi chimici adeguati e tutti gli interventi fitosanitari si sono rivelati inutili. L’unico rimedio sicuro è la soppressione delle piante malate per limitare la diffusione. Allo stato spontaneo l’Olmo costituisce un’importante essenza forestale per il consolidamento di argini e per il rimboschimento di terreni incolti.
E’ stato uno degli alberi tradizionali del paesaggio rurale delle nostre campagne e coltivato come pianta ornamentale per il suo aspetto gradevole, per la resistenza all’inquinamento atmosferico e alle potature drastiche, ma anche per ricavare il legno impiegato nella fabbricazione di mobili, di rivestimenti interni, di attrezzi agricoli, per lavori di tornitura, per costruire chiglie di battelli, per lavori portuali perchè particolarmente apprezzato per la sua resistenza all’umidità. In alcune regioni italiane i giovani rami, molto flessibili, erano utilizzati per fabbricare cesti. Il legno di Olmo è poco adatto ad essere usato come combustibile per gli eccessivi residui di cenere e per la scarsa resa calorica.
Un proverbio mistrettese ingiustamente così recita: ” Lignu d’urmu né pi luci né pi furnu, ma, pi appuntiddu, lassa fari a iddu”. “Legno d’Olmo, né per luce né per forno, ma per sostegno è insuperabile”. Rappresenta, cioè, il sostegno e la sopportazione.
Sin dai tempi lontani ed ancora oggi, in molte regioni, gli Olmi erano impiegati come impalcatura per i vigneti in quanto si riteneva che l’uva, prodotta da viti sostenute da filari di Olmi, fosse più zuccherina e quindi più apprezzabile. E’ stato celebrato da Virgilio e da Columella per il legno duro e resistente e come sostegno della vite. Come il marito dovrebbe sostenere la moglie, così l’Olmo, perché sostiene la vite, è stato scelto come simbolo “dell’amore coniugale e dell’amicizia”.
L’Olmo possiede anche importanti proprietà farmacologiche. Il primo a parlare delle sue proprietà mediche fu Plinio che, nella sua “Historia Naturalis”, illustrò le capacità cicatrizzanti e lenitive delle ferite per merito delle sue foglie e della sua corteccia. Dioscoride ne raccomandò l’uso nelle malattie cutanee, Galeno consigliò l’infuso delle foglie come importante astringente. In Europa, Teofrasto confermò l’uso dell’Olmo già nel III secolo A.C. per le proprietà cicatrizzanti delle piaghe e lenitive delle malattie della pelle.
Fin dal Medioevo l’Olmo è stato considerato uno dei migliori rimedi per curare casi di dermatosi, di eczemi, di foruncoli. Si ritenne ancora utile per le febbri intermittenti, per i dolori reumatici, per le malattie nervose. Nel Rinascimento Mattioli riconfermò molte proprietà del passato e affermò che il decotto di corteccia di radice d’Olmo era utile nelle contrazioni e nelle convulsioni. Ancora oggi le gemme della pianta e la parte corticale interna dei rami giovani sono abbastanza usate in fitoterapia per preparare estratti, decotti e tisane con azioni depurative, drenanti, dermopurificanti, dermoprotettive, diuretiche, antidiarroiche.
La corteccia interna dell’Olmo è ricca di calcio, di magnesio e di vitamine A, B, C, K. Nutre e lenisce organi, tessuti, mucose e, in particolare, è benefica per i polmoni. Aiuta a neutralizzare l’acidità di stomaco e a lenire l’asma, la tosse, le faringiti. La mucillaggine della corteccia, ricca di parassiti contenuti in particolari escrescenze, “vussichedde”, spegne l’infiammazione delle articolazioni rendendola un ottimo rimedio per le artrosi. Aiuta il fegato, la milza ed il pancreas.
Stimola la minzione ed è utile nei disturbi delle vie urinarie. Le mucillagini si raccolgono esclusivamente il 24 giugno, giorno della ricorrenza della festività di San Giovanni Battista. Recitando una particolare orazione al Santo, si pone il liquido in un recipiente di vetro, si espone per 40 giorni “ all’aria e o sirenu” e si utilizza strofinandolo sulla parte del corpo malata. Controindicazioni: non assumere in gravidanza e con cautela durante l’allattamento. In cosmesi è utilizzato il liquido contenuto nelle galle provocate dalle punture dell’ afide che le utilizza per la maturazione delle sue uova.
La pianta, considerata una “latifoglia nobile” dai popoli dell’antichità, ha stimolato la fantasia di storici e di letterati dell’epoca greca e romana inserendola nei miti e nelle leggende.
Rabelais parla di un Olmo che cresceva presso la città di Tours, in Francia, e che si pensava essere nato dal bastone di un pellegrino piantato da San Martino. Storie locali affermavano che il bastone fu, invece, piantato da Brizio, un discepolo di Martino, dal discusso comportamento cristiano. I Greci pensavano che le ninfe piantassero l’Olmo in onore degli eroi morti. Nell’Iliade si racconta che sulla tomba di Ferione, il re di Tebe, era stato piantato un Olmo.
L’Ulmus è descritto da Virgilio nell’Averno dell’Eneide:In medio ramos annosaque bracchia pandit / ulmus opaca, ingens, quam sedem Somnia vulgo / vana tenere ferunt, foliisque sub omnibus haerent”. ”Nel mezzo spande i rami, decrepite braccia, / un olmo oscuro, immenso, dove a torme albergano / i Sogni fallaci, che alle foglie son sospesi”. Egli ha messo l’enorme Olmo a guardia degli Inferi.
Questo verso è stato successivamente ripreso da Francesco Petrarca che scrive: “Un olmo v’è che ‘n fronde sogni piove / da ciascun canto, e che confusamente / di vero e di menzogna altrui ricopre”.
I Romani lo dedicavano a Mercurio, dio dei mercanti e dei viaggiatori. Da altre popolazioni moderne l’Olmo, invece, è considerato l’albero del malaugurio perché, col suo legno, si costruiscono le bare. Si racconta che a Legnatico di Montecchio, in provincia di Reggio Emilia, nel 1484 un cavaliere, armato di tutto punto, essendo caduto in un fossato, vi rimase schiacciato sotto il peso del suo cavallo. Avendo previsto la sua fine, rivolto lo sguardo verso l’alto, tra le foglie di una pianta di Olmo scorse la Madonna con il Bambino in braccio. Subito cavaliere e cavallo si rialzarono e uscirono dal fossato sani e salvi. Il militare, uomo pio, per la grazia ricevuta, fece dipingere l’immagine della Madonna in un quadretto che sistemò fra i rami dell’Olmo.
Sparsasi, in breve tempo, la notizia del miracolo, l’Olmo divenne luogo di preghiera e, pertanto, fu costruita una cappella contenente la pianta. La tradizione vuole che il piedistallo sul quale è collocata la statua della Madonna è una parte del tronco dell’Olmo dove apparve la Madonna.  Gli antichi greci avevano consacrato l’Olmo a Morfeo, uno dei molti figli di Hipnos, il dio del sonno. Morfeo, provvisto di ali, aveva il potere di assumere le sembianze umane e di apparire nella multiformità dei sogni delle persone che dormivano. Per questo motivo si riteneva che l’Olmo avesse la facoltà di “predire il futuro”.
Plinio raccontò una vicenda verificatasi a Nocera durante la guerra contro i Cimbri “ […] Questo evento si è verificato davanti aglio occhi dei Quiriti tutti durante la guerra contro i Cimbri, a Nocera, nel bosco sacro a Giunone, quando un olmo, dopo che se n’era recisa la sommità perché incombeva sull’altare, tornò da solo a ergersi intero e a fiorire immediatamente: da quel momento in poi la grandezza del popolo romano, che in precedenza era stata travolta dalle disfatte militari, si risollevò […]”.
Poiché si pensava che l’Olmo avesse potere oracolare, nel Medioevo, in Francia, divenne simbolo della “giustizia” e, insieme alla Quercia, fu l’albero sotto il quale si riunivano i giudici per ricevere ispirazioni per amministrare bene la giustizia. “Giudici sotto l’Olmo” erano i magistrati senza tribunale che sedevano, appunto, ai piedi di questo albero piantato davanti alla porta del castello. Come ricorda Brosse, l’espressione “aspettare sotto l’Olmo”, ormai obsoleta, deriva da quell’usanza, pur avendo assunto un altro significato perché significava che le parti in causa rifiutavano di presentarsi alla convocazione giudiziaria.
Nell’antichità si riteneva che le sue foglie facessero scomparire il cattivo umore. Per irrobustire le ossa si consigliava di dormire sopra un giaciglio di foglie d’Olmo. Si credeva, infatti, di poter assimilare la stessa robustezza e la stessa forza della pianta.
I rametti flessibili dell’albero, trasformati in frustini, pare portassero fortuna ai cavalieri che ne facevano uso. Una superstizione consiglia di legare un ramo di Olmo, raccolto in autunno, con due nastri, uno nero e l’altro verde, per ottenere un potente talismano che attrae la ricchezza. Nel linguaggio dei fiori l’Olmo simboleggia “dolcezza, utilità”.

Aug 2, 2020 - Senza categoria    Comments Off on LE PIANTE DI PITOSFORO TOBIRA NELL’AREA DI LICATA

LE PIANTE DI PITOSFORO TOBIRA NELL’AREA DI LICATA

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Il Pitosforo tobira è una genere di pianta molto comune che abbellisce e arreda molte aree urbane di Licata.

 

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Il nome del genere “Pitosforo” deriva dal greco “πίσσα”, “pece, gomma” e “σπόρος”, “seme”, a causa della resina che riveste i semi contenuti nella capsula-frutto.  E’ una pianta semplice, che si coltiva normalmente.

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Appartenente alla famiglia delle Pitosforaceae, è originaria della Cina e del Giappone.
Il Pitosforo tobira è una pianta perenne, a portamento espanso, arrotondato, sempreverde, coltivato per il suo fogliame molto ornamentale.

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Lo sviluppo del fusto è eretto, tendente a crescere sia in altezza sia in larghezza e, negli individui adulti, può raggiungere anche i 4 metri di statura.  Le foglie, verdi, coriacee, semplici, alterne, ovali, con margini interni rivolti verso il basso, lucenti nella pagina superiore, durante l’inverno assumono una colorazione arancione.

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I fiori, ermafroditi, di colore bianco-avorio, di consistenza quasi cerosa, riuniti in infiorescenze a corimbo, aprendosi nella tarda primavera, da aprile a giugno, rallegrano la pianta ed emanano un fragrante, leggero profumo d’arancio che attrae le api.

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Dopo la fioritura, la pianta produce i frutti avvolti in capsule verdognole contenenti i semi color rosso vivo che, con l’andar del tempo, cambiano di tinta fino quasi a diventare neri.

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La capsula del frutto è rivestita da uno strato di sostanza appiccicosa che ha la funzione di fare aderire i minuscoli frutti alle zampe degli uccelli che, depositandoli altrove, favoriscono la disseminazione, garantendo così la riproduzione della pianta. La propagazione avviene anche per talea. La pianta ha una crescita lenta, pertanto non ha bisogno di potature. Eventuali rami secchi, malati o cresciuti in maniera disordinata vanno comunque tolti. Al Pitosforo tobira si può dare la forma prescelta, ad alberello, a palloncino, a parallelepipedo e può essere usato anche per l’arte topiaria.
Nella mia campagna di Licata è presente il Pitosforo tobira nano, che si riconosce per la sua piccola statura e per il portamento rotondeggiante.

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 E’ più idoneo a formare siepi e bordure. Di facile adattamento.
Le piante di Pittosporo non temono il freddo e quindi si possono coltivare in giardino in qualsiasi periodo dell’anno, però il gelo intenso e prolungato provoca gravi danni alle parti epigee. Hanno poche necessità e resistono anche alla mancanza d’acqua. Abbastanza rustiche, esigono annaffiature regolari, più abbondanti in primavera e in estate e più contenute in inverno prestando attenzione che, tra un’annaffiatura e l’altra, il terreno rimanga asciutto per almeno un paio di giorni. Amano il pieno sole, pertanto le piante necessitano di almeno alcune ore al giorno di irraggiamento solare, ma tollerano la mezz’ombra. Si adattano a qualsiasi tipo di terreno, soprattutto se fertile, soffice e ben drenato.
Il Pitosforo è una pianta resistente alle malattie, ma potrebbe essere soggetto ad attacchi da parte di Cocciniglie che, tuttavia, possono essere facilmente debellate grazie all’utilizzo di corretti prodotti specifici.

 

Jul 25, 2020 - Senza categoria    Comments Off on 3° EDIZIONE DEL CONCORSO “BALCONE FIORITO” A MISTRETTA ANNO 2020

3° EDIZIONE DEL CONCORSO “BALCONE FIORITO” A MISTRETTA ANNO 2020

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L’Associazione Oceano­_Mistretta-Messina, l’organizzazione no-profit presente a Mistretta e formata da tanti bravi giovani volontari amanti della Natura e del bello, ha organizzato la 3° Edizione del Concorso “Balcone Fiorito” per l’anno 2020, concorso di arredo e di allestimento floreale dei balconi e dei cortili.

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Il 2020 è un anno particolare perché la presenza della pandemia del COVID_19, in seguito ai restringimenti per evitare assembramenti di persone,  ha impedito che la manifestazione di premiazione si svolgesse con la presenza diretta di tutti i partecipanti, così come è avvenuto negli anni precedenti nella sede del palazzo Mastrogiovanni-Tasca a Mistretta.
Tuttavia il concorso “Balcone Fiorito” ha voluto simboleggiare la ripresa delle varie attività, ma soprattutto ha voluto stimolare a guardare al futuro con ottimismo, con entusiasmo, con la consapevolezza che la bellezza è un elemento fondamentale della vita di ogni società.
La nuova edizione del “Balcone Fiorito” sta a dimostrare quanto è importante curare l´immagine della città di Mistretta da parte di tutti i mistrettesi che hanno risposto positivamente all’invito di colorare e di ingentilire i balconi delle loro abitazioni e dei cortili esponendo svariate composizioni floreali.
I partecipanti al concorso “Balcone Fiorito” sono stati in numero di 45. Sono stati abbelliti 21 balconi e 24 cortili.
Un meritato ringraziamento è diretto non solo all’Associazione OCEANO e al presidente, il signor Alvaro Biffarella, ma soprattutto alla giovane Simona Spinnato che, con notevole spirito di collaborazione, con tanta fantasia e con grande entusiasmo, ha seguito tutte le fasi del concorso “Balcone Fiorito”.
Il concorso, attraverso l’ornamento floreale dei balconi e dei cortili, ha sempre avuto lo scopo di “valorizzare e di rendere più attraenti le vie e le facciate delle abitazioni dell’intero paese, di promuovere i valori ambientali e la cultura del verde come elemento di decoro e di valorizzazione di tipologie costruttive tipicamente mistrettesi”.
I balconi fioriti e i cortili, ciascuno contrassegnato da un numero ROSA, esposto nel proprio balcone o cortile per tutto il periodo del concorso, affacciati lungo la via Libertà e in altre strade, vie e viuzze del paese, hanno mostrato più accogliente e più bella la nostra Mistretta.
Sicuramente la vista di un balcone e di un cortile fiorito fa brillare sempre gli occhi, fa gioire il cuore e lo spirito!
 Nella premessa del programma si legge: ”I fiori hanno la capacità innata di abbellire, con i loro colori e profumi, un balcone spoglio, una finestra disadorna, un vicolo, una strada, una piazza, un angolo di quartiere”.
Sui balconi e sui cortili hanno vegetato bene tantissime varietà di piante.
I generi più frequenti sono stati i gerani, dalle tonalità rossa, rosa, bianca, come simbolo del pregio floreale e come stimolo verso la “cultura del bello, e i Pelargoni.
Ho notato anche alcuni Girasoli, diversi Tagetes, la Dipladenia dai colori bianco e rosa, qualche Gazania, un solo Glicine, diverse Aloe e Cactus, tante Hidrangea macrofilla ( le Ortensie), molte Surfinie e Petunie, molte Margherite bianche e roseti bianchi e rossi, le Zinnie, la Lavandula e la Lippia citriadora, la Salvia, molti Cycas revoluta, qualche Hibiscus seriacus, l’Oleandro e l’Altea, moltissime composizioni di piante grasse, il Buxus rotundifolia, il raro Pittosforo e il Mioporo, qualche Yucca, la Tuja piramidalis, alcune piccole Phoenix canariensis, la Chamaerops humilis (la palma nana), anche alcuni cladodi di Ficorindia, un albero di ciliegi e un tralcio con l’uva bianca.
Personalmente, penso che la lodevole iniziativa di istituire la 3° Edizione del concorso “Balcone fiorito” non solo abbia stimolato la promozione dei valori ambientali e turistici della nostra amata Mistretta, ma abbia dato la prova che gli amastratini posseggono il “pollice verde” nel saper curare abilmente piante e fiori, di essere maggiormente sensibilizzati a valorizzare il verde, a rispettare la Natura, in particolare a proteggere il patrimonio naturalistico che la città di Mistretta possiede, esattamente le due ville comunali, la villa “Giuseppe Garibaldi” e la villa “Chalet”.
Per valutare la terza edizione del concorso “Balcone Fiorito” è stata nominata la GIURIA TECNICA composta dai giurati che hanno espresso i propri criteri di valutazione.
MARIANGELA BIFFARELLA, mistrettese, insegnante, amante dell’arte, della natura e degli animali,  scrive racconti, poesie, fiabe e romanzi che hanno ricevuto prestigiosi Premi Letterari, tra i quali,solo per citarne qualcuno:  il Premio Hans Christian ndersen, Genova;  il Word of salt della “Queen Foundation” di New York; il Carlo Levi,Torino; il Prader Willi , Torino; l’Antonianum, Milano; il Viareggio ArtViareggio,  l’Elio Vittorini, Messina. Per i tipi della Giovane Holden edizioni di Viareggio ha pubblicato il romanzo Scirocco, già vincitore dei premi “Parole nel vento”, Catanzaro e “InEdito”, Roma, che si è aggiudicato anche il premio Bukowki”;  La fiaba Perticone, premiata e pubblicata da edizioni EdiGiò,Pavia;  la raccolta di poesie Rovescio di ricamo, premiata e edita da Carta e Penna edizioni,Torino; il racconto Zero + Uno = Otto, edito per la scuola da La Medusa Edizioni, Marsala; la raccolta di racconti      Sommesse voci della mia terra – pubblicato da Aracne Editrice,Roma; la raccolta di favole e fiabe Una fiaba al giorno per capire come gira il mondo e il testo teatrale in dialetto C’era una volta, editi da Il mio Libro edizioni.

I Criteri di valutazione di Mariangela Biffarella sono stati: 1) Armonia d’insieme 2) Varietà cromatiche ben armonizzate. 3) Contesto ambientale. 4) Contesto architettonico. 5) Disposizione creativa delle varietà vegetative (alternanza di piante ecc.) 6) Vasi/mezze botti/ mezze giare utilizzati in armonia con il contesto. 7) Creatività delle composizioni e/o disposizioni.

NELLA SEMINARA: Mistrettese, ma abitante a Licata, laureata in Scienze Naturali, è stata docente di Scienze matematiche, chimiche, fisiche e naturali nelle Scuole Statali di Licata. E’ autrice di innumerevoli articoli botanici, storici e architettonici su Mistretta e su Licata che pubblica nel suo blog. Ha pubblicato il video libro dal titolo: “ La Villa Comunale <<G. Garibaldi>> di Mistretta un giardino all’italiana” e il videolibro dal titolo “Mistretta in immagini tra passato e presente”. Ha anche pubblicato il libro “Da Licata a Mistretta, un viaggio naturalistico”.  Ha curato la pubblicazione dei libri: ”Sintiti, Sintiti”, del prof. Carmelo De Caro, e “Amoenitates”, del prof. Gaetano Todaro.

I Criteri di valutazione di Nella Seminara sono stati: 1) Eleganza nella composizione floreale 2) Accostamento dei colori e dei profumi 3) Adattamento all’ambiente 4) Facilità di coltivazione 5) Tipo di riproduzione per la conservazione della specie 6) Resistenza alle azioni meccaniche 7) Pianta innocua o causa di allergie.

ENZO SALANITRO, Mistretta, 11-08-54. Laurea Accademia di belle Arti,Catania. Docente di discipline  pittoriche al liceo Artistico E. Greco di Catania.Pittore,illustratore, grafico. L’attività artistica inizia negli anni 80 con numerose istallazioni nei centri storici siciliani, tra le mostre più  recenti: novorganismo,centro Luigi Di Sarro, Roma, a cura di M.Bignardi 1988. Personale alla Comuna Baires, Milano 2002. Nel 2005 è presente alla 6 biennale di arte sacra, con mostre in diverse città americane tra queste Pittssburg. Nel 2013 e’ a Napoli nel complesso monumentale di S.Severo al Pendino per Sicilia Dives a cura di G. Lambrosciano. Nel  2014 chiude il tour della mostra istallazione SICILIANI con una esposizione al teatro di Milano .Nel 2015 partecipa alla mostra pinocchio giramondo a cura di G.Grasso,coordinatore generale del padiglione Italia alla 54 biennale di Venezia. Nel 2018 espone alla Mondadori di  Catania. Di lui si sono occupati diversi critici e testate giornalistiche. Tra questi: F.Gallo, G.Di Genova E.Crispolti, già commissari alla biennale di Venezia. Nel 2019 e’ stato inserito nel museo internazionale di Danisinni e in quello di mail art di Cosenza. Diverse le pubblicazioni e gli inserimenti in strutture pubbliche.

I Criteri di valutazione di Enzo Salanitro sono stati: 1)  Varietà e composizione fiori e piante. 2) Particolare composizione di fiori. 3) Originalità e creatività. 4) Sana e rigogliosa crescita. 5) Inserimento in armonia con l’ambiente urbano. 6) Originalità dei materiali dei vasi utilizzati. 7) Originale tipologia architettonica del balcone/cortile.

 Organizzatrice del Concorso “Balcone Fiorito” è stata la bravissima Simona Spinnato.
Simona Spinnato, diplomata al Liceo Scientifico di Mistretta, si scrive all’Università di Palermo dove ha conseguito la laurea Magistrale in “Ingegneria edile-architettura”.
Amante di viaggi e di nuove culture e tradizioni, negli anni 2014 – 2015 vive e studia a Madrid vivendo l’esperienza dell’Erasmus nell’Università politecnica di Madrid, una delle università più importanti al mondo. Molto attiva nella comunità amastratina, ha fatto parte di innumerevoli Associazioni di Mistretta. Attualmente fa parte del Coro “Claudio Monteverdi” e dell’”Associazione Oceano”.
Amante di arte e di architettura, decide di impegnarsi in una nuova associazione musicale, culturale e sportiva per organizzare eventi che valorizzino le architetture mistrettesi tra cui il “BALCONE FIORITO” della prima edizione del 2018, della seconda edizione del 2019 e della terza del 2020.

La Giuria ha valutato:
– Varietà e composizione di fiori e piante;
– Migliore combinazione di colori;
– Originalità e creatività;
– Sana e rigogliosa crescita della pianta durante il concorso;
– Inserimento armonico nel contesto urbano;
– Qualità dei materiali dei vasi utilizzati;
– Tipologia architettonica del balcone
Gli obiettivi del concorso sono stati pertanto: Promozione dei valori ambientali e della cultura delle piante e dei fiori; educazione al rispetto dell’ambiente e alla salvaguardia del decoro urbano.

Il concorso “ Balcone Fiorito” si articola in tre categorie:
– CATEGORIA CON GIURIA con due sottocategorie:
-BALCONE FIORITO
– CORTILE FIORITO.
I premi sono consistiti nella consegna ai vincitori dell’attestato di partecipazione, del libro,  dal titolo “Mistretta da scoprire”, gentilmente offerto ai vincitori del primo posto di ogni categoria, dall’autore Filippo Giordano, con dedica, degli arborelli in ceramica (h: 31 cm e h:27 cm) decorati a mano dall’artista amastratino Antonio Manno.

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—  CATEGORIA LIKE- BALCONE FIORITO MISTRETTA 2020
Tutti i balconi e i cortili sono stati fotografati e inseriti all’interno di un album sulla pagina facebook dell’Associazione organizzatrice.
L’album è stato pubblicato il 5 luglio 2020.
La fotografia, che entro le ore 23,00 del 5 luglio 2020  ha ricevuto il maggior numero di like, ha vinto questa categoria.
Vincitore della Categoria like è stato il Cortile 44 della signora Jessica Raffaele che ha ottenuto 439 like.

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Il premio è consistito nella consegna dell’attestato di partecipazione e dei Buoni spesa per fornitura offerti dai Fiorai convenzionati e che potranno essere utilizzati entro il 31 Maggio 2021.
La signora Jessica Raffaele ha saputo valorizzare lo spazio davanti alla sua abitazione, un’area comunale rimasta purtroppo incolta per molti anni.
Ripulire e abbellire questo spazio è stato un bel gesto da parte della signora Jessica Raffaele che, con la sua vittoria, ha dato un chiaro esempio a tutti i mistrettesi che sicuramente inizieranno a valorizzare tutti gli spazi liberi della città e non solo i propri.
Gli sponsor: Ceramiche Artistiche Antonio Manno, Ferramenta e colori Iraci, Ferramenta Volo Sebastiano, la fioreria “S. Antonio” di Alfieri Andrea, la fioreria “Non solo fiori” di Lavinia  Provinzano,  la fioreria “Pianeta Verde” di Fabrizio Marchese.

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-CATEGORIA A SORPRESA alla quale hanno partecipato tutti gli iscritti attraverso il proprio numero d’iscrizione.
Il premio consiste in un Kit Pollice Verde offerto dalla Ferramenta e Colori Iraci e dalla Ferramenta Volo Sebastiano.
La bravissima Simona Spinnato nel suo discorso introduttivo ha detto: ”L’associazione, costituita nel 2014 come associazione culturale, musicale e sportiva, nasce dalla voglia di questi bravi giovani di unirsi insieme per valorizzare le bellezze della nostra città.
Anche per quest’anno 2020 hanno pensato di ripetere l’evento del concorso “Balcone Fiorito” sensibilizzando i cittadini ad abbellire i balconi e i cortili con piante e con fiori colorati.
L’evento ha avuto grande successo perchè hanno partecipato 45 concorrenti.
Cari mistrettesi, avete reso la nostra cittadina colorata, radiosa, con tutti questi fiori che hanno portato una ventata di freschezza e di bellezza“.

Il giovane Alvaro Biffarella, presidente dell’Associazione Oceano, ha detto: ” Anche quest’anno, grazie il concorso “Balcone Fiorito”, abbiamo voluto valorizzare le bellezze architettoniche della nostra città che è ricca di tante opere d’arte”.
Con la pubblicazione dell’intero album fotografico  si dice GRAZIE a tutti i partecipanti.

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La cerimonia di proclamazione dei primi tre classificati per categoria è avvenuta venerdì 24 luglio  2020 in videoconferenza On Line, trasmessa in diretta su ONDA TV canale 85. Grazie al giovane regista Antonio Turco per la sua collaborazione e per la creazione del filmato.

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In collegamento Simona Spinnato e i giurati: Mariangela Biffarella, Nella Seminara, Enzo Salanitro che hanno votato il più bel balcone fiorito e il il più bel cortile su una preselezione di 5 semifinalisti.

Il presidente Alvaro Biffarella era nello studio.
La proclamazione si potrà continuare a vedere in streaming sempre su ondatv.it.
Grazie alla collaborazione del giovane regista Antonio Turco e per la creazione del filmato.
La cerimonia di premiazione dei primi tre classificati è avvenuta nell’accogliente sala delle conferenze della Società “AGRICOLA” di Mistretta il giorno 03/08/2020.
Simona Spinnato ha ringraziato il presidente del sodalizio, il giovane Vincenzo Mingari, e tutti i soci per la  calorosa accoglienza.

Per la CATEGORIA CON GIURIA 3° edizione “BALCONE FIORITO”” ha conseguito il terzo posto il balcone N° 3, della concorrente signora Maria Grazia Spinnato, sito in Via Largo Tusa N° 1.

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Ha conseguito il secondo posto il balcone N° 16, della concorrente signorina Rosita Insinga, sito in Via Madonna della Luce.

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Ha conseguito il primo posto  il balcone n° 21, della  signora Giuseppina Cannata, sito in Via Agrigento N° 2.

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Per la CATEGORIA CON GIURIA “CORTILE FIORITO” ha conseguito il terzo posto il cortile N° 27, della concorrente signora Rosa Lombardo, sito in Via Piano Perina.

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Ha conseguito il secondo posto il cortile N° 34, della concorrente signora Maria Santo Stefano, sito in Via Monza,11.

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Ha conseguito il primo posto   il cortile N° 45, della signora Antonina Patti, sito in Via Santa Caterina, N° 128.

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Per la CATEGORIA LIKE vincitore è stato il Cortile 44, della signora Jessica Raffaele, che ha ottenuto 439 like.

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I concorrenti vincitori della 3° Edizione del Concorso “Balcone Fiorito” anno 2020

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Per la CATEGORIA SORPRESA,  con Simona Spinnato e Carmen Giangarrà,

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è stato estratto a sorte il balcone N° 13, della signorina Angela Cristina.

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Il premio in omaggio è un kit di floricultura “POLLICE VERDE” offerto dagli sponsors: Ferramenta Iraci e Volo Sebastiano, che potrà essere ritirato entro il 31 Agosto 2020 contattando l’Associazione Oceano.
Un altro premio  KIT POLLICE VERDE, offerto sempre dalle Ferramenta Iraci e Volo,  è stato vinto dal cittadino di Mistretta,  dal signor Mario Vranca. L’Associazione Oceano  cerca, infatti, ogni anno di fare partecipare attivamente tutta la cittadinanza all’evento “Balcone Fiorito”.

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 https://www.youtube.com/watch?v=J2PQkPqMRI4&feature=share

 

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Simona Spinnato e Alvaro Biffarella hanno calorosamente ringraziato: i giurati Mariangela Biffarella, Nella Seminara, Enzo Salanitro, tutti i componenti dell’associazione Oceano, la neosocia Carmen Giangarrà, già attiva collaboratrice, il giovane Antonio Turco, per avere offerto la sua opera gratuitamente per il collegamento con ONDA TV, Leonardo Lorello per la sua attiva collaborazione, le fiorerie e tutti gli sponsors che hanno aderito per le premiazioni a tema “pollice verde“, l’artista Antonio Manno, gli amastratini che si sono impegnati ad abbellire i balconi e i cortili con addobbi floreali e, soprattutto, il mistrettese che non ha mai avuto il”pollice verde“, ma ha promesso: “Mi impegnerò ad abbellire e curare il mio balcone”, la Gioielleria “Turco Liveri” e “Nuove Proposte” di Alessandro Lo Iacono per aver esposto nelle loro vetrine gli arborelli, premi della CATEGORIA CON GIURIA.
Simona Spinnato si è complimentata  anche con le ATTIVITÀ e le SOCIETÀ che quest’anno hanno deciso di aderire all’iniziativa “Balcone Fiorito” allietando e colorando Mistretta attraverso i fiori: Sidoti – Ristorante Primavera – “Nta Buatta”, Societá Agricola – Società “Fra Militari in Congedo”.
Anche questa 3° Edizione del concorso “Balcone Fiorito” è stata una bellissima esperienza che ha coinvolto gli amastratini che hanno partecipato con entusiasmo a un evento così importante che ha reso Mistretta elegante, accogliente e ammirata.
Bravi tutti!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Jul 13, 2020 - Senza categoria    Comments Off on LE PIANTE DI PLUMBAGO CAPENSIS NEL MIO GIARDINO A LICATA

LE PIANTE DI PLUMBAGO CAPENSIS NEL MIO GIARDINO A LICATA

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Amici, vi è mai capitato di incontrare un recinto, una parete, un muro rivestiti dai rami fioriti della bellissima pianta di Plumbago e di rimanere affascinati dalla straordinaria bellezza dei suoi fiori?
Ebbene, nella mia campagna, in contrada Montesole, a Licata, sono presenti diverse piante di Plumbago.

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Al genere Plumbago appartengono circa 10 specie, particolarmente apprezzate per le abbondanti e continuate fioriture che hanno il loro culmine nei mesi autunnali.
La  Plumbago capensis è la varietà, senza dubbio, più conosciuta e molto diffusa nei giardini.

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Oltre alla Plumbago capensis esistono altre varietà che si differenziano per il colore dei fiori, come quelli blu della Plumbago auriculata e quelli rossi della Plumbago rosea.
Il suo splendido e acceso colore azzurro cielo ha fatto acquisire alla pianta di Plumbago l’appellativo di “Gelsomino azzurro“.
Altri sinonimi sono: Piombaggine, Geranio azzurro, per la forte somiglianza dei suoi fiori color azzurro con quelli dei gerani. 

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La Plumbago anticamente era chiamata “Pianta del piombo” perché si credeva che riuscisse a disintossicare i tessuti avvelenati dall’accumulo di piombo nell’organismo umano.
Ci sono diverse ipotesi sull’origine del nome.
Un’ipotesi attribuisce il nome al colore azzurro “plumbeo” dei fiori di alcune specie.
Un’altra ipotesi sostiene che il nome deriva dagli effetti collaterali provocati da una sua proprietà curativa.
La triturazione della radice stimola una benefica salivazione contro il mal di denti che, però, diventano scuri.
Un’altra ipotesi attribuisce l’origine del nome a una credenza antica secondo la quale la pianta era utilizzata per curare un’affezione degli occhi detta “plumbus”.
Plumbago è un genere di pianta originaria dell’Africa meridionale, in particolare della zona del Capo di Buona Speranza, ma anche dalle regioni tropicali dell’Asia e dell’America.
La Plumbagoappartenente alla famiglia delle Plumbaginaceae, è una pianta longeva, a portamento semirampicante, sarmentosa, disordinata nella crescita. E’ capace di formare magnifici cespugli o folte coperture fiorite in grado di ricoprire in modo scenografico e affascinante qualsiasi tipo di muro, di recinzione o di pergolato.

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La pianta di Plumbago è dotata di una robusta radice fittonante-fascicolata da cui si solleva la parte aerea formata da numerosi fusti semilegnosi nella parte basale ed erbacei in quella apicale, lunghi 1,5-2 metri, e che necessitano di sostegno. Le foglie sono picciolate, oblunghe, intere, con margini lisci, appuntite, di colore verde brillante.

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Da maggio, e fino ai primi freddi autunnali, produce numerose infiorescenze costituite da moltissimi fiorellini ombrelliferi con la corolla a forma di trombetta e composta da cinque petali dal caratteristico colore azzurro cielo. Si attaccano con molta facilità ai vestiti e al dorso degli animali. Sono commestibili e delicati anche per il nostro palato.

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La riproduzione avviene per semi, che sono piccoli e scuri, ma più semplicemente per talea preparata durante tutto il periodo vegetativo.
La Plumbago è apprezzata per la bellissima fioritura il cui periodo e durata dipendono dalle varietà coltivate e dalla regione in cui si trovano. Generalmente avviene nel periodo compreso da aprile a ottobre.
La Plumbago può essere coltivata a scopo ornamentale sia in piena terra sia in vaso.
Per la sua prolungata e abbondante fioritura regala splendide macchie di colore azzurro chiaro.
E’ diffusa nei giardini, nei balconi delle case, nei porticati, nei muretti.
Può essere usata come rampicante, ma deve essere legata perché non produce radici avventizie e viticci, oppure come pianta ricadente.
E’ bene eliminare i fiori di Plumbago man mano che appassiscono, sia per avere una pianta sempre in ordine, sia per eliminare le parti di pianta in deperimento che potrebbero rubare energie preziose alla pianta stessa.
La Plumbago è una pianta delicata, ma facile da coltivare.
Non richiede particolari attenzioni. Necessita di una buona esposizione ai raggi solari, anche se può vivere nella penombra purché filtri una quantità di luce sufficiente. Mentre il sole favorisce la produzione di nuove infiorescenze, posizioni troppo ombreggiate causano carenza di fiori. Inoltre, il luogo deve essere ben riparato dal vento.
Non sopporta il freddo, soprattutto se la pianta è giovane.
Le temperature non devono scendere sotto i 10°C. Invece tollera le alte temperature crescendo bene nelle zone a clima mite.
A Licata, grazie alle temperature gradevoli per quasi tutto l’anno, questa pianta non entra in riposo vegetativo.
Gradisce il terreno leggero, sciolto, sabbioso, leggermente acido, fresco, umido e con una certa quantità di concime a rilascio graduale.
Nel periodo estivo la pianta necessita di irrigazioni regolari, preferibilmente la mattina presto o la sera, dopo il tramonto del sole.
E’ importante evitare i ristagni d’acqua per impedire il proliferare di funghi e il marciume delle radici.
In inverno le bagnature possono essere meno frequenti, ma non assenti.  Non è invece necessario bagnare eccessivamente la pianta nel periodo del riposo vegetativo.
Per favorire la formazione di cespugli compatti e ben vegetati è opportuno effettuare delle potature leggere anche durante la stagione vegetativa. Al termine della fioritura, in autunno, la pianta deve essere potata più energicamente tagliando i fusti legnosi per rinnovare l’apparato aereo in modo da ottenere una maggiore quantità di fiori l’estate successiva.
Oltre che per la fioritura, la potatura è importante per contenere la crescita disordinata della pianta.
La Plumbago è una pianta particolarmente resistente e non si ammala facilmente.
Potrebbe, comunque, essere soggetta a malattie e attaccata da parassiti.
Le temperature elevate e la scarsità d’acqua potrebbero favorire la presenza del ragnetto rosso, un acaro insidioso che punge le foglie e succhia la linfa portando al deperimento della pianta.
In luoghi dove la ventilazione è scarsa potrebbero avere il sopravvento le cocciniglie, i pidocchi e gli afidi.
Bisogna intervenire con appositi aficidi.
Se le foglie avvizziscono, allora è necessario controllare le annaffiature che potrebbero essere o troppo scarse o troppo abbondanti.
Se la pianta non fiorisce, forse il terreno è povero di elementi nutrivi.
La Plumbago non è una pianta pericolosa o dannosa per gli animali domestici.
Addirittura i suoi bellissimi fiori sono commestibili ed il loro gusto è delicato anche per il nostro palato.
Nel linguaggio dei fiori la Plumbago assume il significato di “intesa e complicità”.

 

 

Jul 1, 2020 - Senza categoria    Comments Off on LE PIANTE DI TAMARIX GALLICA ABBELLISCONO LE SPONDE DEL SALSO IL FIUME CHE ATTRAVERSA E SFOCIA NEL MARE DI LICATA

LE PIANTE DI TAMARIX GALLICA ABBELLISCONO LE SPONDE DEL SALSO IL FIUME CHE ATTRAVERSA E SFOCIA NEL MARE DI LICATA

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Percorrendo il Corso Umberto II a Licata, non è sfuggita alla mia osservazione la presenza di alcuni cespugli di Tamerici in fiore.
Infatti, le sponde del Salso, il fiume salato, son abbellite dal movimento di questi rami fioriti causato dal vento.
Sono piante cespugliose che, pur abitando nel quartiere residenziale “Montecatini” da 27 anni, non avevo mai notato!
Probabilmente sono stati gli uccelli, il vento,  l’acqua del fiume che hanno trasportato i semi provenienti da lontano favorendo la disseminazione in quel tratto di strada.

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Tamarix è un genere di piante originario delle zone delle zone aride che circondano il Mediterraneo e, per questo motivo, è anche spesso conosciuto come “arbusto del deserto”
Il nome scientifico “Tamarix” è di origine latina e deriverebbe dal fiume “Tambre”, che scorre in Galizia, chiamato anticamente “Tamara“.
Il genere comprende circa 60 specie tra arbusti e alberi che possono raggiungere un’altezza fino a 15 metri.
Si dividono in due categorie: le specie che fioriscono in primavera e le specie che fioriscono in autunno.
Alcune varietà:
La Tamarix parviflora, che fiorisce da aprile fino a maggio producendo fiori dal colore rosa chiaro.
La Tamarix tetrandra, che fiorisce sui rami dell’anno precedente da maggio a giugno producendo fiori dal colore rosa chiaro.
La Tamarix chinensis, che fiorisce a maggio producendo fiori dal colore rosa chiaro.
La Tamarix gallica, la più diffusa, che fiorisce tra aprile e giugno, o da maggio a luglio, a seconda delle condizioni climatiche.
La fioritura inizia prima delle foglie ed è caratterizzata da lunghi grappoli rosa.
La Tamarix gallica o Tamarix comune è una specie mediterraneo-atlantica presente in Spagna, in Francia.
In Italia è molto frequente su tutti i litorali.
la Tamarix gallica è un arbusto a portamento cespuglioso, espanso, appartenente alla famiglia delle Tamaricaceae, alto da 2 a 5 metri anche se talvolta, in condizioni favorevoli, può aggiungere i 10 metri di altezza.

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La pianta si lega al terreno mediante un robusto apparato radicale superficiale che riesce a penetrare in profondità per cercare di usufruire dell’umidità necessaria al suo sviluppo.
Dalle radici si sollevano non un solo fusto, ma più fusti sinuosi e contorti, sottili, lisci e coperti da una corteccia bruno-rossiccia cosparsa di lenticelle.Invecchiando, la corteccia diventa  grigia e si screpola.
Dai fusti si dipartono i lunghi rami flessibili, eretti e sottili, che formano la chioma assai delicata anche quando è molto consistente.
I rami tendono a espandersi, ad allargarsi e a curvarsi verso il terreno con un andamento decisamente pendulo.

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Le foglie sono piccole e chiare, di colore verdastro, squamiformi e leggermente carnose, lunghe 1-2 mm.
Sono semipersistenti o decidue a seconda del clima. Esse hanno la caratteristica di essere come degli aghi molto sottili pressati con forza contro i rami. Grazie a questa loro natura la pianta riesce a ridurre la perdita d’acqua. Le foglie formano fascetti inserendosi in modo alterno sui rametti verdastri della pianta.

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Le foglie contengono le ghiandole escretrici addette all’eliminazione dei sali minerali e dell’acqua in eccesso favorendo, nelle piante che vegetano nelle zone più salmastre, in genere direttamente in riva al mare, al fenomeno di “sudorazione”.
Emettono, sotto forma di gocce, un liquido chiaro ed estremamente salato che, durante il giorno e in assenza di vento,  favorisce l’evaporazione, genera una vera e propria pioggerellina che colpisce chi si trova sotto la chioma.
I fiori, ermafroditi, sono raccolti in vistose e spettacolari infiorescenze a spighe lunghe e sottili e  molto compatti si dispondono attorno ai rametti.
Sono molto piccoli, molto numerosi, e si apprezzano per il loro delicato profumo e per il vivace colore rosa chiaro, il tratto più caratteristico della pianta grazie al quale la Tamerice vanta un notevole impatto ornamentale.
L’effetto estetico è di grande eleganza e leggerezza.

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Il fiore ha il calice formato da 5 lacinie di forma ovata e una corolla con cinque petali.
I cinque stami hanno le antere rosse e sono opposti ai cinque sepali del calice.
L’ovario è formato da tre carpelli che assumono una forma a clava.
Terminata la fase della fioritura, spuntano dei “grappoli” di piccoli frutti, delle bacche a forma di piramide a base triangolare, di colore marrone, contenenti piccoli e numerosi semi gialli provvisti di un pennacchio piumoso che favorisce la disseminazione anemocora.

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La moltiplicazione avviene per seme in primavera o per talea legnosa in autunno.
In natura la tamerice si moltiplica mediante auto disseminazione visto che produce una miriade di semi trasportati dal vento anche lontano dalla pianta madre. È frequente trovare delle piccole piantine nei pressi di grandi esemplari.
L’ areale di distribuzione della Tamerice va da 0 a 800 metri sul livello del mare.
Ama gli spazi nelle zone costiere, sulle rive del mare, ma anche lungo i corsi d’acqua, sui greti e sui terreni ghiaiosi e fangosi.
Un folto cespuglio di Tamerice gallica è cresciuto davanti al mare della Poliscia, a Licata, e protegge l’edicola di Santa  Barbara.

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La Tamarix gallica è coltivata come pianta ornamentale per abbellire i viali del lungo mare e particolarmente adatta alla costruzione di barriere frangivento nei giardini in vicinanza del mare con lo scopo di formare una linea di difesa dai venti, dalla salsedine, e dagli spruzzi d’acqua di mare.
E’ una pianta longeva, rustica e pioniera e non richiede grandi cure di coltivazione.
Generalmente non necessita di irrigazioni, anche se è consigliabile annaffiare gli esemplari giovani in caso di prolungati periodi di siccità.
Le piante adulte si accontentano delle acque piovane.
Non necessita neanche di concimazioni.
Gradisce vegetare su suoli poveri, sabbiosi, ma anche su quelli argillosi ben drenati. Tollera bene una diffusa presenza di sale nel terreno, elemento presente nelle zone marine.
Predilige essere esposta in un luogo dove possa ricevere la luce del sole per diverse ore al giorno. Resiste ai venti e alla salinità.
Tutte le Tamerici, piante di lunga vita, spesso formano una ramificazione secca. E’ quindi consigliabile intervenire con delle potature regolari, finalizzate al ringiovanimento del legno così da permettere la crescita di una chioma più equilibrata.
La potatura va effettuata nel mese di febbraio per quelle specie di tamerici che fioriscono sui rami dello stesso anno.
Va praticata immediatamente dopo la fioritura.
Le Tamerici, in genere, vengono attaccate degli afidi o dal ragnetto rosso.
Inoltre, soffrono il mal bianco o oidio, causato dall’ascomicete Sphaerotheca macularis, se il clima è eccessivamente umido, e le carie del legno causate dal fungo Polyporus.
Temono anche l’attacco dello Zeuzera pyrina e Cossus cossus, il rodilegno, le cui larve scavano vistose gallerie nel tronco e sui rami, e dell’omottero Metcalfa pruinosa, un piccolo insetto bianco, simile a una farfallina, che salta da una pianta all’altra.
Esso si nutre della linfa della pianta digerendo solo la parte proteica ed espellendo la parte zuccherina sotto forma di melata appiccicosa che ricade sulla pianta con la probabilità di fare sviluppare la fumaggine di origine fungina e di attirare le api.
I beduini ancora oggi, una volta che si è indurita ed è caduta al suolo, la raccolgono e la impiegano in sostituzione dello zucchero.
Pochi sono gli usi delle parti della pianta. Dalla corteccia si estraggono sostanze tanniche.
Pur essendo piante mellifere, bottinate dalle api, producono miele in piccole quantità.
Ricordo che imparai a memoria, (che fatica!), quando frequentai la Scuola Media “Tommaso Aversa” a Mistretta, i versi della poesia
La pioggia nel pineto”, di Gabriele D’Annunzio.

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove sui mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
sui ginestri folti
di coccole aulenti,
piove sui nostri volti
silvani,
piove sulle nostre mani
ignude,
sui nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
l’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come un foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancora trema, si spegne,
risorge, treme, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontane,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i malleoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove sulle nostre mani
ignude,
sui nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione

(Gabriele D’Annunzio 19°-20° secolo)

“La pioggia nel pineto” è una lirica  contenuta nell’Alcyone, una raccolta di poesie che il poeta Gabriele D’Annunzio scrisse tra il mese di giugno del 1899 e il mese di novembre del 1903, quando dimorò nella celebre Villa La Versiliana immersa nel verde della pineta a Marina di Pietrasanta in Versilia.

 

 

 

Jun 22, 2020 - Senza categoria    Comments Off on L’APTENIA CORDIFOLIA DAI BEI FIORI ROSSI STELLATI IN UN’AIUOLA DI UNA STRADA A LICATA

L’APTENIA CORDIFOLIA DAI BEI FIORI ROSSI STELLATI IN UN’AIUOLA DI UNA STRADA A LICATA

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E’ stata una piacevole sorpresa scoprire e osservare questo insieme di piante poste in un’aiuola nella via  P. Micca a Licata che abbelliscono il muro che le sostiene.
Sono emersi tanti ricordi!
Anch’io ho coltivato questa specie nel giardino della mia campagna a Licata, ma, purtroppo, è appassita. Per cui, per me, è stata una gioia incontrarla.
La scorsa primavera ho prelevato una talea di ramo, lunga 10/15 cm, e l’ho riportata nella mia campagna.
Ho fatto asciugare la parte tagliata del fusticino per circa 24 ore e l’ho posto a radicare in un vaso col terriccio leggermente umido scegliendo un angolo del giardino molto soleggiato. Ha messo  le radici in pochi giorni. In prossimità delle altre piante nell’aiuola è facile trovare piccole piantine nate da seme essendo una specie autoctona.
Infatti, aspetti interessanti di questa specie sono la sua versatilità e la sua velocità di crescita.
La mia talea sembra che si sia ben inserita.
Il suo nome scientifico è  APTENIA CORDIFOLIA!
Nome Volgare: Pianta di ghiaccio o Erba cristallina. Altri sinonimi sono: Baby Sun Rose, Fiore di mezzogiorno, foglia di cuore, Mela rossa, Roccia rosa, Aptenia, Mesembryanthemum cordifolium.

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L’Aptenia. cordifolia, originaria dell’Africa meridionale, è molto diffusa in tutta l’area mediterranea, .soprattutto in Sudafrica.
Vegeta bene nelle zone a clima temperato. ,
Appartenente alla famiglia delle Aizoaceae,è  una pianta con portamento prostrato, tappezzante, succulenta, perenne.
Possiede un sistema di radici fibrosi e spesso carnose e i fusti, molto ramificati e confusi, carnosi, alti circa 7-10 cm, fuoriescono direttamente dal terreno e portano numerose piccole foglioline carnose, morbide al tatto, spesse e turgide a forma di cuore, con apice appuntito, di un bel verde lucido, che brillano al sole.

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Dall’inizio  della primavera e fino all’estate produce numerosissimi piccoli fiori solitari, all’ascella delle foglie, di colore rosso ciclamino, formati da petali allungati e sottili. Se la temperatura è mite la fioritura può durare quasi tutto l’anno.  

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I numerosi semi fertili sono racchiusi in piccole capsule semilegnose e si possono seminare in primavera. Si raccolgono dopo che il fiore è appassito e la capsula è diventata dura. La moltiplicazione avviene, oltre che per seme nel periodo aprile- maggio, anche per divisione dei cespi e per talee di fusto, che radicano con facilità, tanto da poter essere interrate direttamente a dimora.
L’Aptenia cordifolia è largamente utilizzata per tappezzare le zone rocciose del giardino, per abbellire i muri e i davanzali delle finestre, ma si può coltivare anche in vaso come pianta ricadente. Forma bellissimi cuscini, fitti e ordinati. Vigorosa nella crescita, tende a riempire tutto lo spazio a sua disposizione abbastanza rapidamente.
L’Aptenia cordifolia  è una pianta facile da coltivare.
I suoi Habitat preferiti sono i terreni ben drenati, sabbiosi e non troppo aridi. Necessita di terreni ben drenati e sabbiosi. Ha un’elevata tolleranza al sale, per questo motivo può vivere in zone costiere a ridosso del mare. Preferisce le posizioni molto soleggiate, dove la fioritura è abbondante, vegeta bene anche a mezz’ombra e all’ombra, ma la produzione dei fiori è  meno abbondante..
Resistente alla siccità, può sopportare lunghi periodi senza essere annaffiata accontentandosi delle acque piovane anche se, talvolta, le abbondanti piogge invernali potrebbero provocare marciumi radicali. Si consiglia di annaffiare sporadicamente, da giugno a settembre, aggiungendo del concime liquido per piante da fiore. Evitare comunque ristagni idrici.
In genere, può sopportare temperature vicine ai -5°C e tollera temperature alte.
Per favorire l’emissione di nuovi germogli e prevenire l’invecchiamento della pianta è consigliabile effettuare una leggera potatura dei rami più spogli o che tendono a lignificare.
L’Aptenia cordifolia teme l’attacco della cocciniglia, degli afidi e degli acari Se coltivata in piena terra, potrebbe essere rovinata dalle lumache.
Una curiosità: Sia i fiori sia le foglie della pianta sono eduli e trovano impiego come condimento nelle insalate com,e in Brasile dove l’Aptenia cordifolia è coltivata come verdura. Sembra, infatti, che le sue foglie siano commestibili

Jun 10, 2020 - Senza categoria    Comments Off on LE PIANTE DI NERIUM OLEANDER CHE ABBELLISCONO IL TERRITORIO DI LICATA

LE PIANTE DI NERIUM OLEANDER CHE ABBELLISCONO IL TERRITORIO DI LICATA

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E’ sufficiente attraversare la città di Licata e le campagne circostanti per osservare le numerose piante di Nerium oleander che abbelliscono il territorio.

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Si ammirano nei viali della città, nelle strade, nella villa “Regina Elena”, nei giardini privati e anche nei balconi, davanti alla chiesetta della Beata Vergine  Maria  delle  Sette Spade.

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Soprattutto in questo mese di maggio 2020 l’abbondante fioritura dell’Oleandro, dai fiori di diverso colore,  rende il paesaggio molto piacevole.

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L’Oleandro, nome scientifico “Nerium Oleander”, alludendo alla somiglianza delle sue foglie con quelle dell’olivo, appartenente alla famiglia delle Aponynacee, è una pianta originaria dell’area mediterranea, in particolare dell’Europa e dell’Asia dove cresce allo stato spontaneo come arbusto o come albero sempreverde. E’ diffusamente coltivato a scopo ornamentale per la bellezza della sua fioritura, che è continua dall’inizio della primavera fino alla fine dell’autunno, e per l’aspetto decorativo del fogliame sempreverde.
Il termine  Oleandro deriva dal latino “Arodandrum”, originato, a sua volta, dal vocabolo greco “ροδοδένδρον“, “pianta rosea”  in riferimento alla somiglianza dei suoi fiori, nel colore e nella morfologia, a quelli delle specie del genere Rhododendron.
Il nome popolare di “Mazza di San Giuseppe” prende origine dal racconto dei libri Apocrifi secondo i quali gli aspiranti alla mano della Vergine Maria dovettero depositare una verga sull’altare. Il bastone di Oleandro, portato da San Giuseppe e deposto sull’altare, germogliò facendolo scegliere come padre putativo di Gesù Bambino.
Noto ai greci e ai romani per la sua velenosità, Ovidio ne “Le Metamorfosi” racconta che Lucio Apuleio, protagonista e narratore, trovandosi in Tessaglia per affari, è stato ospitato da Milone e da sua moglie, la maga Panfile.
Procuratosi un unguento magico, che sapeva di aver trasformato Panfile in uccello, Lucio, però, si trasformò in asino.
Dei ladri, che saccheggiarono la casa di Milone, caricarono anche l’asino Lucio, frutto del loro consistente bottino. Giunto alla caverna dei briganti, Lucio ascoltò la favola di Amore e Psiche narrata da una vecchia ad una fanciulla rapita. Sconfitti i briganti dal fidanzato della ragazza, Lucio cambiò molti padroni subendo ogni tipo di tormento.
Un giorno, addormentatosi sulla spiaggia di Cencree, sognò la dea Iside che gli indicò il rimedio per riprendere le sembianze umane: quello di cercare affannosamente dei fiori di  Rosa.
Ingannato dalla somiglianza dei fiori, stava per mordere una pianta, ma, da esperto botanico, egli riconobbe l’Oleandro i cui fiori erano velenosi per gli asini. Velocemente si allontanò.
L’Oleandro è un vegetale comune e inconfondibile della flora della macchia mediterranea dove, stagionalmente, trova l’umidità necessaria. Prospera particolarmente lungo i corsi d’acqua, negli alvei dei torrenti, nei laghi, s’insedia sui suoli sabbiosi alla foce dei fiumi e lungo le loro rive, sui greti sassosi formando spesso una fitta vegetazione.
S’inoltra all’interno montuoso fino a 1000 metri d’altitudine. Nel giardino di Mistretta un piccolo e giovane albero sta cercando di adattarsi ad un ambiente non proprio favorevole vicino alla nuova sorgente d’acqua.

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L’Oleandro è una specie termofila ed eliofila abbastanza rustica. E’ coltivato in tutta Italia a scopo ornamentale per abbellire i giardini, le strade e le autostrade.
L’Oleandro ha un portamento arbustivo o ad alberello raggiungendo l’altezza di qualche metro. Presenta fusti generalmente poco ramificati che partono dalla base, dapprima eretti, poi arcuati verso l’esterno.

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I rami giovani sono verdi e glabri. I fusti e i rami vecchi sono ricoperti da una corteccia di colore grigiastro. Le foglie, modificate per ridurre la traspirazione, con stomi affondati e ricoperti di peli, di colore grigio verde, lisce, coriacee, disposte a verticilli di due o di tre, brevemente picciolate, hanno la lamina lunga, lanceolata, acuta all’apice, il margine intero e la nervatura centrale robusta e prominente.

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I fiori, ermafroditi, sono grandi, vistosi, a simmetria raggiata, disposti in cime terminali all’apice dei rami. Il calice è diviso in cinque lobi lanceolati. La corolla, gamopetala, tubulosa, suddivisa pure in cinque lobi, è di colore roseo più o meno carico, o rosso carminio, o bianco nelle forme spontanee, dal delicato profumo amaro.

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L’androceo è formato da cinque stami, le antere portano una piccola coda lunga, barbata e contorta a spirale. L’ovario, supero, è formato da due carpelli pluriovulari.
La fioritura è abbondante e avviene da aprile a maggio. Si devono rispettare i polloni giovani, che crescono ogni anno al piede della pianta, perché da essi avranno origine i fiori dell’anno successivo. Il frutto, vistoso, di colore bruno-rossastro, è un follicolo fusiforme, stretto, allungato fino a 15 centimetri. A maturità, si apre longitudinalmente lasciando fuoriuscire i semi. Il seme è munito di un pennello di peli sericei disposti ad ombrello per favorire la disseminazione anemocora così da farsi trasportare dal vento anche per lunghe distanze.

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 La moltiplicazione avviene anche per talea. Un metodo molto semplice di moltiplicazione è quello di mettere un giovane ramo in una bottiglia piena d’acqua e di esporla al sole finché non spuntano le radici. Quindi, il ramo radicato s’interra in un vaso contenente del terriccio fertile.            L’Oleandro si adatta bene a un tipo di suolo generoso e ben drenato. Trae vantaggio dall’umidità del terreno rispondendo con uno spiccato rigoglio vegetativo, tuttavia possiede caratteri xerofitici che gli permettono di resistere anche a lunghi periodi di siccità.
Per assicurare copiose fioriture, è importante provvedere ad irrigazioni frequenti durante il periodo estivo. Inoltre, bisogna potare le piante giovani per ottenere l’infoltimento della chioma. Predilige luoghi caldi ed esposti al sole perchè è sensibile al freddo e, se coltivato in zone ove si prevedono gelate, va posto al riparo di muri e di altre piante. Resiste bene al vento. La pianta di Oleandro si può ammalare, deperire e anche morire se viene attaccata da parassiti di cui il più temibile è la Cocciniglia che attacca prevalentemente la pagina inferiore della foglia e che si riproduce durante tutto l’arco dell’anno.
L’Oleandro è una pianta conosciuta per la sua notevole tossicità. Tutte le parti sono tossiche per l’Uomo e per qualsiasi altro animale, compresi il fumo ottenuto dalla combustione e l’acqua in cui sono state immerse. Se ingerite, causano tachicardia con aumento della frequenza respiratoria, disturbi gastrici, disturbi nel sistema nervoso centrale, sonnolenza, allucinazioni.
Responsabile della tossicità è l’oleandrina, ma l’Oleandro contiene una serie di altri principi tossici che si conservano anche dopo l’essiccamento. Le specie animali più colpite sono gli equini, i bovini e i piccoli carnivori. La morte sopraggiunge per collasso cardio-respiratorio solo quando se ne ingeriscono abbondanti quantità. In persone sensibili il contatto con foglie e con fiori può determinare fenomeni di dermatite, pertanto, in via precauzionale, è bene detergere subito le mani. La storia racconta che diversi soldati delle truppe di Napoleone, durante le campagne militari in Italia, morirono per essere stati avvelenati dalle carni cotte alla brace su spiedi ottenuti dal legno dei rami dell’Oleandro.
Per una nota di buon umore è bene sapere che un fascio di Oleandri in fiore regala una notevole scorta di “ottimismo e di allegria” e predispone al desiderio di “essere in compagnia”.

 

 

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