Jun 19, 2017 - Senza categoria    Comments Off on PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI POESIE “Ri ranni uògghiu fari u picciriddu” “ Intra nni mia si pallava u sicilianu” DEL POETA GAETANO SPINNATO

PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI POESIE “Ri ranni uògghiu fari u picciriddu” “ Intra nni mia si pallava u sicilianu” DEL POETA GAETANO SPINNATO

Per gli innumerevoli eventi culturali che si verificano a Mistretta quasi tutto l’anno, luoghi confortevoli e disponibili sono: il palazzo della cultura Mastrogiovanni-Tasca, anche sede della biblioteca comunale, il Circolo Unione, la Società Fra i Militari in Congedo di Mutuo Soccorso, la Società Agricola, la Società Operaia, il Liceo Classico “Alessandro Manzoni”.
Giovedì, 1 Giugno 2017, presso la sede del Liceo Classico “Alessandro Manzoni” di Mistretta, nella prestigiosa Aula seminariale intitolata alla prof.ssa “Graziella Idolo”, è stato presentato il libro di poesie “Ri ranni uògghiu fari u picciriddu” “ Intra nni mia si pallava u sicilianu”. Edito da Youcanprint.
Autore è il poeta e scrittore dialettale amastratino Gaetano Spinnato
Gaetano Spinato ha già pubblicato un libretto di racconti dal titolo “ L’odore del tempo”, una raccolta di proverbi in uso a Mistretta dal titolo “A mièrcu cunfusu”, il  libro di poesie in lingua italiana dal titolo “Il vento tra i papaveri”.
Ri ranni uògghiu fari u picciriddu” “ Intra nni mia si pallava u sicilianu” costituisce la sua prima raccolta scritta in dialetto siciliano.

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Gaetano ad un anno d’età

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L’evento è stato organizzato dall’Associazione Kermesse d’Arte in sinergia con la Presidenza dell’I.I.S “Alessandro Manzoni“e con  il Centro Culturale Big Bang Materoma.
Sono intervenuti: la prof.ssa Antonietta Amoroso, dirigente Scolastico, il Prof. Sebastiano Lo Iacono, relatore,  il sig. Dino Porrazzo, presidente dell’Associazione Kermesse d’Arte, Gaetano Spinnato, il poeta.

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Ha introdotto i lavori  la prof.ssa Antonietta Amoroso, che ha ringraziato il Presidente dell’Associazione Kermesse d’Arte, il signor Dino Porrazzo, che ha anche coordinato i lavori, per avere scelto la sede del Liceo Classico “Alessandro Manzoni” per questo importante evento qual è per la presentazione del libro di Gaetano.

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Da sx: Sebastiano Lo Iacono, Gaetano Spinnato, Antonietta Amoroso, Dino Porrazzo

Il vicesindaco e assessore alla cultura, avv. Vincenzo Oieni, dopo aver portato i saluti del sindaco, avv Liborio Porracciolo e dell’Amministrazione Comunale, nel suo intervento ha messo in luce il valore del dialetto siciliano nella nostra tradizione popolare, ha incoraggiato i giovani, soprattutto gli studenti, a non dimenticare la nostra sicilianità arricchendo la lingua di antichi vocaboli attraverso la lettura del testo  del poeta e scrittore Gaetano Spinnato.
Gaetano Spinnato è nato a Mistretta, dove vive e lavora svolgendo scrupolosamente il suo lavoro di infermiere professionale nell’Ospedale “SS.mo Salvatore”.

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Appassionato di cultura e tradizioni popolari, Gaetano scrive racconti e poesie in lingua italiana e in dialetto siciliano.
Ampia relazione sulla poesia e, in particolare sulla poesia di Gaetano Spinnato, è stata esposta dal prof. Sebastiano Lo Iacono nella sua presentazione al libro e integralmente trascritta.
Il dialetto che si fa carne  in cammino verso il centro del Sé:
Gaetano Spinnato sente la sua-propria lingua-dialetto primaria prima che dialetto e lingua diventino suono/phoné, grafia/grafema, scrittura. C’è una lingua-dialetto prima della lingua dialetto che chiamerei pre-lingua: quella in cui si nasce, in illo tempore, e che risale al tempo del mito, dell’infanzia e delle radici materne-paterne. Questo tempo astorico, fuori dalla storia, è ancora tempo attuale-esistenziale; sicché quell’illo tempore è ancora il tempo di qui e di ora: il tempo dell’hic et nunc, dove l’esserci è esserci ancora.  Il mito, difatti, è il semprepresente.
Le poesie, e alcuni racconti di Spinnato che precedono questa raccolta di versi in dialetto siciliano di Mistretta, e aldilà della occasione, di cui mi ha onorato e gratificato, di farne una presentazione, suscitano la sensazione e la convinzione seguenti: quelle di una lingua primaria prima della lingua, nonché quella dell’esistenza di un linguaggio antecedente a ogni formalizzazione-codificazione del linguaggio che ci parla e che si parla o si scrive prima che ogni parola diventi suono e poi scrittura.
Stessa impressione estetica suscitava la collezione di antiche parole, modi di dire e proverbi della cultura famigliare, contadina e popolare che lo stesso Spinnato pubblicò, qualche tempo fa, intitolandola “A mièrcu cunfusu”.
Anche lì il dialetto precorre la scrittura e se diventa scrittura è solo un accidente casuale, essendo che quel linguaggio è linguaggio delle radici, dell’anima, della patria dell’anima prima di diventare linguaggio cosciente cognizione della coscienza del linguaggio codificato.
C’è, ordunque, in Spinnato un codice linguistico che parte dall’interiore più intimo e che, volendo, potrebbe fare a meno di ogni grammatica, essendo che le trame dell’anima e il brodo primordiale della lingua non hanno bisogno di grammatica e sintassi.
La sua scelta di corredare le composizioni in dialetto con la versione in italiano, cosa da accettare e rispettare, va accompagnata dalla modesta avvertenza da parte di chi “non condivide, ma si adegua”, e che si è limitato esclusivamente alla trascrizione ortografica e fonetica quanto più possibile corretta.
Spinnato attinge al parlare materno-paterno con un’intensa vis poetica che commuove: essendo che commuovere ha alcunché in comune con patire e com-patire e che patire deriva da pathos, termine che indica non uno stato di sofferenza, bensì una condizione del sentire empatia con le parole che si fanno corpo, carne, sangue e anima, in una dimensione anteriore che precede il diventare segno ovvero significante di un significato.
Andrea Camilleri, scrittore e regista di teatro, televisione e radio, e Tullio De Mauro (quest’ultimo recentemente scomparso, con grave perdita per la cultura italiana), docente di Filosofia del Linguaggio e Linguistica, citando Luigi Pirandello, hanno scritto che lo scrittore e drammaturgo agrigentino affermava che «la parola del dialetto, essendo sempre la lingua degli affetti, è la cosa stessa, perché il dialetto di una cosa esprime il sentimento, mentre la lingua di quella stessa cosa esprime il concetto>>.
Avviene così in Gaetano Spinnato, il cui dialetto fa diventare cose concrete e carnose le stesse parole allorché le parole esprimono cose e sentimenti.  Anche Juan Ramón Jiménez, scrittore spagnolo, premio Nobel 1956, aggiungeva così:

«Que mi palabra sea la cosa misma».

Con accostamento ardimentoso si può richiamare il «Verbo che si è fatto carne3» del Vangelo di Giovanni, poiché in Spinnato, difatti, il dialetto si fa carne e ci abita dentro, ovvero in  a; direi meglio: è carnoso, perché, in quanto tale, è sentire, patire, compatire, sentireinsieme, empatia e, infine, struggimento nostalgico per un dialetto dell’esserci che ormai non c’è più: che c’era e ci fu e che, giorno dopo giorno, viene ucciso dai parlanti e dai linguaggi che dominano gli strumenti, osceni e triviali, della contemporaneità mass-mediale.
Le parole morte sono la morte delle parole: sono le parole senza vita, di cui Spinnato è cosciente e a cui egli tenta disperatamente di ridare vita o forse una parvenza di vita.  Stesso compito immane tentò di fare, e ci riuscì magistralmente, Enzo Romano nelle poesie, nei racconti, nelle fiabe e nelle indagini etnologiche ed etnografiche sul campo.
Ci riesce altresì Spinnato che possiede una poeticità innata ovvero congenita, che nasce dal sentire le parole come cose, sangue e carne, prima ancora che come suono, fonema e grafema.
Le parole di Spinnato sono le mie/le nostre parole: appartengono a quello che egli chiama vocabolariu râ terra.
Questo lessico della terra, che è fatto di parole del mondo famigliare, contadino e pastorale (panza satr
a, minni tisi, manu ca ddusi, mussi chjaiàti, carcàra, çiaur’i pani c’acchjana râ vanedda, sceccu rû viddanu, ramàgghje, cannistru, faìddi, surcu, piratuòzzu, ecc.), al cui centro del centro, per così dire, emerge il rito quasi religioso della madre che impasta il pane e che, appena sfornato, lo bacia, è stato liquidato e ucciso, senza che ce ne siamo resi conto, davanti l’altare non sacro della televisione, dove si consumava, nelle comunità familiari, un altro rito profano: quello allorché quel mondo, fatto di cose piccole (genti nica cu picca  pani, picca sordi e tanto cuore), si disponeva a seguire Carosello.
Spinnato risente il dolore della nostalgia verso quell’universo contadino, dove il piccolo e il poco erano buoni e belli: il padre che torna dalla campagna con un “tuòzzu” di pane “nnâ sacchetta”, che se “ppicca era, ancora cchjù ppicca cci-abbastava”, e la leggerezza dell’essere delle “cosi nichi pî ggenti nica e cu picca çiàtu”.
Gaetano Spinnato non scrive per fare letteratura: scrive per dire le parole della nostra carnalità dialettale che sono impastate di terra contadina.
Facendo una comparazione si può asserire che il dialetto di Spinnato è carnoso e -ripeto- pre-linguistico; quello della oralità di Vincenzo Rampulla, noto poeta popolare Mistretta, appare più essenziale e scarno; mentre quello di Enzo Romano, altrettanto noto nella koinè mistrettese come poeta, scrittore e antropologo, è stato, nella perfetta riproduzione della oralità-phoné, più raffinato (nel senso di depurato, fine, purificato), senza nulla togliere a quello di Spinnato, che è conglutinato alla sua essenza di parlante un dialetto demotico con connotazioni da lessico famigliare.  Lo conferma egli stesso, allorché scrive, nel sottotitolo di questa raccolta di versi «intra
nni mia si pallava u sicilianu», laddove «intra» va intesa come locuzione che sta per casa, famiglia, nucleo familiare, luogo fisico domestico, ma anche centro principale della vita, culla.
Non a caso Spinnato scrive le parole ma
tri e patri  con la maiuscola.
È dentro questo habitat che nasce la poesia degli affetti famigliari di Spinnato, anche laddove dice alla figlia «rimmìllu quantu mi vò-bbeni», chiedendole, in maniera per così dire retorica, di non nascondere («nun’ammucciari») un amore che dilata cielo, terra, mare e che partì dal primo abbraccio, caldo come quello che c’è nel grembo prima materno e poi sotto il mantello del principe paterno: poiché è qui che i figli diventano le cose primarie, come primario è il parlare in dialetto, essendo che siamo figli di una lingua madre e paterna: e se siamo figli, parafrasando ancora da un altro contesto più notevole, «siamo anche eredi», cioè discendenti e altresì depositari di una lingua che non andrebbe sepolta definitivamente, come avviene per effetto dello straniamento-spaesamento linguistico determinato dal fenomeno dell’emigrazione-immigrazione e dell’omologazione linguistica dei parlanti.
Il dialetto di Spinnato odora di pane di casa e vastedd
e: quindi prima di essere voce è altresì aroma, profumo di terra, di campagna, di funghi, di cicorie, di fiori gialli del cavulazzu; quindi ancora prima di essere melodioso, essendo -come dicevo- carnoso- è anche odoroso.
Profuma -paradossalmente- di parole defunte che chiedono rinascita ovvero risurrezione.
Il dialetto, in quanto tale, è anche musica, è acqua della memoria; non è ignoranza; non è più usato, come un tempo, in quanto codice di stampo demotico, dalle cosiddette ggentiscarsi, rispetto alle cosiddette ggentibbuòni (che parlavano l’italiano); il dialetto non si connota e non ci denota più come classe sociale inferiore; il dialetto è pietra, è cultura, è ritornare all’infanzia onde ripristinare la condizione edenica di un paradiso perduto: quella di essere, ri-essere e rinascere ancora picciriddu
: sicché nella figura retorica dell’ossimoro contenuta nel titolo (ri ranni uògghju fari u picciriddu) c’è tutto il senso di un fare poesia che intende contenere il massimo nel minimo, il grande nel piccolo, il futuro nel passato, il niente nel tutto e non viceversa.
Il picciriddu rispetto all’adulto è come la luce rispetto al raggio di luce o come il raggio di luce rispetto all’oscurità.
Ma il picciri
ddu ha questo potere fondante perché va rifondato continuamente dentro di noi e poiché ha ricevuto fondamento ontologico e sicurezza di figlio-bambino non in sé stesso, bensì nelle figure della Madre e del Padre (non a caso -ripeto- scritti con la maiuscola). Dentro il mantello del principe, che è il padre, il picciriddu è divenuto ora anch’egli padre per la madre anziana.
Essere padre per la madre di cui si è stati figli, come scrive Spinnato, è direi stupendo e quasi sublime: «ora ri figghju t’add
ivintai Patri… Matri Mia».
La lingua dell’infanzia di Spinnato è fatta di onomatopee («Cilì… Cilì… Cilì… Ciliiitra»: tipico richiamo per le galline (che c’è in Enzo Romano, e che Spinnato riprende), lallazioni, giochi fonetici e consonantici, che appartengono, appunto, alla fase prelinguistica non solo dei neonati, bensì di tanti poeti dialettali, la cui lingua è lingua melodica, e dove il canto serviva anche a cullare, addormentare, favorire il sonno e i sogni.
E se il mondo è attraversato dalla fiumana del “cattivo presente” (guerre -ce ne sono attualmente in corso 35-, bombe nella Terra dove nacque Gesù, bambini-soldato, emigrazione, povertà, sottosviluppo, dramma epocale dei profughi: fenomeni di cui nei versi di Spinnato c’è la coscienza e l’interiorizzazione soggettiva) c’è da fare un sogno insieme, affinché sognare non sia inutile e affinché le parole trasmesse ed ereditate possano ritornare a rinascere come parole bambine, non più parole in croce per la Croce, bensì parole di speranza per la speranza:

«Vitti n-mmunnu nìuru cuòm’a pici;
canuscìi cristiani chi chjanciènu muòrti senza cruci,
picciri
ddi cuòmu çiuri mai liàti,
appizzati ê minni sicchi ri so matri.
Verri e sciarri tra puopuli e famigghje,
malatie assicutati ri na luntana miricina.

Nun zunu cannuna e-bbumme l’armi chjù putenti;
ri l’odiu u cori s’av’a
ddisarmari nnî la genti.
Nun zervi sunnari quannu u suònnu è sularinu;
u suònnu ri unu sulu n’eri nenti:
sunnari tutti nzièmi eri mpurtanti.
E mi sintìa u cori ncutr ugnutu.
… U munnu m-po’ canciari quann’u cori
rormi senza chi si ferma… e iu u cori l’avìa pirdutu.

Picciuttieddu, iu n zugnu cchjùe nenti… u tièmpu mi vincìu.
Ma chi palori chi ora passai a-ttia,
attruvai u cori, a spiranza… mi turnau a puisia».
Sono questi di cui sopra i versi e queste le parole che Spinnato immagina di ricevere in consegna come eredità di un’eredità da un anziano patriarca, incontrato nelle montagne dei Nebrodi, forse il noto Rrimìtu di contrada Funtanamurata, che coltivò il dialetto e la poesia orale, come Gaetano Spinnato coltiva e zappa le stesse parole perché sono parole che sanno di terra e di poesia.
Il dialetto di Gaetano Spinnato, dunque, è un ritornare in
tra nni mia ovvero dentro se stessi, è un rientrare; è ancora un cammino verso il dentro che è un cammino verso il centro, il cosiddetto Sé più profondo, ovvero ancora il cuore, ossia l’interiorità, altresì l’omphalòs dell’esserci nel mondo: intra, rintra, dentro e centro sono il luogo dell’esistenza autentica: al di fuori di queste centralità c’è, invece, l’esistenza inautentica, frammentata e alienata dal centro, tipica dell’uomo contemporaneo, cosiddetto post-moderno; sicché ritornare alle parole antiche è un rimpatriare  non indietro nel tempo astorico del trapassato remoto, essendo fattualmente impossibile (picchì u tièmpu, cuòmu n çiumi nchjna, chjurìu tanti porti), bensì un ritornare alla verità che può divenire futuro anche storico, cioè mondo da trasformare; è un ritornare senza ritorno al bambino che si è e che siamo stati, cioè al picciriiddu che sta al centro del nostro esserci autentico.  È lo stesso percorso indicato da Blaise Pascal allorché parla di «s’abêtir», cioè farsi semplice d’animo, come interpretano e traducono autorevoli commentatori del filosofo, cioè ancora un «retourner à l’enfance, puor atteindre les vérités supérieures qui sont inaccessibles à la courte sagesse des demi-savants»: andare oltre la ragione dei mezzi-sapienti, non contro la ragione; ed è da qui -dalle ragioni della poesia e del cuore- che si diparte la nostalgia del Paradiso perduto di Gaetano Spinnato: che può essere ritrovato ritornando picciriddi.

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Emozionato, ma entusiasta per le lodevoli parole, alle quali ormai è abituato, Gaetano ha ringraziato la prof.ssa Antonietta Amoroso per la calorosa accoglienza nell’avere messo a disposizione  la sala “Graziella Idolo”, il prof. Sebastiano Lo Iacono, per la sua erudita relazione, il presidente dell’Ass.ne Kermesse d’Arte Dino Porrazzo, per avere promosso l’evento, l’assessore alla cultura Vincenzo Oieni, per le sue stimolanti asserzioni, i numerosi amici presenti che hanno calorosamente applaudito.

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Foto di Emanuele Coronato

 “ A sdata rù lagnudu” è la poesia letta dall’autore

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Il giornalista Giuseppe Salerno, su “Nebrodi News”, ha scritto: ”Da ciascuna poesia di Gaetano Spinnato emerge un posto speciale, un piccolo mondo perfetto, quello che ha visto per primo ed amerà per tutta la vita: il posto dove è nato e cresciuto. Posto del quale il poeta conosce ogni suono e ogni profumo, che lo affascina e lo rassicura. In cui ogni cosa parla il suo stesso linguaggio, per molti incomprensibile, che lui comprende e racconta straordinariamente perché gli appartiene.
E’ la sua città. La nostra città. E’ Mistretta!

Gaetano Spinnato, per quanto riguarda la selezione dialettale, ha riscosso numerosi successi partecipando a vari concorsi letterari di poesia e di narrativa a livello regionale e nazionale.

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 Ripetutamente i racconti di Gaetano Spinnato, scritti in dialetto siciliano, sono stati apprezzati e premiati dalla Giuria del Concorso Letterario “Maria Messina”  istituito dall”Associazione “Progetto Mistretta” e giunto alla XIV edizione.

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