Sep 11, 2016 - Senza categoria    Comments Off on PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI POESIE “LE SEQUENZE DEL CUORE” DEL POETA ANTONIO OIENI NELLA SEDE DELLA SOCIETA’ OPERAIA A MISTRETTA

PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI POESIE “LE SEQUENZE DEL CUORE” DEL POETA ANTONIO OIENI NELLA SEDE DELLA SOCIETA’ OPERAIA A MISTRETTA

Per gli innumerevoli eventi culturali che si verificano a Mistretta in quasi tutto l’anno, luoghi confortevoli e disponibili sono: il palazzo della cultura Mastrogiovanni-Tasca, anche sede della biblioteca comunale, il Circolo Unione, la Società Fra i Militari in Congedo di Mutuo Soccorso, la Società Agricola, la Società Operaia.

Sabato, giorno 8 agosto del 2016 nella prestigiosa sala delle feste della  Società Operaia di Mutuo Soccorso a Mistretta

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 è stato presentato il libro di poesie “LE SEQUENZE DEL CUORE” del poeta  Antonio Oieni, pubblicato da Alletti Editore.

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 Ha introdotto i lavori  il Giuseppe Sgrò,  vicepresidente della Società che, a nome del presidente, il signor  Mario Lutri,  ha  ringraziato Antonio per avere scelto la Società Operaia come luogo adatto per la presentazione del suo libro. Ha, inoltre,  portato i saluti di tutti i soci del sodalizio.

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 Hanno relazionato il prof. Francesco Cuva e il prof. Sebastiano Lo Iacono. Ha coordinato l’evento la  dott.ssa Rosalinda Sirni.

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Francesco Cuva

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Presente  l’ass.re alla cultura l’avv. Vincenzo Oieni.

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Antonio Oieni,  nato a Mistretta il 25 marzo 1968, ha sempre rivolto la sua attenzione alla Natura, laureandosi in Scienze Naturali presso l’ateneo palermitano, lodandola nelle sue poesie che ha avuto il dono di saperle comporre fin dalla sua giovane età. Linea conduttrice delle sue odi  non è solo l’amore per la Natura, ma anche i sentimenti e i ricordi della sua fanciullezza.

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Antonio ha partecipato a diversi concorsi di poesia: nel 2014 al premio letterario di poesia dialettale “Enzo Romano”  con la lirica “I vuci ru core“Le voci del cuore”;
con la lirica “Il desiderio di una creatura” ha attenuto il 4° posto al concorso “Una poesia per la vita” preparato dal centro Italiano Femminile di Mistretta il 13 settembre del 1998;
con la poesia “Sorsi di speranza” ha partecipato al concorso “Una poesia per la pace”, organizzato dal CIF  di Mistretta, classificandosi al secondo posto il 14 settembre del 1999;
nel 2014 ha ottenuto la  menzione speciale con la poesia “E’ tempo” nel premio letterario “Il Federiciano”.
Nell’introduzione al libro il prof. Francesco Cuva così scrive: ” <<Con le sequenze del cuore>> Antonio propone un tema che ha la parola chiave: CUORE. Sceglie la poesia per parlare d’amore considerandola  una compagna con cui sperimentare nuove sensazioni  e vivere nuove emozioni. La poesia è l’amica che gli dà coraggio, conforto e certezze, ma anche l’innamorata con cui dialogare sulla vita e sul destino dell’uomo visto che gli altri legami sono oltre. Il poeta  sceglie come momento d’incontro il crepuscolo, quando le cose si intravedono, quando <<magici  profumi  arrivano  al  naso>>. In tale atmosfera “I segreti bussano al cuore/ e il cuore li libera al cielo”.
Nel crepuscolo, “strascichi di nebbia” invadono lo spazio conosciuto e si trasformano in “giganti trasparenti” , ovvero il surreale domina sul reale e crea la magia della poesia. Proprio allora si può cogliere l’altra realtà che “svela i segreti”. Nello stato di tensione creativa Antonio si affida alla speranza per dare un senso alla vita, e assapora quegli attimi di felicità che ogni essere insegue giorno dopo giorno: importante è mettersi in sintonia col cuore. All’improvviso, però, finisce di fantasticare e va incontro al vero rappresentato dal vento che gli parla, lo scuote, e che “gli sussurra in segreto parole d’aria”. “Mi parlò il cielo  mi disse: tuffati nel vento e respiralo”.
A contatto con la realtà, il poeta s’inebria del “cielo luminoso come non mai di bagliori trasparenti” e all’alba o nel pieno mezzogiorno gode della luce che dà vita a non si stanca di ammirare “le isole lontane risplendenti d’azzurro oltre i confini invisibili del cielo”. Nella dimensione della luce, offre alla compagna le immagini di bellezza, tante volte ammirate ed amate, “le coniche torri della Dimora di San Vincenzo e dei Tre Soli”, “la Chiesa Madre Castellana intessuta d’arenaria”, segni della storia, fari di civiltà. Gli angoli di pietra rappresentano Astarte, la dea mitica, ma pure il mondo delle favole. E Antonio Oieni ne è il cantore per proteggerli dal respiro profano. Ma ora si accorge che la superficialità dominante nella società lascia che quel  mondo crolli: “Le case abbandonate dai cardini/ arrugginiti, memoria del tempo”.
Il degrado è figlio dell’incuria e della noia ed è sotto gli occhi di tutti, perché “banali pupazzi di paglia” passano il loro tempo in cose futili, perfino disgustose, disumane, mentre “una donna arcana nei lineamenti ritornava lenta nel cuore dei suoi legami di pietra”. Le conseguenze sono disastrose e il poeta ne soffre e non può fare altro che lanciare un’apostrofe: “Le barche ancorate sulla spiaggia/ attendono i pescatori con le reti”. Di fronte a tanta insensibilità, Antonio Oieni, come Montale, cerca un varco scegliendo di valicare i confini di un muro che limitano le aspirazioni degli uomini sensibili. Perciò ricorda a se stesso e agli altri che bisogna superare la fragilità umana conazioni degne di ricordo. Per questa invita il lettore ad issare le vele e a  riprendere il viaggio per scoprire il bello della vita e l’incanto del sogno: “Vennero i giorni in cui /ebbri di futuro/issammo le vele dell’immenso oltre l’orizzonte”.  Oltre l’orizzonte, difatti, non ci può essere altro che l’Uomo-Dio, Gesù, che rinverdisce il cuore “di molle erba, tenera erba di Primavera” e che “incide nel cuore dolci parole: pace, amore, tenerezza”. Dunque Antonio Oieni ha scritto poesie d’amore per la vita, la famiglia, la città, il creato e il Creatore.  Come è nel suo stile, ha scelto un linguaggio lineare, comunicativo, vibrante, e, soprattutto, impreziosito da tante figure retoriche, metafore, anafore, iterazioni allitteranti, apostrofe, che rendono le sue liriche vive e piacevoli da leggere e interessanti per gli spunti di riflessione.
L’assessore alla cultura avv.Vincenzo Oieni, nel suo breve intervento, ha ricordato i suoi primi incontri con Antonio, quando, durante la sua frequenza delle scuole elementari, veniva a trovare il papà Benedetto, valido e apprezzato suo maestro. Sono ricordi della trascorsa fanciullezza essendo entrambi quasi coetanei. Ha conosciuto le qualità poetiche di Antonio anche attraverso la lettura di vari articoli pubblicati sui giornali.
La bravissima Rosalinda Sirni,

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con grande emozione, ha letto due poesie di Antonio:

PROFUMI

Ondeggiano lievi,le tenere foglie dei pioppi,

nel cielo voragini di luce.

Gli odori delle erbe alte e dei fiori dei prati,

arrivano fino alle narici.

Filmate dai miei occhi,

vagano le rondini nel cielo,

in ogni direzione.

Illuminate da sole, descrivono impronte nel cielo,

che subito scompaiono.

Da lontano, vedo le coniche torri,

della Dimora di San Vincenzo

e dei tre Soli d’arenaria.

Da lontano, vedo la Chiesa Madre Castellana

intessuta nell’arenaria.

Ed il cuore rientra nelle dimore…

 

VENNERO I GIORNI

Vennero i giorni in cui,

ebbri di futuro

issammo le vele dell’immenso oltre l’orizzonte.

Non ti dimenticare di questi attimi

-Disse la mente al cuore -.

-E tutti quei giorni entrarono nel cuore.

Ampia relazione sulla poesia e, in particolare sulla poesia i di Antonio, è stata esposta dal prof. Sebastiano Lo Iacono che leggiamo integralmente: << Antonio Oieni ha due virtù che qui attesto, oggettivamente e soggettivamente, e che penso da quando lo conosco: è un “bravo ragazzo intelligente”, e scrive poesie dell’anima. C’è, invece, chi scrive SMS sgrammaticati oppure chi, su Facebook e WatsApp, scrive banalità senza limite e senza ortografia>>.

«A cosa servono i poeti?»

Pablo Neruda, in una sua Ode per Federico García Lorca, scriveva così: «…diciamo semplicemente come sei tu e come sono io:/ a che cosa servono i versi se non per la rugiada? / A che cosa servono i versi se non per quella notte/ quando un pugnale amaro ci scopre, per quel giorno,/ per quel crepuscolo, per quell’angolo rotto/ dove il colpito cuore dell’uomo si dispone a morire?»
La poesia è creazione e può essere pugnalata e incompresa; è una forma d’arte che crea, con la scelta e l’accostamento di parole secondo particolari leggi metriche, un componimento fatto di versi, in cui il significato semantico si lega al suono musicale dei fonemi. La poesia ha alcune qualità della musica e trasmette concetti e stati d’animo in maniera più evocativa e potente di quanto faccia la prosa.
Le poesie di Antonio Oieni hanno questo pregio: sono emozioni veicolate da un suono musicale.
A questi aspetti della poesia se ne aggiunge un terzo quando una poesia, anziché essere letta direttamente, viene ascoltata: con il linguaggio del corpo e il modo di leggere, il lettore interpreta il testo, aggiungendo la dimensione teatrale della recitazione. Nel mondo antico poesia e musica erano spesso unite. Accade così in poesie d’autore sotto forma di canzoni e musiche d’autore. Penso a Fabrizio de André, Roberto Vecchioni, Franco Battiato o Francesco De Gregori.
Le poesie di Antonio Oieni sono musica e canto del cuore, a cui manca la musica musicata; ma hanno un’intrinseca musicalità per raccontarci le risonanze e le sequenze del cuore, e andrebbero recitate.
Solo «la poesia ispira poesia». È così nel caso di Antonio Oieni, dove c’è un candido e francescano rapporto con la Natura creata e con la poesia delle cose create.
C’è stato chi ha scritto che «dopo Auschwitz scrivere poesie è inutile», e che, addirittura, sarebbe «un atto di barbarie». Secondo il filosofo tedesco, Theodor W. Adorno2, dopo Auschwitz, la trascendenza non offre più all’immanenza alcun significato. Auschwitz ha avuto lo stesso effetto, nel campo del sociale, che il terremoto di Lisbona del 1755 ebbe nel campo dei fenomeni naturali. La malvagità umana, «l’inferno reale», la natura crudele con la sua cieca violenza, catastrofi naturali e morte, con l’assassinio burocratico di milioni di persone, ci indurrebbero a non avere speranza nell’umano.
Dopo Auschwitz, siamo costretti a impegnarci affinché ciò che è avvenuto non si ripeta. Questo è diventato l’«imperativo categorico» della nostra epoca.
Se Auschwitz dimostra inconfutabilmente il fallimento della cultura e dell’interpretazione illuminista della storia, la negazione della cultura non è una soluzione. Neppure il silenzio.
A Mistretta, nella nostra amata, adorata, sventurata e povera città, è avvenuto qualcosa di analogo, dopo il suo svuotamento civile, istituzionale, demografico e politico, che definisco olocausto locale. Che senso ha scrivere poesie a Mistretta o per Mistretta, dopo l’olocausto locale di Mistretta?
L’Olocausto del popolo ebraico s’è rivelato impotente dinnanzi alla bellezza. La storia di padre Massimiliano Kolbe è la prova di come quella bellezza entrata nella sua vita lo rese più forte dei suoi carnefici. Giunto ad Auschwitz nel maggio del 1941, vi morì nell’agosto dello stesso anno prendendo il posto di Francesco Gajowniczek, che diceva di avere una famiglia che l’aspettava.
Si ritrovò tra i condannati alla morte per fame. Nel giro di poche settimane tutti morirono di stenti, tranne quattro di loro, tra cui padre Kolbe, che continuavano a pregare e cantare inni alla Madre di Gesù. Sorpresi da quello che accadeva e dalla serenità di padre Kolbe, i generali delle SS decisero di giustiziarli e, mentre padre Massimiliano porgeva il braccio per l’iniezione letale, guardando negli occhi il suo aguzzino, disse: «L’odio non serve a niente. Solo l’amore crea!».
Arte, musica, amore e poesia non si placarono e non si sono estinte nemmeno di fronte ad una delle più grandi tragedie che la storia dell’umanità ricordi.
Il filosofo Theodor Adorno si è sbagliato.
Questo vale anche per Mistretta, dove l’olocausto locale segna ancora la nostra storia: sicché chiedersi, anche qui, a cosa servano i poeti è necessario.
Le poesie di Antonio Oieni sono canto e scienza dell’amore, segnati dal sigillo stilistico ed estetico della semplicità, dall’innocenza dell’animo, dal candore del cuore e dalla bellezza. Sono, inoltre, attestazione di fede al Signore del tutto e la conferma di un forte legame con la tradizione. Si scrivono poesie, dunque, come quelle di Antonio Oieni, per amore.
Questa è la risposta alla domanda di Neruda «a cosa servono i poeti?».
Contro la morte civile e contro il silenzio c’è chi scrive ancora poesie. Penso ad Antonio Oieni e a Vincenzo Rampulla: quest’ultimo l’ho incontrato recentemente, e continua a costruire linguaggio poetico in dialetto.
La poesia, dunque, è possibile nonostante l’olocausto locale. La poesia è un seme che germoglia in qualsiasi zolla cada. La poesia, però, può essere anche amore non compreso, oltraggiato dai “pupazzi di paglia” e non ricambiato” dalla città dove si vive da pellegrini.
C’è stato, poi, chi ha teorizzato la «morte di Dio». Friedrich Nietzsche è stato il pensatore occidentale che ha costruito la più elaborata riflessione sulla morte di Dio. Essa è, per Nietzsche, una realtà teorica e storica che non fonda le sue radici su un convincimento ideale e personale del filosofo, bensì su una realtà di fatto: la fine di tutte le illusioni, alla quale gli uomini cercano di far fronte creandosi dei sostituti, degli idoli e miti di varia natura, che diano un senso alla vita ma anche alla morte, in modo che ognuno si veda e si senta realmente ricompensato delle proprie fatiche, delle rinunce e degli affanni, immaginandosi di venire un giorno ripagato e premiato nell’oltre-vita. Non ci sarebbero più certezze e il mondo sarebbe soltanto caos e disordine. Tutto sarebbe relativo e questo giustificherebbe il fatto che Dio non esiste più e che oggettivamente non può più esistere.
L’ateismo di Nietzsche diventa nichilismo attivo e denuncia il carattere alienante di ogni religione, tesi che era stata già formulata dal filosofo Ludwig Feuerbach.
L’idea della uccisione di Dio è sbagliata. Anche Nietzsche si è sbagliato.
Si scrivono poesie per dire l’indicibile, che si può ancora e si deve dire; e per testimoniare che Dio non è morto. Le poesie di Antonio Oieni lo confermano quando scrive che il suo cuore è “diventato una primavera”, a contatto quotidiano con il suo Gesù.
La poesia di Antonio Oieni è ricerca intimistica e lirica, sfogo e confessione del cuore; è canto al Signore del creato. Le poesie di Antonio hanno questo valore: dicono l’indicibile.
A che serve, dunque, la poesia? A che serve -mi chiedo ancora- scrivere poesie a Mistretta, nonostante la morte civile e sociale della nostra città?
La poesia è religione e tradizione. La poesia è anche tradimento. Tradimento e tradizione hanno stessa origine etimologica; vengono dallo stesso ceppo ed esprimono varianti di uno stesso segno: derivano da tradere, verbo latino che sta per “consegnare”.
Gesù fu tradito  da Giuda, che lo consegnò ai suoi giudici e carnefici. L’intera verità del nostro mondo giudaico-cristiano ci è stata consegnata fra mille tradimenti, e riposa nel corpo della tradizione. La parola tradizione ha il significato di trasportare, di consegnare ai posteri un sistema, un ordine, un insieme di regole, di norme consolidate, senza perdere di vista che è termine avente in sé il senso di passaggio, di conversione dal vecchio al nuovo, di abbandono, di tradimento di ciò che è stato a favore di ciò che sarà.
«Chi non spera l’insperabile -scriveva Eraclito in un suo frammento- non lo scoprirà».
«Sperare contro la speranza», scriveva san Paolo. Sul valore della speranza come energia per l’avvenire scrisse il filosofo tedesco Ernst Bloch.
Questa speranza c’è nelle poesie di Antonio Oieni quando dice che “l’estate tornerà a dilagare l’immenso” e che “l’arcano pulsare dell’universo” gli dice così: “tuffati nel vento”; questo vento lo chiama e ci chiama, e, “anche se siamo come le foglie”, questo vento parla e ci parla di “arcani segreti”: quelli che le nostre mamme chiamavano “arcan’i Ddiu biniritti”, e che sono custoditi dalle pietre secolari delle nostre chiese e strade, luoghi dove tradizione e poesia hanno continuità.
«Le case di Astarte -scrive Antonio Oieni- diventano sole»; sono «silenzio e memoria»; sono «legami di pietra»; sono legame con la tradizione, che lega come una catena.
La parola tradizione si usa quando si vuole porre attenzione su una cosa o un concetto che richiamano valori ancorati al passato o al patrimonio collettivo. Tradizione, dal latino “tradere”, significa trasmettere: è il peso delle cose del passato tradotte nel presente.
La parola poesia significa creazione del futuro. Anche la religione è tradizione. Religione deriva da religo, che significa legare indietro, legarsi a Dio, leggere, rileggere, raccogliere nuovamente. Mircea Eliade diceva che la religione è percezione del «Totalmente Altro».
Nelle poesie di Antonio Oieni trovo questo sentimento del trasmettere, questo legame alla tradizione e la speranza di creare futuro; trovo sentimenti innocenti e la percezione del «Totalmente Altro», cioè il legame con il Dio dei nostri padri e il soave peso delle cose passate tradotte nel presente.
La tradizione, secondo san Giovanni Paolo II, nell’enciclica Fides et ratio, «ha un ruolo determinante per una corretta forma di conoscenza. Il richiamo alla tradizione non è un mero ricordo del passato; esso costituisce piuttosto il riconoscimento di un patrimonio culturale che appartiene a tutta l’umanità. Si potrebbe, anzi, dire che siamo noi ad appartenere alla tradizione e non possiamo disporre di essa come vogliamo. Proprio questo affondare le radici nella tradizione è ciò che permette a noi, oggi, di poter esprimere un pensiero originale, nuovo e progettuale per il futuro».
Le poesie di Antonio Oieni appartengono alla nostra tradizione e ci appartengono. Antonio Oieni scrive «sapendo di vedere oltre la “notte”4» per legarci indietro; per legarsi ai valori della tradizione, ai propri affetti familiari e sentimenti più interiori e proiettarsi nel futuro. Operazione simile a me pare che abbiano fatto Vincenzo Mingari, ristrutturando la “Società Agricola”, e chi apre la chiesa di Santa Rosalia, dove è stata recuperata la devozione a San Liborio o chi, come nel caso della “Società Operaia”, conserva nel sodalizio degli artigiani i valori dell’onestà e del lavoro.
I poeti di Mistretta, anche se, a volte, il deserto civile e culturale scatena censure e pettegolezzi, barbarie e oscurantismo, hanno questo ruolo, dopo l’olocausto civile della nostra città: ricordarci che il futuro passa dalla poesia sincera e genuina, quale quella di Antonio, allorché scrive al vento i «segreti del vento», e quando dice che «non erano ali i miei sogni», bensì «frecce, madido tormento e attese spezzate».

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Da sx. Sebastiano Lo Iacono-Giuseppe Sgrò-Rosalinda Sirni-AntonioOieni- Vincenzo Oieni

 Dalla voce di Rosalinda Sirni, lette con molta sensibilità,  abbiamo ascoltato ancora altre poesie del poeta

ANCHE DOPO L’ALBEGGIARE

Le stelle,

sparse nel planisfero dei segreti

inviano le loro lontane frequenze al cuore,

che si perde in quella tela

intessuta di diademi,

in quella tela immersa nell’attesa

dove i segreti rimarranno

anche dopo l’albeggiare.

SEQUENZE

Cielo informe e sibili ventosi.

Cielo sbiadito e mare colorato d’azzurro.

Barche bianche, da lontano solcano il mare.

Oltre l’orizzonte, isole,dipinte d’azzurro

traslano verso il cuore.

La sera viene ad imbrunire ogni cosa:

alberi, rami rinati, cielo, cuore;

mentre ancora il vento mi parla

e mi svela i suoi segreti d’aria:

respiri verso il cuore.

I legami sono lontani,

chissà se un giorno verranno

ad avvicinarsi al cuore,

per dire forse nuove parole.

Antonio Oieni

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ha ringraziato gli intervenuti con la lettura della poesia:

SIAMO COME LE FOGLIE

Siamo come le foglie che,

schiuse dai primordiali aneliti di vita

stormiscono, accarezzate dai teneri sussurri della notte

e dalle lievi brezze del giorno.

Siamo come le foglie,

che, nel pieno del loro vigore

inseguono il vento ed ali di gabbiani, oltre l’orizzonte.

Siamo come le foglie,

che dopo il loro vigore si spengono lente

e si distaccano dai rami

per tornare dalla madre Terra decomposte

con un filo di speranza.

Noi, come le foglie.

LA SOCIETA’ “OPERAIA DI MUTUO SOCCORSO A MISTRETTA

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La Società Operaia di Mutuo Soccorso è ubicata a Mistretta in via Libertà. Molto interessante è la conoscenza della vita della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Mistretta per la sua lunga storia istituzionale, sociale, politica, economica, culturale.
Essa è stato un elemento fondamentale nella vita della città mantenendosi rigorosamente dentro la linea della tradizione cattolica e della legalità. L’amico Tatà Lo Iacono, nel suo libro “ La Società Operaia di Mistretta”, ha descritto, in maniera molto minuziosa ed esauriente, tutta la storia della Società Operaia, dall’inizio della sua costituzione fino al 2000, cioè quando è venuta alla luce questa sua pregevole opera.

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La Società Operaia di Mutuo Soccorso di Mistretta nacque in un’epoca di grandi movimenti politici anche per la città di Mistretta. Era il 19 marzo del 1863 quando è stato stipulato l’atto di costituzione della Società. L’iniziativa di creare un sodalizio, che rappresentasse il mondo del lavoro artigianale, è stata avviata dagli artigiani mastro Giuseppe Catania, falegname, don Francesco Marchese, sacerdote, Giovanni Bavisotto, ebanista,

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 personaggi che si sono ispirati al verso della Bibbia, (Mt 22, 39): “Amerai il prossimo tuo come te stesso” e che hanno scelto come simbolo dell’istituzione una mano che ne stringe un’altra a significare lo spirito di fratellanza e di solidarietà fra i soci.

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 L’iniziativa ha riscosso notevoli successi e, nell’arco di breve tempo, i consensi diventarono 86 di cui  27 muratori, 19 falegnami ,13 calzolai, 7 sarti, 2 cordai, 3 ebanisti e altri.

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Attualmente il numero degli iscritti è molto maggiore e, tuttavia, suscettibile di variazioni.
Nell’’articolo N°22 del regolamento della Società Operaia era chiaramente specificato chi poteva richiede di essere ammesso come socio del sodalizio: ” Possono chiedere l’ammissione a socio solo gli operai e gli artigiani” Alla fine del mese di gennaio 2020 il nuovo Consiglio ha deliberato che possono fare parte del sodalizio anche le donne. La cerimonia di ammissione di sei donne, omaggiate con un mazzo di fiori, è stata emozionante e calorosa.

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Ilaria Sidoti, Maria Pia Oieni, Rosalba Coniglio, Erika Renna, Elena Vaccaro, Rita Lutri

Il 29 maggio 1864 l’Assemblea deliberava che i soci dovevano essere nella “capacità di compiere un lavoro nell’arte che professano”.
Tutti erano tenuti a condurre una vita operosa e sobria, a conservare buoni costumi, a restare onesti e puliti sia in famiglia sia nella vita pubblica.
I soci si distinguevano in: effettivi, corrispondenti, temporanei, benemeriti, onorari. I soci effettivi erano quelli che praticavano un’arte, un mestiere e che formavano l’elettorato.
I soci onorari potevano frequentare i locali. Tutti dovevano contribuire economicamente versando la tassa di ammissione e la quota mensile.
L’albo d’onore dei soci promotori, dei soci onorari e dei soci corrispondenti è affollato, come si evince dai quadri appesi alle pareti.
Alcune  cornici che abbelliscono i quadri sono opera dell’intagliatore Pasquale Azzolina di Mistretta.

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 Gli organi principali del sodalizio erano: l’Assemblea, il Consiglio, il Presidente, il Centurione, il Cassiere, il Segretario. Il presidente, eletto dall’Assemblea, presiedeva l’Assemblea e il Consiglio dava esecuzione alle decisioni, controfirmava i mandati di pagamento e d’incasso. Ripetutamente eletti presidenti sono stati: Giuseppe Lo Stimolo, Giuseppe Timpanaro, il più giovane presidente al tempo della sua elezione e rieletto per 13 volte consecutivamente, che hanno dedicato alla Società Operaia grande impegno organizzativo e corretta dedizione amministrativa. La loro presidenza è stata rispettosa del passato, attenta al presente, ma soprattutto attratta dalle novità.
Socio onorario perpetuo fu eletto Giuseppe Garibaldi.

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Con un biglietto inviato da Caprera il 12 ottobre 1863 così scrisse agli artigiani di Mistretta: “Accetto con grata soddisfazione il titolo di Vostro presidente perpetuo e Vi auguro l’avvenire più fortunato. Lasciate che stringa a Voi tutte le mani”. Il 19 marzo del 1865 vicepresidente onorario fu nominato Francesco Crispi.

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La delibera del Consiglio Operaio n° 62 dell’11.3.1865 così recita: “[…] Il presidente ha dichiarato aperta la seduta ed ha invitato il Consiglio a deliberare con votazione a schede segrete sulla domanda del Sig. Avvocato Francesco Crispi di Palazzo Adriano, il quale chiede di essere ammesso come socio onorario nei componenti di questa Società.
Ed il Consiglio considerando che l’avvocato D. Francesco Crispi è una persona distinta, è un cittadino di ottimi principi, che il nostro paese può chiamarsi fortunato nello avere un si bravo soggetto per Sotto-Prefetto di questo capo Circondario. Ha passato alla votazione segreta, e si è risultato che ad unanimità di voti fu ammessa la domanda dell’avvocato Sig. D.Francesco Crispi, il quale da oggi in poi fa parte di questa Società come Socio onorario
”. Con questo precedente, in seguito si sono iscritti altri soci onorari fra cui il barone Antonino Lipari.
Altri personaggi importanti per la vita della Società sono stati: il comm. Edoardo Campisi e l’on. Gaetano Martino

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Negli anni 1866-1877, a seguito della legge sulla soppressione degli ordini religiosi, la Società Operaia occupò alcuni locali del monastero delle suore Benedettine. Il fatto irritò il Vescovo. Un pranzo sfarzoso favorì l’accordo, attenuò il litigio, consentì alla Società di riprendere vigore e slancio operativo. Attualmente la Società Operaia ha la sede adiacente alla chiesa di San Sebastiano.

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Nei locali del sodalizio si sono innalzate le grandi idealità che hanno guidato il percorso della storia dall’Unità d’Italia, al dopoguerra, fino ai nostri giorni. Gli ideali del sodalizio erano improntati ai valori: di fratellanza universale, di solidarietà, di impegno civile, di mutuo soccorso, di esaltazione del lavoro come fattore di dignità della persona, di libertà, di amor patrio, di indipendenza, di autonomia, di scambi culturali, di partecipazione al dolore dei soci in caso di morte.
Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi e San Giuseppe, l’artigiano per eccellenza, furono i maggiori riferimenti ideologici degli artigiani che ebbero come fulcro il lavoro.

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Statua donata dal barone De Carcamo

Al centro di questo universo fu posto l’Homo faber, l’artigiano operaio che lavora, che crea, che produce. L’artigiano mistrettese ha sempre rivendicato un titolo di qualità tanto da doversi considerare artista proprio perché crea oggetti che richiedono la stessa genialità di chi dipinge un quadro, di chi scolpisce una statua, di chi scrive una poesia o musica un brano.
Gli antichi arnesi del mestiere artigiano, simboli di una categoria professionale che ha rivendicato il carisma della creatività e quello dell’artista, sono rappresentati nel soffitto.

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Dopo la sua costituzione, con la stesura di un regolare Statuto, la Società Operaia acquistò notevole prestigio nell’ambiente cittadino e mantenne sempre caratteristiche di serietà e di buona organizzazione. Restando apparentemente estranea ad organizzazioni politiche e sindacali di lavoratori, l’associazione è stata palestra di partecipazione, di democrazia, di sviluppo della cultura.
Bisogna liberare dalla miseria e dall’ignoranza gli artigiani e i lavoratori.  “La miseria è delitto. Bisogna sconfiggerla, procedere all’istruzione del ceto artigiano”.  Il 16 novembre del 1863 il Consiglio decise di procedere all’indrottinamento, cioè alla possibilità di fare partecipare i soci, una volta al mese, al catechismo politico morale.
Contemporaneamente fu istituita la “scuola serotina per gli operai” dove si impartivano lezioni di italiano, di matematica, di calligrafia agli adulti analfabeti. L’insegnate era il sac. Giuseppe Maciante. Il sodalizio dapprima affrontò le spese di gestione, successivamente ricevette aiuti finanziari dal Comune, dalla Deputazione provinciale, dalla camera di Commercio di Messina.
La scuola serale per gli operai funzionò per 43 anni. Verso la fine del secolo scorso fu istituita la “Scuola di Disegno” di cui uno dei primi insegnanti fu Noè Marullo.
Fu costretta a chiudere per mancanza di fondi. La presenza di una biblioteca, gestita da un socio e organizzata per il prestito dei libri agli stessi soci, conferma l’alta finalità del sodalizio: potenziare il livello culturale degli operai-artigiani attraverso l’esercizio della lettura.
Altro obiettivo fu quello di “migliorare la qualità della vita dei soci disoccupati, bisognosi, soli, vedovi o abbandonati”. A decorrere dal sesto giorno di malattia il socio poteva usufruire di un sussidio di sostegno giornaliero di lire 1,25. Al momento dell’iscrizione il socio doveva dichiarare di essere in buono stato di  salute.
“Bisogna occuparsi anche dei soci defunti”. La morte è sempre un evento sociale. Ad ogni socio deceduto spettava di diritto una solenne partecipazione degli associati alla cerimonia funebre. La non partecipazione all’accompagnamento funebre era penalizzata con un’ammenda pecuniaria. L’istituzione dell’accompagnamento scomparirà lentamente.
La morte di un membro della comunità era sempre annunziata dal suono delle campane che, un tempo, si distingueva secondo che si trattasse della morte di un bambino, di un adulto, oppure che il decesso era avvenuto in un luogo lontano, ma di cui era giunta la funesta notizia. Nel 1900 fu inaugurata la cripta della Società Operaia realizzata da alcuni soci associati in forma cooperativa.
La realizzazione del monumento ai caduti della Grande Guerra fu una brillante idea della Società Operaia. L’opera progettata e diretta dal commendatore e ingegner Vincenzo Vinci, fu inaugurata nel 1924 e collocata in Piazza Vittorio Veneto.
Il 9 settembre del 1944 il Consiglio approvò l’erogazione di un sussidio pro-fondo assistenza ai reduci della seconda guerra mondiale e si occupò dei lavori di restauro dell’ospedale. Altri impegni della Società Operaia furono: l’inaugurazione del nuovo tribunale, il potenziamento del servizio di erogazione del’energia elettrica e l’abolizione della quota fissa. Dopo 148 anni di vita il sodalizio della Società Operaia è ancora molto efficiente e l’estrazione sociale è sempre quella del ceto medio. Sebastiano (Tatà) Lo Iacono nel suo libro dal titolo “La Società Operaia di Mistretta” così scrisse: ” La storia ha assegnato alla Società Operaia il compito di rappresentare il mondo del lavoro artigianale e quello dell’umanesimo integrale dagli assalti della onnipervadente civiltà industriale. La rivoluzione industriale ha ignorato e ignora i valori dell’uomo e persegue solo la logica del profitto e dello sfruttamento delle risorse del pianeta. Il lavoro artigiano, invece, nell’ottica di una piccola e media imprenditoria, potrebbe riuscire a rivalutare l’uomo nella sua totalità. Forse, anche questa è una utopia”.

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