Jan 2, 2015 - Senza categoria    Comments Off on LA MANDRAGORA AUTUMNALIS

LA MANDRAGORA AUTUMNALIS

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Alla fine del mese di novembre percorrevo la strada che collega la contrada di Mollarella con quella della Poliscia per la consueta passeggiata all’aria aperta. A circa 300-400 metri di distanza dalla famosa spiaggia di Licata su un terreno incolto ho visto che vegetavano molto bene alcuni cespugli di Salsola oppositifolia dai bellissimi fiori dal colore rosato. Pazientemente, preparo la mia macchina per fotografare questa meraviglia della Natura.
Sotto un cespuglio di Salsola, timidamente, una piccola piantina dai fiori violetti si presenta a me.
Mi stupiscono: la sua bellezza, la sua ritrosia, ma anche la sua sfacciataggine nel mostrarsi all’improvviso.
Le chiedo: chi sei?
Mi risponde: sono la magica Mandragora autumnalis.
Suggestiva, splendida e misteriosa creatura tu sei la benvenuta!
Sono molto curiosa di conoscerla!
La grande attenzione rivolta alla Mandragora nel corso della storia e in diverse parti del mondo ha stimolato la ricerca dell’etimologia del suo nome in relazione alle diverse culture presso le quali era utilizzata. L’erba Mandragora è stata celebrata più volte dagli autori greci e latini e ha influenzato la fantasia di molti autori medievali.
Secondo alcuni studiosi il nome del genere della pianta potrebbe derivare dalla deformazione dell’espressione “Mano di drago” riferendosi sia all’aspetto della radice, che talvolta può ricordare la zampa e gli artigli di un drago, sia alla superficie delle foglie caratterizzate da rilievi carnosi simili alla pelle di un rettile. Secondo altri il suo nome potrebbe derivare dal sanscrito “Mandros” “sonno”, e “agora”, “piazza, luogo di adunanza”, perché preferisce gli spazi aperti, oppure da “Mandara” “Paradiso” perché è una pianta che proviene dall’Eden.
Forse è la pianta del bene e del male.
Altri propendono per l’origine sumerica da “Nam-tar” “Pianta del dio del castigo”. Oppure dalla derivazione medievale tedesca “Mann-dragen” “Figura di uomo”. Il nome è assonante con il persiano “Mandrun-ghia“, “Erba-uomo”, che allude alla forma antropomorfa delle radici. Bodeo Stapel pensa che possa derivare dal germanico “Man” Uomo” e “tragen” “ portare” perché le grosse radici, spesso biforcate e accavallate, hanno una certa somiglianza con le gambe umane o con gli uomini senza braccia: “Radix subinde bifida, aut triftda, crura bina et clunes quasi disparata ostentant“.
Per questo motivo Pitagora la chiamò “Antropomorfon”.
Anche Columella la definì “semi umana”, accennando alla forma antropomorfa delle sue radici: “Quamvis semi hominis vesano gramine foeta Madragorae pariat flores, moestamque cicutam“.
Dioscoride, nel De Materia Medica, la chiama “NantimelonArchinenMorion”.
Claudio Eliano, nel De Animalium Natura, la chiama “Cynospastos” “estirpata per mezzo di un cane”, come racconta anche Flavio Giuseppe (37-100 d.C.) nel De Bello Judaico, e, poiché brilla di notte, la chiama anche “Aglaophotis” “risplendente”. Questo nome è stato usato da Plinio il Vecchio nella Historia Naturalis.
Altri studiosi sostengono che derivi dal greco “μανδραγόρας” “pianta che addormenta” o dall’unione di “μάνδρα” “recinto per greggi” e di “γόος” “chiamata” col significato di “richiamo delle mucche” perché la Mandragora, poichè preferisce vegetare su terreni fertili, si trova spesso in vicinanza dei luoghi di rifugio e di riposo del gregge: “Speluncarum stabulorumque honos. Quod ad mandras pecorum aliisque speluncas provenit“. La forma greca “μανδραγόρας” si trova già negli scritti di Xenofon e di Teofrasto.
Gli Ebrei la chiamano “Dudaim”, da “dum” “amore”. Gli Arabi la chiamavano “Pomo dei Djinn”, ossia degli “Spiritelli” e “Mela di Satana”.
Il naturalista Carlo Linneo, che aveva affermato l’unicità della specie, l’ha battezzata Mandragora officinarum per i suoi impieghi nella medicina empirica.
Proprio per la sua particolare forma, nel corso del tempo ad essa sono stati attribuiti affascinanti e divertenti appellativi quali: “AnthropòmorphonSemi-HomoMela del DiavoloVecchietto barbuto, Vecchia signora”.
Anche il medico greco Ippocrate, affascinato dalla sua bellezza, asserì che il suo nome era “Mardumgià”Erba dell’uomo” di derivazione persiana. In Asia la Mandragora è nota come “Lakshmana”che possiede segni fortunati”. In Francia è nota come “Main de gloire” “Mano di gloria”, o “Mandragloire”, vocabolo forse nato dall’unione delle parole “mandragora” emagloire”. Quest’ultimo è il nome di un elfo del folklore francese personificato come una radice di Mandragora.
Il Fiori, nella sua Flora Italiana, ne considera due specie: la Mandragora officinarum, che fiorisce in primavera, ed ha la radice grossa, carnosa, bianca e la corolla di colore bianco-verdognolo, e che corrisponde alla Mandragora maschio degli antichi, e la Mandragora autumnalis, che fiorisce in autunno, ed ha la radice più piccola e nerastra e la corolla violacea e che corrisponde alla Mandragora femmina degli antichi. Anche secondo Plinio la Mandragora con la radice bianca è la pianta maschio, quella con la radice nera è la pianta femmina.
Da questo lungo elenco dei suoi nomi si deduce che la Mandragora è un pianta che ha avuto la capacità di incantare gli studiosi nella complicata ricerca dell’origine della sua denominazione. Il nome della specie della pianta fotografata è molto semplice. Deriva dal latino “autumnalis” perché la fioritura avviene in autunno.
Il tipo corologico dellaMandragoraè Steno-Mediterraneo. E’ una specie diffusa nella area mediterranea – meridionale, dal Portogallo, alla Spagna,  alla Grecia, nell’Isola dì Candia, nell’Africa settentrionale ed in Medio Oriente. E’ abbastanza comune nell’Italia centro-meridionale e nelle grandi isole. In Sicilia è conosciuta con diversi sinonimi: a Caltanisetta è chiamata “Minnulagrò”, a Catania “Mannaraona, Mandulagròna”, a Palermo, a Siracusa, a Ragusa “Pàmpina di Aùna”.
Le Mandragore che crescono in Sicilia sono: la Mandragora officinarum e la Mandragora autumnalis. Sono entrambe le famose “piante magiche” conosciute fin dall’antica Grecia. Su di esse si è sbizzarrita la fantasia popolare creando aloni di mistero e di superstizione ed eccedendo in indicazioni sul loro potere e sul loro uso.Anche Omero, nel X libro dell’Odissea, narra che una piantina di Mandragora, l’erba “Moli”, fu donata ad Ulisse dal dio Hermes come amuleto per proteggersi dagli incantesimi della maga Circe che voleva trattenerlo.

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La Mandragora autumnalis, che ho incontrato casualmente nella campagna di Licata, volgarmente chiamata “Mandragora femmina”, appartenente alla famiglia delle Solanaceae, è una pianta erbacea perenne che emana un odore alquanto puzzolente.
Possiede una grossa radice a fittone, della lunghezza di 150 cm, di colore scuro che si sotterra profondamente. Gli antichi Greci chiamavano la radice di Mandragola “anthropomorphon” per il suo aspetto antropomorfo che assume biforcandosi e ramificandosi. Poiché il simile agisce sul simile, ha potere di agire sull’intero corpo umano. Probabilmente questo aspetto antropomorfo delle radici ha contribuito a far attribuire alla pianta poteri sovrannaturali. Molte credenze popolari le hanno attribuito virtù magiche e afrodisiache.
La radice principale è divisa in basso a formare gli “arti inferiori”; le radici avventizie, più in alto, rappresentano gli “arti superiori”. La “testa emerge dalla terra con una rigogliosa capigliatura formata dalle grandi foglie. A volte tra “arti inferiori” si scorgono, con molta fantasia, anche gli “organi genitali”.
Ecco perché la Mandragola si distingue nei due individui “maschio” e “femmina”.
Il fusto è acaule o brevissimo alto non più di 10 cm. Le foglie, disposte in una rosetta basale, come se nascessero dalla radice, sono brevemente picciolate, con lamina ovato-oblunga, corrugata, intera o dentellata e ondulata al margine, cosparsa di peli su entrambe le pagine di un bel colore verde intenso, con l’apice acuminato e con nervatura centrale ispessita.
I fiori,  ermafroditi, solitari, inseriti in gruppi di 4-6 al centro della rosetta fogliare, spuntano su peduncoli pubescenti alti 1,5-2 cm. Il calice,  gamosepalo, con tubo diviso in 5 lobi ineguali triangolari o lineari, è persistente alla fruttificazione. La corolla,  gamopetala, con tubo imbutiforme lungo 2-2,5 cm, campanulata, di colore azzurro-violaceo intenso e luminoso, è divisa in 5 lobi larghi e triangolari.

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L’androceo è composto di 5 stami saldati al tubo della corolla. Lo stilo è più lungo degli stami.
L’ovario è supero e biloculare. Lo stimma è bilobo. L’antesi normalmente avviene in autunno, nei mesi da settembre a dicembre. Tuttavia la fioritura, lunghissima, si protrae per quasi tutto l’inverno continuando a fiorire anche sotto la neve. Alla fioritura seguono i frutti, i così detti pomi. Il frutto è una bacca globosa di colore giallo-rossastro, lunga fino a 3 cm, che diventa nera quando è molto matura e che emana un odore fetido di meloni guasti. La bacca contiene all’interno numerosi piccoli semi reniformi.

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Singolare è il modo di comportarsi della Mandragora autumnalis rispetto alle stagioni. In estate la pianta scompare dal terreno andando in letargo e diventando ipogea, ma sotto lo strato della terra è perfettamente viva. In una calma e paziente attesa delle lunghe ombre autunnali rispunta in autunno dando spettacolo di sé nella stagione fredda!
I suoi habitat preferiti sono i terreni incolti, calcarei, leggeri, permeabili e profondi che consentono alle radici di svilupparsi in profondità. Sceglie luoghi esposti al sole e non gradisce essere spostata. Non soffre il freddo.
Poichè la Mandragora è considerata la pianta magica per eccellenza, che possiede svariati poteri, stimola la tentazione di essere coltivata. Si può coltivare sia in vaso sia in piena terra. Per la coltivazione in vaso occorrono: un vaso più alto che largo in modo tale da favorire lo sviluppo della radice, semi freschi e terriccio fine, leggero e umido. E molte cure! La germinazione è lentissima, ma le nuove plantule sono abbastanza resistenti al trapianto.
Per la coltivazione in piena terra, oltre al tipo di terreno che deve essere periodicamente concimato e bagnato, è importante la scelta del luogo dove non devono arrivare i raggi diretti del sole. La pianta, coccolata, procurerà felicità, ricchezza, buona salute, scaccerà le forze negative, aiuterà a ritrovare le ricchezze nascoste e sarà la cura per tutti i mali.
Essendo questa pianta realmente dotata di azione tossica ed allucinogena, è consigliabile evitare di coltivarla nelle abitazioni dove ci sono bambini piccoli che potrebbero essere invogliati ad ingoiare i colorati frutti.
La storia della Mandragora è molto lunga. Oltre alle credenze popolari, bisogna valutare le effettive proprietà della pianta e gli usi terapeutici empirici accertati dall’indagine clinica e farmacologica.
Le testimonianze sull’uso terapeutico della Mandragora attraversano la storia delle erbe e, nella maggior parte dei casi, concordano le ipotesi sulla sua capacità di procurare un sonno profondo e ristoratore. Tracce storiche sulle potenzialità curative della pianta si trovano in Plinio, in Galeno, in Lucio Apuleio. La pianta è raffigurata e descritta non solo in tutti i testi antichi, ma anche nell’Herbario Novo di Castore Durante che ne riassume le proprietà:
Conciliat somnum, sedat pariterque dolores

Mandragoras, et mollit Ebur; tuberculas, strumas

Discutit, et collecta; Iuvat serpentis ad ictus,

Expellit partus, et menstrua; detrahit atram

Tum vomitu bilem, et pituitam; inducit et inde

Humorem, ac frigus; largo demittit ad orcum

Et potu“.

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Gli speziali antichi usavano la radice e le foglie della Mandragola per preparare i loro intrugli.
 Infatti Giacinto Marchi, capo-speziale dell’ospedale Santa Maria della Scala nei primi decenni del XVIII secolo, riporta la ricetta del rinomato “Unguento Populeon” ottenuto utilizzando le grandi foglie e utile nel trattamento delle emorroidi. E’ senza dubbio vero che la Mandragola ha notevoli proprietà farmacologiche.
L’uso a scopo medico della Mandragora è continuato per tutto il Medioevo e quasi fino ai giorni nostri.
Anche se in commercio non esistono più preparati a base di Mandragora, tuttavia è importante riconoscere che essa ha lasciato un importantissimo testamento nella farmacologia moderna. Si può andare a ritroso perché già ai tempi del medico greco Ippocrate (460-377 a.C.), e ancora per molti secoli, si usava ricavare l’infuso di radice di Mandragora immersa nel vino da somministrare, per il suo effetto ipnotico, “a coloro ai quali si deve segare qualche membro senza dolore o si debbono fare cauterizzazioni”, come riferisce Castore Durante, anticipando l’uso del cloroformio come anestetico introdotto solo nel 1847 dallo scozzese Sir Giacomo Simpson.
riporta che i frutti di Mandragora possono essere mangiati senza rischio e che hanno una notevole proprietà afrodisiaca: “Rachel venusta sed sterilis, Jacobi Patriarchae uxor; quamvis foecunditatern a Deo precario obtinuerat, non tamen prius concipere poterat quam Poma Mandragorae, a sorore Lya accepta, gustasset, Quorum foecundas vires (aggiunge Langius Epist. Lib.2) pleraeque Bononiensium uxores, ‘me consule’ expertae sunt“!
Poiché il pomo mangiato da Rachele in ebraico è chiamato “dudajm”, dalla radice “dud” “amore”, la maggior parte dei coIl principio attivo della radice di Mandragola fu identificato verso la fine dell’800 ed inizialmente fu definito come “mandragorina”. Un’analisi chimica più accurata ha evidenziato la presenza di una miscela degli alcaloidi “iosciaminascopolamina e atropina”.
Dunque la Mandragora deve le sue proprietà medicinali e la sua tossicità all’alto contenuto di atropina. I benefici farmacologici della mandragorina e dell’atropina sono simili e utili a basse concentrazioni, dannosi alle medie, letali ad alte dosi.
Come tutte le piante dotate di una certa attività, la Mandragora anticamente fu sperimentata e vantata per la cura di svariate malattie. La sua applicazione più efficace era contro le malattie oculari: “Mandragoras Epiphoris, quod certum est, medetur…. nam succus multis oculorum medicamentis miscetur” (Camers, Index Plin, Venezia, 1525). Era anche usata esternamente come antiflogistico ed analgesico, applicando le foglie su parti infiammate o dolorose.
Discordanti sono i pareri sulla tossicità dei frutti. Alcuni studiosi affermano che sono commestibili, anzi che sono innocui, altri invece che non si devono mangiare. Bodeo Stapel cita una lettera di Langius, riferita alla Bibbia, dove mmentatori e traduttori della Bibbia non crede che il pomo della Mandragora sia velenoso proprio perché lo considerano il dudajm di Rachele.
Narra la Genesi (30 – 14/16) come Rachele abbia fatto ricorso alle proprietà afrodisiache degli estratti della radice della Mandragora per eccitare all’amore il frigido Giacobbe, sposo tanto suo quanto di sua sorella Lia: “Al tempo della mietitura del grano, Ruben uscì e trovò Mandragore, che portò alla madre Lia. Rachele disse a Lia: <Dammi un po’ della Mandragore di tuo figlio>. Ma Lia rispose: < E’ forse poco che tu mi abbia portato via il marito perché voglia portar via anche le Mandragore di mio figlio?>. Riprese Rachele: < Ebbene, si corichi pure con te questa notte, in cambio delle Mandragore di tuo figlio>. Alla sera, quando Giacobbe arrivò dalla campagna, Lia gli uscì incontro e gli disse: < Da me devi venire, perché io ho pagato il diritto di averti con le Mandragore di mio figlio>. Così egli si coricò con lei quella notte”. Questo discorso non dà certo un’idea esemplare della purezza e del candore dei costumi di quel tempo.
Alle presunte proprietà afrodisiache e fecondanti della pianta fa riferimento Niccolò Machiavelli nella sua celebre commedia intitolata appunto “La Mandragola”, come lui chiama la pianta,scritta dall’autore nel lontano 1518: “non è cosa più certa ad ingravidare una donna che dargli bere una pozione fatta di mandragola”. Nella cultura Voodoo la polpa della radice è modellata per creare feticci per fatture d’amore e di maledizioni alle quali dona l’indispensabile potere esoterico.
Forse proprio questa sua capacità di favorire il concepimento indusse Teofrasto a considerarla una pianta “magica” e a descrivere per primo la complicata procedura necessaria per raccogliere la sua radice dalle viscere della terra.
Dell’azione narcotica degli infusi delle radici di Mandragora narra Sesto Giulio Frontino (40-103 d.C.) in “Strategematon libri IV: Hannibal missus a Carthaginiensibus adversus rebellantes Aphros, cum sciret gentem esse avida vini, magnum ejus modum mandragoras permiscuit, cujus inter venenum et soporem media vis est. Tunc, proelio laevi commisso, ex industria cessit, nocte deinde intempesta, relictis intra castra quibusdam sarcinis et omni vino infecto, fugam simulavit; quumque Barbari occupatis castris, in gaudium effusi, medicaturn merum avide hausissent, ac in defunctorum modo strati jacerent, reversus, coepit eos ac trucidavit in copia“.
Giulio Fiorentino racconta che Annibale, inviato dai Cartaginesi per sedare un ammutinamento di uomini africani, dopo un primo approccio, finse di ritirarsi lasciando, però, sul campo alcune botti di vino dove erano state infuse alcune radici di Mandragora. Non dovette aspettare molto per catturare i ribelli! Dopo aver bevuto quel vino erano caduti in un profondo stato di torpore.
Sembra che l’infuso di radice di Mandragora abbia effetto anche soporifero tanto che ad un individuo, intontito e sonnolento, gli si domandava se avesse bevuto l’infuso di Mandragora.
L’imperatore Giuliano, in una lettera a Callistene, esclama: “Non sembra che abbiano bevuto molta Mandragora?” Ai bevitori di Mandragora accenna pure Demostene nella sua Quarta Filippica. Luciano, in Timone, parlando dei mercanti che sonnecchiano nei bazar senza curarsi degli affari, scrive: “Quod modo, Jupiter, tamquam sub Mandragora dormis, qui neque prejeran-tes audis, neque juris violatoris advertis?
Sebbene la riconosciuta tossicità, moderatamente dosato, l’infuso di radice, che è la parte più attiva della pianta, è antisettico e utilizzato nella cura degli spasmi intestinali e nell’omeopatia come rimedio sedativo nei casi di asma e di tosse. Effetti collaterali, per l’assunzione di dosi massicce, potrebbero essere: diminuita sensibilità, forme di delirio, convulsioni, allucinazioni, aumento dei battiti cardiaci, pressione alta, nausea, riduzione della secrezione della saliva e dei succhi gastrici, sete, vomito, diarrea, letargo e anche esiti letali.
Usato in concentrazione corretta è un efficace deprimente del sistema nervoso parasimpatico per cui è utile per eliminare gli stati spastici della muscolatura liscia. Per la capacitàdi dilatare la pupilla dell’occhio è un segnale importante per diagnosticare l’avvelenamento da Mandragora.
Le accertate proprietà tossiche della Mandragora prevalgono su quelle terapeutiche.
La moderna farmacopea le ha lasciate in eredità ai ciarlatani e alla stregoneria zingaresca per creare i loro intrugli.
In Europa i rimedi utilizzando le parti della Mandragola non si usano più. I Russi continuano liberamente ad adoperarli nella cura contro i tumori, le parotiti, gli ascessi.
Tra tutte le piante tradizionalmente considerate magiche sicuramente la Mandragora è una delle più famose piante a cui appartiene una lunga e complessa storia.Pianta ammaliatrice, ha sempre esercitato un fascino particolare sull’immaginario collettivo. Il periodo brillante delle credenze sulla magia della Mandragora fu il Medioevo essendo stata un elemento indispensabile per le pratiche magiche e spirituali di molte culture. Imbonitori e streghe preparavano pozioni magiche e filtri d’amore dall’effetto narcotico ed allucinogeno.
Alcuni esempi: la radice di Mandragora può scacciare i demoni, posta sotto il letto di una persona ammalata può guarire il suo corpo e la sua anima, ma, nello stesso tempo, può portare alla malvagità, può donare un sonno ristoratore, ma può provocare anche la demenza, può uccidere, ma è anche un rimedio contro il veleno dei serpenti. E’ una vera e propria bilancia sospesa fra incertezza ed ambiguità.
La Mandragora è un potente talismano e con essa sono costruiti amuleti di protezione per la difesa attiva, per attrarre il denaro col gioco, per la seduzione, contro l’impotenza o per salvaguardare la fedeltà dell’innamorato/a. L’incenso creato con la radice della Mandragora magica, in unione con una parte di aconito, di elleboro nero, di belladonna, di giusquiamo e di olio di mandorle amare, è utilizzato per entrare in contatto con Ecate. La Mandragora è sacra ad Ecate, dea delle tenebre, protettrice delle streghe, che ingenera follia, incline a sacrifici animali, a magie e ad incantesimi. Ecate è legata ad Artemide, dea della luna. La Mandragora guarisce, quindi, l’epilessia e il “mal di luna“.
L’incenso di radice, mescolato alle foglie di salvia e al peperoncino rosso, finemente tritati e a 13 gocce di olio essenziale, è un valido aiuto per iniziative di difesa personale. Grani di incenso, uniti a pochi petali di rosa e a 13 gocce di olio essenziale di verbena scatenano l’amore passionale.
La Mandragora è la pianta delle streghe dalla quale ricavavano una magica bevanda utilizzata per i Sabbat.
Le sacerdotesse dell’antico Egitto la consumavano durante la grande festa della dea Hator. È chiamata “Pianta Sacra e Maestra”, “Chiave d’Accesso” agli stati di trance per gli antichi maghi iniziati, sciamani e moderni psicopranoterapeuti. La radice della Mandragora caratterizza la connessione purificatrice delle zone più profonde e insondabili dell’astrale. Da tutto ciò si evince che non ci può essere nessun rito occulto efficace senza la preziosa e prodigiosa presenza della Mandragora, pianta dai poteri infiniti.
Quante leggende, quanti miti sono stati inventati intorno a questa pianta durante gli oscuri periodi dell’era barbarica e del Medioevo!
Nel Medioevo, infatti,si riteneva che la Mandragora nascesse ai piedi penzolanti degli impiccati la cui anima dannata entrava nella radice della pianta che acquisiva i poteri magici. Questi “esseri magici”, estratti dal terreno, si sottoponevano al potere dell’uomo procurandogli benefici, salute e prosperità.
Sempre secondo alcuni racconti medievali, pericolosi rischi correva chi estirpava le radici della Mandragora. Grandi erano le ricchezze accumulate dal medico e dallo speziale che, dalle radici preparavano dei farmaci “magici” che vendevano agli ingenui e ricchi clienti.
Altre leggende raccontano che, per ottenere “omuncoli” vivi dalla radice, le piantine di Mandragora dovevano essere nutrite con sangue mestruale mescolato al liquido spermatico per almeno tre mesi di tempo. Era diffusa la credenza secondo la quale la Mandragora “urlava” nel momento in cui veniva estirpata dal terreno e questa funzione non si poteva fare senza un rituale preciso. L’urlo della Mandragora, quando viene divelta dal terreno, è stato ascoltato dai personaggi di Shakespeare in Romeo e Giulietta.
Il filosofo greco Teofrasto (312-287 a.C.) nella sua Historia Plantarum, ( IX, 8) descrisse il metodo di estrazione della radice di Mandragora dalla terra. Per evitare i pericoli insiti all’estirpazione delle radici bisognava tappare le orecchie con la cera per non sentire le strazianti grida della radice, tracciare attorno alla pianta tre cerchi con la spada di ferro mai usata prima, scavare la terra tenendo il volto rivolto verso ovest intanto che un amico danzava cantando senza interruzione le laudi alla filantropia e all’erotismo. Finalmente si arriva al momento dello strappo finale della radice. I cerchi indicavano il potere circoscritto della Mandragora preservando chi stava fuori. Il ferro incarnava gli aspetti oscuri della pianta.
Secondo lo storico Flavio Giuseppe (37-100 d.C.) in De Bello Judaico,  (VII, 6) più prudenti erano gli ebrei di una vallata della Palestina, chiusa a nord dalla città di Machrus, dove cresce appunto questa “meravigliosa radice di color rosso fuoco, che la sera getta bagliori“.
Racconta che sradicarla è molto difficile perché continua ad infossarsi e a resistere finché non si irrori di orina o di sangue mestruale. All’estirpazione della radice potrebbe seguire la morte di chi ha manualmente effettuato tale lavoro. Per evirare ciò, dopo avere lavorato con la vanga, per allontanare la terra dalla radice ancora saldamente aggrappata ad essa, nella parte aerea della radice si lega con una corda il collare di un cane. Il suo padrone si allontana, lo chiama ad alta voce e lo attira mostrandogli un prelibato boccone lanciatogli da lontano.
Il cane, sollecitato a correre per guadagnare il boccone, involontariamente asporta la radice dal terreno trascinandola con sé nel suo breve slancio. Si leverà nell’aria l’urlo agghiacciante della Mandragora. Il cane è l’unico individuo a sentire le grida lancinanti della demoniaca radice asportata dalle viscere della Madre Terra. Il cane muore.
E’ l’unica vittima innocente della Mandragora che, dopo tale cruento sacrificio, perde ogni potere letale mantenendo integro quello di scacciare i “maligni” dal corpo degli umani. L’estrazione della radice è un sacrilegio che si punisce con la vita di un cane. E’ stato scelto proprio il cane perchè nella mitologia il cane è da sempre associato al mondo sotterraneo dove attende fedele ed accompagna il padrone nel mondo dell’aldilà.
Il Dio Anubis, il Guardiano dei Morti degli antichi egizi, ha, infatti, la testa di cane. Il cane è un chiaro simbolo riconducibile ad Ecate, divinità degli inferi, spesso rappresentata con tre teste di cui una è di cane. Ecate gradisce il sacrificio del cane, inviatole dalla pianta che ingenera follia. Eseguite le operazioni di estirpazione bisogna richiudere la buca. Se è stato il cane a compiere l’operazione, allora sarà lo stesso cane a riempire il buco al posto della radice estratta.
Se ad estrarre la radice è stato un mago, allora bisogna introdurre una moneta o un monile d’oro al posto della radice sottratta. Più raramente si richiude la buca rimettendo il ciuffo di foglie al posto della radice quasi a sostenere che tutto è ritornato come prima e che nulla è, in realtà, avvenuto.
Tutto ciò è frutto di pura fantasia medianica. Il moderno raziocinio non concede di credere che, una volta estratte, le radici emettano realmente un possente urlo.
Nell’estirpare le radici della Mandragora le speciali precauzioni da osservare sono ricordate anche da Camers (1. c. lib. 25, cap. XIII): “Cavent effossuri contrarium ventum et tribus circulis ante gladio circumscribunt. Posteo fodiunt ad Occasum spectantes”. L’imprudente, che tentasse di impadronirsi della Mandragora senza tener conto della direzione del vento, avvertirebbe un alone altamente fetido.
Anche Bodeo Stapel ha insistito sulle precauzioni da osservare: “Mandragoram quoque ense ter circumscribere jubent et alterum succidere ad Occasum spectando. Alterum circumsaltare plurimaque de rea venerea dicere”.
Oltre alle precauzioni materiali, si dovevano recitare preghiere da innalzare al cielo, maledizioni, imprecazioni, volgarità. Tutte queste pratiche effettuate, sia in buona fede, per ignoranza, sia scaltramente, per imbroglio, servivano ad esaltare la fama magica della Mandragora. Nel popolino era diffusa la credenza che, sagomate come amuleti ad immagine umana di ambo i sessi, le sue radici acquisivano poteri soprannaturali.
La fantasia popolare era stata abbagliata dall’aspetto antropomorfico della radice che gli imbroglioni si ingegnavano di esaltare mediante ben adattati colpi di coltello così da evidenziare gli organi esteriori della riproduzione. Si distinsero: la Mandragora maschio e la Mandragora femmina con il selettivo potere di scegliere l’uno o l’altro sesso. E’, appunto, su questa credenza che si basa l’intreccio della commedia  burlesca “La Mandragola”  di Niccolò Machiavelli (1469-1527), una divertente satira sulle presunte “virtù erotiche” della Mandragora.
Il nucleo della commedia è rappresentato dalla burla compiuta dal giovane Callimaco, coadiuvato dal servo Ligurio, a svantaggio del vecchio e stupido messer Nicia, marito di Lucrezia, dalla quale bramava la nascita di un figlio ad ogni costo per lasciargli l’eredità. Il giovane Callimaco, ritornato a Firenze da Parigi, attratto dalla fama della bellezza di Lucrezia, aiutato da Ligurio, sfrutta la buona fede del credulone Nicia convinto che la moglie fosse sterile.
Callimaco, falsamente, fingendosi dottore in medicina, propone a Nicia di vincere la sterilità della moglie somministrandole una magica pozione di Mandragora. Messer Nicia, per esalare la sua ammirazione per la dottrina medica di Callimaco, si esprime con bestemmie da becero e con i modi del più elegante fiorentino parlato: “Oh, uh potta di San Puccio ! Costui mi raffinisce tra le mani; guarda come ragiona bene di queste cose!”. Oppure “Ho più fede in voi che gli Ungheri nelle spade”. Lucrezia, diventata “velenosa” dopo aver bevuto l’infuso dell’erba Mandragora, avrebbe causato la morte di chi si sarebbe disteso accanto a lei.
Callimaco e Ligurio, anche con l’aiuto di Sostrata, la madre di Lucrezia, e di Fra’ Timoteo, il corrotto suo confessore, per estirpare il maleficio e scongiurare questo pericolo, convincono Nicia a far coricare nello stesso letto la moglie con uno sconosciuto. Durante la notte organizzano il rapimento e catturano un giovane deforme. E’ Callimaco travestito e irriconoscibile.
Egli giace nel letto con Lucrezia per una notte d’amore. Si è attardato in camera sino all’alba. La mattina successiva le rivela l’amore, il raggiro, la promessa di sposarla qualora il vecchio Nicia passerà a miglior vita. Lucrezia, paragonando la notte trascorsa col marito Nicia con quella appena trascorsa con Callimaco, accetta la proposta dicendogli: “poiché la tua astuzia, la stupidità di mio marito, l’ingenuità di mia madre e la malizia del mio confessore mi hanno condotta  a fare quello che mai avrei fatto, voglio credere che tutto questo derivi dalla volontà celeste. Non ho il potere di rifiutare quello che il Cielo ha voluto, perciò ti prendo per signore, padrone e guida. Sii tu mio padre, mio difensore, ogni mio bene. Ciò che mio marito Nicia ha voluto per una sera, voglio che sia per sempre”.
La Mandragora è presente nelle novelle di Boccaccio e di Sacchetti. Si trova nel Faust di Goethe, e in autori del XIX secolo quali Hoffmann e Nadier. Nella letteratura minore italiana si trova nell’Incantesimo di Giovanni Prati. La Mandragora è citata da J. K. Rowling in Harry Potter e la camera dei segreti.
Queste credulità hanno fatto acquistare alla pianta di Mandragora un elevato valore commerciale e non di rado in passato la radice di Mandragora veniva contraffatta  usando, al suo posto, la più comune radice di Brionia. Nel 1950 in Francia è stata acquistata una falsa Mandragora per 35.000 franchi. Mandragore famose sono state quelle possedute dai Duchi di Borgogna, di cui si è trovata traccia nell’inventario dei beni. Il possesso di una pianta di Mandragora fu uno dei capi d’accusa attribuiti a Giovanna D’Arco.
Naturalmente oggi simili millanterie, che sussistevano anticamente solo in ambienti di grande ignoranza e credulità, sono del tutto scomparse. Qualche veritiera utilità pare che sia stata attribuita veramente alla radice della Mandragora. In Germania si tessevano le vesti per i guerrieri. Una bollitura prolungata della sua radice ha la capacità di rammollire e rendere pastaceo l’avorio in modo da poterlo modellare.

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