Nov 4, 2023 - Senza categoria    Comments Off on LO SPARVIERE NELLA MONTAGNA DI MONTESOLE A LICATA

LO SPARVIERE NELLA MONTAGNA DI MONTESOLE A LICATA

 

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E’ di notevole interesse, tra gli uccelli stanziali, la presenza, pur fortemente ridotta, dello Sparviere.
La sua presenza si nota più facilmente durante il periodo di passaggio quando viaggia alla ricerca di un clima più favorevole.
Ho visto volare uno sparviere e ho avuto, improvvisa, la consapevolezza di quanto rara fosse diventata tale visione.
Eppure, fino a qualche decennio fa, sparvieri e nibbi erano abbastanza comuni; mentre, per chi sapeva osservare, non era difficile scoprire la poiana su uno spuntone di roccia o addirittura ammirare il volo elegante del falco pellegrino.
Non è mia intenzione rimestare tra i ricordi per rivedere gli aironi che nidificavano nella zona di Mollarella prima della urbanizzazione o gli anatidi, di casa sul Salso, prima che il fiume diventasse inquinato e maleodorante.
Presente nel nostro territorio, ma non facilmente visibile, lo SPARVIERE , nome scientifico ACCIPITER  NISUS, è un uccello appartenente alla famiglia Accipitridae che, grazie alla sua struttura “aerodinamica”, vola agilmente tra i rami intricati degli alberi.
Lo sparviere è un piccolo rapace diurno, snello, lungo circa 25 cm, robusto, agile, comune in
tutta l’Italia. Il maschio è notevolmente più piccolo della femmina.
Ha una livrea grigia -plumbea intensa, uniforme nella parte superiore e uno spazio bianco sulla testa. La parte inferiore è bianca con delle sfumature rosa – cannella. Le ali, corte e arrotondate, gli permettono una
grande agilità e rapidità.
La coda è allungata e troncata, il becco breve e adunco. Le dita, pure lunghe, sono provviste di artigli ricurvi e molto affilati. Gli occhi gialli sono molto vivaci.

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Lo Sparviere si è adattato a vivere nella Montagna di Licata per le condizioni climatiche favorevoli.
Le biforcazioni dei tronchi dei numerosi alberi di conifere presenti nella mia campagna gli offrono una gratuita ospitalità, dove l’uccello vi può costruire il nido rudimentale fatto di minuti rami, che amplia ogni primavera con l’aggiunta di nuovi materiali.
Lo sparviere occupa, infatti, di solito lo stesso nido, anno dopo anno, o ruba quello di qualche altro uccello accomodandolo a modo proprio.
In genere è la femmina ad occuparsi della costruzione del nido apportando con le zampe erba secca, foglie morte, sterpi rozzamente intrecciati.
Il periodo degli amori comincia in primavera e il corteggiamento avviene mediante volteggi, picchiate, figurazioni ondulate ed emissioni di suoni.
La femmina depone un numero di uova variabile da due a cinque, bianche, spruzzate di marrone, impiegando anche quattro, cinque settimane prima della completa deposizione.
I piccoli si sviluppano in cinque, sei settimane.
I fratellini, nascendo scaglionati, hanno differenti dimensioni già dentro il nido.
É solo la madre che si occupa della loro nutrizione con le prede procurate dal padre che non è in grado di imboccarli. Questi rifornisce di cibo tutta la sua famiglia o si ferma quando la madre si allontana per andare a mangiare nei dintorni dell’areale.
Il momento della schiusa è molto delicato poiché i piccioni sono molto sensibili all’inquinamento, agli insetticidi e agli anticrittogamici usati in agricoltura.

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Lo Sparviere, infatti, in questi ultimi anni ha fatto registrare un crescente crollo del numero della popolazione.
É un uccello sedentario e stanziale, ma regolari movimenti migratori di individui provenienti dal nord europeo si registrano durante l’autunno e all’inizio della primavera, quando il transito dei piccoli uccelli è massimo.
Il suo grido spaventa veramente gli altri uccelli ai quali dà una caccia spietata.
É così accanito nel cacciare che non teme neanche la presenza dell’uomo e non esita a precipitarsi sulla preda.
Le corte penne remiganti, che rendono le ali arrotondate, e la lunga coda che funge da timone, lo aiutano a cacciare gli uccelli di modeste dimensioni. Li sorprende con straordinaria abilità catturandoli al volo, con fulminei inseguimenti, o in mezzo agli alberi e ai cespugli, acquistando un’alta velocità in breve spazio con poderosi battiti d’ala.
É un irriducibile distruttore anche di piccoli mammiferi e di rettili.
Ho assistito impotente alla cattura di una giovane, indifesa cinciallegra che stava tranquillamente passeggiando su un muretto a secco. Il suo movimento radente è stato più veloce dei miei tentativi rumorosi per distoglierlo dalla caccia e per avvisare la povera vittima dell’imminente pericolo.
Ha, quindi, trasportato l’animale sul posatoio e, sicuro e tranquillo, l’ha spiumato.
Le sue abitudini di caccia, basate sulla sorpresa e sulla rapidità dell’attacco, rendono piuttosto fortuito l’incontro e fugaci le osservazioni.
Vive in uno spazio ristretto ed è un rapace individualista e solitario.
Anche durante la stagione riproduttiva maschio e femmina mantengono distinti i territori d’azione, separandosi subito dopo l’allevamento della prole.
Essendo tutti i rapaci, in genere, in cima alla piramide alimentare, rappresentano la misura della salute ecologica di una regione.
Si può allora affermare che la piana di Licata e le colline che la delimitano sono in buona salute solo perchè stamattina ho visto uno sparviere?
Non è così semplice.
Si vedono, e non solo in campagna, molte, troppe gazze. L’esagerato proliferare delle gazze è dovuto alla rarefazione dei rapaci diurni che, mediante l’attività predatoria, in un ambiente in buon equilibrio, ne limitano la crescita demografica.
L’eccessiva numerosità di gazze è quindi un campanello d’allarme: vuol dire che sparvieri, nibbi, poiane e falchi sono assenti o in numero talmente esiguo da non riuscire ad esercitare il ruolo che la Natura ha loro affidato.
Qual è questo ruolo?
Gli uccelli da preda, per saziare il loro appetito e quello alquanto ragguardevole dei loro neonati, sono costretti a cercare qualcosa da mangiare praticamente dall’alba al tramonto.
Il loro cibo, rappresentato da altri uccelli, da piccoli mammiferi e da rettili, non è disposto a farsi catturare facilmente.
Al becco e agli artigli è allora più frequentemente immolato l’individuo più debole degli altri, ovvero meno forte e veloce nel sottrarsi alla morte, perché troppo vecchio o ammalato.
In Natura non c’è posto per i vecchi, poiché essi hanno già assolto la loro funzione primaria di tramandare la propria specie nel tempo per mezzo della riproduzione.
Un individuo infermo è poi una sorta di bomba biologica, un pericolo per la salute della specie; se è affetto da qualche malattia infettiva, la trasmetterà agli altri individui sani con i quali verrà in contatto contribuendo così alla sua diffusione.
Una malformazione ereditaria sarà geneticamente trasferita, mediante la riproduzione, alle generazioni future indebolendo la specie.
Ecco come i predatori attivi operano una selezione naturale concorrendo, alla fine, allo scopo di conservare nel tempo le stesse specie che uccidono.
Togliere allora i predatori ad una regione può significare compiere il primo passo verso l’estinzione di molte altre creature.
Altro che “uccello del malaugurio” associato dal dialetto licatese “Tici” alla figura dello sparviere!
Il ruolo dei predatori meraviglia sempre il giovane, perché intravede per la prima volta un aspetto imprevisto della Natura in cui ogni essere dipende dagli altri e l’esistenza dell’individuo è ben poca cosa di fronte alla salute della specie a cui appartiene.
É un concetto difficile da assimilare perché porta a conclusioni non antropocentriche.
E il licatese medio, come tutti gli italiani medi, pecca di eccessivo antropocentrismo
tanto da collocarsi sopra le realtà naturali e dimenticare che egli stesso è una realtà naturale.
Così il cacciatore elimina sistematicamente gli uccelli rapaci e i mammiferi carnivori: volpi, donnole, furetti….. perché li considera “competitivi”nei confronti della caccia, suo passatempo preferito”.
Pensa che, uccidendo crudelmente una volpe, egli avrà più conigli per sè e non sa che sarà proprio il contrario.
I conigli vecchi, ammalati, mentre prima erano selezionati ed eliminati dai predatori, in assenza di questi, trasmettono la malattia ai soggetti sani con conseguente riduzione del numero della popolazione.
Può il cacciatore considerarsi un meccanismo biologico di selezione naturale alla stregua dei predatori?
Assolutamente no!
Lo era l’Uomo del Neolitico, forse del Medioevo, fin tanto che cacciava per nutrirsi, oggi non più.
Ogni essere vivente colpisce o uccide solo per sfamarsi ed è, a sua volta, colpito o ucciso per sfamare altri individui.
Ogni vivente ha il suo nemico naturale, cacciatore o parassita, mentre la specie umana sembra fare eccezione.
Sembra, perché l’Uomo porta in sè il germe della propria distruzione.
Egli violenta ogni giorno la Natura disboscando, incendiando, spianando montagne, riversando veleni d’ogni genere, accanendosi contro le cose naturali che vuole piegare al proprio tornaconto.
L’Uomo si oppone ad un’esistenza in armonia con la Natura in nome della tecnologia, meraviglioso frutto del suo intelletto, ma non si è preoccupato molto di conciliarla con gli equilibri naturali.
Come trema di paura il topo granivoro tra i cespugli perché vede proiettarsi vicina l’ombra gigantesca dello sparviere che si libra pronto a lanciarsi,

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così non batte ciglio l’Uomo, o al massimo si dispera, cercando altrove le cause delle inondazioni e delle siccità, della distruzione delle foreste, dei raccolti infestati da innumerevoli parassiti, delle frane, dell’impoverimento di falde acquifere, della morte per fame.
Fino a quando non avrà veramente compreso qual è il suo ruolo nell’economia delle risorse naturali, egli sarà il nemico di se stesso, cacciatore e preda, ospite e parassita ad un tempo e la sua “Bestia nera” sarà sempre con lui, dentro di sè.
Molto efficace è la favola di Esopo “l’usignolo e lo sparviero”.
Un piccolo usignolo, pigro e ozioso, posato su un’alta quercia, cantava come solitamente faceva.
Uno sparviere, provato dalla fame per mancanza di cibo, avvistatolo da lontano, subito gli piombò addosso.
L’usignolo, molto spaventato e comprendendo che per lui era giunta la fine della sua vita, lo supplicò di lasciarlo volare dal momento che, essendo giovane e poco
energetico, non avrebbe certamente riempito il suo capiente stomaco. Se proprio avesse dovuto saziarsi, sarebbe stato costretto a cacciare qualche uccello di maggiore mole. Lo sparviere così gli disse: “Sarei uno sciocco se lasciassi andare il pasto, che ho già qui, per correr dietro a quello che non si vede ancora!”
La morale insegna che anche tra gli uomini, stolti sono coloro i quali, nella speranza di mettere insieme beni maggiori, si lasciano sfuggire quello che è in loro possesso. Ci si deve saper accontentare di quello che si ha!
Ovidio, nella mitologia latina, nelle “Metamorfosi” (XI, vv. 301-327), nel mito di Chione, racconta della passione di Mercurio e di Apollo per Chione.
Entrambi gli dei si erano innamorati della bella fanciulla dopo averla avvistata dal cielo nello stesso istante. Apollo decise di attendere il calare della notte per unirsi a lei; Mercurio discese immediatamente sulla
terra per possederla addormentandola con la sua verga. Mercurio e Apollo, nello stesso giorno, soddisfecero il loro desiderio. Chione rimase incinta di entrambi gli dei.
L’essere stata amata da due divinità, l’avere avuto dei figli da loro, fecero inorgoglire Chione che si ritenne più bella della dea Diana. Per punire la giovanetta della sua vanità, Diana le trapassò la lingua con una freccia. Chione, a terra, circondata dai suoi due bambini e dal padre Dedalione, cercò di divincolarsi, ma inutilmente. Esanime, fu deposta sul rogo. Suo padre Dedalione, non sopportando la vista dell’amata figlia avvolta dalle fiamme, in preda al dolore, fuggì via, fuori di sé.
Giunto sulla cima del monte Parnaso, si gettò in mare.
Subito Apollo trasformò Dedalione, per pietà, in un uccello: “LO SPARVIERE”.
Foto dal Web.

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