Jun 17, 2023 - Senza categoria    Comments Off on LE PIANTE DI SILYBUM MARIANUM DALLE PUNGENTI SPINE NELLE CAMPAGNE DI LICATA

LE PIANTE DI SILYBUM MARIANUM DALLE PUNGENTI SPINE NELLE CAMPAGNE DI LICATA

Il fusto eretto e vigoroso, le foglie spinose, la forma stellata del fiore hanno suscitato in me una grande ammirazione.

Nella mia campagna, in contrada Montesole, a Licata, ho raccolto molti semi che, germogliando, hanno prodotto tante piante molto utili perchè hanno circondato una superficie di circa 2 metri quadrati per proteggere l’Elicrisum italicum, la specie botanica molto amata dal prof. Carmelo De Caro.



E’ il “SILYBUM PYGMAEUS”.
Sinonimi sono: “Carduus marianus, Centaurea dalmatica, Mariana lactea”.

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In Italia la specie è conosciuta in quasi tutte le regioni ed è chiamata con diversi nomi: “Cardo di Santa Maria, Latte di Maria nel Veneto, Card d’ le maccie, Card Marianu in Piemonte, Gardo santo in Liguria, Cardo lattario in Lombardia, Cardo macchiato, Cardo Mariano, Cardo Santa Maria, Erba del latte, Cardo asinino inToscana,Carduni, Cocas in Calabria, Muganazzi, Maganazzi, Magunazzi veri, Cardunazzu,Cardalana, Battilana in Sicilia, Cardu tuva Cima de carduin Sardegna“.
Etimologicamente il termine del genere “SILYBUM” deriva dal greco “σίλυβον/σίλλῠβον”, nome con cui Dioscoride chiamava alcuni cardi commestibili. Anche Plinio ha dato il nome “Sillybus”, un tipo di cardo.
Il termine della specie “marianum“, letteralmente di “Maria”, trae origini dalla leggenda secondo la quale le bianche striature presenti sulle nervature delle foglie dei cardi sarebbero le scie lasciate dalle gocce di latte della Vergine Maria scivolate sulle foglie mentre allattava il Figlio Gesù durante la fuga in Egitto per sottrarLo alla persecuzione di Erode. La mamma Maria, Giuseppe e il Bambino Gesù hanno trovato riparo in una vegetazione di cardi.


Il Silybum marianum è una pianta erbacea, biennale,con portamento vigoroso, appartenente alla famiglia delle Asteracee. Originaria del continente eurasiatico, presente anche in limitate zone dell’ America, dell’Australia e dell’Africa, si è diffusa in diversi Paesi del bacino del Mediterraneo.
In Italia è distribuita in altitudini comprese tra i 100 e i 1100 metri, vegetando dalle zone costiere fino alla zona submontana.
Più rara al nord e più frequente al sud e nelle isole fino a diventare invadente.
Anche a Licata è diventata infestante. Infatti vegeta bene nei ruderi, lungo le strade, nei terreni incolti.

Il Silybum marianum possiede la radice robusta e fittonante, capace di dissodare i terreni compatti.
Nel primo anno di vita emerge dalla radice solamente una rosetta basale di foglie laterali grandi, lobate e picciolate. Nel secondo anno spunta lo scapo fiorale che può raggiungere i 1,5 metri. Esso è robusto, striato e ramificato, con rami eretti.


Le foglie che si sviluppano sullo scapo sono sessili, amplessicauli, più piccole e meno divise delle basali, espanse alla base in due orecchiette. Le foglie superiori sono pennatifide, con margine ondulato e sinuato-lobato, con i lobi triangolari che terminano con robuste spine. La lamina fogliare, di colore verde-scuro, variegata di bianco lungo la nervatura, è glabra, coriacea, e cerosa.
Il rivestimento ceroso agevola il deflusso dell’acqua per mezzo di grosse gocce.


L’antesi avviene nei mesi tra aprile e maggio del secondo anno.
La parte più manifesta è l’infiorescenza a capolino, globosa, formata da piccoli fiori ermafroditi, con corolla tubulosa di colore rosso-purpureo e profumata.
L’infiorescenza è circondata da brattee spinose che hanno una base slargata che si prolunga in un lembo patente, rigido, stretto e acuminato, provvisto di una serie di spine sui margini e terminante con una robusta spina apicale.
Le brattee tendono a curvarsi verso il basso durante la fruttificazione.
Nell’insieme la pianta si presenta interamente spinosa.



I sepali del calice del fiore sono ridotti ad una coroncina di squame. La corolla è formata da un tubo filiforme terminante in 5 lobi.
Nell’ androceo i 5 stami sono formati da filamenti liberi, papillosi o raramente glabri e distinti. Sorreggono le antere saldate in un tubo che circonda lo stilo. Il polline è sferico o schiacciato ai poli.
Nel gineceo lo stilo è filiforme con due stigmi divergenti.
L’ovario è infero, uniloculare, formato da 2 carpelli. L’ovulo è unico e anatropo.
La fecondazione avviene tramite l’impollinazione dei fiori mediante gli insetti e le farfalle diurne e notturne.
I frutti sono degli acheni penduli, obovato-compressi, più stretti alla base e compressi lateralmente, di colore bruno-nerastro o screziate di giallo. Sono lucidi e glabri, inodori e dal sapore amaro, provvisti di pappo setoloso all’apice composto da lunghe setole, scabre, caduche, bianche, saldate in un anello basale con la funzione di disperdere il seme. I frutti maturano in piena estate.


Contengono i semi che vengono disseminati dal vento o cadono direttamente sul terreno.


La disseminazione è favorita anche dagli insetti, dalle formiche secondo la disseminazione mirmecoria.
La pianta ha anche una facile diffusione spontanea.
Il Silybum marianum è una pianta che si adatta a qualsiasi tipo di terreno gradendo una esposizione in pieno sole. Non necessita di essere irrigata se non in periodi di prolungata siccità.
I principali impieghi fitoterapici del Silybum marianum riguardano l’uso contro le affezioni del fegato e come galattogeno per la stimolazione del latte materno.
L’utilizzo, a scopo terapeutico, di questa pianta è noto fin dall’antichità.
Già gli antichi rilevavano la sua efficacia sulle cellule epatiche. Successivamente questa fama terapeutica fu confermata dalla taumaturgica Santa Ildegarda.
Tuttavia l’affermazione dei principi attivi è stata completata negli anni settanta.
Già nel Cinquecento Pietro Andrea Mattioli, noto umanista e medico italiano, descrisse le qualità curative del Silybum marianum: “La radice scalda, monda, apre e assotiglia. La cui decottione dà utilmente nelle oppilationi del fegato e delle uene, per prouocar l’orina ritenuta…Prouoca la medesima i menstrui non solamente beuta, ma anchora sedendouisi dentro…”
Il Silybum marianum è una pianta officinale.
Pertanto, grazie alle proprietà antiepatotossiche, è utilizzato in caso di sofferenza organica e funzionale del fegato dovuta a patologie come epatiti, cirrosi e steatosi.
Ha, inoltre, proprietà colagoghe, perchè favorisce l’escrezione della bile, e capacità diuretiche. I suoi benefici per il fegato sono stati attribuiti alla silimarina, una miscela di flavonolignani, (silibina, silidianina, isosilibina e silicristina), che si estraggono dagli acheni, e si basano si meccanismi antiossidanti, antinfiammatori, citoprotettivi e rigenerativi sulle cellule epatiche. La moderna fitoterapia utilizza il decotto o l’infuso delle radici.
L’uso è consigliabile con cautela di pazienti sofferenti di ipertensione arteriosa per la presenza della tiramina.
Le radici hanno, inoltre, proprietà diuretiche e febbrifughe. Le foglie hanno proprietà aperitive. Le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimurgici sono indicati a scopo informativo.
In campo alimentare l’estratto dalle radici è usato nella preparazione di liquori d’erbe.
Le radici bollite sono commestibili, i capolini si cucinano come i carciofi, le giovani foglie si consumano in insalata e i fusti si mangiano crudi o cotti.
Curiosità: In Germania, in Prussia e in Boemia il Silybum marianum era considerato un protettore magico che allontanava gli influssi negativi di ogni genere. Le ragazze innamorate potevano indagare se erano veramente amate dal partner con questo sortilegio: bruciavano un fiore lasciandolo immerso nell’acqua in una bacinella per una intera notte. Se il fiore rifioriva, le innamorate avevano la certezza di essere amate.
Il De Gubernatis riporta una leggenda secondo la quale in un certo luogo cresceva uno strano cardo dall’aspetto umano. Quando sbocciava il dodicesimo capolino, allora il Cardo svaniva.
Un giorno un vecchio uomo si avvicinò proprio allo sbocciare del magico fiore.
Il vecchio, incuriosito dalla strana sembianza umana, si avvicinò e lo toccò col suo bastone.
Il bastone di legno prese fuoco e il braccio del vecchietto si paralizzò, chiaro segno della Potenza inceneritrice del dio Sole.

 

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