Sep 12, 2017 - Senza categoria    Comments Off on L’AILANTHUS ALTISSIMA NEL GIARDINO DEL PALAZZO ARMAO-RUSSO A MISTRETTA

L’AILANTHUS ALTISSIMA NEL GIARDINO DEL PALAZZO ARMAO-RUSSO A MISTRETTA

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Non è sfuggita alla mia osservazione, durante il mio soggiorno a Mistretta nel mese di agosto del 2017, la presenza delle meravigliose infiorescenze di fiori giallo paglierini che sporgevano dal muro di cinta del giardino del palazzo Armao-Russo compreso fra la Via Del Bevaio e il largo Buon Consiglio.

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Ho notato anche che molti alberi di Ailanthus altissima sono distribuiti lungo la via Nazionale, fuori dalle mura della città, procedendo verso Nicosia.

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  Moltissimi sono questi alberi presenti lungo le strade siciliane!

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Sono le infiorescenze a pannocchia dell’Ailanthus altissima.

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L’etimologia del genere “Ailanto” è incerta.
Secondo alcuni deriva dal francese “ail” “aglio” a causa dell’odore agliaceo emanato dalle foglie quando vengono stropicciate, oppure dal greco “anthòs” “fiore“.
Oppure il nome è un’alterazione del malese “ailant” o “aillanitol” “albero che raggiunge il cielo”, o “albero del paradiso“,  nome col quale l’Ailanto è chiamato nell’arcipelago delle Molucche.
Il nome della specie “altissima” deriva dal latino “altissimus, -a, um”, in riferimento all’altezza che la pianta raggiunge.
Un altro sinonimo dell’Ailantus altissima è Ailanthus glandulosa.

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L’Ailantus altissima è una specie vegetale appartenente alla famiglia delle Simaroubaceae originaria delle regioni meridionali della Cina, dove la specie è conosciuta fin dai tempi molto lontani.
Nel XVIII l’Ailantus fu introdotto in Europa grazie alla sensibilità del gesuita padre Pierre d’Incarville che inviò una buona quantità di semi.
Per la loro grande capacità di germinazione i semi subito generarono le nuove piante.
Infervorati dal risultato ottenuto, anche alcuni botanici francesi cominciarono a spargere i semi e a condividerli con altri studiosi europei, in particolare con gli inglesi.
La specie fu introdotta in Inghilterra nel 1751. Nel 1784 fu introdotta anche negli Stati Uniti. In Italia è stata introdotta alla fine del 1760 nell’Orto Botanico di Padova.
L’Ailantus altissima è un albero a portamento eretto.
Cresce rapidamente ed è capace di raggiungere 25 – 30 metri di altezza in pochi anni e, per questo motivo, è chiamato “Albero del paradiso”.
Si lega al terreno mediante un apparato radicale formato da rizomi che riescono a estendersi profondamente, per cui è difficile l’eradicazione, e anche orizzontalmente per diversi metri emettendo polloni a notevole distanza.
Dalle radici s’innalza il fusto colonnare rivestito dalla corteccia che inizialmente è liscia e di colore grigio chiaro e successivamente diventa ruvida e con screpolature di colore marrone.
Sul fusto sono presenti anche delle lenticelle.
La chioma, molto ramificata ed espansa, è formata dai rami e dalle foglie.
I rami, lisci, lucenti, dal colore grigio chiaro-scuro, man mano che la pianta cresce si formano delle lenticelle prominenti che col tempo si fessurano. Le estremità dei rami sono pendenti.

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Le foglie, disposte alternatamente sullo stelo, sono pennato- composte, lunghe anche 40-50 cm, costituite da 15-20 piccole foglie ovali, disposte in coppie.

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La pagina superiore è di colore verde scuro con venature verde chiaro, mentre la pagina inferiore è di colore verde biancastro. Hanno il margine liscio e intero, l’estremità affusolata e, vicino alla base, presentano una profonda nervatura. Ogni foglia è attaccata al ramo mediante il picciolo lungo da 5 a12 mm.

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 Generalmente l’Ailantus altissima è una pianta dioica. Ci sono esemplari che producono solo infiorescenze maschili e altri che producono soltanto infiorescenze femminili.
Esistono anche esemplari con fiori ermafroditi e quindi capaci di autofecondarsi.
Alla fine della primavera, all’apice dei rami avviene l’antesi.
Compaiono le infiorescenze a pannocchie terminali, lunghe anche 50 cm, di piccoli mazzetti di fiorellini solitari di colore giallo-verde, a volte con sfumature rossastre, composti di 5 petali e sepali.
I petali sono valvari, pelosi, i sepali sono a forma di tazza, lobati e uniti.
I fiori maschili emanano un odore sgradevole mentre i fiori femminili sono inodori.

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Anche le foglie e la corteccia dell’Ailantus emanano un odore sgradevole.
Per questo motivo volgarmente l’Ailantus è definito “L’albero che puzza”.
l’impollinazione è entomogama.
Alla fine dell’estate sono visibili i frutti, numerosissime polisamare costituite da 1-5 piccole samare alate, cartacee, di 3-4 cm, oblungo-lanceolate e sinuate, gialline quando sono giovani, rossastre quando sono mature e persistenti sull’albero per molti mesi.
Contengono al centro un unico seme appiattito, bruno-giallastro o rossastro.

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L’albero comincia a produrre semi precocemente e in abbondanza, fino a 300.000 unità.
La disseminazione è anemocora.
Essa inizia a partire dal mese di  novembre e si protrae fino a maggio. I semi, grazie alla loro forma, anche con il soffio di un vento leggero, si spingono molto lontano dalla pianta madre, fino a 70 metri.
I semi germinano facilmente.
La riproduzione avviene anche per talea da rami e da radici.
La pianta è poco longeva, raramente supera i 50 anni di età sebbene la sua straordinaria capacità di generare polloni, che si allungano anche a grande distanza dalla pianta madre, le consente di replicare se stessa per tempi assai più lunghi.
Spesso tende a diventare infestante e difficile da estirpare.
Ha scelto bene il posto dove poter vegetare bene l’Ailanthus altissima!
Nella piazza San Felice, di fronte alla  villa comunale “Giuseppe Garibaldi”, a Mistretta, stretto ai piedi del Lugustrum acutifolia,  come dimostra la foto del dott. Luigi Marinaro, vegeta una piccola pianta di Ailanthus.

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L’Ailanthus, oltre ad essere una pianta invasiva  è anche vanitosa.
Crescendo rapidamente,  soffocherà il Ligustro?
Che fare?
Nella piazza San Felice ha la possibilità di farsi ammirare per la bellezza della pianta nel suo portamento, nella forma e nella grandezza delle foglie, nelle infiorescenze.
L’Ailantus è poco esigente. Presente in tutto il territorio italiano, ama gli spazi aperti e luminosi.
Preferisce vegetare dal livello del mare fino a 1000 metri di altezza posto su terreni abbastanza aridi, ricchi di azoto e con pH da neutro o poco acido.
E’ una pianta xerofila, che riesce a sopportare la siccità.
Controlla l’evaporazione chiudendo gli stomi presenti sulla pagina inferiore delle foglie.
Sopporta bene temperature invernali rigide, come accade a Mistretta, ma anche il caldo estivo sopportando temperature anche sopra i 40°C per periodi prolungati. Resiste al vento, all’inquinamento ed è immune da parassiti e da altre malattie.
E’ una pianta pioniera. Sempre per la sua adattabilità e per la sua grande velocità di crescita l’Ailanto è utile per il rimboschimento e per consolidamento di aree franose e depresse.
E’ una pianta pioniera. Riesce a colonizzare terreni abbandonati e ruderali, a rinsaldare scarpate e zone attaccate dal fuoco, da altri fenomeni atmosferici, o da insetti defogliatori.

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Non è consigliabile coltivare l’Ailanto nei giardini privati e nei parchi pubblici per il suo cattivo odore e perché è invasivo. Col suo apparato radicale cospicuo e molto profondo soffoca le altre piante .
L’Ailanto possiede un legno tenero e di modesta qualità, buono come combustibile perché produce fiamme di colore chiaro e lascia poche ceneri.
Il legno degli alberi giovani può essere utilizzato nell’industria della carta, grazie alla sua elevata redditività, e per la produzione di piccoli oggetti artigianali.
In Cina l’Ailanto era estesamente coltivato per ospitare la falena Samia cynthia, detta “Bombice dell’Ailanto”, utile per la produzione di una particolare seta ricavata dal bozzolo della larva che si nutre delle foglie dell’Ailanto.
La coltivazione  dell’Ailanto si estese anche in altri paesi per l’allevamento della farfallaper lo stesso motivo.
Essa è una farfalla di grandi dimensioni introdotta in Europa verso la fine del ‘700, e in Italia nel 1856, per produrre seta in alternativa a quella più pregiata prodotta dal Bombix mori, il bruco del Baco da seta che si nutre delle foglie del gelso.
Nel 1856 anche in Italia si cominciò a coltivare l’Ailanto con l‘intento di ospitare la farfalla Samia cynthia.
Tuttavia la scarsa qualità del prodotto e l’invenzione delle fibre sintetiche, fecero cessare i tentativi di produrre questo tipo di seta.
L’Ailanto si diffuse in tutta l’Europa e si naturalizzò, come anche la falena Samia cynthia che continua a vivere sugli Ailanti.
Nessuna parte della pianta dell’Ailanto è commestibile.
Non è gradita neanche agli animali.
I suoi fiori attirano particolarmente le api che, col suo nettare, producono un ottimo miele monoflora, il miele di Ailanto, dal sapore fruttato amarognolo.
Dalla medicina tradizionale cinese l’Ailanto è considerato un albero sacro per le proprietà farmacologiche ottenute dagli estratti della corteccia, dei frutti e dalle radici. Intervengono nel trattamento di malattie mentali, della calvizie e della dissenteria  perchè contengono alcaloidi, triterpeni e flavonoidi quali principali costituenti chimici. Resine e alcaloidi, tuttavia, sono fortemente tossici e possono provocare effetti secondari quali nausee e depressioni. Il contatto con le foglie puzzolenti può provocare irritazioni cutanee, dermatiti e allergie.
Nell’industria le foglie sono utilizzate per tingere di giallo la lana.

 IL PALAZZO ARMAO-RUSSO A MISTRETTA

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Il Palazzo Armao-Russo è conosciuto con questi due nomi perché fu costruito nel 1755, come testimonia la data incisa sul blocco lapideo sottostante il tetto, ( e non nel 1775 come erroneamente riportato nella tabella del Club Lions), dal Barone don Giovan Battista Armao, membro di una facoltosa famiglia del luogo, abilissima nei commerci della seta, dell’olio, dei formaggi.

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 Don Giovan Battista, sposando la signorina Vittoria Valdina, volle ospitarla in una residenza elegante, aristocratica e aperta verso la campagna che guardava le montagne.
Circa un secolo dopo, fu acquistato dal Cavaliere Giovanni Russo in occasione del suo matrimonio con la signorina Remigia Catania.
Il palazzo è un bellissimo esempio di architettura del Settecento, che segna il passaggio dal barocco al neoclassico, formato da un isolato comprendente la Strada Monte,

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  la Via Primavera,

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 la Via del Bevaio, da dove si affaccia nella Via San Biagio,

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  e con la parte posteriore si affaccia sul largo Buon Consiglio.

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Il palazzo comprende il piano terreno, adibito a scuderie e a botteghe varie, il primo piano abitato dalla servitù, e il piano nobile al quale si accede dall’ingresso principale.

5 monumentale facciata verso la città ok

Un ingresso al piano sopraelevato di destra della servitù è dalla via del Bevaio.

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Superato il portone, alcuni gradini interni immettono in due ampi locali a sinistra e alla cucina a destra  dalla quale si accede al giardino privato, anticamente molto rigoglioso nella vegetazione, oggi completamente incolto, circondato da un alto muro di cinta e abbraccia il retro dell’edificio.

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Ricordo che negli anni ’60, giocando con i nipoti del signor Insinga, in particolare con la cara e indimenticabile Maruzza,  abbiamo frequentato questo giardino e andavamo a trovare la signora Maria Grazia Ribaudo, mamma della signora Marana, donna molto anziana e molto ospitale,che abitava in un mini locale all’interno del giardino.
Il palazzo, di forma geometrica a parallelepipedo e bloccato da robusti cantonali, si presenta con due ordini distinti.

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Il portale principale, molto alto, ad arco a tutto sesto, in pietra arenaria, circondato da colonne scanalate, mostra lo stemma nobiliare della famiglia Catania con l’aquila rampante e la corona.

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20 scudo con lo stemma della famiglia Catania ok

I balconi, quelli in alto, allo stesso livello, sono abbelliti da ringhiere rigonfie di ferro battuto, di tocco spagnolo, e sostenuti da mensole scolpite.

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Contenuti in lunette sagomate, i quattro personaggi, scolpiti ad alto rilievo in stucco, rappresentano la poesia e la politica.
Di fronte al palazzo Russo c’è il palazzo Salmone.
Le due famiglie, Russo e Salamone, comunicavano all’esterno attraverso la loro ideologia.
Mentre nella famiglia Russo prevalevano la poesia e la politica, nella famiglia Salamone prevaleva la filosofia rappresentata dai filosofi scolpiti nelle lunette.
Nel palazzo Di Salvo, vicino al palazzo Salamone, prevalevano le allegorie delle arti: della musica, della pittura, della poesia, della scultura,  opere create dalla feconda fantasia artistica di Noè Marullo che le ha riprodotte nelle immagini dei personaggi di stucco posti nelle lunette ad arco ribassato sopra ogni balcone.

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Molti sono altri balconi e finestre che abbelliscono le facciate del palazzo.

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All’interno un ampio androne separa due scale, una a destra e l’altra a sinistra, che conducono ai primi piani dei mezzanini del palazzo sicuramente abitati anch’essi dalla servitù.

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Quindi l’androne continua fino a dividersi, superando le due balaustre, in due rampe di scale che conducono all’elegante loggiato del piano nobile.

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Il coro “Monteverdi”

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32a balaustra dello scalone principale del palazzo ok

Quindi, attraverso un’altra rampa di scale si accede al piano nobile.

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Prima di intraprendere le scale, il percorso può continuare con un corto tunnel che conduce ad un’altra entrata nell’ampio giardino.
Le pareti e le volte dei soffitti dei due saloni interni del palazzo sono abbelliti dallo stemma che ricorda la famiglia Russo e da tante altre decorazioni originali  e affreschi realizzati dall’artista Francesco la Farina nel 1832, ma non in buono stato di conservazione.

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Nel grande e fastoso salone si organizzavano feste, i celebravano i matrimoni, si battezzavano i neonati, si programmavano riunioni politiche, si riunivano i liberali, si procuravano l’occorrente per manifestare contro i Borbone e per cacciarli dalla Sicilia.

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49 affresco nel salone d'onore con il ok

L’affresco raffigura il Concilio degli Dei e si trova nel salone d’onore

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 I pavimenti sono rivestiti  da mattonelle in ceramica.

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La sezione nobile del palazzo contiene il camino e moltissimi mobili e oggetti di arredo.

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Nella seconda metà del XIX secolo il palazzo veniva trasferito alla proprietà del cav. Giovanni Russo, convolato a nozze con donna Remigia Catania, nobildonna di Mistretta.
Attualmente il palazzo per metà è di proprietà dei fratelli Prestifilippo, figli del signor Giacomo e della signora Rosaria Calabrò, conosciuta col nome di  signora Marana, e per l’altra metà degli eredi del signor Insinga Giuseppe.
Il restauro del tetto è stato effettuato recentemente dalla ditta Sgrò Vincenzo di Mistretta, su commissione della Soprintendenza ai BBCC di Messina.
Il palazzo avrebbe ancora bisogno di un urgente e attento restauro per conservare ancora a lungo questo prezioso monumento.

 

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