Apr 27, 2016 - Senza categoria    Comments Off on LA VITA DI SANT’ANGELO, MARTIRE CARMELITANO PATRONO DELLA CITTA’ DI LICATA

LA VITA DI SANT’ANGELO, MARTIRE CARMELITANO PATRONO DELLA CITTA’ DI LICATA


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Mistretta è la mia città d’origine, Licata è la mia città adottiva. San Sebastiano è il patrono di Mistretta, santo al quale sono devota, come tutti i mistrettesi. Sant’Angelo, martire glorioso del Signore, è il patrono di Licata e, come ogni licatese, Gli sono devota anch’io.

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Auguri a tutti coloro che portano il nome di Angelo/a che rendono onore al nostro Santo Patrono. Auguri alla diletta città di Licata protetta dal Santo Martire

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Angelo nacque a Gerusalemme il 2 marzo del 1185 da Jesse e Maria, genitori ebrei convertiti al cristianesimo in seguito all’apparizione della SS.ma Vergine che predisse loro la nascita di due figli gemelli.
Alla morte dei genitori, rimasti orfani, i fratelli Angelo e Giovanni, presi in custodia dal Patriarca Nicodemo, furono educati sino all’età di 18 anni. Sotto la sua guida, furono eccellenti nella virtù e negli studi.
Quindi, chiesero di essere accolti fra i Carmelitani nel convento di Sant’Anna, presso la Porta Aurea in Gerusalemme. Superato l’anno di prova, andarono al convento sul monte Carmelo ove vissero in duro ascetismo in digiuni, preghiere e penitenze. Fin dal tempo dei Filistei il monte Carmelo fu luogo di sosta di asceti.
Dopo la morte di Gesù, su questo monte si ritirarono alcuni cristiani per attuare i suggerimenti evangelici. Fu la culla dell’antico Ordine monastico contemplativo d’origine orientale che prese il nome proprio dal monte: l’Ordine dei Carmelitani.
Alcuni eremiti sul monte Carmelo edificarono il primo tempio dedicato alla Vergine che, per questo motivo, si chiamò Madonna del Carmelo o Madonna del Carmine.
Il monte Carmelo, in aramaico “Karmel” “giardino, paradiso di Dio”, è un rilievo montuoso calcareo alto 528 metri che si trova nella sezione nord-occidentale di Israele, nell’Alta Galilea. Si estende da SE a NW tra la piana di Esdraelon e quella di Sharon giungendo fino al mar Mediterraneo e articolando la costa nell’omonimo capo ai piedi del quale sorge la città di Haifa.
Possiede una vegetazione bella e rigogliosa. E’ ricoperto di boschi, uliveti, vigneti. E’ citato più volte nell’Antico Testamento, in connessione con la vita del profeta Isaia (III Re 18,19 ss) e di Eliseo (IV Re 2,25), rispettato, per questo motivo, dagli israeliti, dai cristiani, e da musulmani.  Angelo fu ordinato sacerdote nel convento del Carmelo nel 1210, all’età di 25 anni. Angelo, venuto dalla Terra Santa, giunse in Occidente, dopo aver separato le acque del Giordano attraversandolo a piedi asciutti e dopo essersi recato ad Alessandria d’Egitto.
Attraverso il Mediterraneo giunse a Messina, poi a Civitavecchia, per consegnare alcune reliquie che il Patriarca inviava a Federico di Chiaramonte, suo fratello, che si trovava a Civitavecchia. Presto Angelo cominciò a predicare e ad imitare la potenza taumaturgica dei suoi padri Elia e Eliseo compiendo i primi miracoli.
Nel 1214 Alberto di Gerusalemme compose la nuova regola, adottata dall’ordine dei carmelitani, che la trasformava da contemplativa a mendicante. Nel 1218 ad Angelo fu data la missione di recarsi a Roma per sottoporre la nuova regola a Papa Onorio III e che fu approvata nel 1226. A Roma Angelo incontrò San Domenico Guzman e San Francesco d’Assisi che gli profetizzò il suo martirio.
Angelo fu inviato a predicare anche in Campania, in Puglia e in molti altri luoghi. Istituì diversi conventi, che avrebbero accolto i Carmelitani disturbati sul monte Carmelo dalla presenza delle Crociate. Dopo una breve permanenza a Roma, dove svolse intensa attività di predicatore, fu inviato in Sicilia quale capo di coloro che dal Monte Carmelo per la prima volta si portarono in Sicilia. Predicò in diversi paesi: a Cefalà Diana, a Caltabellotta, a Sant’Angelo Muxaro, a Palermo, ad Agrigento. Infine giunse a Licata. Predicava per combattere l’eresia catara.
I Catari professavano una dottrina dualista nella quale Dio e il Demonio avevano pari dignità. Predicavano un’assoluta purezza di vita e rifiutavano i sacramenti tranne il consolamentum“, una specie di battesimo per gli adulti, che permetteva di liberarsi dal peccato all’avvicinarsi della morte. Si definirono “Uomini Puri”.
Per i Catari ogni Uomo doveva liberare il suo animo dal potere del male che governava il mondo terreno. Secondo loro la Chiesa, avendo accettato il potere e le ricchezze, aveva scelto il male e quindi non offriva alcun aiuto per la purificazione. La salvezza poteva venire solo dalla nuova chiesa dei Catari che si erano proposti come l’autentica Chiesa di Cristo, quella degli apostoli.
Quindi si caratterizzarono per un radicale anticlericalismo che rimetteva in discussione l’esistenza del personale e delle strutture ecclesiastiche. Dopo il Concilio cataro di Saint Felix de Caravan del 1167, la chiesa cattolica cominciò ad avvertire la pericolosità dei Catari. Allora assunse verso di loro un atteggiamento estremamente duro. Papa Alessandro III li condannò come eretici, condanna che fu confermata in seguito da Innocenzo III e da Onorio III.

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Giunto a Licata, Angelo andò ad abitare in una casa di via Sant’Andrea, probabilmente ospitato dall’Arcivescovo Goffredo. Angelo, per i licatesi, fu un forestiero arrivato da lontano.

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Ai tempi in cui vi giunse Angelo, Licata era un paese rinchiuso tra le mura per difendersi dagli assalti dei pirati. Il popolo licatese venerava come Patroni i Santi Apostoli Filippo e Giacomo, in onore dei quali era stata costruita una piccola chiesa non lontana dalle rive del fiume Salso. In questa chiesa Angelo officiava e predicava. A Licata conobbe Berengario La Pulcella. Nella piccola piazza, all’incrocio tra la via Giosuè Carducci e la via Rizzo, in una parete di un edificio, è fissato il quadro di maiolica raffigurante Sant’Angelo che discute con un nobile cavaliere che ha la spada al suo fianco.

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 In questa piazzetta Angelo incontrò per la prima volta Berengario. Berengario era un signorotto del luogo, di origine normanna, che, oltre ad essere un caparbio cataro, da dodici anni, con indicibile scandalo del popolo, viveva una vita incestuosa con la sorella Margherita dalla quale aveva avuto tre figli.
Non erano riusciti a fargli cambiare vita le potenti voci dei ministri di Dio, né quelle di altre autorevoli persone perché, come ammetteva pubblicamente, non commetteva nessuna colpa a convivere con la sorella. Toccò ad Angelo porre fine a questo scandalo pagando con la sua vita! Tante volte Angelo aveva parlato paternamente con Berengario. Angelo, che disapprovava questa condotta, mediante le sue prediche sul peccato, convinse almeno la donna a ravvedersi, a porre fine a questa sua colpa e a dare inizio all’opera ardua, ma non impossibile, della propria redenzione. Margherita gridò il suo pentimento davanti al santo predicatore e alla moltitudine di persone presenti in chiesa.
Berengario, molto arrabbiato, progettò l’orrenda idea di vendicarsi. Pensava: ” Tolto che avrò di mezzo questo noioso predicatore che non bada ai casi suoi, io potrò riprendere tranquillamente la mia vita di galantuomo”.
Angelo, con le sue fervidissime prediche, nella chiesa dei santi Apostoli Filippo e Giacomo intratteneva la folla che pendeva dalle sue labbra. Nessuno poteva trattenere le lacrime, di dolore o di gioia, non essendo stato mai ascoltato un predicatore così capace e convincente come Angelo. Fortunati quelli che hanno potuto ascoltare le sue omelie!
All’improvviso ecco lo scompiglio nell’uditorio: Berengario, munito di ben affilata arma luccicante ai raggi del sole ed accompagnato da ribaldi suoi pari, si fece largo prepotentemente tra la devota folla e, con un balzo felino, salì sul pulpito, posto fuori della chiesa perché essendo molto piccola, non poteva accogliere la moltitudine di persone che accorreva per ascoltare la Parola di Dio da Lui annunciata. Raggiunto Angelo, il predicatore, Berengario, sotto gli occhi della popolazione esterefatta, alzò il sacrilego braccio e vibrò ben cinque mortali colpi su quelle verginali carni innocenti. Unanime fu il grido di orrore e di disprezzo dei presenti.
Berengario gridò che anche Margherita sarebbe stata uccisa. Sorella morte raggiunse Angelo, che colse la palma del martirio, il 5 maggio del 1220. Morì dissanguato per le ferite riportate per la violenta aggressione. Prima di morire gridò al popolo di correre alla casa di Margherita per avvertirla dell’ira sanguinaria del fratello e chiese ai fedeli di Licata di non vendicare, ma di perdonare il suo assassino. Angelo fu sepolto nella chiesa dei SS.mi Apostoli Filippo e Giacomo, dove fu ucciso, per ordine dell’Arcivescovo Goffredo, perché questa era la sua volontà manifestatagli durante un’apparizione in casa sua. La cerimonia del seppellimento ebbe luogo il 13 maggio.
Il luogo dove fu martirizzato divenne presto meta di pellegrinaggi dei devoti.  Berengario pose fine alle sue scelleratezze e ai suoi infelici giorni impiccandosi nella sua stessa casa, una ricca dimora dalla sagoma monumentale con la facciata principale sulla piazza della chiesa del santo, oggi piazza Sant’Angelo. Lateralmente c’è un vicolo cieco detto cortile Berengario.

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Per unanime deliberazione del popolo il suo putrido cadavere, che da tempio dello Spirito Santo per avere ricevuto il battesimo era divenuto abitacolo del demonio, fu gettato nell’aperta campagna, esposto ai morsi divoratori dei cani randagi e degli uccelli di rapina. Tommaso Bellorosio racconta che nella chiesetta dove era avvenuto il martirio, dal punto dove riposava il capo di Angelo, scorreva una specie di olio che dava la salute agli infermi che con esso si ungevano.
Una donna vide emergere dalla stessa bocca del martire un candidissimo giglio che tante volte rinasceva quante volte veniva reciso. Questi miracoli non solo accrebbero la devozione del popolo verso Angelo, ma fecero si che il corpo del Santo Martire, trovato là, dissepolto ed emanante un soavissimo odore, nel 1223 fosse deposto in una cassa di legno.
Come racconta Battista Mantovano, rimosse le reliquie, scaturì poi, nel luogo dove era stato collocato il corpo la prima volta, una sorgente di acqua chiarissima e di soavissimo odore, Racconta Giuseppe Pitrè che l’acqua, per i suoi effetti miracolosi, veniva spedita in “ orciuoli ed  anfore sigillate col sigillo del magistrato di Licata alle città e alle province vicine”.
Negli anni 1625-1627, durante il processo per la santificazione, molti testimoni asserirono di avere ricevuto benefici dall’acqua che scaturiva dal pozzo. Venerato come martire, il culto di Sant’Angelo si diffuse rapidamente in tutto l’Ordine Carmelitano e anche tra il popolo almeno dal 1456. L’approvazione del culto a Sant’Angelo fu concessa da papa Pio II. I sacri resti mortali furono deposti in una cappella non carmelitana.
Nel 1457 i suoi confratelli ottennero da Callisto III di annetterla al loro convento, ma ciò non è stato fatto sino al 1605. Le spoglie mortali, tolte dalla cassa di legno, il 7 agosto del 1486 furono deposte dentro un’urna d’argento di piccole dimensioni. Il 5 maggio del 1623 furono deposte in un’altra urna ancora più preziosa realizzata dal maestro argentiere Lucio de Anizi di Ragusa che ricevette l’incarico dai nobili di Licata Francesco Grugno, Baldassarre Celestre e Giuseppe Serrovira il 6 dicembre del 1621.
E’ l’attuale sacra urna! Il maestro, nei sei pannelli che ricoprono i lati del reliquario separati da sottili colonne, scolpì le scene più importanti della vita di Sant’Angelo e della Sua morte.
Nell’urna le preziosissime reliquie di Sant’Angelo, con tutte le solennità canoniche e liturgiche, mostrate al popolo ed alle autorità civili, furono rinchiuse per sempre. Con una imponente processione il 15 agosto del 1662 la sacra urna di Sant’Angelo fu trasferita dalla vecchia all’attuale nuova chiesa a Lui dedicata ed edificata nello stesso luogo del martirio come ringraziamento in seguito alla liberazione dalla peste che aveva colpito la città di Licata nel 1625 per Sua intercessione.

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La preziosa urna argentea è custodita nella cappella costruita nel braccio destro del transetto del santuario di Sant’Angelo. Quando, nel 1997 il santuario di Sant’Angelo fu chiuso al culto, il sacro reliquiario fu trasferito nella chiesa Madre e deposto ai piedi della statua del Cristo Nero.
Nel 2005, essendo stato il santuario riaperto al culto, il sacro reliquario è ritornato nella Sua cappella protetta da una grande cancellata di ferro rigorosamente chiusa da tre catenacci.

In occasione della festività del mese di Agosto 2020 è stato possibile ammirare l’urna reliquaria d’argento, esposta per alcuni giorni nella cappella del Santo Patrono Sant’Angelo, nonostante il suo restauro non fosse stato ancora del tutto ultimato. Per meglio farla risaltare, dietro di essa è stato posto un ampio drappo di velluto rosso.

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Prima del restauro

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Dopo il restauro

 È stato un vero pellegrinaggio di devoti e di curiosi. Grazie ai fondi raccolti dai fedeli, il lavoro è stato eseguito a Licata, nel santuario di Sant’Angelo, dal Laboratorio Mimarc per il restauro, per la conservazione e per la tutela dei BB. AA. CC. dell’Aquila.
Si è trattato di un restauro conservativo del rivestimento in argento davvero molto precario a causa delle tante cadute dell’urna sul selciato durante le corse e di interventi deleteri di improvvisati “restauratori” locali che hanno utilizzato chiodi e viti per fissare alcuni dei rivestimenti in argento che si erano staccati. Si è trattato anche del consolidamento dell’intero apparato architettonico del reliquiario, della disinfestazione biologica della struttura lignea, dell’integrazione delle parti argentee mancanti e, infine, della generale ripulitura di tutta la parte argentea che ha rimosso anche quella patina oscura che dava plasticità e rilievo all’intero apparato illustrativo e architettonico dell’urna, patina che certamente si era creata negli anni dovuta forse al processo di ossidazione dell’argento.
Fu nel 1615 che l’Università di Licata – così si chiamava allora l’amministrazione comunale- decretò di costruire per le reliquie di Sant’Angelo una nuova urna d’argento più maestosa, in sostituzione di quella molto semplice, pure d’argento, del 1486. L’esecuzione fu affidata al maestro argentiere ragusano Lucio de Anizi con atto stipulato a Licata il 6 dicembre 1621 presso il notaio Giacomo Murci, alla presenza dei giurati Giuseppe Serrovira, Francesco Averna, Francesco Selvaggio, Giuseppe Averna, dei deputati dell’opera Francesco Grugno e Baldassare Celestri e dei testimoni, i maestri Giuseppe Bonello, Antonio Bennici, Giuseppe Bruscia, Angelo Delagarbo e il fabbro argentiere di Licata Martino Passaniti. L’urna doveva essere lunga 114 cm, larga 50 cm e alta 130 cm sino al coperchio. Depositario dell’argento fu nominato Giuseppe Serrovira, mentre il pittore licatese Giovanni Portaluni fu incaricato di disegnare le immagini della vita di Sant’Angelo che dovevano essere impresse nelle sei formelle d’argento dei quattro lati del reliquiario. Infine, sul coperchio doveva essere impresso lo stemma della città di Licata, quale committente dell’opera. L’impegno dell’Anizi era quello di consegnare l’urna nel 1622, entro quattro mesi dall’inizio dei lavori, che verranno eseguiti nel palazzo di Giuseppe Serrovira ma, a seguito dei ritardi dovuti alla raccolta dell’argento necessario che i devoti del Santo andavano donando, l’urna fu consegnata per la festività del 5 maggio del 1623, giorno in cui le reliquie di Sant’Angelo dalla vecchia cassa furono trasferite in quella nuova.
In occasione dell’ottavo centenario del martirio di Sant’Angelo è stata aperta l’Urna argentea nel cui interno accoglie la cassa lignea che custodisce  le reliquie di Sant’Angelo martire. E’arrivata dall’episcopio vescovile di Agrigento, dove si trovava dal 26 febbraio, ed è stata accolta nella cappella del santo Patrono  giorno 11 agosto 2020. In questa cassa furono traslate il 5 maggio 1623 le reliquie di Sant’Angelo dalla precedente urna d’argento del 1486 e quindi inserita nella nuova urna d’argento opera del maestro argentiere Lucio de Anizi di Ragusa, committenti i giurati di Licata con l’argento donato dai Licatesi. Secondo quanto riferisce il notaio Giacomo Murci, così si è svolta la solenne cerimonia. “All’imbrunire del giorno festivo convenuto i Giurati di Licata diedero disposizione, col permesso del vicario foraneo, don Michele Taormina, all’arciprete, don Carlo Giliberto, di intonare l’inno liturgico <<Deus quorum militum>>.Allora don Antonio Oriolo, il cappellano della chiesa e della confraternita di Sant’Angelo, Padre Angelo Gatti, il priore del convento di Sant’Angelo,  ed altri sacerdoti presero la vecchia arca d’argento dall’altare maggiore e la portarono in processione per le vie principali della città finché la deposero sull’altare in legno, appositamente allestito, presso il cimitero della chiesa Madre, l’attuale piazza Duomo. Alla presenza poi di tutti i sacerdoti, i religiosi, le confraternite e circa dieci mila Licatesi, dopo le preghiere di rito, furono tolte le lamine d’argento dalla vecchia urna che furono poste in quella nuova, internamente rivestita di raso rosso, ricamato dalle monache del monastero benedettino di Santa Maria del Soccorso di Licata.
Al momento della traslazione, nella vecchia cassa, si rinvennero, sotto una tovaglia lavorata con fili verdi, rossi e bianchi, le ossa e il teschio infranto del Santo martire; sopra 15 monete di bronzo della casa aragonese, molti frammenti di ossa e ceneri del corpo. All’interno dell’arca si trovarono pure i documenti relativi alla traslazione del 1486
” (testo tratto da Calogero Carità, La Chiesa di Sant’Angelo e il 5 maggio a Licata, Ragusa 2020, Ed. La Vedetta).

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E’ una pregevole cassa di legno, lunga circa 110 cm, larga circa 44 cm e alta circa 65 cm. E’ ricoperta da un drappo di velluto rasato di color rosso decorato con ricami in oro in tutte le quattro facce e sul coperchio.

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ll coperchio della cassa è ripartito in tre registri divisi da tre galloni realizzati con filati aurei, ricamati direttamente sul velluto rosso. Arricchiscono i decori filati aurei, filati serici, micro perline, piccoli grani in corallo rosso e preziosi inserti di tessuti operati. Nel registro centrale del coperchio della cassa è incisa la data del 1623, cucita su un drappo, e riportata sul velluto rosso. Al centro c’è una croce realizzata con filati aurei, avente capicroce gigliati rivestiti da micro perline, scaramazze barocche, e piccoli grani in corallo, simboli legati alla Passione e alla morte di Cristo.

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Sant’Angelo è molto venerato in tutta la Sicilia, in molte città dell’Italia, in Germania e negli Stati Uniti d’America dove vivono numerose famiglie di emigrati licatesi. Il 4 maggio del 1626 Sant’Angelo fu proclamato anche patrono della città di Palermo.

PREGHIERA A SANT’ANGELO

O glorioso Sant’Angelo,

gemma preziosa della mistica vigna del Carmelo,

perfetto seguace del patriarca Elia, specchio di ogni eroica virtù,

per l’immenso amore che portasti a Dio e alle anime,

fino al martirio che sostenesti impavido,

qual novello Battista, a noi supplici riguarda

che attirasti dai tuoi esempi e confortati

dal tuo patrocinio a Te ci affidiamo.

Sostieni la nostra fede, rialza la nostra speranza ed infiammaci

del desiderio di copiare le tue virtù al fine di dare gloria a Dio,

che aspiriamo di possedere un giorno con Te in Paradiso.

Ricordati, o potente avvocato, della Tua Licata e di tutti i licatesi che,

in Patria e per il mondo sparsi, a Te sempre guardano come a una torre di fortezza.

Continua a proteggerli da ogni flagello e ad implorare su tutti i Tuoi devoti

la gioia salutare della misericordia divina. Amen

Questa’altra preghiera, recitata in dialetto siciliano, è ancora più  emozionante.

Diu ti salvi, Angilu Santu,
di lu Carmelu gloria e vantu,
nostru granni prutitturi,
virgini, martiri e dutturi.
D’ogni mali preservati,
nui ancora liberati di la fami,
pesti e guerra, di lu trimuri di la terra.
Sempri siti nostru scutu, prutitturi e nostru aiutu.
Avvocatu pressu Diu,
prutitturi amatu miu.
Dati a nui la bella sorti.
Fari bona e santa morti.
Cussì spera,
allegru visu
gudirivi in paradisu.

Moltissimi sono i miracoli attribuiti a Sant’Angelo, descritti nei libri dedicati a Sant’Angelo.
Solo per citarne alcuni: la liberazione di Licata dalla peste del 1625, la storia di Agata Scolla Rosetta che, all’età di 45 anni, ha potuto allattare al suo seno la nipotina di 14 mesi rimasta orfana dalla madre Grazia colpita dalla terribile peste, la guarigione di un uomo rattrappito e deforme, l’uso della parola del piccolo Francesco Zirafi, di 12 anni, muto e deforme, il salvataggio di Giovanni Battista de Orlando caduto in un pozzo nel fondo del quale Sant’Angelo aveva fatto cadere il suo mantello per accoglierlo dolcemente, la madre salvata dal difficile parto che avrebbe causato la sua morte e quella del nascituro, la liberazione dall’ossessione diabolica di Vincenzo Polizzi, il salvataggio della nave dell’armatore Orazio Raynel, di Malta, che, nel settembre del 1625, mentre da Alessandria faceva vela verso la terra natia, giunta presso le coste di Creta, vide la nave che, sorpresa da un’improvvisa e violenta tempesta, stava per affondare.
Tra i passeggeri, un certo Giovan Battista Ortonio, ricordandosi di avere con sè una scheggia della cassa del corpo di Sant’Angelo, reliquia donatagli da sua madre, la gettò nel mare burrascoso.
Per intercessione di Sant’Angelo la tempesta si placò, la nave e i marinai si salvarono. Un altro famoso miracolo riguarda la liberazione di Licata dall’invasione dei turchi. Nel 1553 Licata subì diversi tentativi da parte dei Turchi di invaderla e di distruggerla. L’intervento visibilissimo di Sant’Angelo li respinse senza gravi conseguenze. Nel 1625 la Sicilia fu afflitta da una pericolosa peste che, come scrisse lo storico Muratori “facea terribile strage, e sommo spavento eziandio recava all’Italia”.
La peste fece la sua comparsa anche a Licata, ma se ne allontanò ben presto grazie al patrocinio di Sant’Angelo. Per ringraziarLo gli illustri signori del patriziato e le pubbliche autorità hanno fatto solenne decreto di innalzare al Santo un sontuoso tempio e che si sarebbe celebrata in perpetuo la festa del patrocinio Santo il giorno 16 agosto con i dovuti permessi delle competenti autorità ecclesiastiche e civili.
Visibilissimo fu il patrocinio di Sant’Angelo su Licata durante la seconda guerra mondiale. Molto adatta agli sbarchi militari, Licata fu scelta come uno dei punti strategici di sbarco degli anglo-americani.
Il bombardamento che precedette lo sbarco del 10 luglio del 1943 apportò soltanto leggeri danni a qualche abitazione, qualche scheggia raggiunse un angolo della cupola della chiesa, alcuni vetri si infransero, solo pochi feriti e pochi morti. Nell’autunno del 1951 una disastrosa alluvione arrecò ingenti danni in molte parti della Sicilia. Nei giorni 3,4,5 del mese di maggio, quando si festeggia Sant’Angelo, è facile incontrare bambini vestiti dello stesso abito del carmelitano in segno di gratitudine per grazie ricevute o per raccomandarsi alla Sua potente intercessione. La Chiesa cattolica festeggia Sant’Angelo martire il 5 maggio, giorno della sua morte. I Suoi emblemi sono: la Palma, tre corone, la spada.
L’iconografia dedicata a Sant’Angelo è molto vasta. Fra Filippo Lippi Lo raffigurò nella Madonna Trivulzio ( Madonna dell’Umiltà con angeli e santi carmelitani). La tavola, datata 1429-1432, è conservata nella Pinacoteca del Castello Sforzesco a Milano.
Mostra la Madonna, seduta in terra e col Bambino appoggiato sulle sue ginocchia, circondata a esedra da sei angeli senza ali e privi di aureola, e tre santi carmelitani: Sant’Angela di Boemia, Sant’ Angelo di Licata, con il coltello in testa, e Sant’Alberto da Trapani, con il giglio.

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La Madonna del Carmelo è un dipinto a tempera su tela del Moretto, databile al 1522 circa e conservato alle Gallerie dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia. Il dipinto raffigura la Beata Vergine Maria del Monte Carmelo in atteggiamento accogliente con un largo mantello nero sollevato da quattro angeli. Ai suoi piedi, appoggiati sulle nuvole, sono disposte quindici figure. Le due figure vestite di bianco sono: Sant’Angelo da Gerusalemme a destra, con un giglio bianco nelle mani, e San Simone Stock a sinistra.

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La tavola, attribuita a Tommaso De Vigilia, raffigura Sant’Alberto di Trapani e Sant’Angelo da Gerusalemme. E’ custodita nella chiesa del Carmine Maggiore di Palermo.

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I due bozzetti, del 1966, che raffigurano Sant’Angelo che incontra San Domenico e San Francesco e Sant’Angelo in gloria con schiere di angeli e la SS. Trinità sono opera del pittore licatese Salvatore De Caro. Li custodisco gelosamente perché sono ricordi di famiglia.

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