Sep 1, 2016 - Senza categoria    Comments Off on LA VITA DI SANTA ROSALIA E LA SUA CHIESA A MISTRETTA

LA VITA DI SANTA ROSALIA E LA SUA CHIESA A MISTRETTA

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La tradizione racconta che al conte Ruggero, mentre osservava il tramonto con la contessa Elvira, sua moglie, gli apparve una figura che gli disse: «Ruggero io ti annuncio che, per volere di Dio, nascerà nella casa di Sinibaldo, tuo congiunto, una rosa senza spine» e, per questo motivo, la neonata si chiamerà Rosalia.
Etimologicamente il nome Rosalia” è composto da “rosa” e “lilium”, “rosa e giglio”, fiori simbolo di purezza e di unione mistica che anticiparono le qualità che contrad­distinsero la giovane nel corso della sua vita. Rosalia nacque a Palermo nel 1130, figlia del Duca Sinibaldode’ Sinibaldi, e della nobildonna Maria Guiscardi.
Il padre era un vassallo del re normanno Ruggero, Il a cui il re aveva donatoun grande feudoalla Sier­ra Quisquina e il Monte delle Rosein contrada Realtavilla, nella ex provincia di Agrigento.La madre era cugina del re normanno Ruggero II.
Quindi apparteneva ad una nota famiglia del XII secolo. Dalla sua fami­glia ricevette una buona educazione e una so­lida formazione cristiana.

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Rosalia, crescendo,  divenne una graziosa fanciulla dalla carnagione chiara, dai capelli biondi e dagli occhi neri. Vissuta in ricchezza presso la corte di re Ruggero, era la damigella più bella fra tutte le altre giovanette che abbellivano il Palazzo con il loro fascino. Un giorno il re Ruggero fu salvato dal conte Baldovino dall’aggressione di un animale selvaggio. Il re, volendo disobbligarsi, gli chiese di esprimere un desiderio. Baldovino chiese Rosalia in sposa.
Rosalia, tagliò le sue lunghe trecce, respinse il pretendente, lasciò la vita di corte, si donò alla vita religiosa e abbracciò la fede di Cristo. I suoi genitori avevano sognato per lei un no­bile matrimonio, come si conveniva alle giovani del suo rango. Una tra­dizione popolare racconta che Rosalia, il giorno in cui avrebbe dovuto incontra­re Baldovino, si guardò allo specchio. Invece di vedere riflessa la pro­pria immagine, vide quella di Gesù Crocifisso con il volto rigato di sangue a causa della corona di spine conficcata nella Sua fronte. Rosalia non ebbe più dubbi.

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Poiché Rosalia visse nel periodo di rinnovamento cristiano-cattolico, che i re Normanni ristabilirono in Sicilia dopo aver scacciato gli Arabi che avevano dominato nell’isola dall’827 al 1072, accolse la vocazione religiosa scegliendo di vivere da eremita.In quel tempo l’eremitismo era molto frequente sia fra gli uomini  sia fra le donne e la scelta di una vita in solitudine, in preghiera e in contemplazione era l’espressione più alta della sensibilità religiosa. 
A soli 13 anni Rosalia lasciò la sua famiglia.
All’inizio si rifugiò presso il monastero delle Basiliane a Palermo. Ben presto, però, abbandonò quel luogo per distaccarsi dalle frequenti visite dei genitori e del promesso sposo che cercavano di dissuaderla dal suo intento di abbracciare la fede religiosa. Decise, quindi, di intraprendere la vita anacore­tica per trascorrere le sue gior­nate in solitudine e in preghiera per coltivare con più perfezione la pietà e la vita contempla­tiva.  In assoluta povertà, voleva possedere  il cielo come tetto e la terra come letto in  compagnia della voce della Natura per essere sempre più degna di Cristo Crocifisso, suo Sposo.
Vivendo in solitudine, avrebbe conservato la sua purezza e avrebbe fraternizzato con gli angeli del cielo. Alla morte di Ruggero II chiese ed ottenne di poter vivere in eremitaggio nella Sierra Quisquina, il feudo del padre, luogo che aveva visitato da bambina. Vi si trasferì in una notte buia, con il solo chiarore delle stel­le che guidava i suoi passi.
Portò con sé gli oggetti più cari: una picco­la croce d’argento e una corona per il Ro­sario.
Si rifugiò in una piccola grotta incuneata tra il monte Cammarata ad est e il monte delle Rose ad ovest ,a mezza costa di un dirupo di circa 900 metri di altezza.Un angolo di terra così nascosto tra i boschi che i saraceni lo avevano chiamato Quisquina, dall’arabo “Coschin” che signi­fica “oscuro”.
In quella grotta, nascosta nella cavità della roccia e protetta da una fitta vegetazione, nessuno si sarebbe accorto della sua presenza.

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LA GROTTA

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Il periodo di permanenza in quel luogo, in eremitaggio, è testimoniato  dal ritrovamento di un’epigrafe autografa, incisa su una superficie di roccia ben levigata con lettere alte due dita e disposte su nove linee irregolari, scritta in latino da Rosalia. Così recita: ” Ego Rosalia Sinibaldi Quisquinae Et Rosarum Domini Filia Amore D.ni Mei Jesu Christi In Hoc Antro Habitari Decrevi” “Io Rosalia di Sinibaldi, figlia del signore della Qui­squina e delle Monte delle Rose, per amore del mio Si­gnore Gesù Cristo stabilii di abitare in que­sta spelonca”. Questo mirabile ritrovamento, avvenuto il  24 agosto del 1624, fu attribuito a due muratori palermitani che lavoravano nel convento dei Domenicani di Santo Stefano di Quisquina.
Nel­l’angolo basso, a sinistra, comparve anche il 12,  il numero degli anni  che Rosalia trascorse nella grotta in  solitudine e in preghiera.
Allontanatasi dalla grotta della Quisquina, Rosalia, ritornata a Palermo, si soffermò per un breve periodo nella casa paterna, nel quartiere dell’Olivella.
Successivamente
si trasferì a Palermo, sul Monte Pellegrino,da tempo ritenuto un monte sacro, abitandodentro un’inospitale grotta dove gocciolava l’acqua dalle pareti rocciose,circondata da un paesag­gio selvaggio, accanto ad un antico altare, prima pagano e poi dedicato alla Madonna. Qui Rosalia visse in eremitaggio per circa 8 anni, fino alla morte, vestita  della sua tonaca e cibandosi di ciò che le offriva il suo rifugio.
Il motivo che indusse  Rosalia a la­sciare la Sierra Quisquina e a trasferirsi nella grotta sul Monte Pellegrino è sco­nosciuto. Alcuni autori sostengono che tutti i beni della famiglia furono confiscati in se­guito a una violenta ribellione dei conti e dei baroni contro i Normanni e nella quale fu ucciso anche il duca Sinibaldi. Ro­salia, sentendosi in pericolo nella grotta della Sierra Quisquina, non essendo più di proprietà della sua famiglia, decise di andar via e di ritirarsi sul Monte Pellegrino. Il Monte Pellegrino è una montagna calca­rea alta 606 metri che si affaccia sul golfo di Palermo e che i Greci chiamavano “Ercta”, “Impervio”.
Ro­salia scelse quel luogo considerandolo adatto al suo eremitaggio. Lo raggiunse salendo attraverso un sentiero impervio che, dal bosco della Favorita, portava alla vetta del monte. Trascorreva le giornate nella penitenza e nella continua adorazione di Cristo. Come fosse sopravvissuta con tali disagi ha del miracoloso.
Probabilmente un cacciatore, nativo del luogo, le procurava il cibo. Morì il 4 settembre, presumibilmente dell’anno 1160. Docilmente Rosalia si pre­parò al passaggio alla nuova e migliore vita. Si distese sulla terra della grotta, appoggiò la testa sul­la mano destra, usandola come cuscino, strinse forte al petto con la mano sinistra il piccolo crocifisso.
Rosalia non morì da sola! Una schiera di angeli scese dal cielo sulla terra per seppellire il suo corpo, poi ritrovato sepolto a quindici piedi sotto terra, contenuto in un sepolcro preparato dalla natura. Il 7 maggio del 1624 il viceré di Sicilia, Emanuele Filiberto di Savoia, avido di regali, nonostante il parere contrario del Senato Palermitano, concesse al vascello, proveniente da Tunisi e guidato da Maometto Calavà, di ormeggiare nel porto palermitano.
Trasportava innumerevoli doni e molti schiavi cristiani colpiti dalla peste. La malattia si diffuse rapidamente fra la popolazione palermitana. A causa del contagio, la gente moriva in gran numero e a nulla valsero le suppliche a Sant’Agata, a Santa Cristina, a Sant’Oliva, a Santa Ninfa, le sante protettrici della città. Alla signora Girolama La Gattuta, già ammalata di peste e ricoverata all’Ospedale Grande di Palermo, apparve una giovane fanciulla dal viso d’angelo, vestita da infermiera, che le accarezzò il viso, le raffreddò la fronte scottante per la febbre con un fazzoletto bagnato e le promise la guarigione se fosse salita sul Monte Pellegrino per ringraziarla. La fanciulla era Santa Rosalia.
Per intercessione di Rosalia la donna guarì miracolosamente dopo tre giorni di malattia. Girolama  non si recò  sul Monte Pellegrino, non effettuò il suo voto. Si ammalò nuovamente. Il 26 di Maggio del 1624 era il giorno di Pentecoste e Girolama, di nuovo in preda alla febbre, si recò sul Monte Pellegrino accompagnata dal marito Benedetto e dall’amico Vito Amodeo.
Appena bevve l’acqua, che gocciolava dalle pareti rocciose della grotta, Girolama miracolosamente guarì. Cadendo in un riposante torpore, rivide in fondo alla grotta la fanciulla, che aveva visto già all’Ospedale Grande, vestita con una lunga tunica di arbraxo, la stoffa di sacco vecchio, e con una cintura di cordone bianco intorno alla vita.
Ella pregava in ginocchio davanti ad un Crocifisso di legno posto sopra un masso su un rustico altare. Rosalia le apparve nuovamente per indicarle l’esatta posizione nella grotta dove scavare e dove trovare il “tesoro” delle sue reliquie. Nei primi giorni del mese di giugno del 1624 iniziarono gli scavi, indicati dalla stessa Girolama, ed eseguiti dai contadini dei dintorni e dai monaci francescani che vivevano nel vicino convento e che già nel Cinquecento con il loro superiore San Benedetto il Moro (1526-1589) avevano provato a trovare le reliquie. Il 15 luglio del 1624 gli scavi terminano. Sotto una grande lastra di calcarenite, lunga sei palmi e larga tre, posta a quattro metri di profondità, aderivano bianchissime ossa umane mescolate ad altre ossa di colore scuro, appartenenti probabilmente ad un frate perchè là vicino c’era una chiesetta.
Le ossa, per il loro candido colore e per le modeste dimensioni del cranio, furono attribuite ad una donna.
Emanavano un gradevolissimo profumo di fiori. Le ossa, ripulite, furono portate nella cappella del Palazzo Arcivescovile dove risiedeva Giannettino Doria, il Cardinale e Arcivescovo di Palermo. Il collegio di sei dottori nominati dall’Arcivescovo Doria sembrò poco convinto concludendo che le ossa, per le dimensioni, sembrava appartenessero ad uomini e non a donne. Ottenuto questo primo esito negativo il cardinale Doria non ritenne necessario portare in processione queste “non ancora reliquie”.
La peste continuava a mietere vittime ed il popolo aveva bisogno di sperare. Il 13 febbraio del 1625 il saponaro Vincenzo Bonelli, disperato per la perdita della giovane moglie quindicenne, si vestì da cacciatore e, contravvenendo all’ordine delle autorità che,per motivi di sanità pubblica, l’avevano obbligato a rimanere casa, nell’antico quartiere della “Panneria” dove viveva barattando mobili vecchi, perché, essendo la moglie morta di peste, avrebbe potuto essere probabile causa di contagio, in compagnia del suo cane e col fucile in spalla, si recò sul monte Pellegrino con l’intenzione di suicidarsi gettandosi giùdal precipizio prospiciente il mare dell’ Addaura.Al momento di mettere in atto il suo triste intentogli apparveuna splendida figura di giovane donna bella e colvolto splendente “come un angelo” che fermò il gesto suicida di Vincenzo.
Rosalia  lo condusse verso la grotta,
che ella gli indicò come la sua “cella pellegrina“, e scendendo con lui dalla cosiddetta “valle del porco” verso la città,lo esortò a pentirsi e a convertirsi, glipreannunciò che sarebbe morto di morte e gli promise la protezione per la sua anima se avesse riferito al cardinale Doria che le ossa rinvenute erano veramente le sue e di portare le reliquie in processione per la città di Palermo accompagnate dal canto del “Te Deum Laudamus” poiché lei, Rosalia, dalla gloriosa Vergine Madre di Dio aveva ottenuto la promessa che, al passaggio delle sante reliquie, la peste sarebbe cessata e la città di Palermo sarebbe stata risanata. Colpito dal morbo, come la Santa gli aveva predetto,  prima di morire confessò a padre Don Petru Lo Monaco, parroco della Chiesa di Sant’Ippolito Martire al Capo, le rivelazioni di Rosaliachiedendogli di informare della visione l’Arcivescovo.
Il 22 febbraio del 1625 Il Cardinale Doria, persuaso dal racconto di Vincenzo, dopo la sua morte, e convinto daldirettore della casa Professa, Padre Giordano Cascini, diede l’incarico di riesaminare per la seconda volta le ossa a un gruppo di soli padri Gesuiti, nessuno dei quali medico, ma tutti di incrollabile fede in Dio. I sei Padri, osservando l’insieme di ossa e di pietre, stabilirono che, senza dubbio, uno dei teschi appartenesse ad una donnaper le piccole dimensioni delle stesse, e poi  perché le ossa erano bianche, quasi candide, e le donne “ per il loro temperamento freddo e umido, hanno più bianchezza e morbidezza nelle carni e quindi anche delle ossa”.
Affermarono che quelle preziose ossa appartenevano con certezza a Rosalia Sinibaldi. Gli altri teschi appartenevano ad animali. Poiché sisapeva che l’unica donna vissuta sul monte Pellegrino era Rosalia, fu dichiarata l’autenticità dei resti trovati e a lei attribuiti.Il 9 giugno del 1625 l’arcivescovo Giannettino Doria, seguito da tutto il clero, dal senato palermitano, da molti cittadini eminenti e da tutta la popolazione, con grande solennità portò in processione l’urna contenente le sante reliquie di Rosalia attraverso le strade della città di Palermo. Al passaggio del corteo con le reliquie racchiuse in un’urna d’argento e al canto del Te Deum Laudamus, gli ammalati di peste guarirono miracolosamente.
In pochi giorni la città fu liberata dalla pestee fu ripresa la pubblicacircolazione di “persone, animali e mercanzie.Gli scrivani del re annotarono nei registri comunali il nome, l’età, il luogo della guarigione di tutte le persone guarite. Da allora Palermo ha sempre onorato Santa Rosalia dove il culto è particolarmente vivo.
Proclamata santa, Rosalia si festeggia,secondo le due festività stabilite nel 1630 da papa Urbano VIII che inserì Rosalia nel “Martirologio Romano”, il 15 luglio, perché ricorre l’anniversario del ritrovamento delle sue reliquie, e il 4 settembre, perchè ricorre il giorno della sua morte. Santa vergine dalla Chiesa cattolica, Rosalia fu eletta patrona di Palermo nel 1666, chiamata devotamente a Santuzza“, con culto ufficiale esteso a tutta la Sicilia con l’edificazione di chiese a Lei dedicate. A Palermo, nel mese di luglio ogni anno, si ripete il tradizionale “U Fistinu”.

“Il Festino” è la grande festa dei Palermitani in onore di Santa Rosalia per ricordare il giorno del ritrovamento delle spoglie mortali della Santuzza, avvenuto il 15 luglio del 1624, e il giorno in cui furono portate per la prima volta in solenne processione per la città il 9 giugno del 1625.
Quest’anno 2016 è stato ricordato il 392° Festino di Santa Rosalia  che si è svolto in 5 giorni, precisamente dal 10 al 15 luglio. Il programma è stato molto ricco di avvenimenti culturali, tradizionali, folkloristici.
Il 14 luglio, dopo la celebrazione dei solenni vespri pontificali, la grande “processione popolare“, trainando il carro trionfale a forma di barca, che si rinnova ogni anno e che ricorda il vascello, con in cima la statua di Santa Rosalia, è iniziata dalla Cattedrale, è proceduta lungo l’antico asse viario del Cassaro in Corso Vittorio Emanuele, ha attraversato Porta Felice ed è giunta fino al mare del Foro Italico.
Ai Quattro Canti, come da tradizione, il sindaco ha deposto i fiori ai piedi della statua della Santa gridando “Viva Palermo e Santa Rosalia!”
Un grande spettacolo pirotecnico ha concluso la serata.

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Foto da internet

Hanno accompagnato la processione i canti di devozione:

“Uno. Nutti e jornu farìa sta via!

Tutti. Viva Santa Rusulia!

U. Ogni passu e ogni via!

T. Viva Santa Rusulia!

U. Ca ni scanza di morti ria!

T. Viva Santa Rusulia!

U. Ca n’assisti a l’agunia!

T. Viva Santa Rusulia!

U. Virginedda gluriusa e pia

T. Viva Santa Rusulia!”

ed ogni tanto il grido “E chi semu muti? Viva viva Santa Rusulia”. Ilcarro, che si è ispirato al carro del Pitrè, quest’anno è stato ricco di decori. Il pittore Jean Houel, nel 1776, nel descrivere il carro così lo definisce: «È un’arca di trionfo mobile che porta una grandissima quantità di musici e la cui base è come una conca, portata su quattro ruote. Nel mezzo il simulacro della giovane con splendido abito, sospesa su di una nuvola e circondata di raggi di gloria”.
Il 15 luglio per la città di Palermo è il giorno solenne dei festeggiamenti in onore di Santa Rosalia. In Cattedrale, durante la giornata, sono state celebrate varie messe solenni e, nel pomeriggio, è iniziato il cammino processionale delle Sacre Reliquie di Santa Rosalia contenute in un’artistica urna argentea. Hanno partecipato: l’Arcivescovo, il Sindaco, le Autorità civili e militari, il Capitolo Metropolitano, il Capitolo Palatino, il Clero del Seminario Arcivescovile, le Parrocchie e le Confraternite della Città. Il percorso si è snodato lungo il corso Vittorio Emanuele, Piazza Marina, dove l’Arcivescovo ha espresso il suo messaggio alla città di Palermo, e il ritorno dal Corso Vittorio Emanuele, Quattro Canti, Via Maqueda, discesa dei Giovenchi, Piazza Sant’ Onofrio, Via Panneria, Piazza Monte di Pietà per sostare davanti alla prima edicola votiva dedicata alla Santuzza, Via Judica, Via Gioiamia, Via M. Bonello.
I solenni festeggiamenti sono terminati col rientro delle sante reliquie in Cattedrale e con la benedizione eucaristica. Fanno parte della tradizione popolare palermitana alcuni alimenti: la Pasta con le sarde (la pasta chî sardi), i babbaluci (lumache bollite con aglio e prezzemolo), lo sfincione ( ‘u sfinciuni), il polpo bollito ( ‘u purpu), Calia e simenza (‘u scacciu), la pannocchia bollita (pullanca) e l’anguria (detto ‘u muluni). Allietano la festa le moltissime bancarelle allineate al Foto Italico che espongono le loro mercanzie.

Santa Rosalia si festeggia il 4 settembre, giorno della Sua morte, seguendo alcuni riti. Per tutta la notte, tra il 3 e il 4 settembre, i fedeli si sono recati in pellegrinaggio, a piedi scalzi o in ginocchio per grazie ricevute, al  santuario di Monte Pellegrino compiendo la tradizionale “acchianata”, la salita a piedi  per rendere onore a Santa Rosalia. Il santuario, scavato nella roccia, è il luogo dove Rosalia visse da eremita, come recita l’iscrizione sulla parete d’ingresso alla chiesa. Prima di entrare nella grotta si ammirano gli ex voto per grazie ricevute che, nel tempo, hanno riempito le pareti del vestibolo della grotta del santuario.
Una cancellata di ferro battuto divide la prima parte del santuario dalla grotta nella quale sono presenti altari e opere d’arte che ricordano la presenza della santa. La statua di santa Rosalia giacente, in atto di esalare l’ultimo respiro, rivestita d’oro per disposizione del re Carlo III di Borbone (1716-1788), si venera sotto una grande teca di vetro trasparente all’interno della quale i fedeli visitatori depositano ori, monili, monete e banconote.

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La “Santuzza”, come affettuosamente viene chiamata dai palermitani, si affermò come una delle sante più conosciute e venerate nella cristianità siciliana e in particolare in quella palermitana. Ancora oggi in qualsiasi parte del mondo i palermitani si incontrano si salutano così: “Viva Palermo e santa Rosalia!” Inoltre Santa Rosalia protegge la città di Palermo dai terremoti, dalle tempeste e dai temporali. E’ anche protettrice dei marinai. I suoi emblemi sono: il giglio, la corona di rose, il teschio.
Auguro Buon Onomastico a tutte le donne che portano il nome di “Rosalia”.

 LA CHIESA DI SANTA ROSALIA A MISTRETTA

La chiesa di Santa Rosalia, comunemente conosciuta dai mistrettesi come la chiesa di Santa Rosa, è stata edificata nel  XVII secolo dalla congregazione allora esistente dopo il rinvenimento del corpo di Santa Rosalia sul Monte Pellegrino nel 1624. Si trova esattamente all’inizio del paese percorrendo la strada proveniente da Santo Stefano di Camastra verso Mistretta.

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Della originaria costruzione oggi non rimane quasi nulla, però la chiesetta è stata ricostruita nella metà del XVIII secolo.Apparentemente, osservando la  facciata esterna, non sembra essere una chiesa in quanto il prospetto, poco piacevole alla vista, è rivestito dal grigio cemento.
Solo il piccolo campanile dà l’aspetto di una chiesa. Il portale originale è stato ricomposto e collocato sul retro della chiesa. Nell’architrave è incisa la data:1666.

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 Si accede all’interno della chiesa superando qualche gradino esterno. La chiesa è di modeste dimensioni e a navata unica.

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Modifiche strutturali e decorative sono state eseguite nel 1750. Danneggiata dal terremoto del mese di ottobre del 1967, la chiesa è stata riaperta al culto dopo molti anni. All’interno, inoltre, due dipinti dell’ambito di Vito D’Anna, riconducibili alla seconda metà del XVIII sec. La chiesa possiede pochi altari e pochi arredi. Nell’altare maggiore del presbiterio, entro la nicchia è custodita la statua lignea dorata e policroma di Santa Rosalia, opera di anonimo intagliatore siciliano risalente alla prima metà del XVII secolo.

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Adorna l’altare il paliotto in cuoio dipinto e pirografato della seconda metà del XVIII secolo.

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L’altare dell’Immacolata custodisce il dipinto ad olio su tela, dell’ambito di Vito D’Anna, della seconda metà del XVIII secolo.

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L’altare di San Michele Arcangelo custodisce il dipinto ad olio su tela, dell’ambito di Vito D’Anna, della seconda metà del XVIII secolo.

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L’altare di San Liborio custodisce la statua lignea policroma del santo risalente agli anni intorno al 1750. Arricchisce l’altare il sottostante paliotto marmoreo del tardo barocco.

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 L’altare del SS.mo Crocifisso custodisce la pittura murale con le Dolenti Donne risalente ai primi anni del 1750;

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Foto di Antonino La Ganga

Il Cristo in Croce, recuperato dal giovani del nuovo comintato, è stato collocato fra le Dolenti.

Il confessionale è in legno policromo e dorato risalente alla prima metà del sec. XIX.

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Il pulpito è di lego scuro con decorazioni floreali in metallo dorato

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Ringrazio la guida turistica il signor Nino Dolcemaschio per la sua disponibilità a fornirmi le preziose informazioni.

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