Jan 10, 2016 - Senza categoria    Comments Off on LA VITA DI SAN VINCENZO DI SARAGOZZA E LA CHIESA DELLA SS.MA TRINITA’ A MISTRETTA

LA VITA DI SAN VINCENZO DI SARAGOZZA E LA CHIESA DELLA SS.MA TRINITA’ A MISTRETTA

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San Vincenzo è fra i martiri maggiormente conosciuti e venerati nel mondo cattolico.
Vincenzo nacque a Saragozza intorno alla seconda metà del 200.
Anche le città di Valencia e di Huesca si contendono l’onore di avergli dato i natali, anche se, secondo la tradizione più attendibile, egli nacque a Huesca, alle propaggini dei Pirenei.
Etimologicamente il termine “Vincenzo” deriva dal latino “vinco” “essere vincitoreda cui “Vincentǐus” “Vincenzo”, simbolo di augurio e di vittoria.
Figlio del console Eutichio e della matrona Enola, Vincenzo ricevette un’educazione adeguata al suo stato di nobiltà.
Fu affidato dal padre a Valerio, il vescovo di Saragozza, perché provvedesse alla sua istruzione nelle discipline letterarie, scientifiche e alla formazione spirituale.
Vincenzo rispose pienamente agli insegnamenti del suo maestro tanto da conquistare la fiducia del vescovo Valerio che lo nominò arcidiacono e gli affidò il compito di predicare in sua vece, nonostante fosse ancora molto giovane, la parola del Vangelo essendo egli impedito dall’età avanzata e dalla difficoltà di parola per la balbuzie.
Avere avuto Vincenzo come diacono erudito culturalmente, munito del dono della parola, generoso e coraggioso è stato, per Valerio, un colpo di fortuna.
Appoggiata dagli imperatori Diocleziano e Massimiano, nell’anno 303 infieriva allora la persecuzione contro i Cristiani.
Tra i persecutori si distinse Daciano, governatore della Spagna, il quale ordinò che il clero e tutti i cristiani fossero arrestati e rinchiusi in orrende prigioni.
Gli editti dell’imperatore imponevano di distruggere edifici, libri e arredi dei cristiani, di sottoporre a torture i cristiani che ricoprivano cariche pubbliche e, prima, di compiere una qualsiasi azione popolare, tutti i sudditi dell’impero erano obbligati ad offrire sacrifici agli dei.
In questo clima di terrore e di imposizione, il vescovo Valerio e il diacono Vincenzo continuavano ostinati ad annunciare il Vangelo.
Insieme formavano un connubio indivisibile: Valerio, con la sua presenza e con l’autorità del ministero episcopale, garantì Vincenzo che annunciava con convinzione e con facilità di parola del Vangelo.
Una leggenda agiografica racconta che il prefetto Daciano ordinò l’arresto di Valerio e di Vincenzo.
Successivamente egli comprese che il vero nemico da combattere non era il vescovo Valerio, ma il diacono Vincenzo.
Mandò, così, il vescovo in esilio a Valencia, dove Daciano aveva il tribunale, e indirizzò tutto il suo accanimento persecutorio sul giovane Vincenzo. Entrambi ricevettero frustate.
Vincenzo, che oltre ad essere un grande oratore era anche un uomo che non si piegava facilmente, disse al governatore: “Vi stancherete prima voi a tormentarci che noi a soffrire”.
Ciò fece arrabbiare maggiormente Daciano che vide invalidati la sua autorità e il suo prestigio.
Allora il crudele prefetto tentò invano di piegare la loro volontà e di indebolire i loro corpi. Quando furono portati al suo cospetto, si meravigliò di trovarli ancora in buone condizioni fisiche.
Daciano si adirò con le guardie, accusate di essere state troppo delicate con i due cristiani, poi cercò di adoperare le armi della persuasione. Valerio e Vincenzo continuarono a testimoniare la loro fede.
Vincenzo, anche in nome di Valerio, disse: “La nostra fede è una sola. Gesù è il vero Dio: noi siamo suoi servi e testimoni. Nulla noi temiamo nel nome di Gesù Cristo […]. Non credere di piegarci né con la promessa di onori né con la minaccia di morte, perché dalla morte che tu ci avrai dato saremo condotti alla vita”.
Daciano lasciò in esilio il vescovo e fece sottoporre Vincenzo al supplizio del cavalletto: uno strumento di tortura che lussava le ossa del corpo. Vincenzo sopportava la tortura rivolgendo al cielo i suoi occhi in preghiera.
Daciano, pensando che la tortura fosse delicata, ordinò ai suoi fedeli di forare il corpo di Vincenzo con gli uncini di ferro.
Vincenzo, rivolgendosi al carnefice, disse: “Tu mi fai proprio un servizio da amico perché ho sempre desiderato suggellare con il sangue la mia fede in Cristo. Vi è un altro in me che soffre, ma che tu non potrai mai piegare. Questo che ti affatichi a distruggere con le torture è un debole vaso di argilla che deve ad ogni modo spezzarsi. Non riuscirai mai a lacerare quello che resta dentro e che domani sarà il tuo giudice“.
Daciano, molto arrabbiato, ordinò di sottoporre Vincenzo ancora alle torture del fuoco della graticola e delle lamine infuocate.
Vincenzo sopportava le torture con indifferenza.
Daciano, sempre più arrabbiato per la resistenza di Vincenzo, ordinò di sospendere quelle torture e di condurre Vincenzo in una oscura prigione legato e in catene. Il suo letto era un giaciglio pieno di cocci taglienti di vasi che gli rinnovavano le piaghe e i dolori nel corpo.
Ai piedi aveva pesanti ceppi.
Ecco il miracolo: le catene si spezzarono, i cocci si trasformarono in petali di rosa, una brillante luce celestiale illuminò la buia prigione per cui Vincenzo si alzò e, passeggiando, si mise a cantare.
Dio non abbandonò il suo servo. Una schiera di angeli, scesi dal cielo, lo prepararono a godere della gioia del Paradiso e a cantare con lui le lodi al Signore.
Il carceriere di Vincenzo, profondamente confuso, si convertì e ricevette poco dopo il santo Battesimo. Daciano No. La notizia della conversione del carceriere colpì il cuore di Daciano che si arrabbiò maggiormente.
Allora Daciano tentò di convincere Vincenzo non più con le torture, ma con le lusinghe.
Vincenzo fu adagiato su un morbido letto di piume e poteva ricevere i suoi amici.
Le lusinghe di Daciano fallirono tutte.
Reso forte dalla fede in Cristo, Vincenzo volò invitto in cielo, condotto da un coro di angeli gioiosi, col premio per il suo martirio, il 22 gennaio del 304.
La leggenda racconta che, dopo la su morte, Daciano ordinò che il corpo del martire Vincenzo fosse gettato in un campo deserto e dato in pasto alle fiere. Un corvo, inviato da Dio, scese dal cielo per vegliare sulle sue spoglie e difenderle dagli uccelli rapaci.
Daciano, testardo, non si arrese neppure davanti a questo miracolo e ordinò che il cadavere di Vincenzo fosse rinchiuso in un sacco, al quale era legato un pesante macigno per trasportarlo nel fondo del mare.
Il macigno galleggiò, tornò a riva.
Il corpo, per virtù divina, fu trasportato dalle onde che lo deposero sulla spiaggia.
San Vincenzo, apparso contemporaneamente ad un cristiano e ad una vedova, indicò il luogo dove giacevano le sue spoglie.
Molti furono i fedeli che accorsero in quel luogo per dargli l’onorata sepoltura.
Il culto di San Vincenzo di Saragozza dalla Spagna si estese in tanti i paesi, anche per opera di Sant’Agostino, di cui si conservano cinque sermoni pronunciati ogni anno il 22 Gennaio, giorno della sua festa liturgica.
San Vincenzo si festeggia tuttora il 22 Gennaio di ogni anno in diverse località dell’Europa, dell’Africa e perfino delle lontane Americhe.
Intanto, con l’editto del 313, che concedeva libertà di culto ai cristiani, l’imperatore Costantino, convertito egli stesso al cristianesimo, in onore di San Vincenzo fece costruire una basilica nella città di Valencia.  Le sue reliquie furono deposte sotto l’altare principale.
In seguito all’invasione dei Mori nel 712, i cristiani di Valencia trafugarono il corpo del martire Vincenzo per metterlo al sicuro in Portogallo, esattamente nella località del promontorio oggi detta Capo San Vincenzo. Finita la guerra contro i Mori, le sante spoglie, imbarcate su una nave, giunsero a Lisbona.
La leggenda narra che durante il viaggio alcuni corvi si posarono sulla prua e sulla poppa della nave per assicurare la rinnovata protezione al Santo, così come era già avvenuto quando Lo avevano salvato dalle bestie feroci.
Giunto in città, il corpo di San Vincenzo fu sistemato nella chiesa di San Giusto e Santa Rufina.
Il 15 Settembre del 1173 il re Alfonso I del Portogallo fece traslare solennemente le spoglie di San Vincenzo a Lisbona, nella chiesa a lui dedicata. Lo stemma della città di Lisbona raffigura la nave che trasportò i resti mortali di San Vincenzo, dall’Algarve a Lisbona, governata dai due corvi che vegliarono sulle reliquie del santo. Duecento anni dopo alcune delle reliquie del Santo furono portate all’Abbazia delle Tre Fontane, di cui divenne contitolare insieme a Sant’ Anastasio.
Numerose sono le leggende sui miracoli attribuiti al santo.
Gregorio di Tours narra che gli abitanti di Saragozza, che custodivano la tunica e veneravano San Vincenzo, furono salvati dall’assedio di Childeberto, re dei Franchi,  grazie all’intercessione di San Vincenzo. Si racconta che, fatta la pace, lo stesso Childeberto portò a Parigi la stola del Santo, un’altra reliquia che si venerava a Saragozza.
Numerosi e straordinari miracoli che si operavano ovunque e si operano tuttora all’invocazione di San Vincenzo, nome benedetto dal cielo.
San Vincenzo è protettore degli orfani, delle vedove e dei poveri.
Vincenzo è il vincente, colui che vince il male.
Ci è accanto tutte le volte che, con fiducia illimitata, Gli chiediamo di aiutarci a sopportare le difficoltà della vita e a vivere secondo la legge di Dio. E’ invocato per la protezione dei viticultori e dei commercianti di vino.
Nell’iconografia San Vincenzo è vestito in abito da diacono, con la stola portata di traverso.  Nella mano destra mostra la palma del martirio e nella mano sinistra il libro per indicare il suo compito di predicatore.
Gli emblemi del martirio sono: il cavalletto, la macina, a volte legata al collo, la graticola.

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LA CHIESA DELLA SS.MA TRINITA’ O DI SAN VINCENZO A MISTRETTA

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La venerabile chiesa della Santissima Trinità, d’origine normanna, è da tutti erroneamente chiamata chiesa di San Vincenzo poiché al suo interno si venera il Santo di Saragozza.
Noi mistrettesi la chiamiamo chiesa di San Vincenzo perchè nel 1750 le chiese erano due: una dedicata alla SS. Trinità e l’altra, sul piazzale, al martire diacono Vincenzo di Saragozza. Le due chiese successivamente furono unificate.
Ringrazio la guida turistica Nino Dolcemaschio per le sue preziose informazioni.
La chiesa è posta a tramontana e vi si accede tramite due porte: la principale è in via Libertà, la laterale si apre lungo la strada che porta al castello.

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Nel attuale prospetto esterno, del XVII secolo, le tre facce scolpite sopra la chiave di volta rappresentano la SS.maTrinità.
Un’altra interpretazione riporta al tempo dell’imperatore Federico II quando Armando Trigona era il castellano che amministrava Mistretta e il suo territorio.
Il suo stemma raffigurava il sole dai tre volti che, allegoricamente, rappresentava: la giustizia suprema, il carattere illuminato, le qualità intellettuali del fedele suddito.

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 Nel 1960, quando il Sovrano Ordine Militare dei Trinitari, al quale erano stati affidati la chiesa e il monastero di Sant’Anastasia, si trasformò in confraternita, l’antico stemma del sole a tre volti fu scolpito sull’architrave dell’antico monastero normanno che, attualmente, è la chiesa della Sant.ma Trinità. I tre soli rappresentano la Santissima Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

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La scultura è stata corredata da una colta iscrizione latina con un’interpretazione prettamente cristiana.

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 Altre facce sono scolpite, poste lateralmente al sole e in basso.

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Una colomba con le ali aperte sta ad indicare lo Spirito Santo come recita la scritta sottostante: “Veni Creator Spirito”.

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Nei primi anni del Novecento sul frontone sopra la colomba fu inserita la statua dell’Angelo dormiente, o morto nella bara, opera scultoria di Noè Marullo. La committente di questa opera fu la N.D. signora Teresina  Salamone, la mamma del cav. Enzo Tita che, dal balcone della propria abitazione, sito di fronte alla chiesa, poteva ricordare il suo bambino morto in tenera età.

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 Il prospetto termina con una sorta di ricamo ad U.
Due snelli campanili conici, posti lateralmente al prospetto, terminano con delle guglie rivestite da tessere policrome in ceramica.

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L’interno della chiesa aveva una sola navata in stile barocco a pianta quasi ovale terminante nel presbiterio a forma rettangolare.
Le modifiche apportate nel 1661 hanno ampliato la chiesa che fu trasformata a pianta quasi ellittica e arricchita di altari.

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La tela della Triade Sacrosanta, della SS.ma Trinità, che adorna l’altare maggiore, raffigura al centro un angelo seduto, che mostra la croce bicolore trinitaria sul petto, nell’atto di liberare due schiavi: un ragazzo bianco e uno nero.
Incrociando le braccia, con ambo le mani, simbolo di fratellanza, stringe i due fanciulli liberati dalla schiavitù.

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Le statue e le tele risalgono ai secoli XVII e XVIII.
Le tele raffigurano San Crispino e San Crispiniano sotto il Dio, padre onnipotente e trino.
I santi Crispino e Crispiniano sono i protettori dei calzolai. Infatti al centro in basso nel medaglione sono raffigurati gli attrezzi dei calzolai.

14 San Crispino e San Cripiniano ok

 il martirio di San Vincenzo,

15 martirio di San Vincenzo ok

16 martirio di San Vincenzo ok

la Madonna della Mazza,

18 madonna della mazza ok

San Vincenzo diacono,

19 San Vincenzo diacono ok

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Cristo sulla Croce.

20 crocifisso ok

 Da ammirare anche gli stucchi e le colonne scanalate.

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All’ingresso della chiesa una conchiglia, sorretta da un puttino, funge da acquasantiera.

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Anche l’organo è un elemento importante della  chiesa.

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LA CONFRATERNITA DELLA  SS.MA TRINITA’

La confraternitadella SS.maTrinità, fondata nel 1711, ed i cui capitoli furono approvati nel 1734 dal Vescovo di Cefalù, associava esclusivamente “mastri”, i muratori.
La confraternita è ancora esistente e si riconosce per la croce bicolore, rossa e celeste, trinitaria che i confrati espongono sulla fascia bianca indossata di traverso sul petto.
Il disegno trinitario ripete quello dell’Ordine dei Templari.

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Applicando il proprio statuto, la confraternita è responsabile della Chiesa omonima e cura anche gli interessi economici.
La chiesa possedeva diversi ettari di terreno, edifici, chiesette rurali, colture d’ogni genere ed un vastissimo bosco.
Le rendite di questo patrimonio dovevano servire all’assolvimento della principale finalità della Confraternita: l’affrancamento degli schiavi, secondo il carisma proprio dell’Ordine Trinitario.
Io ricordo che la terza domenica di maggio, nella ricorrenza della festa della Madonna dei Miracoli, seguiva il cammino processionale un ragazzo moro in catene, simbolo della liberazione degli schiavi.
Questa tradizione è stata sospesa tanti anni fa.
Altro obiettivo della confraternita era la solidarietà fra gli iscritti.
La confraternita attuale, inoltre, promuove e gestisce la festa interna della SS.ma Trinità e la festa esterna di San Vincenzo di Saragozza, diacono e martire. Partecipa alla processione del Corpus Domini e a quella dei Misteri del Venerdì Santo con il trasporto de di Gesù nel cataletto.

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Alla fine del sec. XIX la confraternita costruì la Cappella cimiteriale per la sepoltura dei Confrati.

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