Nov 17, 2015 - Senza categoria    Comments Off on LA VITA DI SAN NICOLA DI BARI E LA SUA CHIESA A MISTRETTA

LA VITA DI SAN NICOLA DI BARI E LA SUA CHIESA A MISTRETTA

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San Nicola di Bari, noto anche come San Nicola di Myra,  San Nicola dei Lorenesi,  San Nicola Magno,  San Niccolò, San Nicolò, è venerato come santo dalla Chiesa cattolica, dalla Chiesa ortodossa e da diverse altre confessioni cristiane. La sua vita, in parte avvolta nella leggenda, è nota soprattutto per alcuni miracoli che lo caratterizzano come una persona attenta alle necessità degli altri tanto da essere identificato come il “santo del dono”.
Nicola nacque intorno al 250 e 270 d.C. a Pàtara, una fiorente città marittima e commerciale nella costa sud-ovest della Licia, antica regione dell’Asia Minore sud-occidentale, attuale Turchia, affacciata sul mare   Mediterraneo. Pàtara prende il nome da Patàros, figlio di Apollo.
Pàtara era allora provincia romana sotto la giurisdizione di Cesare Augusto tra il 261 ed il 280 d.C. Prima di essere occupata dai Turchi questa terra, sia pure all’interno dell’Impero Romano, era di cultura e di lingua greca. Questo fece sì che Nicola fosse considerato “greco”.
Nicola nacque in un’agiata famiglia cristiana, unico figlio di Epifanio e di Giovanna, genitori pii e onesti che gli imposero il nome Nicola e lo educarono alla lettura delle Sacre Scritture sin dalla tenera età. Etimologicamente il termine “Nicola” deriva dal greco “Νκάω”, “riportare vittoria”. In quel periodo cominciava a diffondersi il messaggio di Gesù, anche se spesso i Cristiani, per la proclamazione della loro fede, erano perseguitati dagli Imperatori Romani che comandavano anche in quelle regioni.
Della sua infanzia si conosce poco. Il primo a riferire su Nicola fu Michele Archimandrita, un monaco greco vissuto nell’VIII secolo. Cresciuto in un ambiente ricco di fede cristiana e di benessere economico, prematuramente rimase orfano di entrambi i suoi genitori deceduti per essere stati contagiati di peste dagli ammalati che amorevolmente curavano.  Nicola ereditò grandi ricchezze, ma soprattutto ricevette il dono della carità verso il prossimo.
Rinunciò a vivere nell’agiatezza e preferì distribuire le sue ricchezze agli ultimi per onorare Dio. In seguito, lasciò la sua città natale per trasferirsi a Myra. Myra, l’attuale Demre, era la capitale della provincia di Licia e la sede episcopale fondata da San Nicandro dove Nicola fu eletto vescovo.
La sua elezione a Vescovo è circondata dalla leggenda. Intorno all’anno 300 dopo Cristo, anche se il cristianesimo non era stato legalizzato nell’Impero Romano e non esistevano templi cristiani, le comunità attratte dall’insegnamento evangelico erano già notevolmente organizzate.
I cristiani si riunivano nelle case di aristocratici, che avevano abbracciato la nuova fede, chiamate “domus ecclesiae”, “casa della comunità”.  Essendo morto il vescovo di Myra, i vescovi dei dintorni si riunirono in una di queste domus ecclesiae per indicare ed eleggere il nuovo vescovo della città.
Si narra che durante la notte Dio parlò in sogno al più anziano e autorevole membro del clero suggerendogli che doveva essere eletto Vescovo colui il quale all’alba sarebbe entrato per primo in Chiesa. Il saggio sacerdote, recatosi in chiesa alle prime luci del mattino, vide un giovane che si apprestava a varcare la soglia. Allora gli si avvicinò e, chiestogli il suo nome, lo spinse al centro dell’assemblea per presentarlo agli astanti. La prima persona ad entrare in chiesa era il giovane Nicola. Stupito della sua elezione, Nicola cercò di sottrarsi alla responsabilità vescovile ritenendosi incapace di assumere tale pesante incarico. Il clero e il popolo di Myra lo acclamarono Vescovo di Myra. L’elezione di Nicola a vescovo è stata voluta dalla volontà di Dio.

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 Nicola divenne subito famoso per la sua grande misericordia e per il suo zelo religioso. Nel 303 d.C. l’imperatore Diocleziano mise fine alla sua politica di tolleranza verso i cristiani e scatenò una violenta persecuzione che si prolungò per un decennio, anche se momenti di empietà si alternarono a momenti di pausa. Nel 313 gli imperatori Costantino e Licinio si accordarono sulle sfere di competenza prendendosi, il primo, l’Occidente, il secondo l’Oriente. Emanarono l’editto che dava libertà di culto ai cristiani. Nel 319, sei anni dopo, in contrasto con la politica costantiniana filocristiana, Licinio riprese la persecuzione contro i cristiani. Sembra probabile che anche Nicola abbia dovuto patire il carcere ed altre sofferenze, anche quella di vedere il suo gregge subire tanti tormenti.
Metafraste attorno al 980 d.C. riferì che Nicola soffrì la persecuzione di Diocleziano. Alcuni testi tradizionali greci hanno scritto: “il divino Nicola fu arrestato dai magistrati, torturato, incatenato e gettato in carcere insieme ad altri cristiani. Quando Costantino, scelto da Dio, successe a Diocleziano, i prigionieri vennero rilasciati, e con essi l’ illustre Nicola“. Invece di scoraggiarsi, Nicola spronò i fedeli a persistere nella fede e a non glorificare gli dèi. Secondo altri autori Nicola subì la persecuzione sotto la dominazione di Licinio piuttosto che sotto quella di Diocleziano. Ciò per spiegare il fatto che durante la persecuzione Nicola era già vescovo e, secondo loro,  sarebbe stato consacrato vescovo fra il 308 ed il 314.
Lo storico bizantino Niceforo Callisto, per rendere più viva l’impressione di Nicola vicino al martirio e con i segni delle torture ancora nelle carni, scriveva: “Al concilio di Nicea molti splendevano di doni apostolici. Non pochi, per essersi mantenuti costanti nel confessare la fede, portavano ancora nelle carni le cicatrici e i segni, e specialmente fra i vescovi. Fra questi anche Nicola, vescovo dei Miresi”.
Nel 313, liberato con l’editto di Costantino, il vescovo Nicola riprese la sua attività apostolica. In questo periodo un avvenimento importante lo coinvolse: quello delle navi frumentarie.
Probabilmente il riferimento è alla carestia del 311-313 o a quella del 333-334. Durante tale carestia, che aveva colpito la Licia ma anche gran parte delle province dell’Impero, nel porto di Myra approdarono diverse navi provenienti da Alessandria d’Egitto. Il Vescovo Nicola salì a bordo di una di queste navi esortando il capitano a scaricare parte del grano da distribuire al popolo affamato.
Ciò era impossibile essendo il grano destinato all’imperatore ed essendo stato registrato nel peso. Non ci poteva essere nessun disavanzo! Nicola, promettendo di assumersi la responsabilità nei confronti degli esattori della capitale e di versare una cospicua cauzione, riuscì a convincere il capitano della nave a distribure alla popolazione il grano dopo averlo pesato. Il grano diede pane sufficiente per due anni di tempo e, poiché era stata conservata una certa quantità di cariossidi, esse furono seminate nelle terre, germinarono, donarono molto frutto anche per gli anni successivi. Quando le navi “alessandrine” giunsero a Costantinopoli, così come il capitano aveva previsto, il peso del grano è stato ricontrollato. Non era affatto diminuito!
Questo miracolo è all’origine non solo di tanti quadri iconografici che lo raffigurano, ma anche di tante tradizioni popolari legate al “pane” di San Nicola. Ai pellegrini, che giungono nel mese di maggio a Bari, sono distribuite “serte” di taralli tenuti insieme da una funicella.
L’imperatore Costantino, con la sua politica a favore dei cristiani, il 23 giugno dell’anno 318 emanava un editto col quale concedeva a coloro che erano stati condannati dalle normali magistrature di presentare appello al vescovo. Mentre la Chiesa, con simili provvedimenti, si rafforzava nella società pagana, l’opinione intorno alla natura di Gesù Cristo come Figlio di Dio suscitò una polemica tale da dividere l’impero in due partiti contrapposti.
A scatenare lo scisma fu il prete alessandrino Ario (256-336), coetaneo di Nicola. Per risolvere la questione e riportare la pace, l’imperatore, nel 325, convocò in concilio a Nicea la grande assemblea. Data l’ubicazione in Asia Minore, pochi furono i vescovi occidentali che vi presero parte, mentre quelli orientali furono quasi tutti presenti. Non è certo che Nicola sia stato uno dei 318 partecipanti a questo primo ed importantissimo concilio ecumenico. La tradizione racconta che durante il concilio ha condannato duramente l’Arianesimo difendendo la fede cattolica. Secondo la leggenda Nicola, acceso di santo zelo, udendo bestemmiare Ario, che si ostinava a negare la divinità di Cristo, alzò la mano destra e lo schiaffeggiò. Essendo stata riferita a Costantino tale reazione, l’imperatore ordinò la carcerazione di Nicola mentre gli altri vescovi lo privarono dei paramenti episcopali. Le guardie carcerarie lo insultarono  e lo beffeggiarono.
Un carceriere gli bruciò anche la barba. Durante la notte Nicola ebbe la visita di Cristo e della Madonna che gli diedero il Vangelo, segno del magistero episcopale, e la stola, segno del ministero sacramentale. Nicola evitò di indossare i paramenti vescovili quando si recò in chiesa per celebrare la messa. Appena cominciò la funzione religiosa vide scendere dal cielo la Vergine con la stola e gli angeli con la mitra. Anche la barba, che i carcerieri gli avevano bruciato, crebbe fitta e abbondante.
Gli scritti di Andrea di Creta e di Giovanni Damasceno confermarono il suo grande amore per la retta fede e per l’armonia nella Chiesa.
Il suo senso della giustizia lo spinse ad intervenire con molti governanti, anche con l’imperatore Costantino, per la salvezza degli uomini condannati ingiustamente, per ottenere alcuni rifornimenti per il popolo e per ottenere la riduzione delle imposte. Sant’ Andrea di Creta scrive: Come raccontano, passando in rassegna i tralci della vera vite, incontrasti quel Teognide di santa memoria, allora vescovo della Chiesa dei Marcianisti. La disputa procedette in forma scritta fino a che non lo convertisti e riportasti all’ortodossia. Ma poiché fra voi due era forse intervenuta una sia pur minima asprezza, con la tua voce sublime citasti quel detto dell’Apostolo  dicendo: <<Vieni, riconciliamoci, o fratello, prima che il sole tramonti sulla nostra ira>>.
Costantino aveva lasciato libertà di culto ai pagani tuttavia, almeno a partire dal 318, con i poteri giurisdizionali ai vescovi i cristiani ebbero uno spazio privilegiato all’interno dell’impero. Molti vescovi, e fra loro anche Nicola, si impegnarono a cancellare dalle loro città i segni della religione pagana fino ad abbattere alcuni templi. Andrea di Creta, nel suo celebre “Encomio di San Nicola”, rivolgendosi a San Nicola esclama: <<Hai dissodato, infatti, i campi spirituali di tutta la provincia della Licia, estirpando le spine dell’incredulità. Con i tuoi insegnamenti hai abbattuto altari di idoli e luoghi di culto di dèmoni abominevoli e al loro posto hai eretto chiese a Cristo>>.
Pur rimanendo molto vicino al testo di Andrea di Creta, Michele Archimandrita “concretizzava” l’opera di Nicola che faceva riferimento non alle armi della parola e dell’insegnamento, ma alle spranghe di ferro usate per abbattere il tempio di Diana che si ergeva imponente. Era il maggiore di tutti i templi sia per l’altezza, sia per la varietà di decorazioni, sia per la presenza di demoni.
Nicola morì a Myra il 6dicembre, presumibilmente negli anni tra il 345 e il 352 dopo Cristo, a circa 80 anni di età. Le sue spoglie furono conservate nella cattedrale di Myra fino al 1087.Nel 1034, quando Myra fu occupata dai saraceni, Bari e Venezia, due città rivali nei traffici marittimi con l’Oriente, entrarono in competizione per il possesso delle reliquie del santo, che erano ancora custodite dai greci cristiani sotto il dominio musulmano, e per il trasferimento delle stesse in Occidente.
Inoltre, Mira si trovava su una rotta frequentemente seguita dalle navi baresi dirette in Siria e, pertanto, non era necessario organizzare un’apposita spedizione, ma poteva essere inserita in un’operazione commerciale. Una spedizione barese, formata da 62 marinai, tra i quali i sacerdoti Lupo e Grimoldo, partita con tre navi, di proprietà degli armatori Dottula, raggiunse Myra. Giunti al sepolcro di Nicola, gli uomini, di nascosto dei custodi greci e dei loro padroni musulmani, sottrassero una buona parte dello scheletro. Il sacro carico con le reliquie di Nicola, custodite in una cassa di legno rivestita di preziose stoffe, arrivò nel porto di Bari la domenica del 9 maggio del 1087. Una grandissima folla assistette allo straordinario evento.
Secondo la leggenda, le reliquie furono depositate là dove i buoi, che trainavano il carico dalla nave, si fermarono. Temporaneamente furono ospitate presso il monastero di San Benedetto,  retto dall’abate Elia, che sarebbe diventato vescovo di Bari, il quale avanzò la proposta di edificare una nuova grande chiesa per ospitarle.
Fu scelta l’area dove fino a poco tempo prima sorgeva il palazzo del  governatore bizantino distrutto durante la ribellione per le libertà comunali e che Roberto il Guiscardo aveva donato all’arcivescovo Ursone. I lavori furono avviati nel mese di luglio dello stesso anno. Il 1º ottobre del 1089 le reliquie di San Nicola furono trasferite nella cripta della basilica da papa Urbano II  arrivato a Bari per assistere alla definitiva collocazione delle reliquie sotto l’altare della cripta. Nicola di Myra è diventato “Nicola di Bari”.
La presenza a Bari delle reliquie di un santo così importante non era solo una benedizione spirituale, ma anche mèta di numerosi pellegrinaggi e fonte di benessere economico. Nel mese di ottobre del 1098  nella cripta della basilica ancora in costruzione si tenne il II Concilio di Bari, convocato dallo stesso Urbano II, al quale presero parte circa 185 arcivescovi, vescovi, abati, ed ecclesiastici di grado inferiore. La costruzione della basilica fu terminata nel 1103 quando in una pergamena si legge della Basilica già “constructa”. La lapide di consacrazione, del 1197, che alcuni interpretano come la fine dei lavori, era un atto devozionale dell’imperatore Enrico VI che partiva per la Crociata chiedendo la benedizione di San Nicola. San Nicola fu eletto copatrono di Bari assieme a San Sabino.
Non è certo accettare se Venezia dividesse con Bari la custodia delle reliquie di San Nicola. I Veneziani non si erano rassegnati all’incursione dei baresi e nel 1099-1100, durante la prima crociata, approdarono a Myra dove fu loro indicata la tomba dalla quale i baresi avevano prelevato le ossa di San Nicola. Qualcuno dei presenti affermò di aver visto celebrare le funzioni più importanti in un altare secondario invece che in quello principale. Là i veneziani trovarono una gran quantità di piccoli frammenti ossei lasciati dai baresi che, recuperati, furono traslati nell’abbazia di San Nicolò del Lido. La chiesa era collocata sul Porto del Lido dove finiva la laguna e cominciava il mare aperto. San Nicola, quindi, fu proclamato protettore della flotta della Serenissima. L’autenticità delle spoglie custodite a Venezia è stata accertata solo in tempi recenti ponendo fine ad una lunga contesa fra le due città.
Le reliquie di San Nicola sono conservate, oltre che a Bari e a Venezia,  nella basilica gotica a Saint-Nicolas-de-Port,  a Bucarested in Bulgaria, nella chiesa della città di Cernomoretz. Nel 1429, prima di lasciare il suo paese per salvare la Francia,  Giovanna d’Arco andò a visitare la tomba di San Nicola a Saint-Nicolas-de-Port per chiedere il suo miracoloso aiuto.
Alla fine del XV secolo, per ringraziare San Nicola per avere salvato il Ducato di Lorena contro il duca di Borgogna Carlo il Temerario (morto durante la battaglia di Nancy il 5 gennaio 1477), Renato II, il duca di Lorena, fece ricostruire la chiesa della città di Saint-Nicolas-de-Port. Terminati i lavori, nel 1481 essa diventerà una maestosa basilica di stile gotico. Nel 1622 il duca Enrico II di Lorena ottenne dal Papa Gregorio XV (153-1623) il permesso di costruire una chiesa per i suoi sudditi che vivevano a Roma.
Questa bella chiesa barocca si trova vicino a Piazza Navona. E’ dedicata al santo patrono della nazione lorenese e si chiama Chiesa di San Nicola dei Lorenesi. Più generalmente, in ogni città o villaggio in Lorena il 5 o 6 dicembre si tiene una parata in onore di San Nicola. Nel mese di gennaio del 2003 la Chiesa cattolica di Rimini, d’intesa con il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, donò alla Diocesi Greco-Ortodossa di Dimitriade un frammento dell’omero sinistro di San Nicola. Secondo la tradizione, l’omero di San Nicola era giunto a Rimini nella seconda metà del XII secolo. Artefice dell’evento sarebbe stato un Vescovo tedesco che aveva rubato la reliquia a Bari. Si narra che nel 1177 papa Alessandro III, di ritorno  da Venezia si fermò a Rimini. Per accertarsi della veridicità dell’osso lo fece sottoporre alla prova del fuoco: “le fiamme non la bruciarono, anzi, emanarono un profumo intenso“.
Il primo indizio sull’autenticità della tradizione è l’assenza, fra le reliquie baresi, proprio dell’omero sinistro. La prova definitiva, che si trattava dell’osso che mancava dallo scheletro venerato a Bari, è stata fornita dallo studio antropometrico del prof. Luigi Martino e dalla ricognizione antropologica del prof. Fiorenzo Facchini. La reliquia riminese è custodita nella chiesa di San Nicolò al Porto, nella cappella detta “celestina“, dai Padri Celestini ai quali appartenne l’edificio dal XIV al XVIII secolo. San Nicola fu proclamato co-patrono di Rimini nel 1633.
San Nicola, già dal Medioevo, è stato uno dei santi più venerati ed è certamente una delle figure più grandi nel campo dell’agiografia. Il suo culto si diffuse dapprima in Asia Minore, con pellegrinaggi alla sua tomba posta fuori dell’abitato di Myra, poi, attraverso gli scritti latini e greci, progressivamente cominciò a diffondersi nel mondo bizantino-slavo, in Occidente e in tutta l’Europa,  in particolare nei Paesi Bassi. In Italia il culto di San Nicola si estese in tutte le regioni. San Nicola è il santo patrono della Russia, della Grecia, della Puglia, della Sicilia, della Lorena, della città di Amsterdam,  dove fu portato dai coloni olandesi sotto il nome di Sinterklaas. È patrono di Lungro, capitale degli Arbereshe continentali, sede dell’Eparchia, cioè l’equivalente della diocesi nell’Occidente cristiano, di rito greco-bizantino.
E’ festeggiato il 6 dicembre,  giorno della sua morte, e il 9 maggio, giorno dell’arrivo delle reliquie a Bari.
San Nicola, considerato santo già da vivo, operò diversi prodigi. Si raccontano molte leggende riguardanti i suoi miracoli.Le prime notizie riguardano la sua primissima infanzia. Si narra che Nicola, ancora neonato, immerso in una bacinella per essere lavato, si sollevò in piedi con le mani giunte suscitando la meraviglia dei presenti. Amante del digiuno e della penitenza, quando era ancora in fasce, Nicola era già osservante delle regole relative al digiuno settimanale che la Chiesa aveva stabilito di rispettare nei giorni del mercoledì e del venerdì. Michele Archimandrita, il monaco greco, narra che il bimbo succhiava normalmente il latte dal seno materno, ma si limitava ad una sola poppata nella giornata del mercoledì e del venerdì in corrispondenza dei giorni di digiuno praticati dai cristiani del tempo.
Un’altra leggenda racconta che Nicola liberò dalla prigione tre generali ingiustamente condannati. Tre generali via mare raggiunsero la Frigia ove riuscirono a sottomettere le forze ribelli all’impero di Costantino. Un po’ per il successo dell’impresa, un po’ perché Nepoziano era parente dell’imperatore, il loro ritorno a Costantinopoli avvenne in un’atmosfera di vero e proprio trionfo. Tuttavia la gloria e gli onori durarono poco perché gelosie e invidie furono da sempre azioni ricorrenti.
Ben presto si formò un partito ostile a Nepoziano. I membri di questo partito riuscirono a coinvolgere il potente prefetto Ablavio che informò l’imperatore che i tre generali stavano tramando contro di lui. Costantino li fece imprigionare. Dopo alcuni mesi, i seguaci di Nepoziano si stavano organizzando nel tentativo di liberare i generali. Il prefetto Ablavio suggerì all’imperatore di usare un provvedimento ancora più rigido della prigionia. Costantino ordinò di sopprimerli durante la notte. Informati dal carceriere Ilarione dell’imminente pericolo per la loro vita, i tre generali erano molto preoccupati. Nepoziano pregò con fervore San Nicola.
Quella notte San Nicola apparve in sogno all’imperatore minacciandolo: “Costantino, alzati e libera i tre generali che tieni in prigione, poiché vi furono rinchiusi ingiustamente. Se non fai come ti ho detto, conferirò con Cristo, il Re  dei Re, provocherò una guerra e darò i tuoi resti in pasto a fiere ed avvoltoi”. Spaventato, Costantino chiese chi fosse: “Sono Nicola, vescovo peccatore, e risiedo a Myra, metropoli della Licia”. Nicola apparve minaccioso anche ad Ablavio. Quando Costantino chiese a Nepoziano se conoscesse un uomo di nome Nicola raccontò che aveva pregato San Nicola per la liberazione dei generali. Costantino ordinò subito la loro liberazione, anzi, volle che si recassero a Myra per ringraziare il vescovo e per portargli i preziosi doni: il Vangelo decorato in oro e i candelieri d’oro massiccio.
Un altro miracolo racconta che un giorno il Vescovo Nicola, passando vicino ad una locanda e avendo saputo che l’oste aveva immerso tre bambini dentro una tinozza piena di una soluzione salina concentrata per conservare la loro carne da vendere nel suo negozio, salvò i piccoli da quell’orrenda morte e aiutò l’uomo malvagio a cambiare il suo modo di vivere.

C ok

 Carità e castità sono le due virtù che hanno fatto da sfondo ad uno egli episodi più famosi della sua vita. Esempio di povertà e di liberalità, fu proprio la miseria il nucleo del seguente racconto. Nicola fu generoso verso tre ragazze per mantenerle sulla retta via.

Dante, nel Purgatorio (XX, 31-33), fa elogiare Nicola ad Ugo Capeto:

Esso parlava ancor della larghezza

Che fece Niccolao alle pulcelle,

per condurre ad onor lor giovinezza

Si narra, infatti, che Nicola venne a sapere che un padre, cittadino di Patara, ricco ma decaduto in miseria, si tormentava perché la povertà in cui versava non gli consentiva di dare alle tre figlie una dote sufficiente per il loro matrimonio. Decise allora di avviarle ad una vita disonorevole allo scopo di raccogliere il denaro sufficiente al loro matrimonio. Avendo riempito tre borse di monete d’oro, Nicola, ogni notte e per tre notti consecutive, in via del tutto anonima, secondo il consiglio evangelico “non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”, le gettò nella casa dell’uomo attraverso una finestra aperta. Decise di agire di notte perché la sua virtù caritativa doveva essere nota solo a Dio perché, se fosse emersa e avesse avuto gli onori degli uomini, avrebbe perduto il merito della sua azione. Le tre figlie, con l’oro contenuto nelle borse, avevano la dote necessaria per un onesto e dignitoso matrimonio salvando la loro purezza.
In qualche iconografia San Nicola è raffigurato con tre sfere d’oro ai suoi piedi o tra le mani o con tre sacchetti di monete in relazione a questa leggenda.
A Bari, dove il Santo è venerato come Patrono della città, il suo culto ha portato all’istituzione del “maritaggio”, tradizione mantenuta in vita sino al 1984 grazie alla quale ogni anno si estraevano a sorte alcune ragazze povere e orfane alle quali era assegnata una dote per il loro matrimonio. Anche questa pratica aveva un chiaro riferimento alla storia delle tre sorelle aiutate da San Nicola di Bari. San Nicola era impegnato non soltanto nell’andare incontro alle necessità dei poveri e dei bisognosi, ma anche nella diffusione della verità evangelica. Fede e carità erano le sue parole.
Un altro miracolo di San Nicola racconta il salvataggio dei marinai durante una tempesta.
Intorno all’anno 300 d.C. una ciurma di marinai, abituati a ruberie e a violenze, navigava verso Mira,  al largo del Mar Egeo. Un’improvvisa tempesta sorprese l’equipaggio con così tanta violenza che gli uomini, avvertendo l’immeniente pericolo di morte, invocarono il Vescovo Nicola affinché intercedesse presso Dio.
I marinai, nella loro preghiera, invocarono con tanto fervore il vescovo Nicola che, proprio nel momento più difficile, apparve loro aiutandoli a governare l’imbarcazione. Giunti sani e salvi nel porto di Myra, i marinai desiderarono ringraziare Dio. Entrati nella chiesa dove Nicola svolgeva la sua funzione di Vescovo, non lo riconobbero perchè sembrava un semplice sacerdote. Lo riconobbero appena si avvicinò e lo ringraziarono con grandissimo slancio. Nicola li incoraggiò a seguire la via della virtù e del bene.
Il vescovo Nicola ha sostenuto tantissime iniziative a favore della popolazione, ma la più nota è la proposta rivolta a Costantino per la riduzione delle tasse ai Miresi.
Costantino usava gravare le popolazioni del suo impero con l’imposizione di tasse sproporzionate. Anche se cristiani si rifiutavano di pagare contributi così costosi, i pagani li costringevano con la giustificazione che Costantino era costretto ad adottare questa pesante politica tributaria a causa della sua eccessiva generosità. L’anonimo scrittore, che compose l’Epitome de Caesaribus, descriveva così la sua politica tributaria: “Per dieci anni eccellente, nei dodici anni successivi predone, negli ultimi dieci fu chiamato pupillo per le eccessive prodigalità”.
Quando anche i Miresi dovettero pagare queste tasse imposte, i rappresentanti del popolo si rivolsero a Nicola affinché facesse da mediatore presso l’imperatore. Nicola partì alla volta di Costantinopoli col preciso proposito di incontrarlo. Prima che cominciasse il colloquio, al suo arrivo Costantino gettò il mantello che, incrociando un raggio di sole, vi si aggrappò. Il prodigio rese timoroso e benevolo l’imperatore Costantino. Quando Nicola lo informò che i Miresi erano contrari a pagare tasse così salate e volevano una consistente riduzione, l’imperatore chiamò il notaio Teodosio ordinandogli di operare una sensibile riduzione stabilita a soli cento denari.
Nicola, afferrata la carta su cui era registrata questa concessione e legatala ad una canna, la gettò in mare. Per volere di Dio la canna, giunta nel porto di Myra, arrivò nelle mani dei funzionari del fisco che, pur molto meravigliati, si adeguarono. Intanto a Costantinopoli i consiglieri fecero notare all’imperatore Costantino che la concessione era stata esagerata. L’imperatore chiamò Nicola per concordare la nuova tariffa che i Miresi avrebbero dovuto pagare. Nicola gli rispose che da tre giorni la carta era pervenuta a Myra. Costantino promise che avrebbe confermato la precedente concessione. I messaggeri, inviati da Costantino per la verifica, riferirono che Nicola aveva detto la verità. Mantenendo la promessa, l’imperatore confermò la concessione.
Questi descritti sono solo alcuni dei prodigi operati da San Nicola.
San Nicola è venerato come protettore dei bambini, delle vergini, dei pellegrini, dei viaggiatori, dei commercianti, degli avvocati, dei giudici, dei farmacisti, dei notai, dei mugnai, dei panettieri, dei macellai, dei mastri birrai, dei contadini, dei tessitori, degli scalpellini, dei pompieri, dei prigionieri, dei pescatori e dei marinai. I marinai del mare Egeo e del mare Ionio hanno la loro “Stella di San Nicola” e, vicendevolmente, si augurano buon viaggio con la frase: <<Possa San Nicola guidare il timone>>. Ad Ostia, nel Borghetto dei Pescatori, c’è una deliziosa chiesetta in muratura, dedicata a San Nicola di Bari, che merita di essere visitata.
San Nicola s’invoca per la buona navigazione, contro il pericolo dell’acqua sia sulla terraferma sia sul mare, contro i ladri, affinché aiuti a riavere gli oggetti persi o smarriti.
San Nicola è noto anche al di fuori del mondo cristiano perché la sua figura ha dato origine al mito di Santa Claus (Sanctus Nicolaus) del folklore dei paesi anglosassoni, il NiKolaus della Germania. In Europa, in tempi recenti, divenne Babbo Natale, il vecchio barbuto dall’aspetto simpatico, sorridente e instancabile che la notte tra il 5 e il 6 dicembre distribuisce dolci, caramelle, giocattoli ai bambini che Gli scrivono la letterina esprimendo i loro desideri.

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In Sicilia, fino ad alcuni anni fa, era rispettata la tradizione della caduta di un dente di latte ad un bambino.  Il dentino veniva nascosto in un foro. Il bambino recitava l’orazione invocando San Nicola affinché gli facesse trovare un dono che, generalmente, era un soldino:

Santu Nicola,


Santi Nicola


vi dugnu la zappa vecchia


vui mi dati la zappa nuova.

Nel senso buoni denti per mangiare.

Nell’eparchia di Piana degli Albanesi, dove il culto di San Nicola è molto sentito, è ritenuto il padre della provvidenza. A Palazzo Adriano nei due giorni della Sua festa, il 5 e 6 dicembre, le ragazze indossano il costume tradizionale, portano alla vita la fibbia d’argento con l’effige del Santo e cantano per conquistare il  marito:

Io ti preu Niculò Santu
Pri la carità chi avisti
tri donzelli maritasti
e di grazii l’arrichisti
tu cu mia accussi a fari
e di mia nun t’ha scurdari.

Secondo la leggenda San Nicola è anche il patrono della famiglia e della fecondità. E’ invocato dalle coppie che desiderano avere figli. Nei cantoni svizzeri raccontare che una donna ha pregato San Nicola significa che è in dolce attesa. Raccontare che una famiglia ha ricevuto la visita di Sant Klos significa che in quella famiglia è nato un bambino.
Nell’iconografia San Nicola è facilmente riconoscibile perché tiene in mano tre sacchetti di monete d’oro, spesso resi più visibili sotto forma di tre palle d’oro.

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 Il suo emblema è, soprattutto, il bastone pastorale, simbolo del vescovato. Tradizionalmente è quindi rappresentato vestito da vescovo con mitra e pastorale.

PREGHIERA A SAN NICOLA

O glorioso San Nicola, mio protettore e padre buono, eccomi alla tua presenza per supplicarti umilmente di volgere su di me lo sguardo benevolo e misericordioso. Quante generazioni di fedeli si sono rivolte a te, quante lacrime sono state versate al tuo cospetto, quante intime gioie ti sono state confessate e quante invocazioni ti sono state rivolte! Ad esse unisco in questo momento le mie preghiere per invocare la tua potente intercessione. Tu conosci i segreti del mio cuore, i miei affanni, i miei desideri. Presentali al cospetto di Dio e chiedi per me la grazia di essere esaudito. Il Signore, nella sua infinita misericordia, nonostante le mie infedeltà di ogni giorno, mi conceda di avere il cuore sempre aperto alla speranza. E tu. Potente intercessore, non abbandonarmi nell’ora dell’amarezza e delle difficoltà; vieni in mio soccorso, come soccorresti le tre fanciulle povere, i marinai nella tempesta, il piccolo Basilio Adeodato che restituisti ai genitori afflitti; alza la tua mano e benedicimi col segno della santa croce; vieni a visitare la mia casa perché vi regni la pace, tranquillità e salute e i miei cari sentano la tua santa presenza. Ti prego allo stesso modo per tutti coloro che hanno bisogno della tua potente intercessione. La mia povertà non osa chiederti tanto; ma io mi pongo perciò sotto il tuo compassionevole patrocinio, o San Nicola, sicuro della tua valevole intercessione presso la misericordia di Dio. Parto da te con l’animo sereno e pieno di riconoscenza verso Dio per tanti suoi benefici. O San Nicola benedetto, aiutami a vivere santamente nella pace di Cristo nostro Signore. Amen.
Auguro Buon Onomastico a tutti  quelli che portano il nome di  Nicola.
San Nicola si festeggia il 6 dicembre do ogno anno.

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LA CHIESA DI SAN NICOLA DI BARI A MISTRETTA

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 Il culto di San Nicola fu introdotto in Sicilia probabilmente dagli Erbitani verso la fine del IV secolo, al tempo dell’imperatore bizantino Arcodio. San Nicola si venera anche nella città di  Mistretta dove la chiesa del glorioso San Nicola di Bari esisteva prima dell’anno 1501. Essa sostituisce l’antica omonima chiesa posta nella contrada “Orto di Cuticchio” di cui si intravedevano fino a qualche anno fa i ruderi.
La chiesa di San Nicola, già chiesa Madre, è stata edificata nella seconda metà del XVI secolo e, completamente distrutta da un notevole incendio nel 1816, è stata interamente ricostruita dai lavori iniziati nel 1818 e completati nel 1835 . Gia due anni dopo dall’incendio, nel 1818 fu riaperta al culto.
L’epigrafe, posta sotto l’organo,  racconta che da una piccola scintilla è nato l’ incendio che distrusse la chiesa. A causa dell’incendio sono stati perduti anche gli arredi più antichi.
Fu restaurata ed ampliata nel 1572 per opera del borgomastro Achille Albamonte.
Nel 1945 la chiesa fu eretta a parrocchia.
La chiesa si trova nell’omonimo quartiere di periferia situata davanti ad un largo spiazzo. E’ dotata di tre portali con mostre in arenaria. Il più piccolo, quello di destra, permette l’accesso all’interno della chiesa durante tutto l’anno. Quello di sinistra si apre raramente. Quello principale si apre solo durante la festa dell’Immacolata Concezione o durante particolari eventi.

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Il portale principale, del 1670, in aneraria locale e di ignoto scalpellino siciliano, dal profilo semplice ed austero, molto alto, dagli elementi in tardo stile gotico-catalano, è sormontato da una lunetta alle cui estremità si aprono due luminose finestre.
Si legge l’iscrizione S(anctus) N(icolaaus) MDC.

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 Un’altissima torre campanaria, a forma di parallelepipedo, s’innalza nel cielo e termina con delle finestre bifore e una costruziine a bulbo.

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Foto di Mario Salamone

La chiesa, a pianta basilicale,  divisa in tre navate divide da colonne, possiede il presbiterio rialzato, 10 colonne, con piedistalli, capitelli ed archi in arenaria locale scolpiti secondo i dettami dello stile romanico siciliano.

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Vi sono due cappelle: la cappella di San Nicola da Tolentino dove il gruppo ligneo raffigura il Crocifisso che abbraccia SN Nicola da Tolentino. opera del XIX secolo

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 e la cappella dedicata alla Signora Immacolata Concezione.

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La chiesa è dotata di molte opere d’arte che ornano gli altari.
Nel presbiterio, la tela dell’altare marmoreo, sovrastato da una monumentale edicola in stucco, che raffigura San Nicola che distribuisce il pane, è stata molto apprezzata dal critico d’arte Vittorio Sgarbi durante un suo breve soggiorno a Mistretta.
L’autore, Giuseppe Scaglione, pittore amastratino nato nel 1775, morto nel 1853, raffigura San  Nicola che accoglie le comunità.
In  prima fila c’è la famiglia.
Il padre accompagna con la su mano il figlio più grande che protegge il fratello più piccolo mettendogli la mano sulla spalla.
Il vescovo offe il pane, simbolo dell’Eucaristia, quindi della protezione divina.

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Foto di Peppe Cuva. Particolare della tela

E’ di notevole pregio come pure la tela di Antonino Manno che raffigura la Sacra Famiglia, del 1773, posta nella parete laterale del presbiterio.

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Le altre tele raffigurano: Sant’Ambrogio, opera di Salvatore De Caro da Palermo, del 1840

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Sant’Antonio di Padova.
Il quadro, realizzato da  Giuseppe Scaglione nel primo quarto del XIX secolo, raffigura Sant’Antonio in estasi e i due angeli di cui uno porta il giglio della purezza e l’altro il Vangelo.

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 La Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, di ignoto pittore locale, del 1839

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 Santa Maria del Soccorso, posta al lato del presbiterio

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 La Madonna liberatrice col Bambino tra gli angeli, che porta in cielo un’anima del Purgatorio, opera di ignoto pittore siciliano, del 1838

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 San Benedetto e i suoi seguaci benedettini, tela proveniente dal monastero delle benedettine di S. Maria del Soccorso, posta sulla parete laterale destra nella  cappella di S. Nicolò da Tolentinodi. E’ opera di Giuseppe Scaglione, della fine del XVIII-inizi XIX secolo.

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la Madonna della Scala, di ignoto pittore locale, del 1840

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San Michele Arcangelo, olio su tela di ignoto pittore locale, del 1843

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Nell’altare di sinistra c’è la tela di Sant’Andrea Avellino mentre celebra la santa Messa. La tela è di ignoto pittore locale del primo quarto del XIX secolo.

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(ringrazio la guida turistica Nino Dolcemaschio per le informazioni raccontatemi su Sant’Andrea Avellino che mori mentre celebrava la santa messa).
Tre dipinti sono stati restaurati e sono ritornati agli antichi splendori, mentre altri aspettano di essere ripristinati da una mano esperta.
La statua di gesso di San Nicola con i tre puttini, che ricorda il miracolo del salvataggio dei tre bambini immersi nell’acqua salata dal macellaio che voleva vendere le loro carni, è custodita dentro una teca di vetro.

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  Le statue raffigurano:
il Crocefisso fra le donne dolenti,

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  Sant’Agnese, statua in gesso, del XX secolo

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il Cuore di Gesù ,statua in gesso del XX secolo.

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L’altare di destra ospita la celestiale statua dell’Immacolata Concezione, espressione dell’umano e del divino, e alla quale i mistrettesi sono molto devoti.

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Foto di Lorenzo Cocilovo

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La stata lignea è stata scolpita nel 1898 dallo scultore amastratino Noè Marullo che scelse come modelle, per le sembianze del viso, probabilmente  la signora Stella Cuva,  la bella e giovane moglie, e una ragazza, abitante nel quartiere, per riprodurre le mani giunte.  L’Immacolata è nell’atteggiamento non solo di preghiera ma anche di estasi,  come si vede dall’espressione dei  occhi.
L’artista ha vestito l’Immacolata con una veste  ricoperta da un drappo celeste, il colore del cielo. Ha messo sotto il piede il drago, come trionfo su Satana,  riferendosi ai versetti tratti dal libro della Genesi (3, 1-14-15): “Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. […] Allora il Signore Dio disse al serpente […] ‘Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe;  questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”.
La falce di luna si riferisce all’Apocalisse di Giovanni in Primo segno: la Donna e il dragone (12, 1-2): “Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle”.
La raffigurazione della Madonna sulla falce di luna potrebbe essere una manifestazione dell’archetipo della Dea madre, rintracciabile fin nella preistoria. Sia il serpente sia la luna sono “domati” dalla purezza della Vergine.
La corona di dodici stelle, quanti sono i mesi dell’anno, ha il significato di  inglobare il senso compiuto del mondo.
La statua è stata ripresa nel 1921.
Nella sagrestia è conservata la vecchia statua dell’Immacolata che, pur essendo stata restaurata, è mal ridotta.

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Nella parete sinistra della cappella dell’Immacolata Concezione una piccola tela raffigura la Madonna della Catena invocata dal popolo per essere protetto dall’invasione dei corsari.
Quando i corsari, che dominavano sul mar Mediterraneo, sbarcavano, effettuavano latrocini lungo le rotte. Uno di loro, il famoso corsaro Barbarossa, pirata ed ammiraglio della flotta ottomana dal 1533 al 1546, sbarcato sulle nostre coste, arrecò molti danni rapinando e uccidendo persone di ogni età, catturando navi, galee,denari.
I popoli,  impauriti e disperati,  chiesero protezione alla Madonna che li ha protetti liberandoli dalla schiavitù e facendo riacquistare la libertà. Nel quadro sono dipinti alcuni uomini che hanno i polsi legati da lunghe catene.

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Foto di Santino Cristaudo

L’interno della chiesa è rivestito da stucchi neoclassici dove il colore celeste si mescola al bianco. I lavori sono stati eseguiti da Antonio Scaglione, autore anche di diverse tele. La chiesa accoglie il gruppo statuario di Gesù nell’orto con Giuda.

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Il gruppo è di modesta fattura, ma di grande effetto scenico. Partecipa alla processione dei Misteri del Venerdì Santo. Alcune delle tele e dei parati, custoditi nella chiesa, provengono dal monastero delle Benedettine e dimostrano la bravura di quelle suore che avevano come regola della loro vita il detto di San Benedetto “ora et labora”.
Importante è il fonte battesimale, realizzato in  marmo rosso di San Marco,  opera di ignoto scultore siciliano della seconda metà del XVII sec.

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Caratteristiche sono anche le due acquasantiere scolpite.

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La chiesa custodisce anche un prezioso organo a molti registri, opera di Salvatore La Rosa, della metà del XIX secolo

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 L’epigrafe ellittica, posta sotto l’organo,  racconta che da una piccola scintilla è nato l’ incendio che distrusse la chiesa.

LA CONFRATERNITA DI SAN NICOLA DI BARI

La confraternita di San Nicola di Bari, la più antica in ordine di tempo, fu istituita, probabilmente, contemporaneamente alla costruzione della Chiesa nel secolo XIV. Organizzata secondo la stesura di uno statuto molto rudimentale, i suoi fini erano: l’elevazione religiosa dei confrati, il culto, la cura, la manutenzione, il decoro della Chiesa, il controllo del comportamento degli adepti, il rispetto delle leggi dell’organizzazione interna, abbastanza democratica per quei tempi, l’amministrazione dei suoi possedimenti.
Anticamente la chiesa possedeva diversi terreni adibiti a pascolo degli animali e, per questo motivo, concessi in affitto ai pastori che pagavano una modesta somma annuale. Possiede ancora questi terreni. Notevole era l’elargizione di elemosine a persone o a famiglie in stato di indigenza. La confraternita era gestita da un “governatore”, uno di loro era mio nonno Vincenzo Seminara e, successivamente, da mio padre Giovanni, che lo è stato per diversi anni, ai tempi di padre Antonino Saitta e di don Filadelfio Longo,

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collaborato da due congiunti di man destra e di man sinistra, dal procuratore, che fungeva anche da cassiere, e dal segretario. Purtroppo la confraternita non esiste più; rimane, come testimonianza della sua realtà, solo il quadro con l’elenco dei confrati esposto nella sacrestia della chiesa.

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