Sep 26, 2015 - Senza categoria    Comments Off on LA VITA DI SAN FRANCESCO D’ASSISI E LA SUA CHIESA A MISTRETTA

LA VITA DI SAN FRANCESCO D’ASSISI E LA SUA CHIESA A MISTRETTA

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Francesco nacque ad Assisi il 26 settembre del 1182. Questa data è incerta. Probabilmente è nato a Dicembre del 1181 o a Settembre del 1182 da Pietro Bernardone dei Moriconi e da Giovanna Bourlemont, nobil donna d’origine provenzale, detta “Pica”, da “picca”, per il suo anormale desiderio di voler partorire il suo bambino, come Gesù Bambino, nella stalla allestita al piano terra della casa paterna ubicata nella piazza principale della città. Questa stalla, in seguito, fu detta “la stalletta” o “Oratorio di San Francesco piccolino”.
Francesco, che etimologicamente significa “libero”, nacque in una famiglia appartenente alla borghesia emergente della città di Assisi che, grazie all’attività del genitore, commerciante di stoffe, aveva conquistato ricchezza e benessere.
La madre, durante il battesimo, celebrato nella chiesa costruita in onore del patrono della città, il vescovo e martire Rufino, gli impose il nome Giovanni in ricordo di Giovanni Battista. Il padre, di ritorno da un lungo viaggio in Francia, aggiunse il nome Francesco, che prevarrà poi sul primo, per esaltare la Francia dove, avendo espletato là la sua attività di commercio, lo aveva fatto arricchire.
Francesco, quindi, è cresciuto tra gli agi della sua famiglia che, come tutti i ricchi assisani, godeva dei tanti privilegi imperiali concessi dal governatore della città, il duca di Spoleto Corrado di Lützen.
Nella sua casa, sita al centro della città, il papà Pietro di proposito aveva adattato a deposito e a negozio un magazzino  per lo stoccaggio e l’esposizione della pregiata merce che portava con i suoi frequenti viaggi in Provenza e che vendeva in tutto il territorio del Ducato di Spoleto a cui allora apparteneva anche la città di Assisi. Aveva pensato, infatti, di avviare il figlio alla sua stessa attività di commercio. Lo considerava un valido collaboratore e l’erede della famiglia.
Francesco, già alla giovane età di 14 anni, si dedicò all’attività di commercio. Dopo aver condotto una vita dissoluta tra le liete brigate degli aristocratici assisani e la cura degli affari paterni, ricevette in sogno la chiamata del Signore.
Frequentò la scuola parrocchiale dei canonici della cattedrale che insegnavano nella chiesa di San Giorgio dove, dal 1257, fu costruita l’attuale basilica di Santa Chiara. Le sue cognizioni letterarie erano limitate, però conosceva bene il provenzale. Nel 1154 un conflitto contrappose le città di Assisi e di Perugia tra le quali esisteva un’accanita rivalità che si prolungò nel tempo. L’odio fra le due città aumentò a causa dell’alleanza di Perugia con i guelfi, mentre Assisi si alleò con i ghibellini. Nel 1202 gli assisani subirono una clamorosa sconfitta e una numerosa perdita di uomini a Collestrada, località nei pressi di Perugia.
Il giovane Francesco, appartenente alla cerchia degli aristocratici della piccola nobiltà di Assisi, espresse la volontà di diventare cavaliere, di partecipare alle guerre tra Assisi e Perugia e di partire per la crociata. Nel 1203-1204 Francesco, giovane ventenne, partecipò alla Crociata,  andò a Puglia, convinto di raggiungere la corte di Gualtieri III di Brienne a Lecce il quale combatteva per conto del papa in tutela dell’ancora minore Federico II e di continuare il suo viaggio, assieme ad altri arditi giovani cavalieri, alla volta di Gerusalemme. Allora la partecipazione ad una crociata era considerata uno dei massimi onori per i cristiani d’Occidente. A Spoleto sognò un castello pieno di armi e di insegne cavalleresche mentre una voce lo invitava a seguire piuttosto “il padrone che il servo”.
Francesco fu catturato e fu fatto prigioniero dai perugini. Dopo un anno trascorso in prigione, gravemente malato, ottenne la libertà dietro il pagamento di un congruo riscatto pagato dal padre. Ritornato a casa, trascorrendo molto tempo tra i possedimenti di famiglia, a poco a poco recuperò la salute.
Tommaso da Celano racconta che in questi luoghi familiari e solitari si risvegliò in Francesco un incondizionato amore per la Natura, che vedeva come opera mirabile di Dio: << Alto e Glorioso Dio, illumina le tenebre del cuore mio>>.
L’ esperienza della guerra, l’angoscia della prigionia lo sconvolsero al punto tale da indurlo a cambiare il suo stile di vita. Iniziò, quindi, un cammino di conversione che, in seguito, lo portò «a vivere nella gioia di poter custodire Gesù Cristo nell’intimità del cuore».
Francesco, ritornato ad Assisi, si ritirò in luoghi solitari, in totale povertà, conducendo per alcuni anni una vita di penitenza e di preghiera. Iniziò quella meravigliosa avventura che l’avrebbe portato a diventare uno dei più grandi santi del Cristianesimo. Si racconta che un giorno suo padre mandò Francesco a Roma a vendere la sua preziosa mercanzia. Egli, non solo distribuì ai poveri il denaro ricavato dalla vendita della merce, ma cambiò le sue vesti con quelle di un mendicante chiedendo l’elemosina davanti alla porta di San Pietro.
Un giorno Francesco incontrò un lebbroso, lo abbracciò e lo baciò. Egli stesso racconterà che prima di quell’incontro non poteva sopportare neppure la vista di un lebbroso. Dopo questo episodio scrisse che  « ciò che mi sembrava amaro, mi fu cambiato in dolcezza d’anima e di corpo».
Nel 1205  avvenne l’episodio più importante della sua conversione: mentre pregava nella chiesa di San Damiano Francesco sentì la voce del Crocefisso che per tre volte gli disse: «Francesco, va’ e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina».
Egli portò via alcune stoffe dal negozio del padre e andò a venderle a Foligno. Vendette anche il cavallo e tornò a casa a piedi. Donò il denaro, ricavato dalla vendita delle stoffe, al sacerdote della chiesa di San Damiano affinché riparasse la chiesa.
Il padre Pietro si arrabbiò assai.
Francesco, per questa sua eccessiva generosità, fu considerato pazzo dai paesani e dal padre che, impotente all’irremovibile “testardaggine” del figlio, e visto che il suo patrimonio si assottigliava, decise di denunciarlo ai consoli con la speranza che Francesco, per paura della punizione, cambiasse atteggiamento.
Anche Francesco presentò ricorso al vescovo. Al processo, che si svolse nel mese di gennaio del 1206, partecipò tutto il popolo di Assisi per conoscere il giudizio del vescovo.
Francesco non sopportò indugi o esitazioni, non aspettò né proferì parola. Senza indugio depose tutti i vestiti e li restituì al padre. Si denudò totalmente davanti a tutti dicendo al padre: “Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d’ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli, perché in Lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza“.

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Con quel gesto, spogliandosi di tutto, Francesco rinunciò ai beni terreni. Il vescovo Guido lo coprì pudicamente agli occhi della folla accogliendo Francesco nella Chiesa.
Francesco diede inizio ad un nuovo percorso di vita. Scelse di vivere non solo in preghiera, in povertà, ma dedicandosi anche al servizio degli ammalati, al lavoro manuale ed elargendo l’elemosina. Molto sviluppato era in lui il senso di pietà verso i deboli e verso gli emarginati. Questa pietà poi si sarebbe trasformata in una vera e propria “febbre d’amore” verso il “prossimo”.
Da uomo nuovo, Francesco cominciò il suo viaggio. Nell’inverno del 1206 partì per Gubbio. Fu ospite di Federico Spadalonga, che aveva condiviso con lui la prigionia nelle carceri di Perugia. Federico lo sfamò e lo rivestì. Dopo pochi mesi, Francesco si trasferì presso i lebbrosari restando con i lebbrosi servendoli con la massima cura. Era il lebbrosario di Gubbio  intitolato a San Lazzaro di Betania.
Francesco non ebbe mai una fissa dimora.
Nell’estate successiva Francesco ritornò ad Assisi. Per un certo periodo se ne stette da solo, impegnato a riparare alcune chiese in rovina, come quella di San Pietro, al tempo fuori le mura, la Porziuncola a Santa Maria degli Angeli e San Damiano.
Il 24 febbraio del 1208 Francesco si trovava nella chiesetta della Porziuncola. Dopo aver ascoltato un passo del Vangelo secondo Matteo,  sentì la necessità di divulgare la Parola di Dio. Iniziò così a predicare partendo dalla sua città.
Ben presto si unirono a lui: Bernardo di Quintavalle, Pietro Cattani, Filippo Longo di Atri, frate Egidio, frate Leone, frate Basso, frate Elia da Cortona, frate Ginepro. Nacque il primo nucleo della comunità di frati. Le prediche di Francesco uscirono fuori dell’Umbria.
Solo nel 1209 Papa Innocenzo III, dopo la predica ai porci, approva la Regola dell’Ordine ed autorizza Francesco a predicare alla gente.
Le sue prediche erano semplici, ma di grande significato umano e religioso tanto da conquistare i molti ascoltatori e a suscitare una sorta di conversione di massa. Ecco che allora Francesco pensò di creare il Terz’Ordine, oggi denominato “Ordine Francescano Secolare”.
Nel 1210 Francesco, avendo riunito intorno a sé dodici compagni, si recò a Roma per chiedere al papa Innocenzo III l’autorizzazione della Regola di vita per sé e per i suoi frati. Dopo alcune iniziali perplessità, il papa concesse a Francesco la propria approvazione orale per il suo «Ordo fratum minorum». Secondo un’interpretazione, che associa la nascita del Terz’Ordine Francescano al miracolo del “silenzio delle rondini“, dagli scritti di frate Tommaso da Celano, il primo biografo francescano, si può desumere che la promessa di Francesco di fondare il Terz’Ordine Francescano è stata fatta nel 1212 ad Alviano, un borgo tra Orte ed Orvieto, poco distante da Todi. La stessa interpretazione è possibile farla nella “Legenda Maior” di San Bonaventura.
Non è rimasta nessuna traccia del testo presentato da Francesco al papa. Gli studiosi pensano che consistesse principalmente in alcuni brani tratti dal Vangelo che, insieme ad alcune aggiunte, abbozzarono la “Regola non bollata”, che Francesco scrisse nel 1221 alla Porziuncola : “Se vuoi essere perfetto va e vendi tutto quello che possiedi e donalo ai poveri, così avrai un tesoro in cielo. Non portare alcuna cosa per via, nè bastone, nè bisaccia, nè calzari, nè argento. Chi vuol venire dietro di me, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua”.
Inoltre Francesco scrisse:

– La “Regola bollata”, del 1223, presentata al papa Onorio III, che l’approvò il 29 settembre del 1223 con la bolla Solet annuere.

– La “Regola di vita negli eremi” scritta tra il 1217 e il 1221.

– Gli scritti alle “povere signore” sono i testi di queste due lettere: Forma di vita e Ultima volontà e sono state ricavate dalla regola di Santa Chiara.

–  Le “Ammonizioni”, che raccolgono 28 pensieri di Francesco. Secondo gli storici potrebbero essere delle conclusioni di alcune conversazioni dei capitoli celebrati dai frati. Esse trattano vari argomenti fra cui spiccano i commenti alle Beatitudini.

Di ritorno da Roma, Francesco, assieme ad altri frati, si ritirò a Rivotorto, sulla strada verso Foligno, in una baracca malsana e angusta. Nel tugurio di Rivotorto arrivarono Egidio, Sabatino, Morico, Filippo Longo e prete Silvestro.
Seguirono poi: Giovanni, Barbaro, Bernardo, Vigilante ed infine Angelo Tancredi. Francesco e gli altri compagni vestivano un rozzo saio cinto da una corda.
Abbandonata la baracca, i frati si stabilirono presso la piccola badia di Santa Maria degli Angeli, in località Porziuncola concessa dall’Abate di San Benedetto del Subasio.
I seguaci di Francesco diventavano sempre più numerosi.
E’ stato avviato il primo convento dei frati francescani!
Nel 1213 il beato Villano, Vescovo di Gubbio, già abate benedettino dell’abbazia di San Pietro, concesse ai frati di fissare una loro sede nell’antica Santa Maria della Vittoria, detta della Vittorina, che la tradizione indica come il luogo in cui Francesco ammansì il famoso Lupo.
Un grosso lupo da tempo terrorizzava gli abitanti di Gubbio. Selvaggio, affamato, il lupo da diversi anni vagava nei boschi alle porte del paese avvicinandosi a ridosso delle mura della città per procurarsi il cibo. Gli abitanti, impauriti, si rivolsero a Francesco che si trovava a Gubbio. Il frate s’inoltrò nel bosco alla ricerca del lupo, lo incontrò, gli parlò. Attraverso la sua mediazione, il lupo promise di non spaventare più gli abitanti di Gubbio a condizione che loro si impegnassero a sfamarlo quotidianamente. La leggenda narra che, quando il lupo morì di vecchiaia, gli abitanti del paese ne furono molto dispiaciuti.
Ne “I fioretti di San Francesco” si legge: « …nel contado d’Agobio apparì un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziando gli uomini; intantoché tutti i cittadini stavano in gran paura, perocché spesse volte s’appressava alla cittade. E andavano armati quando uscivano della cittade, come se eglino andassono a combattere……”.
” E poi il detto lupo vivette due anni in Agobio; ed entrava dimesticamente per le case, a uscio a uscio, senza fare male a persona e senza esserne fatto a lui; e fu nutricato cortesemente dalla gente: e andandosi così per la terra e per le case, giammai nessuno cane gli abbaiava dietro. Finalmente, dopo due anni, frate lupo si morì di vecchiaia; di che li cittadini molto si dolevano, imperrocché, veggendolo andare così mansueto per la cittade
”.
Francesco realizzò tre ordini riconosciuti dalla Chiesa cattolica esistenti ancora oggi e aventi costituzioni proprie. Il primo ordine è quello dei Frati Minori. La loro vita è ancora oggi ispirata dalla Regola bollata approvata dal papa Onorio III nel 1223.
Il secondo ordine è quello delle Monache Clarisse fondato da Chiara d’Assisi, la quale ha redatto una Regola propria. È costituito da suore di clausura e, attualmente, è presente in tutto il mondo. La nuova “forma di vita” di Francesco e dei suoi frati conquistò anche alcune donne. La prima fu Chiara Scifi, figlia del nobile Favarone di Offreduccio. Fuggita dalla casa paterna la notte della Domenica delle Palme del 28 marzo del 1211,  giunse il 29 marzo del 1211 a Santa Maria degli Angeli dove chiese a Francesco di poter entrare a far parte del suo ordine e dove ricevette l’abito religioso dal santo. Francesco la ospitò prima presso il monastero benedettino di Bastia Umbra, poi in quello di Assisi. In seguito, quando altre ragazze, fra le quali anche Agnese, la sorella di Chiara, seguirono il suo esempio, presero dimora nella chiesetta di San Damiano. Nacque la fondazione dell’Ordine femminile delle Clarisse.
Il terzo ordine nacque per i laici, per i secolari, per coloro che, pur non entrando in convento, vivono nelle loro famiglie la spiritualità francescana.
Negli stessi anni Francesco realizzò il convento di Montecasale, dove insediò una piccola comunità di seguaci, e dove ripetutamente sosterà durante i suoi viaggi.
Francesco sarebbe potuto essere scambiato per un cataro per la sua povertà e per la predicazione ai ceti subalterni. Ben viva era allora la vicenda dei catari, eretici che predicavano un dualismo Bene/Male portato alle estreme conseguenze. Francesco e i suoi seguaci si distinguevano in molteplici aspetti: non mettevano in dubbio la gerarchia della Chiesa, non contestavano l’autorità della Chiesa, che consideravano “madre“, e le promettevano obbedienza.
Francesco stesso, infatti, insisteva sulla necessità di amare e rispettare i sacerdoti. Dimostrò grande amore per la Natura, per gli animali e per gli uomini.  << La sua carità si estendeva, con cuore di fratello, non solo agli uomini provati dal bisogno, ma anche agli animali senza favella, ai rettili, agli uccelli, a tutte le creature sensibili e insensibili. Aveva però una tenerezza particolare per gli agnelli, perché nella Scrittura Gesù Cristo è paragonato, spesso e a ragione, per la sua umiltà al mansueto agnello. Per lo stesso motivo, il suo amore e la sua simpatia si volgevano in modo particolare a tutte quelle cose che potevano meglio raffigurare o riflettere l’immagine di Dio >>.
Col passare del tempo la fama di Francesco si diffuse enormemente e aumentò anche il numero dei frati francescani. Nel 1217 Francesco, alla Porziuncola, partecipò al primo dei capitoli generali dell’Ordine.
Nei capitoli generali, che si tenevano ogni due anni, si stabilivano le regole di vita comunitaria, si organizzava l’attività di preghiera, si rinsaldava l’unità interna ed esterna, si decideva sulle nuove missioni. Con il primo capitolo fu organizzata la grande espansione dell’Ordine Francescano in Italia e furono inviate missioni in Germania, in Francia e in Spagna.
Nel 1219 Francesco si recò ad Ancona diretto in Egitto e in Palestina dove era in corso la quinta Crociata. Durante questo viaggio, in occasione dell’assedio crociato alla città egiziana di Damietta, insieme a frate Illuminato,  dal benedettino portoghese Pelagio Galvani, vescovo di Albano, ottenne il permesso di entrare nel campo saraceno per incontrare il sultano Ayyubide al-Malik al-Kāmil, nipote di Saladino. Lo scopo dell’incontro era quello di predicare il Vangelo nel tentativo di convertire il sultano e i suoi soldati a porre fine alle ostilità.
Tommaso da Celano racconta che Francesco suscitò profonda ammirazione nel sultano che lo trattò con rispetto e gli offrì numerose ricchezze. La pacifica rivoluzione che il nuovo Ordine Francescano stava compiendo cominciò ad essere palese a tutti. Iniziarono però anche i primi problemi: Francesco temeva che, ingrandendosi senza controllo, la fraternità dei Minori deviasse dai propositi iniziali. Per potersi dedicare completamente alla sua missione Francesco, nel 1220, rinunciò al governo dell’Ordine in favore del seguace Pietro Cattani, che morì l’anno seguente.
Al successivo Capitolo Generale, detto “Delle Stuoie”, riunitosi nel mese di giugno del 1221, fu scelto come vicario frate Elia. Nel 1223, con la bolla «Solet annuere», papa Onorio III approvò definitivamente la “Regola seconda” redatta con l’aiuto del cardinale Ugolino d’Ostia, il futuro papa Gregorio IX.
Francesco, pur non condannando né la ricchezza, né la sapienza, né il potere, si rendeva conto che i frati, che liberamente avevano deciso di seguirlo e di accettare la sua regola di vita, stavano diventando colti e accettavano doni e ricchezze che erano incassati dalla Santa Sede.
” Sorella Povertà”, “obbedienza”, “castità”, “umiltà”, “ascetismo” sono gli aspetti fondamentali della vita di Francesco e dei suoi seguaci. Per queste virtù a Francesco fu dato l’appellativo di “Imitator Christi , “Imitatore di Cristo“: Per il segno della “fraternità” ciascun discepolo è “imitator Francisci” “Imitatore di Francesco” e, dunque, “imitator Christi”.
Pur conducendo una vita attiva, Francesco spesso sentiva la necessità di ritirarsi in luoghi solitari. L’Eremo delle Carceri di Assisi, l’Isola Maggiore sul lago Trasimeno, l’Eremo delle Celle a Cortona offrivano a Francesco riposo, silenzio e pace per una più intima preghiera.
Tra il 1224 e il 1226, Francesco d’Assisi, malato, affetto da tracoma agli occhi, compose il “Canticus o Laudes Creaturarum”, “Il Cantico delle Creature”, il “Cantico di Frate Sole”.
E’ la lode a Dio per il Creato che si snoda con intensità e con vigore attraverso le sue opere. E’ una preghiera permeata da una visione corretta della Natura, poiché nel Creato è riflessa l’immagine del Creatore. Da questo deriva il senso di fratellanza che deve unire l’Uomo all’universo, per sempre.
La più antica stesura del Cantico delle Creature che si conosca, riportata nel Codice 338, è custodito nella Biblioteca del Sacro Convento di San Francesco ad Assisi.

 “Altissimu, onnipotente bon Signore,
Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad Te solo, Altissimo, se confano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumeni noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’, mi Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento
et per aere et nubi lo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor Aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si’, mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infirmitate et tribulatione.

Beati quelli che ‘l sosterranno in pace,
ca da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’ mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po’ scappare:
guai a quelli che morrano ne le peccata mortali;
beati quelli che trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ca la morte secunda no ‘l farrà male.

Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate”.

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Secondo quanto riportato dalle agiografie il 14 settembre del 1224, mentre pregava sul monte della Verna  e dopo 40 giorni di digiuno, Francesco avrebbe visto un Serafino crocefisso. Al termine della visione gli sarebbero comparse le stigmate «sulle mani e sui piedi presenta delle ferite e delle escrescenze carnose, che ricordano dei chiodi e dai quali sanguina spesso».
Le agiografie raccontano che sul fianco destro Francesco aveva anche una ferita come quella inferta da una lancia. Francesco cercò sempre di tenere nascoste queste sue ferite fino alla morte. Per questa caratteristica Francesco è stato definito «alter Christus». Fu frate Elia, suo successore a capo dell’Ordine, ad annunciare al mondo la presenza sul corpo di Francesco delle stigmate. Questa rivelazione provocò nella chiesa gravi lacerazioni e scetticismi che dureranno anche nei secoli successivi.
Negli ultimi anni di vita la salute di Francesco si era molto aggravata. Soffriva di disturbi al fegato oltre che alla vista. Nel giugno del 1226, mentre si trovava alle Celle di Cortona, dettò il “Testamento” dove rievocò tutte le tappe della sua vita vissute come un dono del Signore. Infatti è frequente l’espressione: “Il Signore mi diede…”. Nel Testamento Francesco esorta i frati a vivere la Regola esortando l’Ordine a non allontanarsi dallo spirito originario. Francesco scrisse: “Nessuno mi insegnava quel che io dovevo fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo il SantoVangelo”.
Nel 1226 Francesco si trovava alle sorgenti del Topino, presso Nocera Umbra. Poiché capiva che le forze lo stavano abbandonando, chiese di tornare alla Porziuncola. Qui la morte lo colse nella notte fra il 3 e il 4 ottobre del 1226 su un giaciglio nella nuda terra.
Il suo corpo, dopo aver attraversato Assisi ed essere stato portato perfino in San Damiano per essere mostrato a Chiara ed alle sue consorelle, fu sepolto nella chiesa di San Giorgio. Da qui, nel 1230 la sua salma fu trasferita nell’attuale basilica.
Il Papa Gregorio IX lo canonizzò il 19 luglio del 1228. La canonizzazione di Francesco è riportata in modo molto dettagliato nella “Vita Prima” di Tommaso da Celano.
Il 25 maggio del 1230 la sua salma, trasferita dalla chiesa di San Giorgio, fu tumulata nell’attuale Basilica di San Francesco fatta costruire celermente da frate Elia su incarico di Gregorio IX negli anni tra il 1228 e il 1230.
San Francesco è stato ed è uno dei santi più amati dal popolo credente per il suo spirito di umiltà e di povertà. Nei luoghi dove ha trascorso la sua vita sono sorti santuari a lui dedicati. Il principale santuario è la famosa Basilica di San Francesco, ad Assisi, Il suo sepolcro è meta di pellegrinaggio continuo per le moltissime migliaia di devoti che ogni anno visitano il santuario.
La città di Assisi, per aver dato i natali a San Francesco, è elevata a simbolo di pace, soprattutto dopo aver ospitato i tre grandi incontri tra gli esponenti delle maggiori religioni del mondo promossi da papa Giovanni Paolo II nel 1986 e nel 2002 e da papa Benedetto XVI nel 2011. Il cardinale Jorge Mario Bergoglio, eletto papa nel conclave del 2013, ha scelto il nome pontificale di Francesco in onore del santo di Assisi, primo nella storia della chiesa.
San Francesco, conosciuto come il “poverello d’Assisi“, è venerato e festeggiato dalla Chiesa cattolica il 4 ottobre.  Il 3 ottobre di ogni anno è celebrato il “transito“, cioè un momento di preghiera teso a ricordare la morte del Serafico Padre attraverso letture tratte dalle Fonti francescane e dalla Bibbia.
San Francesco, assieme a Santa Caterina da Siena,  è stato proclamato da papa Pio XII patrono principale d’Italia il 18 giugno del 1939. E’ patrono degli animali, dei poeti, dei commercianti, dei lupetti, delle coccinelle, degli ecologisti. I suoi emblemi sono: il lupo e gli uccelli.
San Francesco è descritto nella pittura, nella scultura, nella musica, nel cinema, nella televisione, nella letteratura.

Dante Alighieri ricorda la figura di Francesco nel XI canto del Paradiso e descrive le sue

nozze mistiche” con Madonna Povertà, che

“ …privata del primo marito

millecent’anni e più dispetta e scura

fino a costui si stette senza invito “ (vv.64-66)

e che prima di morire affida ai suoi discepoli:

a’ frati suoi, sì com’a giuste rede

raccomandò la donna sua più cara

e comandò che l’amassero a fede “ (vv.112-114)

 

LA CHIESA DI SAN FRANCESCO D’ASSISI A MISTRETTA

 

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La chiesa di San Francesco d’Assisi, costruita nel XVI secolo, sorge nel cuore della città di Mistretta, in via Libertà, ed ha annessi l’ex convento dei Padri Cappuccini, già adibito a casa di detenzione fino a poco tempo fa, e la villa comunale “G.Garibaldi”, allora orto botanico dei frati. La chiesa era inglobata nel convento delle Benedettine, che vi dimorarono fino al 1569, quando lo cedettero ai Padri Cappuccini trasferendosi nel nuovo convento di S. Maria del Soccorso.

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 Nel 1604 i frati Cappuccini ampliarono l’attuale chiesa che è costituita da un’unica navata ricca di sculture lignee e di dipinti. Tra le opere più interessanti, conservate in questa chiesa, si deve ammirare l’artistico altare, uno dei maggiori capolavori in legno esistenti in Sicilia, realizzato dallo scultore intagliatore sacerdote Giovanni Biffarella, del 1742, e da frate Bernardino da Mistretta.

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La custodia sacramentale e le nicchie dalle colonne tortili, che si alternano alle statue miniaturizzate degli Apostoli, formano una pregevole opera d’intaglio e di scultura in cui l’artista evidenzia un senso di sorprendente plasticità di forme e una sicura conoscenza dell’anatomia umana.

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Il dipinto della Madonna degli Angeli, con i Santi Francesco e Chiara, quest’ultima nell’atto di mettere in fuga gli eretici con l’ostensorio ecucaristico, opera di Scipione Pulzone da Gaeta, del 1588, è una bellissima pala dove nella parte superiore è dipinta una zona celeste, molto luminosa, che esalta i simboli della divinità, la gloria della Madonna e degli Angeli, mentre nella parte inferiore, molto scura, è rappresentato il mondo terrestre, l’umano operare con i Santi umili che devono essere esempio di imitazione secondo le sollecitazioni promosse dalla Chiesa nel periodo della Controriforma.

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8 Madonna degli angeli Scipione Pulzone 1588 ok

Le icone nascondono questi preziosi dipinti.

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L’Immacolata perché ha la luna sotto i piedi e lo stellario,

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Il Cristo Re che sorregge  il mondo  con la mano sinistra e con la mano destra la Croce simbolo di salvezza.

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Tutto il complesso rappresenta l’Annunciazione dell’angelo Gabriele a Maria.

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L’interno delle edicole contenevano reliquie dei santi fra i fiori.

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I frati francescani aprivano queste edicole, singolarmente,  in momenti particolari della storia della chiesa: l’8 dicembre per la festività dell’Immacolata Concezione, il 25 marzo per la celebrazione dell’Annunciazione. Le edicole erano aperte entrambe contemporaneamente il primo novembre per la festa di tutti i Santi perché contenevano le reliquie dei santi.

L’urna sotto l’altare contiene frammenti di mandibola e di qualche osso di un frate cappuccino morto in odore di santità.

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Nella tela della Sacra Famiglia, con Sant’Anna e con gli Angeli musici, opera del messinese Antonio Catalano detto l’Antico, del 1599, l’artista ha saputo fare risaltare una pacata atmosfera evidenziata da luminosi effetti cromatici.

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Altre opere sono: la Madonna col Bambino, opera di Domenico Guargena, meglio conosciuto col nome di Fra Feliciano da Messina,

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la Deposizione della Croce, del XVI secolo, attribuita ad Antonello de Saliba,

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la pregevole statua lignea del Beato Felice, al secolo Giacomo Amoroso, realizzata da Noè Marullo che ha saputo imprimere al fraticello laico una sublime, palpitante, viva espressione mistica,

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CLICCA QUI

Il Crocefisso ligneo, di Giovanni Pintorno, meglio conosciuto come Fra Umile da Petralia, dove l’artista ha saputo cogliere l’istante del trapasso del Christus Patiens raffigurato con una espressione pensosa e malinconica, è circondato da 68 formelle ognuna delle quali è un reliquario dei monaci Santi martiri.

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 Le altre tele raffigurano Santa Caterina, Sant’Agnese, Sant’Agata, Santa Barbara e la Madonna con San Felice di Cantalice,

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 Sant’Antonio, quest’ultima opera del 1600.

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Prima di entrare all’interno della chiesa sono da ammirare i due affreschi murali seicenteschi che raffigurano San Bernardus, San Joseph e San Seraphinus da un lato e Cristo in Croce con le pie donne dall’altro.

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L’Ordine francescano ha avuto origine per merito di San Francesco d’Assisi che nel 1209/1210 ottenne dal papa Innocenzo III la possibilità di vivere in modo radicale la povertà evangelica. L’ordine da lui fondato, infatti, a differenza degli altri ordini religiosi esistenti, in particolare agostiniani e benedettini, ebbe il carisma di praticare non solo una vita povera, ma di non possedere beni conducendo una vita mendicante.

 Il 24 giugno del 2017 il Corpus Domini giunge alla chiesa di Francesco.

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