Sep 1, 2023 - Senza categoria    Comments Off on E’ LA STORIA DI UN’ AMICIZIA VERA

E’ LA STORIA DI UN’ AMICIZIA VERA

La sera del tre agosto del 1989 erano appena suonate le 21,00.
In ospedale quest’ora segna di solito il riposo notturno e il silenzio è appena rotto da lievi lamenti.
Rosalia ascoltava il suo respiro e i battiti tranquilli del cuore.
Il dottor Pasquale Pellicanò aveva finito il giro d’ispezione. Aveva augurato la buona notte ai degenti, istruito gli infermieri di turno, Nicola e Tiziana, licenziato i visitatori, abbassato le luci diventate tenui, soffuse.
Sembrava che l’attività ospedaliera si fosse fermata. Gli infermieri, con il loro andare e venire, avevano terminato la frenetica giornata tra punture, misurazione della pressione sanguigna, campanelli di richiamo. Avevano cercato di combattere le malattie e di alleviare le sofferenze. Un lavoro molto delicato, il loro, e d’estrema umanità.
Letizia, un’infermiera, col suo carattere vivace, brioso e molto socievole, metteva allegria e tutti gli ammalati l’accoglievano benevolmente.
Un’altra giornata di dolore e di tribolazione era stata sopportata dagli ammalati e dai loro assistenti: come gli infermi soffrono fisicamente, così i parenti patiscono moralmente, ma sono contenti di poter essere loro utili.
Rosalia si trovava in quell’ospedale per assistere il marito Antonio, afflitto da anni da una malattia reumatica altamente invalidante. Non sentì mai la fatica nel dedicarsi a lui.
Aiutava anche i tanti altri malati là ricoverati e ai quali recava consolazione, tergeva le lacrime, dava da bere, riapriva la via della speranza. Non si stancava mai. Se il bene è vero, voluto per la gloria di Dio e per il servizio all’umanità, esso dona sempre forza, promuove sinergie, crea armonia anche fra i diversi.
Il direttore sanitario, il dottor Vincenzo Tedesco, la ringraziava ogni qual volta la incontrava nei reparti, perché pensava che Rosalia, per la sua nobiltà di cuore, fosse una caritatevole assistente sociale; invece era un’insegnante. Gentile e disponibile verso gli altri, ha assimilato una delle più belle massime di Madre Teresa di Calcutta: ” Ho scoperto il paradosso secondo il quale se amo fino a soffrirne, non esiste nessuna sofferenza, ma ancora più amore”. Rosalia è molto più contenta nel dare che non nel ricevere!
L’ospedale era una villa settecentesca molto bella, posta su una collinetta, a Ganzirri, immersa nel verde e trasformata in nosocomio dal proprietario, il dottor Franco Scalabrino.
E’ l’Istituto ortopedico del Mezzogiorno d’Italia.
E’uno dei campi vastissimi dove si può attuare il precetto dell’amore evangelico, esercitare la virtù della carità cristiana, quella chiave che apre le porte del paradiso e che mette la persona al centro della stessa fede religiosa e ne fa criterio di valutazione d’ogni istituzione politica, sociale e civile.
Bisogna aprire braccia e cuore all’accoglienza di ogni uomo proveniente da qualsiasi altra parte del mondo.
Mentre l’afa estiva si placava lasciando il posto alla dolce brezza notturna e l’aria odorava del profumo del gelsomino, Rosalia, affacciata al balcone della sua stanza nell’Istituto ortopedico del Mezzogiorno d’Italia, fissava lo sguardo ora in lontananza, sul mare dello Stretto di Messina e sui laghi di Ganzirri, ora nel cielo punteggiato da una miriade di stelle lontanissime, pulsanti tentando di individuare le costellazioni e i pianeti.
Quella sera la stella Sirio era ancora più brillante del solito. La luna, dai riflessi argentati, era apparsa timidamente nel cielo. Nuvole di panna montata le davano il benvenuto. Scure, veloci, spinte dal vento le passavano davanti velando il chiarore lunare diffuso e diafano. Rosalia era incantata dal loro movimento e dalle bizzarre forme che assumevano contorcendosi.
Il sole, andando a dormire, era tramontato da un pezzo non rallegrando più la terra, anche se leggere striature dorate ne avevano trattenuto l’ultimo saluto.
Enorme, placida, sveglia con la sua faccia rotonda e sorridente, che saliva sempre più in alto nella volta celeste, come un enorme lampadario, la luna illuminava la costa riflettendo sul mare la sua scia .
Immersa a contemplare tanta immensità e sorretta dalle sue conoscenze astronomiche, Rosalia conduceva la mente a ripassare le varie teorie sull’origine del sistema solare, ad ipotizzare il futuro e a recitare ad alta voce la poesia i cui ricordi la trasportavano molto lontano nel tempo, al periodo del Liceo.
… Costellazione
Notti d’estate:
veglia ancora un nitido cielo sulla collina
e mille stelle occhieggiano
silenti e misteriose
e invitano a respirare l’infinito e la sua pace,
dopo l’accanito sole
infuocato
fino all’ultimo raggio all’orizzonte.
In quella calma apparente, in quella pace che cosa sarebbe potuto accadere? Nulla!
Invece un grave incidente era avvenuto su una nave di nazionalità greca nel porto di Augusta.
Quel nefasto giorno ha cambiato la vita ad un giovane ganese di 37 anni: un marinaio clandestino che si era allontanato dalla sua terra natia, il Ghana, alla ricerca di condizioni economiche più favorevoli.
Il Ghana, pur essendo uno stato molto ricco, non offre lavoro ai molti giovani che lasciano il paese con la speranza di trovare altrove migliori condizioni economiche e sociali.
La popolazione è sottomessa al governo e la gente è ridotta alla fame per motivi politici.
I ricchi sono pochi e conducono una vita molto agiata.
I poveri sono tutti gli altri e sono moltissimi. Una volta Rosalia gli ha chiesto come mai il popolo non si ribellava a questa forma di sottomissione. Ha risposto così: ”Come possiamo vincere noi? Il popolo ha le pietre e i bastoni, i potenti le armi!”
Intanto che era in compagnia dei suoi pensieri, improvvisamente Rosalia è stata richiamata alla realtà dal suono allarmante di una sirena dell’ambulanza, che, ancora lontanissima, spezzava, col suo grido, il silenzio notturno.
Il giovane di colore, disteso sulla barella, fu collocato momentaneamente nel lungo corridoio.
Rosalia gli si avvicinò non per curiosità, ma per umanità, per stringergli la mano.


Lui e lei si guardarono intensamente. Negli occhi di Rosalia brillava la luce dell’amore del prossimo, del sostegno morale, della fede; negli occhi dello straniero c’erano paura, terrore, sgomento e molto dolore.
Nel Vangelo secondo Matteo (22, 36-39), così rispose Gesù ad un dottore della legge: ”Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Rosalia mette in atto questo comandamento ogni qual volta le si presenta l’occasione. Il dialogo fra Rosalia e il giovane di colore era molto stentato. Lui parlava solo la lingua inglese, lei aveva una conoscenza appena scolastica della sua lingua, tuttavia Rosalia gli chiese: What is your name? Come ti chiami? Rispose: Simon. How are you? Come stai? I’m well, thanks. But peoccupied. Sto bene, grazie. Sono preoccupato.
Where are you from? Da dove vieni? I come from Tema, Ghana. Vengo da Tema, nel Ghana.
You’ll have lots of friends. Avrai molti amici. I thank you very much. Grazie.
L’intensità di quegli sguardi era stata più esplicita d’ogni più lunga conversazione.
Lui non era più solo, lontano dai suoi affetti, non sapendo ancora che cosa gli fosse realmente capitato. Aveva trovato veri amici.
La notizia di un grave incidente occorso ad un giovane africano fece immediatamente il giro dell’ ospedale. Fu un accorrere di gente da tutti i reparti verso la sala del pronto soccorso che immediatamente fu gremita da persone curiose di conoscere il malcapitato. Era un negro, alto, magro; il colore della sua pelle contrastava con quello della mano bianchissima di Rosalia e col bianco nitido del lenzuolo.

Faceva caldo, molto caldo.
I suoi capelli erano nerissimi, lunghi, arricciati, da rasta, come quelli del suo idolo, il cantante jamaicano reggae Bob Marley. Un nonno, sicuramente razzista, così ha esortato il suo nipotino: ”Vieni, ti faccio vedere il negro”.
La bestia nera!
A quell’affermazione Rosalia si era molto infastidita e, contrariamente alla sua indole tranquilla, aveva aggredito verbalmente quell’asino d’uomo.
Simon, all’età di 17 anni, imbarcatosi clandestinamente su un mercantile spagnolo, aveva lasciato il suo paese, il Ghana, alla ricerca di un lavoro più redditizio che avrebbe consentito una vita meno stentata a sé e ai suoi familiari. Viaggiando sulle navi aveva fatto il giro del mondo più volte.
Lungo il suo peregrinare era approdato in India, penultima tappa da marinaio.
Nel golfo del Bengala un fuoco vasto, violento esplose improvvisamente a bordo della nave. In poco tempo l’incidente distrusse i modesti averi, il frutto del suo faticoso lavoro a volte di mozzo, a volte di macchinista, a volte di pilota. Erano andati in fumo i sogni e la speranza di tornare nella sua terra. Ecco perché ripete sempre: “Patria, sei sempre nel mio cuore”!
A Madras, in India, aveva patito la fame, dormito all’aria aperta, raggomitolato il suo corpo, alto 1,95 metri, dentro degli scatoloni di cartone. Si era ripetutamente ammalato.
Tuttavia è stato più fortunato di tre nigeriani, suoi compagni di viaggio che, nel tentativo di circoscrivere l’incendio e di evitare il naufragio, avevano perso la vita inghiottiti dal mare. Con diversi mezzi di fortuna e senza un soldo era arrivato in Grecia.
Dopo lunghi mesi di permanenza, finalmente, era riuscito a trovare lavoro su un mercantile greco che trasportava petrolio greggio. In Grecia aveva dovuto mendicare un tozzo di pane, sopportare maltrattamenti d’ogni genere e assaggiare le bastonate dentro il carcere, dove era stato rinchiuso per alcuni giorni, perché ritenuto uno spacciatore di droga a causa dei suoi capelli da rasta.
Quattro mesi dopo, nella rada del porto di Augusta, il cavo d’acciaio, usato per l’attracco della nave al molo, o per una manovra maldestra, o per usura, si spezzò colpendo Simon alla gamba destra frantumandola in 19 frammenti. Era lui al timone della nave in quel momento.
Timoniere, per dirigere la nave dentro il porto, era stato designato Richmond, un compagno di lavoro, ma un malore improvviso lo aveva fatto allontanare dal posto di guida.
Molto solidale con gli altri e sempre disponibile, Simon si era offerto spontaneamente di sostituirlo alla guida del timone. La sorte aveva già deciso per lui!
Trasportato d’urgenza all’ospedale di Siracusa i medici, conoscendo la bravura dell’ortopedico dottor Vincenzo Tedesco e della sua equipe, lo avevano inviato all’Istituto ortopedico del Mezzogiorno d’Italia con la precisa diagnosi: “frattura pluriframmentaria biossea di tibia e di perone esposta, rottura del legamento rotuleo e lacerazione del vasto laterale del ginocchio destro. Gravi turbe trofiche cutanee da trauma”.
La gamba investita in pratica doveva essere amputata.
Ancora una volta il destino aveva deciso: ottime le mani e la preparazione dei sanitari a cui Simon era stato affidato.
Il dottor Tedesco non amputò la gamba, ma, con un lavoro certosino, ha sistemato i vari pezzi di quel puzzle. Trascorse cinque lunghi mesi di degenza in ospedale.
Rosalia e Antonio cominciarono a sostenerlo moralmente e a dimostrargli che aveva trovato degli amici sinceri che si sarebbero presi cura di lui, nei limiti delle loro possibilità. Antonio incoraggiava Simon quando, nascondendo la sua testa fra le lenzuola, piangeva in silenzio.
Rosalia lo stimolava a mangiare preparandogli il latte senza zucchero e coinvolgendo la signora Anna, la caposala, a fargli preparare il riso, alimento a lui molto gradito. Flavia, la responsabile della lavanderia, si preoccupava di fargli pervenire la biancheria pulita che Rosalia era andata a comprare a Messina col contributo di molte persone. Letizia, l’infermiera, lo faceva sorridere con le sue spiritose barzellette.
Il dottor Tedesco gli dava dei buffetti sulla guancia, come ad un bambino, per dimostrargli il suo affetto e la sua solidarietà. I degenti dell’ospedale facevano a gara: chi gli portava il caffè, chi il gelato, chi il vocabolario inglese-italiano, chi i libri di poesie e i romanzi d’avventura, chi le carte da gioco. Il suo angelo però era Rosalia.
Seri problemi erano sorti con l’agente assicuratore, il signor X, che, dopo appena quindici giorni dall’intervento di riduzione cruenta e di sintesi di tibia e perone con l’inserimento di viti, di ricostruzione del legamento rotuleo e della fascia del vasto laterale della gamba e del ginocchio destro, voleva costringere il direttore sanitario dell’azienda ospedaliera a dimetterlo dall’ospedale e a spedirlo al suo paese.
Non era umanamente possibile perché aveva la gessatura dal piede all’inguine, una placca d’acciaio dentro la tibia, che sarebbe dovuta essere rimossa dopo la giuntura dei pezzi, i muscoli atrofizzati.
Avrebbe avuto bisogno di molte terapie riabilitative che, certamente, non avrebbe potuto effettuare al suo paese.
Gli incontri di Rosalia e del signor X erano sempre forti, intimidatori, violenti.
Categoricamente Simon non sarebbe uscito dall’ospedale nemmeno con l’intervento delle forze armate!
Rosalia aveva organizzato la sorveglianza sostenuta da tante altre persone volontarie là ricoverate per i loro problemi di salute. Molte erano le stampelle pronte a colpire il signor agente X nel momento in cui, di notte, avesse deciso di portarlo via forzatamente con la promessa di 500 dollari o con la minaccia di abbandonarlo al suo destino.
Simon piangeva, allora non sapeva parlare in italiano, non capiva bene ed esprimeva con le lacrime il suo stato d’animo. Comprendeva che per lui sarebbe stata la fine sicura della sua vita.
Rosalia era sempre presente. Era avvisata dell’arrivo del signor X dal portinaio e dal telefonista. La forza della ragione e dell’amore ebbe il sopravvento sulla volontà dell’assicuratore che non voleva sprecare denari per le necessarie cure ospedaliere.
Simon era rimasto là.
Anche dopo le dimissioni di Antonio, Rosalia e il marito tornavano a Ganzirri ogni fine settimana a trovare il loro caro, fraterno amico per portarlo fuori da quella stanza di ospedale, nel giardino, anche se seduto sulla sedia a rotelle.
Il 21 dicembre dello stesso anno Simon, essendo sprovvisto del permesso di soggiorno ed autorizzato solo al transito, fu costretto a partire per il Ghana, senza il gesso alla gamba, appoggiandosi a due eleganti stampelle che gli erano state regalate dal dottor Tedesco. Il viaggio in aereo era stato tranquillo.
L’Italia e il Ghana sono separati appena dal fuso orario di un’ora. Come affrontare sua madre, l’amata Jane, i fratelli, che tutti gli erano andati incontro nel Niger, ignari dell’incidente?
La lontananza, il pensiero della sua salute, tenevano, però, in molta apprensione gli amici italiani Rosalia e Antonio che decisero di invitarlo a tornare in Italia per continuare a curarsi e a soggiornare gratuitamente nella loro residenza estiva munita di tutte le comodità.
Simon aveva così risposto all’invito: “Ho ancora le stampelle, mi accoglierete lo stesso”?
“Certamente”! E’ stata l’immediata e affermativa risposta.
E’ arrivato a Licata, dal Ghana, il cinque maggio del 1990, quando in paese ferveva la festa del patrono Sant’ Angelo. La sua permanenza a Licata si è protratta per diversi, lunghi anni. La frattura, per denutrizione, non riusciva a rimarginare. Sono stati necessari altri due interventi: uno per la rimozione della placca e delle viti, per il problema del rigetto, l’altro per il trapianto d’osso e per l’installazione di un infibulo per sostenere la gamba che cominciava ad incurvarsi.
Gli anni passavano.
A Licata ha trovato tanta solidarietà in molti medici disposti a curarlo. Simon era un paziente speciale: sensibile, timido, educato, gentile, riconoscente. Onesto e pieno di risorse morali, è un vero gentleman.
Tutti gli amici di Rosalia e di Antonio sono diventati anche suoi amici.
Pian piano, con molta buona volontà, dopo tre anni, è riuscito a liberarsi, una per volta, dalle stampelle e a cominciare a passeggiare in campagna, a salire qualche gradino.
Trascorreva l’interminabile giornata da solo a leggere i romanzi di viaggi e d’avventura, a guardare la televisione, dalla quale ha imparato la lingua italiana, ad ascoltare la musica e a cantare, con la sua voce intonata, facendosi accompagnare dal suono della chitarra che gli aveva regalato Valentina.
Fuori di casa aveva paura di qualsiasi animale: delle farfalle notturne, dell’insetto stecco, dei pentadomiti, delle scolopendre. La stampella era la sua arma di offesa e di difesa.
Questo comportamento faceva molto arrabbiare Rosalia. Gli voleva spiegare che in Italia gli animali non sono pericolosi. Non c’è riuscita. Li uccideva tutti, non certo per cattiveria, ma per il terrore di essere aggredito.
Un giorno disse. “Antonio, Rosalia, io qua mangiare e dormire gratis e voi lavorare. Vorrei lavorare anch’io”.
Era una bellissima notizia. Aveva recuperato in parte la sua salute. Avrebbe finalmente riacquistato la libertà!
Licata non ha offerto nessuna opportunità di lavoro.

Trasferitosi a Palermo, presso l’abitazione di un facoltoso ingegnere, svolgeva il lavoro di colf, ma con un minuscolo salario. La scarsa retribuzione, infatti, non gli permetteva di arrivare alla fine del mese. I suoi amici dovevano continuare ad aiutarlo.
Spinto dal bisogno di aiutare la sua famiglia, di cui era l’unico sostegno, si lasciò convincere dal suo paesano Patrik a trasferirsi in una città del nord Italia, alle dipendenze di una cooperativa per il trasporto di mobili.
Le sue condizioni economiche peggiorarono perché il costo della vita al Nord è più caro rispetto al Sud e i suoi amici, in Sicilia, erano molto lontani.
Tuttavia, grazie all’aiuto di Antonio, di Rosalia, di Anna Bonavena, un’insegnante calabrese, di Giuseppina e di Titina, due suore oblate di don Mottola, a Tropea, nel mese di luglio del 2003, dopo 14 anni, è tornato in Ghana a riabbracciare l’anziana Grace, sua madre, e a sposare Jane, la sua fedele fidanzata.
Un mese di tempo è stato breve, ma sufficiente per concepire un bambino, il figlioletto Prince-Nii, nato nel mese di marzo del 2004 in Ghana. Intanto il 25 agosto del 2003, al ritorno dal suo paese, mentre rientrava dal duro lavoro di scaricatore, è stato coinvolto in un altro incidente: l’aggressione da parte di un gruppo di giovani razzisti del luogo. Rimase ferito cruentemente all’occhio sinistro.
Gli oculisti non nutrirono fin da subito nessuna speranza di salvargli l’occhio che, irrimediabilmente perso, gli fu estirpato. E’ stato necessario ricorrere alla protesi dell’occhio di vetro.
Ancora, per i suoi gravi problemi di salute, Simon non può lavorare e Rosalia, sempre disponibile, continua ad aiutarlo con generosità. Antonio invece ha lasciato questa terra il 22 maggio 2000.
Simon non può fare ritorno in Ghana perché le sue condizioni economiche non glielo permettono.
La salute individuale, le medicine, le stampelle sono delle chimere. Gli ospedali e le cure mediche sono a pagamento e non esistono pensioni per gli invalidi e per gli anziani.
I genitori, se non hanno figli che possano sostenerli, o sono costretti a lavorare per tutta la vita o si lasciano morire.
Quando Simon era tornato in Ghana con le eleganti stampelle italiane, i suoi paesani avrebbero voluto toglierle perché loro conoscono solo le grucce di legno che si appoggiano sotto le ascelle, ma, in quel periodo, sostituivano le sue gambe.
Quando raccontava che, di notte, durante il sonno, mentre la gente dormiva con la finestra aperta a piano terra, qualcuno, entrando nell’ambiente, rubava i pantaloni costringendo il malcapitato a rimanere in casa o ad uscire in mutande, Rosalia rideva.
Le parlava del santone che da molti popoli primitivi dell’interno del Ghana è, a tutto oggi, ritenuto essere dotato di forza e di poteri magici e capace di guarire con la sua pranoterapia. Per farsi riconoscere, indossa una tunica bianca lunga fino ai piedi nudi e scalzi. I creduloni, per combattere le malattie e le disavventure, si rivolgono a lui che, con il movimento delle mani, tenta di scacciare il male. Chiede in cambio: 2 pecore, 4 galline, un gallo, una dozzina di uova oppure una mucca. Al sale pensa lui!
Le raccontava che quando i cinque figli, Simon, Vittoria, Caesar, Matilde, Giovanna e Eddy le chiedevano da mangiare, mamma Grace rispondeva ”Mangiate aria”. Oppure quando raccontava: ”Andavamo a cercare qualcosa da mangiare”.
Era una festa quando potevano guadagnare un casco di banane, un’ ananas, un po’ di latte in polvere o una tazza di tè o di cioccolato: il Ghana è il principale produttore mondiale di cacao d’ottima qualità.
Il cuore di Rosalia si stringeva riflettendo sul benessere degli italiani e sugli sprechi che ogni giorno avvengono nelle tavole domestiche senza pensare a quelli che effettivamente nel mondo patiscono la fame.
Ernesto era un bambino viziato e spesso buttava alle formiche, in campagna, il latte con i biscotti che la mamma gli preparava ogni mattina; preferiva la brioche.
Un giorno Rosalia gli disse: ”Ernesto, lo sai che molti bambini muoiono di fame perché non hanno da mangiare quello che tu butti via? Li vuoi aiutare”?
Rispose: “E come? Sono molto lontani”.
Rosalia insistette:“Se tu bevi il latte e non butti i biscotti, la mamma invierà a questi tuoi fratellini lontani il denaro che oggi hai risparmiato”.
Ernesto è stato sensibile nel recepire il messaggio.
Intanto che Simon si trovava a Licata, ha ricevuto dal suo amico Richmond una lettera contenente 100 dollari.
Una somma enorme! Non avendo bisogno di nulla a casa di Rosalia e di Antonio, ha custodito quei soldi.
Poco tempo dopo ricevette la notizia dell’improvvisa ed immatura morte di Richmond a causa di un incidente su un’altra nave. Grande è stato il suo dolore, anche perché sapeva che in Ghana aveva lasciato la moglie e tre bambini in tenera età.
Ha conservato gelosamente quei soldi e, quando è andato in Ghana, ha consegnato alla moglie l’intera somma.
E’ stato un gesto di grande generosità! Era un regalo di Richmond e apparteneva alla sua famiglia! Gli amici ganesi pensavano che Simon aveva trovato l’America in Italia e tutti gli scrivevano chiedendo “help, help”.
Simon aveva recuperato la salute grazie alla sensibilità, all’aiuto e alla grande amicizia di Rosalia e di Antonio.
Si dovrebbe prendere insegnamento dalla poesia di Giacomo Leopardi “La Ginestra”, dove egli ha saputo disegnare di se stesso il più nobile ritratto nella figura dell’ “Uom di povero stato e membra inferme”, ma “generoso e alto nell’anima“. Egli è stato capace di lasciare un messaggio molto efficace di solidarietà tra gli uomini perché perfettamente consapevole della precarietà della condizione umana. E’ un’esortazione a tutti gli uomini affinché, deposta ogni meschina rivalità, siano solidali e uniti nella lotta contro la fatica dell’esistere e contro la natura che “De’ mortali madre è di parto e di voler matrigna”.
La Natura, alla fine, non è stata molto matrigna con lui.
La sua esistenza è più accettabile grazie all’incontro con Rosalia e con Antonio e alla nascita del figlioletto Prince-Nii.
Simon continua a ringraziare, dopo tanti anni, Rosalia, il suo angelo tutelare, “la piccola missionaria Madre Teresa di Calcutta”, come lui la chiama affettuosamente, che lo sostiene ancora moralmente e materialmente, e tutti gli amici di Licata.
“God bless you all”. Dio vi benedica tutti. Così dice sempre.
Un pensiero particolare e un’intensa preghiera rivolge ad Antonio, che ha chiuso prematuramente la sua giornata terrena, al quale era legato da una profonda, sincera e fraterna amicizia e alla sua mamma italiana Maria Grazia, la madre di Rosalia, che gli ha voluto un bene filiale.
Amicizia: importante valore morale! E’ la gioia d’amare e di essere amati.
Rosalia è riuscita a riunire tutta la famiglia di Simon. Nel mese di giugno del 2007, dal Ghana, sono arrivati in Italia Jane, sua moglie, e il figlioletto Pince-Nike che ancora non conosceva.
Baby Sebastiana si è aggiunta alla famiglia venendo alla luce, in Italia, il 26 aprile del 2008 recando tanta gioia a mamma, a papà e al fratellino.
La vita di Simon continua ad essere molto stentata per il precario stato di salute e per la mancanza di un lavoro.
E’ aiutato, comunque, anche dal Comune dove risiede: a Verona.

 

 

 

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