Jan 21, 2016 - Senza categoria    Comments Off on LA STORIA DELL’ABETE

LA STORIA DELL’ABETE

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La neve depositata sugli alberi è uno spettacolo di notevole bellezza, come dimostra l’ammirazione della foto dell’amico Filippo Giordano che ha fotografato il bellissimo esemplare di Cedrus deodara, molto presente nel territorio di Mistretta, coperto dalla neve.

L’Abete è un albero resinoso di alto fusto il cui tronco s’innalza molto da terra e tende al cielo, quindi, a Dio, nella ricerca della luce. Candido e silenzioso, l’inverno, come un manto, accarezza gli ombrosi boschi di montagna. Le conifere, mosse dall’aria gelida, ondeggiano all’apice e soffici fiocchi di neve discendono delicati ad incantare la terra. Nel cuore dell’inverno, mentre moltissimi alberi si spogliano, la Natura dorme e la vita si assopisce, gli Abeti, invece, “vegliano“.

L’Abete conserva il suo verde intenso, i suoi aghi e la sua chioma folta e resistente. Questa sua caratteristica, simile a quella degli altri alberi sempreverdi, fu interpretata dagli antichi come simbolo “d’immortalità, di vita pulsante”, che perdura immutata al di là dei cicli d’esistenza sulla terra; al di là del sonno e del risveglio che si susseguono incessanti.

L’Abete è simbolicamente legato al solstizio d’inverno poiché richiama la “rigenerazione profonda, lo sbocciare della vita luminosa nel centro dell’oscurità” e, quindi, la nascita del Divino Fanciullo e del Sole lucente il cui cammino di discesa nelle profondità della terra si conclude nella notte più lunga dell’anno e quello di emersione ha inizio, in concomitanza, con l’allungarsi della durata del giornO.  E’ il simbolo di “elevazione spirituale e di meditazione”, quindi coltivato, in modo  particolare l’Abete bianco, in tutti gli orti dei conventi dei frati. Il legame fra l’Abete e i monaci era talmente forte che un antico detto recitava: “ubi fratres, ibi abies“, “dove ci sono i frati, lì c’è l’abete”.

Gli Abeti presenti nella villa comunale “Giuseppe Garibaldi” di Mistretta sono tanti. Ne cito solo alcuni:

l’Abies nordmanniana del Caucaso 2 Abete del Caucaso

3 Abies Caucaso

l’Abies nebrodensis

4 abies nebrodensis 1 ok

5 Abies nebrodensis

Il Picea excelsa (Abies rosso)

6 Picea excelsa

7 Picea excelsa

 l’Abies reale

8 Abies reale

 L’Abete Douglas o Abete odorosoamericano

9 Douglasia, l' Abete americano

L’Abies alba

10 Abies alba

Il Picea pungens kosteriana

11 Picea pungens kosteriana

12 picea pungens kosteriana strobili

La parola Abete ha diverse origini: da “ab-eo”,  vado via”, composto da “ab”, “da”, e dal verbo  eo” “ vado”. Per l’appunto è l’albero che va dal basso verso l’alto. Un’altra interpretazione fa derivare il nome “Abete” da “abh”, “sgorgare, gonfiare”, in relazione allo schizzare della “resina”. Oppure deriva dal greco “άβιος“, “longevo“, poiché tutte le specie esistenti, in condizioni ottimali, possono vivere fino a 800 anni, oppure da “άλφός” che corrisponde al latino “albus”, che significa “bianco, argenteo”, per il colore della chioma. Generalmente, con il nome di Abete si indicano sia gli Abeti bianchi, sia gli Abeti rossi. L’Abete bianco è una conifera sempreverde a foglie aghiformi inserite a pettine sul rametto.Plinio riferisce “inserta pectinum modo piceae”. L’Abete rosso è pure una conifera sempreverde a foglie aghiformi inserite a spirale sul rametto.

Plinio cita l’Abete bianco e lo chiama “abies”. E’ “ l’élate” di Omero. L’Abete femmina di Teofrasto. Esso ammantava l’Appennino ed i monti della Grecia e, come dice Dante nel Canto XIV dell’Infernola montagna, che già fu lieta d’acqua e di frondi, che si chiama Ida”, ai piedi della quale sulle sponde del fiume Eptaforo si ergeva un Abete di 230 piedi di altezza e rinomato per la sua dimensione colossale.

L’Abete rosso è la “Picea” di Plinio, e, secondo lui, è un albero ramoso fino alle radici, che ama i luoghi montuosi e freddi. E’ l’Abete maschio o “élate théleia” di Teofrasto. Esso abbondava nelle Alpi Marittime, nelle Alpi Liguri e nelle Alpi Cozie, ma era assente nelle altre parti d’Italia. Teofrasto osserva che il suo fogliame è più raggiato, pungente e disordinato e il suo legno meno bianco, ma più duro di quello dell’Abete bianco. Filostrato riporta la credenza popolare secondo la quale sono due Abeti rossi gli alberi piantati sulla tomba di Gerione, il gigante a tre teste ucciso da Ercole presso Cadice.

Per il popolo germanico l’Abete bianco è il re incontrastato delle foreste di montagna. Si racconta che in Svizzera e nel Tirolo il genio della foresta, che abitava in un vecchio Abete, faceva sentire ai boscaioli, intenti al taglio degli alberi, le sue invocazioni affinché fossero tutti rispettati e lasciati in vita. Forse, solo così i vecchi alberi potevano essere salvati!

Molti sono i miti riguardanti l’Abete. I più noti sono quelli dell’antica Grecia. Celebre è quello della ninfa Elatè o Καινείδης, la figlia di Ceneo, o Corono, “il Corvo“. Il termine “elatè” in greco, oltre alla divinità femminile Elatè, indica anche l’Abete e, in particolare, l’Abete rosso.

La ninfa Elatè, cioè Καινείδης, protettrice delle donne partorienti e dei neonati, venerata come dea della luna nuova dai Lapiti, popolazione selvaggia della Tessaglia, un giorno fu posseduta da Poseidone che, soddisfatto, le chiese cosa desiderasse come dono d’amore. Rispose: “Trasformami in un guerriero invincibile, sono stanca di essere donna“. Καινείδης diventò così Καινεύς, il guerriero Ceneo. Egli guidò i Lapiti alla vittoria più volte fino ad essere proclamato il loro re. Orgoglioso del suo potere, piantò la sua lancia di Abete nel centro della piazza del mercato e ingiunse la sua gente di adorarla e di non avere altro dio all’infuori di essa. Zeus, irritato da tanta superbia, incitò i Centauri, nemici dei Lapiti, ad assassinarlo. Durante le nozze di Piritoo, Καινεύς, assalito, si difese uccidendo facilmente molti di loro senza subire nessuna ferita poiché le armi degli assalitori scivolavano sulla sua invulnerabile pelle. I Centauri superstiti, ispirati da Zeus, comprendendo che Καινεύς poteva morire solo attraverso l’uso degli alberi, lo percossero con tronchi di Abete, lo stesero a terra, lo ricoprirono con una catasta di altri tronchi, lo soffocarono. Allora un uccello grigio si levò in alto. L’indovino Mopso, presente all’evento, dichiarò di aver riconosciuto nell’uccello l’anima di Καινεύς. Al termine delle esequie, il corpo aveva riacquistato le sembianze femminili.

Un’altra leggenda, riferita sicuramente all’Abete rosso, narra che un tempo gli Abeti non erano sempreverdi e, quando giungeva l’autunno, perdevano le foglie come tutti gli altri alberi. In Valtournenche, in Val d’Aosta, viveva un grande Abete i cui rami ospitavano ogni anno i nidi degli uccelli. Una volta un uccellino, feritosi ad un’ala, non ha potuto seguire lo stormo che, come sempre, all’arrivo dei primi freddi migrava verso paesi più caldi.
L’uccellino avrebbe avuto sicuramente un triste destino perché, al cadere delle foglie, sarebbe morto di freddo. Ma l’Abete era robusto e voleva salvare a tutti i costi il suo caro amico. Anche se il vento cercava di strappargli le foglie, il grande albero riuscì a resistere fino all’arrivo dell’inverno. Meravigliato di vedere un albero ancora verde in mezzo ad una distesa bianca, l’inverno chiese spiegazioni all’uccellino che, grazie all’aiuto dell’Abete, era riuscito a salvarsi. Colpito dalla generosità del grande albero, l’inverno, per ringraziarlo della sua bontà, gli promise che il vento non avrebbe mai più staccato il suo fogliame.

L’Abete vanta tradizioni che risalgono fino all’antico Egitto ricordando che la sua forma piramidale evocava le tombe dei faraoni. Spesso venivano costruite statue di legno d’Abete sulle quali era sovrapposta una ruota solare dove erano inseriti dei bastoncini ai quali si dava fuoco. Se il fuoco raggiungeva il simulacro, il messaggio era che l’anno sarebbe stato propizio. Secondo le popolazioni germaniche l’Abete è l’albero che spunta dall’ombelico della Terra, mentre, secondo gli Ostíachi–Vasjugan la sua cima penetra nel cielo e le radici affondano negli Inferi. Nei calendari nordici all’Abete rosso era riservato il primo giorno dell’anno, che allora era il giorno del solstizio d’inverno, il giorno della rinascita del Sole invitto, che poi fu scelto dai cristiani come il giorno della nascita di Gesù.

 

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