Apr 8, 2017 - Senza categoria    Comments Off on LA PROCESSIONE DEL CRISTO ALLA COLONNA – LA CHIESA DI MARIA SS.MA DELLA CARITA’– LA VENERABILE CONFRATERNITA DI MARIA SS.MA DELLA CARITA’ A LICATA

LA PROCESSIONE DEL CRISTO ALLA COLONNA – LA CHIESA DI MARIA SS.MA DELLA CARITA’– LA VENERABILE CONFRATERNITA DI MARIA SS.MA DELLA CARITA’ A LICATA

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Dopo la processione dell’Addolorata, venerata nella chiesa di Sant’Agostino, un altro evento molto atteso dai licatesi è il mercoledì della Settimana Santa per partecipare alla processione penitenziale del Cristo alla Colonna, il Cristo flagellato, che precede la più sontuosa processione del Venerdì Santo. La manifestazione è organizzata con grande perizia dalla Confraternita di Maria SS.ma della Carità guidata dal governatore prof. Francesco la Perna.

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La commemorazione liturgica inizia la mattina del mercoledì santo con la celebrazione eucaristica nella chiesa di Maria SS.ma della Carità officiata dall’assistente spirituale della confraternita rev. don Angelo Fraccica.

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Rev. Angelo Fraccica

Partecipano le Autorità civili e militari. La chiesa non può contenere il gran numero delle persone presenti per devozione al Cristo alla Colonna, per cui affollano il sagrato esterno. Il pomeriggio, intorno alle ore 18:00, il cammino processionale del Cristo alla Colonna, in ginocchio sul fercolo e legato alla colonna, inizia dalla chiesa di Maria SS.ma della Carità.

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Il fercolo, portato a spalla dai confrati della venerabile confraternita della Carità in maniera composta, sosta per pochi minuti nella piazzetta davanti alla Sua chiesa.

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Quindi, molto lentamente e col procedere caratteristico della “a ‘nnacata”, un passetto avanti, uno di fianco a destra, uno di fianco a sinistra, i confrati danno inizio al cammino processionale guidati dal governatore Francesco La Perna.

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Dopo avere percorso la via Sotto Tenente Sapio,

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il Cristo alla Colonna giunge in piazza Duomo. Intorno alle ore 19:00 il fercolo sosta davanti alla chiesa Madre per un momento di preghiera.

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Continua il Suo cammino nel Corso Vittorio Emanuele II, nella piazzetta Regina Elena,

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in piazza Progresso.

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Sosta davanti al palazzo di città dove l’on. Maria Grazia Brandara offre il mazzo di fiori.

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Prosegue per il Corso Roma

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Alle ore 20.00 è  in Corso Roma.

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si ferma davanti alla chiesa di San Domenico per un altro momento di preghiera.

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Alle ore 21:00 giunge davanti alla chiesa del Carmine dove sono intonati i canti liturgici.

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Quindi riprende il percorso in senso inverso e, dal Corso Roma, dalla piazza Progresso, dalla piazzetta Regina Elena il fercolo del Cristo alla Colonna giunge, intorno alle ore 22:30, in Corso Vittorio Emanuele dove il simulacro è accolto nell’atrio dell’ex convento dei PP. Minori Conventuali Francescani della chiesa di San Francesco ed esposto all’adorazione delle altre confraternite e dei fedeli per tutta la giornata del giovedì successivo.

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Visita della confraternita di San Girolamo della Misericordia al Cristo alla Colonna

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Alle ore 21:00 del giovedì santo il Cristo alla Colonna inizia il cammino processionale a ritroso e, lasciando il chiostro della chiesa di San Francesco,

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fa ritorno nella sua chiesa. Entra all’interno della chiesa Madre dove è accolto dai fedeli in rispettoso silenzio. Durante il cammino processionale è accompagnato dal corpo bandistico, che intona motivi musicali dolorosi, e da una moltitudine di persone.

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Notizie su questa apprezzabile festività sono riportate in documenti redatti nel 1624 e nel 1629.
Nel 1637 il tabernacolo della chiesa del Carmine fu profanato.
I confrati, guidati dal licatese Ven.le Padre Luigi La Nuza, gesuita, organizzarono, come atto di riparazione alla violazione, una processione penitenziale nella chiesa dei Padri Carmelitani inclusa nel giorno del Mercoledì Santo.
I documenti raccontano di contributi elargiti per la realizzazione della processione del Cristo alla Colonna quando era governatore della Confraternita del SS.mo Crocefisso don Angelo Niesi. Il documento del 1641 racconta che don Andrea Labiso, tesoriere della città di Licata, versò a don Baldassare Di Caro, deputato della processione della Casazza del Giovedì Santo, un contributo di 4 onze e si disponeva nel contempo il pagamento al pittore Michelangelo Falcuni per il restauro dei Misteri. Altra disposizione di pagamento di un contributo da parte di don Giovambattista Gatto, tesoriere della città di Licata, a don Giovambattista Grugno, deputato della processione della “Casazza” è del 1645.
La processione del Cristo alla Colonna non fu più commemorata dal 1866 in poi. Fu ripresa nel 1904 con l’esposizione del Cristo alla Colonna nella cappella del Pileri o della Madunnuzza nella chiesa Madre. Da quell’anno la processione non ebbe più luogo.
Il simulacro del Cristo alla Colonna, della 2° metà del XVIII sec., realizzato con apprezzato realismo da Giovanni Spina nel 1926, per proteggerLo dalle precarie condizioni in cui versava la sacrestia della chiesa di Maria SS.ma della Carità, fu trasferito nella rettoria della chiesa del Purgatorio, cioè nella chiesa di San Giacomo Apostolo dell’Ospedale, dal sac. Giuseppe Dominici e con il consenso della Confraternita della Carità.
Nel 1988, ad opera dei Cavalieri di San Giuseppe Maria Tomasi e Caro, il Cristo alla Colonna fu esposto sul sagrato della chiesa Madre. Successivamente fu restituito alla Confraternita della Carità che, dal 2005, ripristinò l’antica processione esponendo il Cristo alla Colonna nel chiostro del convento dei PP. Minori Conventuali di San Francesco, anziché nella cappella dell’Immacolata, nella chiesa di San Francesco, oggi completamente distrutta, come avveniva per antica tradizione.

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Alla festa del Cristo alla Colonna seguono altri riti della Settimana Santa. Il venerdì santo si celebra la Crocifissione del Cristo flagellato. Momenti molti intensi emotivamente sono: la “Giunta”, annunciata da uno squillo di tromba, cioè la rappresentazione di Maria Addolorata che incontra il Suo diletto Figlio, la “Crocifissione”, la “Scinnuta” del Cristo dalla Croce dal calvario allestito in piazza Vincenzo Linares. La domenica è la Santa Pasqua, il giorno della Resurrezione. La confraternita del SS.mo Salvatore organizza la processione di Cristo Re, meglio conosciuta dai licatesi come la festa di “U Signuri cu munnu in manu”.

 

LA CHIESA DI MARIA SS.MA DELLA CARITA’ A LICATA

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La Chiesa di Maria SS.ma della Carità sorge nel centro storico di Licata, nella piazzetta “Confraternita della Carità”, vicino alle altre due importanti chiese: alla chiesa del SS.mo Salvatore e al santuario di Sant’Angelo Martire Carmelitano. E’adiacente alla Villa “Regina Elena”, nome che le è stato imposto nel 1900. Nel 1820 a Licata furono abbattute torri, bastioni, fortezze e mura. Anche il bastione di Mangiacasali, attorno al 1860, fu completamente distrutto e l’ampio spiazzo, che si era formato e che si estendeva fino alla chiesa Madre, fu usato dai licatesi come discarica. Fu allora che l’onestissima amministrazione, diretta dal signor Pasquale Re, collaborato dal signor Giovanni Bosio, assessore ai lavori pubblici, nel 1896 decise di bonificare quell’area e di mettere a dimora grandi piante per dare alla città pulizia e decoro urbano.
La chiesa, costruita nel periodo compreso tra il 1619 e il 1622, a ridosso delle mura di cinta della città, grazie alle offerte elargite dagli stessi confrati, fu benedetta da Don Michele Taormina, confratello e vicario foraneo. E’ sede della confraternita di Maria SS.ma della Carità, fondata nel 1503, e ancora oggi esistente e molto funzionante. Nella facciata laterale sinistra, all’inizio di via Dante, l’edicola custodisce l’immagine di Maria SS.ma della Carità.

 

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Alle spalle della chiesa, in via Dante Alighieri, c’è l’ospedaletto del 1654, allora luogo molto importante per l’accoglienza degli ammalati incurabili e delle donne povere e bisognose. Oggi l’ospedaletto è in condizioni molto precarie e avrebbe bisogno di una radicale ristrutturazione.

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Il prospetto esterno della chiesa mostra un’architettura molto semplice, con campanile a vela, del VIII sec.

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Si accede all’interno della chiesa attraverso il superamento di alcuni gradini.
La chiesa, a navata unica, decorata con stucchi azzurri in campo bianco, custodisce importanti opere d’arte.

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Lo splendido altare maggiore, risalente al1739, in marmo rosso di Francia con colonne tortili sormontate da un fregio spezzato e con volti do angeli, espressione locale di un certo gusto barocco, recentemente restaurato,

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accoglie la statua lignea di Maria SS.ma della Carità, alta 150 cm, pregiata opera dello scultore Pietro Patalano, come risulta dalla firma e dalla scritta dietro il  piedistallo “fecit nell’anno 1735,  su committenza di Suor Maria Anna Serrovira e Figueroa, badessa del vicino monastero cistercense.

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 Il capo della Madonna è ornato da una corona d’argento sbalzato e cesellato con stellario, donata alla Madonna da Suor Maria Anna Serrovira, come si evince dall’iscrizione incisa sul bordo inferiore della corona. La figura della Vergine, da poco tempo restaurata, è posta su un alto basamento dove, nella parte posteriore, è raffigurato lo stemma della famiglia Serrovira e Figueroa.  La Madonna è vestita da un panneggio colorato mosso da sinuose ondulazioni e intrecci di morbide pieghe secondo lo stile della prima metà del XVIII secolo. Il volto, tondeggiante, incorniciato dai capelli castani, richiama il viso, certamente molto familiare all’artista esecutore dell’opera, di tante donne siciliane.
La  Madonna della Carità ha in braccio il Bambino che sostiene una cesta con dei pani. Anche la Madonna ha un pane in mano che dona, come simbolo di carità.

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In realtà bisogna dare una lettura diversa. La Madonna  col Bambino è un atto di carità, ma è un atto di carità che va al di là di quello fisico in quanto la Madonna offre il proprio figlio per la redenzione dell’umanità. I pani nel cestino del bambino rappresentano la pisside con le sacre particole, cioè le ostie.
Molto decorata è la parte sottostante dell’altare maggiore con il tabernacolo.

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La chiesa di Maria SS.ma della Carità possiede molte opere di inestimabile valore artistico. Gli affreschi della volta, attribuiti a Giuseppe Spina, raffigurano la “Dormitio di Maria Vergine”,

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 l'”Assuntio di Maria Vergine”,

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  l’ “Incoronatio di Maria Vergine”,

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 il “Refugium agonizantium”.

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Lungo le pareti della navata si ammirano i pregevoli dipinti su tela, alti 150x65cm, opera di Giuseppe Spina, del  XIX sec, che rappresentano le Beatitudini.

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 Altri dipinti su tela, di Giuseppe Spina, di pregiata fattura, sono:

l’Adultera,

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 La Samaritana, alti 190×139 cm.

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 Gli altari sono: del Crocefisso, che accoglie la statua ligneadel SS.mo Cristo Crocefisso.  L’artista è riuscito a esprimere il sentimento dell’umana sofferenza del Cristo Crocefisso espressa da una fortissima drammaticità e passionalità accentuate dalla testa inclinata, dalla bocca semiaperta e dagli occhi chiusi. Una figura afflitta, dal corpo asciutto, dove si possono contare le costole, dalla pelle lacerata in cui il colore del sangue, sgorgando dalle numerose ferite, contrasta con l’accentuato livore corporeo. La corona di spine sulla testa e il costato trafitto ne esaltano il pathos.

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Sotto la Croce sono sistemate delle cassette che contengono delle reliquie provenenti da Roma. Sono frammenti di ossa che sono state estratte dalle catacombe a partire dalla metà ‘500 e fino agli inizi dell’800.  Sono i cosiddetti frammenti dei “corpi santi”, persone che subirono il martirio nei primi secoli e furono sepolte nelle catacombe . Nel ‘500, quando si iniziò a riscoprire questi luoghi di sepoltura, molte di queste ossa sono state recuperate e distribuite gratuitamente nelle chiese. Le chiese conservano le attestazioni che hanno rilasciato i vescovi e i custodi delle catacombe, che erano cardinali incaricati da papa.

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Allora si pensava che i defunti inumati nelle catacombe fossero  dei martiri. Questi frammenti provengono dalle cavità più antiche delle catacombe romane dove, appunto, furono inumati i primi martiri.  Queste reliquie contengano i sigilli e le attestazioni di autenticità. Nel 1790, sulla scia di queste estrazioni di corpi santi, che venivano donati agli oratori, alle chiese, ai signori che avevano le cappelle private, il barone Martines  dl Licata ha chiesto  al vaticano il corpo di un santo martire.
Il cardinale Passarini, essendo in buoni rapporti col Martines, riuscì ad ottenere  il corpo santo, il corpo di un martire del III secolo,  probabilmente di un soldato romano, come risulta dal suo vestiario, e glielo donò. Era consuetudine, dopo che erano estratti dalle catacombe, rivestirli con simulacri che simulavano il corpo fisico. In realtà non è un corpo imbalsamato, ma è un simulacro antropomorfo all’interno del quale sono conservate le reliquie, cioè le ossa.
L’urna contiene i resti mortali di San Vitale Martire estratti dalla catacomba di santa Ciriaca a Roma nel 1790. Dal 1792 San Vitale Martire si venera  in questa chiesa.

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Continuando la visita della chiesa si ammira il quadro del Sacro Cuore di Gesù con i santi Angelo e Giuseppe Maria Tomasi, dipinto di Giuseppe Spina.  84 ok

di San Camillo De Lellis.

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di Santa Caterina d’Alessandria che accoglie la statua lignea di Santa Caterina d’Alessandria, del XVII secolo. Santa Caterina d’Alessandria, del XII sec, statua proveniente dalla stessa chiesa distrutta, è avvolta da un mantello dall’ampio panneggio che, scendendo dalla spalla sinistra, avvolge la figura e si annoda sullo stesso fianco. Sulla mano destra esibisce la palma del martirio. La corona è in argento sbalzato e cesellato. La corona riprende la tipologia a sommità aperta diffusa tra le corone di statue nel Seicento e nel Settecento, ma la presenza di originalità fitomorfi e floreali, proprie del gusto eclettico della prima metà del XX secolo, riconducono i lavori artigianali ad una bottega palermitana di quel periodo.

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Il busto ligneo dell’Addolorata, del XVIII secolo, mostra il dolore della vergine Addolorata nell’espressione dei suoi occhi rivolti al cielo, nella forte stretta delle sue mani, nella croce che le trafigge il cuore, nell’abito nero, il colore del lutto.

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La chiesa custodisce la reliquia che contiene un frammento della colonna della flagellazione di Cristo.

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Questo frammento è stato donato alla confraternita agli inizi del’’700 proprio perché la confraternita ha come devozione il secondo mistero doloroso che è il culto di Gesù flagellato.  Questo culto non è stato scelto a caso, infatti nello statuto della confraternita del 1625 esiste la così detta “disciplina” cioè delle giornate dedicate alla flagellazione, alla mortificazione del corpo. Questa disciplina veniva messa in atto fino  alla metà del ‘700  e i confrati la praticavano a porte chiuse per evitare che diventasse un atto di esibizionismo.
Il Cristo deposto è la statua esposta, sopra un catafalco  dorato, nel pavimento della chiesa solo durante il periodo dei riti della Settimana Santa. Giovanni Spina, autore dell’opera, ha raffigurato il Cristo nel momento del trapasso.
Il Cristo  velato rappresenta il  sepolcro.

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Dai racconti evangelici le donne che seguirono Gesù durante il triduo pasquale e presenti sotto la croce erano tre: Maria,la madre di Gesù; Maria di Màgdala; Maria di Cleofa. Le tre pie donne, che vegliano il Cristo morto,  sono state esposte dopo circa 70 anni. Da notare come una donna sostiene Maria, la madre di Gesù che sta per svenire, appoggiando la mano dietro la sua schiena.

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Il Bambinello, posseduto della confraternita di Maria SS.ma della Carità, di autore sconosciuto, del 1700, mostra un’espressione gioiosa e un atteggiamento tenero e affettivo.

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Il Cristo alla Colonna, di cartapesta, opera di Ignazio Spina, del XIX sec, è il simulacro che i confratelli portano in processione la sera del mercoledì Santo lasciandoLo nel chiostro del convento della chiesa di San Francesco e riportato nella propria chiesa della Carità la sera del giovedì Santo.

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Nell’ampia sala, sede della venerabile confraternita della Carità, sono, inoltre, custodite: il prezioso tesoro di argenti della chiesa, le antiche scritture, l’archivio della chiesa. Fanno anche parte del patrimonio della confraternita di Maria SS.ma della Carità i corredi liturgici dei paramenti sacri.
La confraternita custodisce, inoltre, le  sante reliquie di San Vitali martire, un soldato romano del terzo secolo,  donate dal barone Tommaso Martinez che, a sua volta, lo ricevette in dono nel 1790 da un cardinale.
Il barone Martinez lo custodì nella cappella del suo palazzo, ma, poiché nel 1792 doveva trasferirsi a Palermo,  prima del suo trasferimento nella nuova città, essendo stata restaurata la chiesa della Carità ed essendo egli stesso un confratello, decise di non portare le reliquie a Palermo, ma di donarle alla confraternita.
In suffragio, per questa donazione, si riservò  la celebrazione di sante messe dopo la sua morte.
La donazione è avvenuta con atto notarile stipulato presso il notaio Ortega nel 1792.
I sacri resti furono collocati sotto un altare.
Negli anni ’70,  quando la chiesa fu molto trascurata, le sacre ossa furono spostate e conservate in una cassa nei locali attigui.
I fedeli anziani, che ricordano  le ossa di San Vitali martire, saranno riesposte nella chiesa, in una vetrina, per la sua venerazione, a cura sempre della confraternita.
L’interno della chiesa di Maria SS.ma della Carità è stato finemente restaurato grazie all’interessamento del governatore Prof. Francesco La Perna, di tutti i confratelli, che sono stati disponibili a versare il proprio contributo, e di volontari generosi .

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La cantoria è lineare, con frontale ornato da scanalature bianche, sotto la quale adorna la parete di sinistra il Cristo Crocefisso.

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LA VENERABILE CONFRATERNITA DI MARIA SS.MA DELLA CARITA’

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 L’associazionismo religioso, espressione tipicamente cattolica, fu il primitivo “fenomeno” cristiano. Anche a Licata, che vanta secoli di piena appartenenza alla Chiesa Cattolica, ha avuto innumerevoli testimonianze di esperienza associativa intra-ecclesiale come dimostra l’esistenza di conventi e di monasteri. Le associazioni di allora erano, perciò, istituzioni sorte nei conventi e in molte chiese di quartiere nelle quali gli obiettivi erano: l’attuazione di relazioni apostoliche e di assistenza spirituale e di mutuo soccorso. Questi motivi invogliavano le iscrizioni di tante persone. Le associazioni si chiamano tuttora “Congregazioni” per il fatto che erano legate a una determinata Chiesa o a un Convento con le descritte finalità.

Le confraternite presenti nelle chiese di Licata un tempo erano tante, anzi ogni chiesa aveva la sua confraternita. Purtroppo diverse confraternite oggi non esistono più. Le confraternite, sorte come associazioni di laici cattolici, riconosciute dalla Chiesa ufficiale, sono organizzate secondo una rigorosa struttura gerarchica interna a capo della quale c’è un superiore, detto “Governatore”. Le confraternite erano formate da persone appartenenti alla piccola e alla media borghesia: muratori, falegnami, massari, artigiani, commercianti, portuali. Sin dal 1400 ebbero una grande importanza nei comportamenti della comunità licatese non solo di carattere religioso, ma anche di carattere socio-etico-politico. L’appartenenza ad una confraternita offriva ai confrati vari benefici quali il soccorso dei fratelli nel bisogno, il funerale dignitoso e l’accompagnamento alla sepoltura nel cimitero del sodalizio. Erano azioni atte a fare crescere nei confrati l’amore verso Dio a imitazione di Cristo Crocefisso, per la salvezza dell’anima con le celebrazioni delle sante Messe. Quindi, non solo solidarietà associativa sociale e civile, ma preghiere, opere buone “in vita e in Morte”. Le Confraternite partecipano alle Sacre rappresentazioni ispirate alla Passione e alla Redenzione di Cristo. Le statue, provenienti dalle chiese di Licata, sfilano per le vie della città accompagnate dalla spiritualità delle confraternite e dei fedeli.
La venerabile Confraternita di Maria SS.ma della Carità è stata istituita nel 1503 come riferiscono alcune cronache di quel periodo.
La costituzione canonica risale al 1619 quando il vescovo di Agrigento, Mons. Frà Vincenzo Bonincontro, dichiarò la sua presenza nell’oratorio della chiesa di Maria SS.ma della Carità. La Confraternita di Maria SS.ma della Carità chiese e ottenne, con una Bolla pontificia del 18 gennaio del 1734 di Papa Clemente XII e confermata dal Vescovo di Agrigento, Mons. Lorenzo Giorni, l’aggregazione all’Arciconfraternita della Natività di Gesù Cristo e degli Agonizzanti della città di Roma.

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Lo statuto della confraternita, di 27 capitoli, dove si elencavano gli scopi sociali e cultuali della confraternita, fu approvato nel 1625. Lo statuto attuale raccoglie l’origine, lo scopo e l’organizzazione interna della confraternita riconosciuta dallo Stato con decreto del Ministero dell’Interno. Oggi tutte le confraternite dipendono dall’autorità ecclesiastica e sono regolate dal Codice di Diritto canonico. Attività principali in quel periodo erano: l’inumazione dei morti in povertà nel cimitero annesso alla chiesa della Carità e la divulgazione della fede cristiana con incontri settimanali nell’oratorio. La confraternita si dedicava anche ad altre opere pie nei confronti dei confratelli che si trovavano in stato di malattia e di indigenza.  Lo statuto prevedeva che l’ammalato dovesse essere sostenuto moralmente e religiosamente dai confrati e, in caso di prolungata malattia, aiutato anche dalle elemosine degli stessi. I confrati dovevano essere caritatevoli non solo con i confratelli in difficoltà, ma anche con i poveri e gli ammalati incurabili che erano accolti nell’ospedale, chiamato “Ospedaletto”, fatto costruire nel 1624 dal rev. Bonaventura Murcio, che lo unì alla chiesa della Carità, grazie a donazioni ed elemosine. In questo ospedale i poveri ammalati incurabili erano sorretti nella malattia sino alla morte. All’inumazione dei deceduti si dedicava la pia Confraternita di Santa Caterina che, nel 1655, si aggregò alla Confraternita della Carità che, alla chiusura del sodalizio di Santa  Caterina, accolse i beni, gli archivi e i confrati. Nello stesso oratorio nel 1731 nacque l’”Opera dell’agonia“, istituzione finalizzata alla salvezza dell’anima grazie a particolari pratiche spirituali compiute durante l’agonia dell’iscritto.  Nell’ostensorio era esposto il SS.mo Sacramento.
Se l’esposizione si protraeva anche nelle ore notturne, a turno dodici confrati vegliavano in preghiera il SS.mo Sacramento e aiutavano il confrate a morire spiritualmente. Tale pia istituzione fu apprezzata dai licatesi e molte persone aderirono all’iniziativa versando al procuratore dell’opera inizialmente una quota e, successivamente, la somma di un grano alla settimana.
Tutte le entrate erano diligentemente registrate su libretti, oggi ancora esistenti, in cui, accanto al nome del donatore con un cerchietto erano segnati i grani. A ogni cerchietto corrispondeva un grano versato. Attività religiose erano, ieri come oggi, la chiusura del ciclo delle Quarantore, l’esposizione del simulacro ligneo di Gesù flagellato durante il Giovedì Santo.
Nel corso del XVIII secolo la confraternita si dedicò all’abbellimento dell’oratorio e della chiesa facendo realizzare da Pietro Patalano, grazie alle elemosine raccolte dalla Badessa Suor Maria Serrovira, la statua di Maria SS.ma della Carità inserita nell’ altare di marmo rosso di Francia realizzato nel 1739. Durante il XIX secolo, l’Ospedaletto fu trasformato in ospizio per povere donne che, per età o per malattia, non potevano lavorare. In seguito per la scarsità delle rendite, dovuta anche alla divisione tra le rendite per il sodalizio e quelle per l’opera pia, le povere donne furono costrette a chiedere l’elemosina per sopravvivere o ad essere sostenute da famiglie nobili che facevano opere di carità consegnando il loro contributo direttamente all’ospedaletto.
Anche la rendita del Comune fu insufficiente per il loro mantenimento.  Il parroco della chiesa Madre, sac, Calogero Marotta, nel 1835 fece restaurare i locali dell’ospedaletto per dare conforto alle povere donne. Quando furono soppresse le confraternite, l’ospedaletto ha chiuso la sua funzione di accoglienza e gli ammalati incurabili furono assistiti dall’ospedale San Giacomo d’Altopasso. Nel XX secolo la confraternita, a poco a poco, cominciò a perdere molto di quel fervore che l’aveva contraddistinta in passato sia per la mancanza di attività pubbliche, quali le feste religiose, che potevano mantenere viva l’attività e la presenza dei giovani, sia perché altre attività private causarono l’allontanamento dei giovani e di molti fedeli. I membri della confraternita facevano parte della classe civile e nelle processioni, secondo l’ordine prestabilito dal vescovo per evitare risse, avevano il settimo posto; vestivano un abitino bianco raccolto in vita da un cinturino nero e una piccola mozzetta nera recante sulla sinistra un cuore fiammeggiante con su scritto “Charitas“, il motto della compagnia.

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Attualmente la Confraternita della Carità, che conta 80 confrati, annualmente prepara la processione del Cristo flagellato alla Colonna.

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-alcune foto sono della signora  Ivana De Caro

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