Oct 1, 2023 - Senza categoria    Comments Off on L’ ORYCTOLAGUS CUNICULUS , IL CONIGLIO SELVATICO NELLA CONTRADA MONTESOLE A LICATA

L’ ORYCTOLAGUS CUNICULUS , IL CONIGLIO SELVATICO NELLA CONTRADA MONTESOLE A LICATA

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Quante volte ho incrociato il coniglietto selvatico percorrendo la strada interpoderale che conduce al mio villino in contrada Montesole a Licata.
Tantissime!
Soprattutto di sera, abbagliato dalla luce dei fari della macchina, l’animaletto interrompeva la sua passeggiata, bloccato, non curante del pericolo.
Potevo fare qualcosa? Certamente!
Fermarmi, spegnere le luci e cedergli la precedenza.
Certo il coniglietto non sapeva di avere incontrato un’amica!
Mi dava la possibilità di osservare da vicino il suo corpo, le sue movenze, la sua espressione, il suo stupore.
Trascorrendo in campagna il periodo estivo, lungo circa quattro mesi a contatto diretto con la Natura, la mattina, prima dello spuntar del sole, mi accovacciavo, seduta su uno sperone di roccia, aspettando l’arrivo dei coniglietti. Sapevo che sarebbero venuti. Puntuali. In tanti. Uno, due cinque otto. Tutti insieme!

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Giocavano, si rincorrevano, si disponevano a cerchio, si fermavano all’improvviso, si mettevano uno di fronte all’altro, calpestavano l’erba, drizzavano le orecchie, rosicchiavano la corteccia degli alberi o di un ramo, scavavano buche nel terreno con le zampette, muovevano continuamente il musetto. Erano insieme: grandi e piccoli. Appartenenti alla stessa famiglia o vicini di casa.
Tutti.
Passavo delle ore ad aspettare e ad osservare. Mi riportava alla realtà quotidiana Carmelo che mi diceva: “Nella la colazione è pronta”!
Purtroppo oggi gli eventi della vita sono cambiati! Carmelo non c’è più.
Al crepuscolo il fenomeno si ripeteva.
La mia attesa era premiata.

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I coniglietti venivano ad offrirmi un gradito spettacolo. Avevo imparato il loro linguaggio del corpo.
Quando appiattiscono le orecchie sulla schiena e si rannicchiano su se stessi vuol dire che hanno paura.
Se invece allungano la testa in avanti e allontanano la coda dal corpo, mantenendo sempre le orecchie appiattite all’indietro, sono pronti ad attaccare e a mordere.
Di solito, quando il coniglio mangia, si dovrebbe lasciare in pace e concedergli in queste ore importanti la possibilità di stare da solo.
Gli scontri violenti, che spesso avvengono tra conigli per un determinato ordine gerarchico, non sono disturbi comportamentali, bensì normali contatti sociali.
Un giorno, tagliando l’erba nel viottolo di collegamento con il villino dei miei vicini, ho sentito frusciare fortemente. Ho pensato ad un serpente.
Era un coniglio, un papà, grande, grosso, nascosto silenziosamente negli intrecci dell’erba alta.
Ci siamo spaventati. Io o lui?
Ho visto due occhietti impauriti che mi hanno fatto tanta tenerezza.
É stato emozionante!
Scientificamente il suo nome  è ORYCTOLAGUS CUNICULUS .

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Il nome “coniglio” deriva dal latino “cuniculus” per la sua abitudine di nascondersi.
Questo simpatico animale è stato chiamato così da Catullo, famoso poeta latino, per la sua abilità a scavare tane complicatissime fatte di cunicoli e di grotte.
Egli ha definito la penisola iberica, nel 50 a. C., la “Cunicoltosa Celtiberia”, ovvero “Terra dei Conigli”.
Aristotele lo chiama “dasypus”, i francesi “lapin”, gli inglesi “rabbit”, i tedeschi “kaninchen”.
Poco si sa sull’esistenza del coniglio nei tempi preistorici.
Si pensa che il coniglio e la lepre siano emigrati dall’Asia in Europa già nell’epoca terziaria.
I più antichi resti fossili, risalenti ad un periodo pre-pleistocenico, sono stati rinvenuti nel sud della Spagna dove questa specie era particolarmente numerosa. Sono stati scoperti nelle caverne dei graffiti raffiguranti scene di caccia con lepri e conigli.
In Turchia gli archeologi hanno trovato una sfinge, eretta 3500 anni fa, appoggiata su un basamento costituito da due giganteschi conigli.
Prima dell’era glaciale i conigli selvatici erano diffusi in tutta l’Europa centro meridionale e, dopo l’ultima glaciazione nel Pliocene, erano presenti solo nella Penisola Iberica e nell’Africa Nord – occidentale.
Secondo le testimonianze di Plinio, si può ritenere che il coniglio selvatico sia originario
dell’Africa settentrionale, da dove è stato introdotto in Spagna, moltiplicandosi rapidamente.
Sono stati i Fenici che, approdati nell’attuale Spagna intorno al 1100 a. C., scoprirono un animaletto e ne gustarono le carni: quelle del coniglio selvatico.
A loro si attribuisce la successiva ondata di colonizzazione nel bacino del Mediterraneo.
Plinio racconta che nelle Isole Baleari e a Lipari “La specie è tanto invadente da costringere gli abitanti a chiedere all’imperatore Augusto l’invio di milizie per distruggere questi animali” diventati una peste per le coltivazioni.
Plinio stesso sollecita le prime misure di controllo sulla popolazione.
L’imperatore Giulio Cesare narra invece che le dame usavano la carne come cura di bellezza per il corpo.
Il vero addomesticamento della specie ebbe inizio nel Medio Evo allorché i navigatori usavano abbandonare coppie di conigli nelle isole deserte in modo da assicurarsi una riserva di carne al viaggio di ritorno.
Dalla Spagna, il coniglio giunse in Italia per opera dei romani che impararono ben presto a conoscere la bontà delle sue carni diffondendo la specie nelle terre conquistate e trasmettendo il criterio dell’allevamento in cattività entro ampi recinti.
La fuga di alcuni individui dagli allevamenti ha consentito, a quest’adattabile specie, di formare in natura popolazioni stabili e riproduttive.
Intorno al secolo XIV il coniglio fu introdotto in Francia, in Germania e in altre regioni d’Europa.
In seguito, con l’aiuto dell’Uomo, si diffuse in tutti i paesi del mondo ed è l’unico mammifero, insieme all’Opossum, ad essersi conservato uguale dalla preistoria ad oggi.
L’ area di origine e di massima diffusione in Italia è la Sicilia dove il coniglio selvatico ha compiuto il suo miracolo riuscendo a colonizzare perfino l’infernale terreno lavico dell’Etna.
Tra gli Indiani d’America il coniglio era considerato un’ottima “cura” per rafforzare il corpo.
Famoso è l’esempio dell’Australia dove tre coppie di conigli, liberate nel 1859, in meno di trenta anni si sono moltiplicate fino a toccare i venti milioni di esemplari.
Il fatto non deve meravigliare se si calcola che una femmina può generare alcune centinaia di animali nell’arco di un anno.
Gli agricoltori, per fronteggiare il flagello, furono costretti a mettere in atto tutti i mezzi possibili, dalla caccia alla guerra batteriologica, importando dal Sud America il virus della mixomatosi, malattia letale.
Il coniglio è il simbolo della dea celtica Eostre citata nella mitologia nordica dal venerabile Bede (679 – 735) nel suo “De Temporum Ratione”.
La dea è collegata alla primavera e alla fertilità dei campi.
Il coniglio, in realtà, rappresenta la stessa divinità che si impone al dio dei boschi.
Per millenni il coniglio è rimasto un animale selvatico; solo negli ultimi tempi è stato addomesticato dall’uomo.

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Il coniglio non domestico è largamente rappresentato in tutto il mondo e ancora oggi è ritenuto dagli agricoltori un pericolo per le coltivazioni perché, essendo un gran divoratore, è capace di distruggere in poco tempo un campo coltivato!
Il merito di aver allevato e di aver cominciato a selezionare i primi conigli, con mutazioni naturali, spetta ai monaci francesi nel XVI secolo.
Nella seconda metà del secolo scorso, grazie al biologo abate austriaco Gregor Johann Mendel (1822-1884), scopritore dei principi dell’ereditarietà fattoriale che costituiscono la base della genetica moderna, cominciò la produzione di nuove razze morfologicamente molto diverse tra loro.
Appartenente alla famiglia dei Leporidi, il coniglio selvatico, grazioso e timido, è il capostipite del coniglio domestico.
É un animale di piccole dimensioni.
Da vivo pesa al massimo 2 kg ed ha un corpo lungo una cinquantina di cm compresa la coda, cotonosa, di 6 -8 cm.
La parte superiore della coda è marrone nell’adulto e, quando fugge, è visibile soltanto il bianco sottostante.
La testa, con due grandi occhi sporgenti, due orecchie molto mobili, lunghe 6 – 7 cm, grigio – brune esternamente e biancastre internamente, termina con un grazioso musetto arrotondato munito di lunghe vibrisse.
Caratteristico è il labbro superiore, sempre in continuo movimento, profondamente inciso da una piccola linea in senso verticale, da cui appunto il labbro leporino.
Il corpo, allungato, è dotato di una buona muscolatura e porta quattro arti.
Le zampe posteriori, più lunghe di quelle anteriori perché adatte al salto, quando l’animale è a riposo sono piegate a formare una zeta e gli permettono la fuga con balzi piccoli zig-zagando molto velocemente.
Anche le impronte sono inconfondibili.
Quando l’animale è spaventato o avverte un pericolo, si avvia verso la sua tana, dalla quale non si allontana molto, tambureggiando sul terreno per avvisare gli altri.
Tutto il corpo è rivestito dal mantello costituito da una corta e fitta lanugine e da lunghi peli robusti; è di colore grigio sul dorso con una macchia rossa sulla nuca, il ventre e la parte interna delle zampe sono biancastri.
Due volte l’anno rinnova la sua pelliccia facendo la muta.
Sempre attivo, il coniglio selvatico è gregario, socievole e vive in gruppi familiari, più o meno numerosi, all’interno di tane lunghissime, intricate, con moltissime entrate e uscite.
Ogni colonia è composta da maschi e femmine dominanti di rango superiore e da altri di rango inferiore.
Le tane sono molteplici e naturali trattandosi di un terreno calcareo; altre sono artificiali perché formate dall’ accumulo di terra di riporto, ora ricoperta dalla macchia mediterranea.
È difficile vedere il coniglio di giorno e, quando la vegetazione non è fitta, tanto da liminare le perplessità e da soddisfare l’appetito, il coniglio passa quasi tutto il tempo nascosto nella tana o accovacciato sull’uscio aspettando che il sole cali.
Svolge la sua attività prevalentemente di sera; si può incontrare di giorno nei luoghi dove non è disturbato o quando il tempo minaccia la pioggia.
Va al pascolo, ma sempre con prudenza, tenendo le orecchie ben tese per ascoltare eventuali rumori sospetti.
Prima di allontanarsi dalla tana, esplora minuziosamente il campo, si assicura che nessun pericolo lo minacci e, alla minima incertezza, raspa la terra con le zampe anteriori per avvertire i compagni.
Vive generalmente in terreni sabbiosi, aperti, incolti, pianeggianti, ben esposti, soleggiati e piuttosto asciutti, spingendosi non oltre i 500 metri d’altitudine in Inghilterra, fino ai 1000 metri sulle Alpi e fino ai 2000 metri sui Pirenei.
I cespugli gli offrono un riparo sicuro in cui scavare anche la tana, mentre le macchie erbose gli assicurano il cibo.
La sua tana è spesso identificabile dalla notevole quantità di piccoli escrementi che si trovano in prossimità dell’entrata.
Il coniglio è un animale pauroso, diffidente, curioso, attento, vivace, buono.
Sulla sua fama di “fifone”, però, sono stati concepiti molti modi di dire.
La vista del coniglio è eccellente. Ha un campo visivo che gli permette di vedere in tutte le direzioni senza muovere la testa.
Perciò, se avverte una qualsiasi presenza estranea, terrorizzato, fugge precipitosamente a gambe levate!
Corre per la paura di essere catturato.
Il suo senso dell’olfatto è molto sviluppato e gli odori costituiscono il più importante mezzo di comunicazione.
Il coniglio maschio usa, come linguaggio chimico, i feromoni prodotti dalle ghiandole poste sul mento e sotto la coda.
Per marcare il territorio il coniglio li strofina sul terreno, sui cespugli, sui rami e sui recinti.
Questi feromoni informano sul sesso, sullo stato riproduttivo e sulla posizione gerarchica.
In natura, il coniglio selvatico si nutre di una vasta gamma di alimenti che contengono i più disparati valori nutritivi.
Il regime alimentare è esclusivamente vegetale; erbe spontanee, radici e bacche, leguminose, cereali coltivati costituiscono la sua dieta principale.
Rosicchia sempre, soprattutto la scorsa degli alberi, per consumare i lunghi denti incisivi ricurvi, a forma di scalpello, che altrimenti, crescendo continuamente, gli impedirebbero di aprire la bocca per mangiare.
La presenza del coniglio selvatico provoca, in una determinata zona, la vastissima crescita di alcune piante come le ortiche perché non gradite al suo palato.
Il coniglio compie la ciecotrofia.
Produce, in pratica, due tipi di deiezioni: le cacarelle vere, dure, sono evacuate solo durante il giorno; le cacarelle molli, ricoperte di muco, sono espulse durante la notte.
Queste, recuperate con le labbra senza masticarle, sono nuovamente ingerite dall’animale che le aspira direttamente dall’ano perché ricche di vitamine del gruppo B e dei prodotti della degradazione della cellulosa.
Le cacarelle, elaborate dall’azione dei batteri, assieme ad altre sostanze, costituiscono un alto valore nutritivo.
La durata media della vita di un coniglio è tra gli 8 e i 10 anni.
Per raggiungere questa età deve, però, potersi muovere abbondantemente in uno spazio territoriale abbastanza grande.
Il corteggiamento dei conigli è relativamente semplice e, durante la stagione degli accoppiamenti, il maschio cerca attivamente quante più femmine è possibile procedendo in circolo o sfilando avanti e indietro.
La poligamia sembra la regola.
Spesso la femmina, di solito indifferente, nel periodo degli amori assume un comportamento irrequieto e aggressivo, nettamente in contrasto con la sua abituale timidezza.
Il maschio, passandole accanto, ruota il posteriore e le spruzza addosso dell’urina.
La maturità sessuale è raggiunta a 4 – 5 mesi d’età ancor prima di aver raggiunto lo sviluppo completo.
La femmina partorisce sei, sette volte in un anno, da febbraio ad agosto, dopo una gestazione di 28-30 giorni, generando da sei ad otto piccoli a nidiata.
Sicuramente le abbondanti piogge primaverili di quest’anno hanno ridotto notevolmente la prole per la distruzione dei nidi e per l’otturazione delle tane a causa delle frane.
Le femmine sono pronte all’accoppiamento il giorno stesso del parto.
In nessun altro animale gli istinti sessuali si sviluppano così precocemente come nel coniglio.
La madre rimane durante il giorno all’interno della tana ben imbottita accudendo con amore i giovani conigli nudi e ciechi, che sono allattati e svezzati a circa un mese d’età.
La loro crescita è molto veloce e, dopo 4-5 settimane, abbandonano la tana rendendosi indipendenti.
A circa 5 mesi di vita sono già adulti e pronti per la riproduzione.
La conigliera è fatta di lunghe gallerie ripiegate ad angolo che portano a tante “stanzette”.
Una è a fondo cieco, generalmente scavata dalla femmina per partorire; altre, comunicanti tra loro mediante la costruzione di ampi slarghi agli incroci, sono usate come abitazione e come rifugio degli adulti ed hanno numerose uscite. Ogni coppia ha la propria dimora e non vi tollera estranei.
La mamma fodera la “stanza” con ciuffi di soffice pelo, che strappa dal mantello dell’addome e dei fianchi, con erba secca e con foglie che spiana perché i nidi siano morbidi, caldi accoglienti per i nuovi nati.
I piccoli, senza pelo, stanno vicini tra loro per mantenere la temperatura ideale.
Aprono gli occhi a circa 10 giorni dalla nascita.
La madre li pulisce leccandoli. Alla fine della pulizia, li allatta allontanandosi per poi tornare a nutrirli solitamente durante le ore notturne.
All’uscita dal nido, chiude l’entrata con della terra per evitare che i predatori possano scoprire i piccoli.
Purtroppo il coniglio ha diversi nemici che gli causano malattie soprattutto durante lo svezzamento e la muta: due periodi piuttosto delicati della sua vita.
Mixomatosi, Escherichia Coli, Pasteurellosi, Stafficolcoccosi, Clostridiosi, Salmonellosi, Coccidiosi, Tricomoniasi, rogna, tigna sono solo alcuni nomi di malattie.
Inoltre la donnola, la puzzola, la volpe, i serpenti, alcuni rapaci diurni e notturni sono degli intrepidi cacciatori di conigli perché rappresentano la maggior parte della loro dieta alimentare.
Riescono ad entrare dentro le tane dove compiono vere e proprie razzie.
Le bisce cacciano i piccoli coniglietti direttamente dentro il nido, la donnola, se incontra il coniglio fuori della tana, lo cattura aggrappandosi al suo dorso, mentre la preda squittisce e fugge disperatamente fino a morire di collasso.
Il barbagianni e la civetta ghermiscono il coniglio durante la notte mentre pascola.
L’unico scampo è la fuga!
Ma il più reale e temibile nemico del coniglio è il Cacciatore.
Nel ‘600 i nobili francesi si divertivano a dargli la caccia avvalendosi di questo “sport” considerato un hobby fantastico.
Tutti gli uomini dovrebbero manifestare rispetto e protezione difendendo un animale più piccolo dell’”Animale Uomo”.
La caccia, usata dall’uomo primitivo, era dettata dalla necessità dei suoi bisogni alimentari, ma, con l’andar del tempo, si è trasformata in un vero “sport” che forniva all’uomo un cibo prelibato.
I discendenti di Romolo e di Remo, durante i loro banchetti, che si protraevano per intere giornate, disdegnavano le lepri nostrane preferendo quelle della Spagna e della Francia, più piccole e probabilmente molto più simili ai conigli selvatici. Arrivavano addirittura a pagare a peso d’oro i piccoli conigli estratti dal ventre della madre o sottratti durante il primo allattamento.
Nel Medio Evo la caccia era un divertimento riservato ai regnanti e ai nobili.
Si praticava con la balestra, con le reti, col falcone e con l’archibugio.
Dal Medio Evo al Rinascimento la situazione non è cambiata sostanzialmente.
I nobili cacciavano aironi, cicogne, cigni, fenicotteri, ma cominciavano ad apprezzare sempre di più la delicatezza e il raffinato sapore di pernici, di beccacce, di beccaccini, di fagiani, di merli, di conigli, di caprioli, di cinghiali, di cervi, di daini, cotti dal fuoco ardente dell’avidità.
La crudeltà del bracconiere, che caccia durante tutto l’anno, anche quando è proibita, senza tener conto dell’età dell’individuo, dello stato di maturità o della gravidanza in atto, provoca la mia rabbia e la mia disapprovazione.
Non mi è gradito neanche il cacciatore che, accompagnato dai cani e dai furetti, anche se col permesso della legge, si arroga il diritto di togliere la vita ad uccelli, a conigli, a lepri, a tutti gli animali indifesi, fiduciosi, inconsapevoli della malvagità di un “animale” più grande di loro, più potente, padrone indegno dell’universo che uccide e scarica con cattiveria la propria aggressività su esseri più deboli.
Allora il furetto costringe il coniglio ad uscire allo scoperto. Il cane intercetta il percorso fra l’animale e la tana impedendogli l’ingresso.
Il cacciatore, col fucile, spara.
Il coniglio, anche se è un abile maestro nell’ arte di correre e di descrivere una linea spezzata per sfuggire al cane, soccombe.
Non ha scampo!
É questo il torto più vile che “l’Uomo” fa ad un piccolo animale perseguitato da sempre.
Sono un “cacciatore” anch’io. Solo di immagini però!
La mia arma inoffensiva è la macchina fotografica.
Cacciatori…….imitatemi!!!!!

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