Dec 27, 2016 - Senza categoria    Comments Off on IL PALAZZO DEL BARONE PIETRO SCADUTO A MISTRETTA

IL PALAZZO DEL BARONE PIETRO SCADUTO A MISTRETTA

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Gentile Simone, non sei mio paesano ma, come se lo fossi!
Durante un tuo breve soggiorno a Mistretta hai avuto l’opportunità di apprezzare le bellezze architettoniche, paesaggistiche, naturalistiche della mia amata Mistretta.
Principalmente hai rivolto la tua osservazione al palazzo del barone  Pietro Scaduto ed io, modestamente, ti espongo alcune notizie affinchè appaghino la tua curiosità.
Caro Simone, credo che tornerai ancora a Mistretta per ammirare gli altri palazzi e non solo!
Il Palazzo del barone Pietro Scaduto è uno dei più antichi edifici nobiliari di Mistretta.
E’ sorto come residenza di una tra le famiglie più influenti fra il XVI e il XVII sec.

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Infatti i membri del casato furono giuristi, medici e religiosi che  ricoprirono alte cariche nell’Amministrazione Comunale e nelle Istituzioni religiose.
Il palazzo Scaduto fu costruito nel 1660, in stile barocco, come riporta la data incisa sotto la conchiglia.

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Anno Domini in Carnis 1660 è la dicitura impressa anche nelle porte minori del palazzo Scaduto e che indica l’antica data di edificazione dell’edificio che si trova esattamente in Via Libertà, nel cuore della città, molto vicino alla chiesa di San Sebastiano, il santo patrono di Mistretta.
La via Libertà allora segnava la direttrice principale dell’espansione urbanistica di Mistretta.
Subito cattura l’attenzione il notevole portale principale arricchito da due maestose sculture laterali di figure antropomorfe ad altorilievo, il Telamone a destra e la Cariatide a sinistra, che sorreggono la bellissima trabeazione, e da bassorilievi e decorazioni tardo-manieristiche e barocche come anche i cantonali posti lateralmente.

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Il prospetto del palazzo è frutto della composizione di abilissime maestranze locali, che trovarono ispirazione nelle stampe dei trattati di architettura e, più precisamente, nelle opere di Sebastiano Serlio.
All’interno del palazzo saltano all’occhio le tre scale “alla trapanese” di Sicilia: due, situate nell’ambiente dentro il bar, permettono di accedere agli appartamenti del piano ammezzato,

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la terza, nell’originario cortile interno, al quale si accede dalla Via Cairoli, consente di salire al piano nobile e presenta uno sviluppo in altezza tra i più rilevanti in Sicilia.

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Foto di Filippo giordano

L’ideazione e la progettazione della scala “alla trapanese” si devono  attribuire a  Francesco La Grassa, nato a Trapani nel 1876, deceduto  a Roma nel 1952, bravo architetto-ingengere formatosi alla Scuola di Ingegneri e Architetti della Regia Università degli Studi di Palermo e allievo di Ernesto Basile.
La scala “alla trapanese”, che si colloca nella parte centrale dell’edificio e percorre il palazzo Pietro Scaduto per l’intera altezza, in un’unica rampa, ha uno sviluppo quasi elicoidale.
Questo tipo di scala porta il nome “alla trapanese” perchè è diffusa soprattutto negli androni di alcuni palazzi di Trapani risalenti al periodo compreso tra  la seconda metà del XIX e la prima metà del XX secolo.
La costruzione della scala “alla trapanese” ha richiesto una notevole perizia costruttiva delle maestranze locali nell’intagliare i gradini, nel raccordare le sovrapposizioni, nella  lavorazione della pietra locale, nell’elevata resistenza del materiale.
La scala “alla trapanese” è una struttura in pietra autoportante i cui gradini sono costituiti da elementi monoblocchi.
I pezzi della scala sono stati montati, con grande abilità delle maestranze, partendo dal  gradino più basso, dal gradino d’invito, che presenta sempre lunghezza e larghezza maggiore rispetto agli altri gradini sovrastanti e inserendo ad incastro, man mano, gli altri gradini. Una volta inseriti nel muro, i gradini erano cementati con un sottile strato di  malta.
Alcuni  pianerottoli interrompono la scala.
L’intero sviluppo della scala è accompagnato dalla  ringhiera, realizzata in ferro battuto, notevole esempio di abilità artigianale locale. Costruito dal Barone Pietro Scaduto, Giurato della Città, alla fine del Settecento, diventò proprietà dei Baroni Bosco che lo acquisirono in eredità.
Nel 1816 passò alla famiglia Lipari, che ampliò il primitivo blocco unendovi altri fabbricati retrostanti.
Infatti il Barone Biagio Lipari eresse un nuovo fabbricato fra l’attuale Vicolo Cuscè e la Via Catania, proprio adiacente al Palazzo Bosco.
Successivamente il Barone Antonino, figlio di Biagio Lipari, acquistò il palazzo e l’area circostante della famiglia Bosco e, inoltre, diventò proprietario della casa beneficiale Cuscè attigua al palazzo.
Nel 1826 ampliò di nuovo il palazzo inglobandovi la casa costruita dal padre costituendo un nuovo corpo in Via Cairoli. Il palazzo fu ereditato dal nipote Giuseppe, che lo ristrutturò nel 1891 in occasione del matrimonio di sua figlia con il Barone Giaconia.
La famiglia Lipari ha lo stemma che raffigura il leone rampante ai piedi di un albero.
E’ scolpito nella chiave di volta sulla porta d’ingresso dalla Via Cairoli.

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Il palazzo, gravemente danneggiato dal terremoto del 1967, è stato salvato dalla demolizione e salvaguardato dai nuovi proprietari: dalle famiglie  Faillaci-Portera e Faillaci-Salamone.

 

 

 

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