Nov 10, 2015 - Senza categoria    Comments Off on IL GINKGO BILOBA NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

IL GINKGO BILOBA NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

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Visitando la villa comunale “G. Garibaldi”, come è mia consuetudine ogni qual volta ritorno a Mistretta, la mia attenzione è stata attratta dalla pianta di Ginkgo biloba che, questo mese di Novembre, è abbondante di foglie.

 

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Il Ginkgo biloba, il cui nome scientifico è “Salisburya adiantifolia o Pterophyllus salisburiensis”, è una gimnosperma appartenente alla famiglia delle Ginkgoaceae.

Alle gimnosperme appartengono le conifere, che non hanno nulla in comune con il Ginkgo, che non ha foglie aghiformi, non è sempre verde e produce un frutto carnoso, non uno strobilo, e i semi sono nudi e non protetti dall’ovario.

La pianta è originaria probabilmente dalla parte interna della Cina dove sono stati rinvenuti fossili che risalgono all’era mesozoica e considerata per molto tempo estinta allo stato spontaneo. Recentemente sembra che siano state scoperte almeno due stazioni relitte di piante nella provincia dello Zhejiang, in una piccola zona nei pressi di Nanchino, una città della Repubblica popolare cinese. Non tutti i botanici concordano, però, sul fatto che queste stazioni siano davvero spontanee perché la Ginkgo è stata estesamente coltivata per millenni dai monaci cinesi. Il botanico e chirurgo tedesco Engelbert Kaempfer fu il primo uomo occidentale a vedere tre secoli fa, in Giappone, questa pianta così speciale.

Il nome “Ginkgo“, attribuito a lui, pare derivi da una parola cinese che significa “piedi di papera”, con riferimento alla forma delle foglie. Linneo, per le caratteristiche della foglia, completò poi la specie con il termine “biloba”. In realtà, il nome del genere “Ginkgo” deriva dalla traduzione del giapponese “Yin”, “argento” e “ kyo ” “albicocca”, cioè “albicocca d’argento” perché i semi, a maturazione, sembrano appunto delle albicocche argentate. Il nome della specie “biloba deriva dal latino “bis”, “due” e “obus“, “lobo” per la forma bilobata della foglia divisa, appunto, in due lobi.

Ginkgo” è, però, un nome inesatto causato da un errore di stampa riportato da Linneo in “Mantissa plantarum, 1767”, al posto di “Ginkyo“, che è la pronuncia originale del nome giapponese. Il nome “Ginkgo” è ormai fissato dalle regole della nomenclatura botanica. Esso è chiamato anche “albero della vita” per la sua straordinaria resistenza a condizioni ambientali estreme ed è uno dei più longevi dal momento che può raggiungere i 1000 anni d’età.

Il Ginkgo biloba è una splendida pianta, che Darwin definì “fossile vivente“, presente nell’era in cui sulla Terra si trovavano solo felci ed equiseti. La sua comparsa risale a circa 250 milioni di anni fa, alla fine del permiano, ultimo periodo del paleozoico superiore. Durante l’era mesozoica le piante di Ginkgo formavano la vegetazione dominante ed erano discretamente evolute. In questo periodo geologico il Ginkgo biloba ebbe un momento di grande espansione diffondendosi anche in Europa e in Italia. Nel triassico avvennero grandi mutazioni ed estinzioni. A causa dei cambiamenti climatici, la pianta si è estinta ovunque circa 2.000.000 di anni fa resistendo in Cina e in altre piccole zone dell’Asia, del Giappone e della Corea. Il più grande e forse il più vecchio albero si trova in Giappone, nel giardino del tempio buddista di Zempukuji. Una targa afferma che risale al 1232 ed ha la circonferenza del tronco di 9 metri e l’altezza di 20 metri. Un esemplare di Ginkgo ancora esistente sarebbe l’unico albero sopravvissuto alle catastrofiche radiazioni nucleari prodotte dalla bomba atomica esplosa sulla città di Hiroshima. A soli 800 metri di distanza dal luogo dello scoppio, nella primavera successiva, da un albero, apparentemente carbonizzato, sono spuntati nuovi germogli. Ancora oggi quell’albero è ammirato e amato.

Il Ginkgo è stato coltivato da sempre nei giardini dei templi e dei luoghi di culto in Cina. In Giappone è venerato come “albero sacro” perché si riteneva che proteggesse dai cattivi spiriti e perché rappresentava il simbolo “della coincidenza tra gli opposti e dell’immutabilità delle cose”. Per questo motivo si ritiene che la specie sia stata preservata dall’estinzione grazie alla coltivazione praticata dai monaci cinesi per abbellire i loro luoghi religiosi.

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La prima pianta di Ginkgo biloba in Europa fu introdotta nel giardino botanico di Utrecht attorno al 1750; in Italia comparve più tardi, nel 1791, nell’orto botanico di Padova ed è tuttora vivente. Il Ginkgo biloba si trova un po’ ovunque, soprattutto nelle ville antiche e negli orti botanici. Le sue caratteristiche di resistenza allo smog hanno fatto sì che anche in Sicilia gli enti comunali ne hanno favorito l’impianto in quelle zone ove nessun altro albero potrebbe resistere all’inquinamento. Per noi occidentali è una comune pianta ornamentale, presente in molti dei nostri giardini pubblici. C’è anche nella villa comunale di Mistretta.

Il Ginkgo biloba è un alberello molto longevo e di forte vigore anche in età matura, ma è lento a crescere nei primi anni di vita. Presenta un portamentoslanciato, piramidale nelle giovani piante, conico e, in seguito, espanso, negli esemplari più vecchi e può superare i 30 metri d’altezza. Il tronco è ricoperto dalla corteccia liscia e di colore grigio argenteo nelle piante giovani, che diventa marrone scuro negli esemplari maturi e presenta delle costolature suberose evidenti. Lungo il fusto, i rami sono radi nella pianta giovane, sono più fitti nella pianta adulta. I rami principali, i macroblasti, portano numerosi rametti più corti, i brachiblasti, sui quali s’inseriscono le foglie e le strutture fertili. Le foglie, caduche, bilobate, a forma di ventaglio, percorse da un numero elevato di nervature coriacee, di colore verde chiaro, con il margine superiore intero ondulato, sono portate da un lungo picciolo e crescono alterne sui rami vecchi e a mazzetti sui nuovi germogli. In autunno assumono una bellissima colorazione gialla molto decorativa.

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 La foglia del Ginkgo è molto caratteristica: sembra divisa ma, in realtà, resta unica perché i due lobi rimangono uniti dalla parte superiore del picciolo. Grazie a questa caratteristica delle foglie, che sembra tendano a dividersi, anche se legate in maniera indissolubile, l’antica filosofia cinese attribuì loro il principio dello Yin e dello Yang, la legge secondo la quale “la realtà è regolata dagli opposti”. Quest’a immagine di divisione ed unità della foglia del Ginkgo ha ispirato a Goethe la poesia:

GINKGO BILOBA

Dieses Baums Blatt, der von Osten
Meinem Garten anvertraut,
Gibt geheimen Sinn zu kosten,
Wie’s den Wissenden erbaut.

Ist es ein lebendig Wesen,
Das sich in sich selbst getrennt?
Sind es zwei, die sich erlesen,
Dasz man sie als Eines kennt?

Solche Frage zu erwidern,
Fand ich wohl den rechten Sinn:
Fühlst du nicht an meinen Liedern
,
Dasz ich Eins und doppelt bin?


                         GINKGO BILOBA


Le foglie di quest’albero dall’Oriente

venuto a ornare il mio giardino,
celano un senso arcano
che il saggio sa capire.

C’è in esso una creatura,
che da sola si spezza,
O son due che per scelta voglion,
essere una sola?

Per chiarire il mistero,
ho trovato la chiave:
non senti nel mio canto ch’io,
pur essendo uno anche duplice sono?

Johann Wolfgang Goethe(1749-1832). 

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 Goethe ammirò la pianta di Ginkgo nel parco del castello di Heidelberg, durante un suo soggiorno, ospite di Marianne von Willemer. Le aveva portato la foglia di Ginkgo e a lei f dedicò la poesia con le due foglie di Ginkgo incrociate e incollate da lui stesso sulla carta. Era il 15 settembre del 1815. In quelle sere si discuteva sulla particolarità della forma di questa foglia e sul tema della polarità e dell’unificazione esistente in Natura, concetto cardine negli interessi naturalistici e botanici del poeta.

Il Ginkgo è una pianta dioica, cioè a sessi separati, con fiori molti primitivi, maschili e femminili, portati su piante diverse, a maturità sessuale abbastanza differita dato che solo dopo una trentina di anni la pianta matura gli apparati riproduttivi. Le infiorescenze maschili, I microsporofilli, sono formate da amenti lunghi pochi centimetri, con stami con 3 – 7 sacche polliniche. Le infiorescenze femminili, i macrosporofilli,  sono portate all’ascella delle brattee. Sono costituite da due ovuli disposti uno per lato all’apice del lungo peduncolo comune.

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 La fioritura avviene in primavera, contemporaneamente alla comparsa delle foglie e, fino a quando, di solito verso il ventesimo anno d’età, non produce fiori non è possibile distinguere la pianta maschile da quella femminile. L’impollinazione anemofila avviene in primavera. La fecondazione, ritardata di 4-6 mesi, avviene a terra all’inizio dell’autunno quando gli ovuli sono già caduti dalla pianta madre e hanno quasi raggiunto le dimensioni definitive. Le cellule maschili, ciliate e mobili, raggiungono gli ovuli attraverso una pellicola d’acqua ma, mentre un ovulo abortisce, l’altro cade non ancora maturo. Le piante femminili, a differenza della maggior parte delle Gimnosperme, non producono coni propriamente detti, ma strutture a forma di grande albicocca.

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Il seme, lungo anche 2 centimetri, è un falso frutto simile ad una drupa. E’ formato da un involucro esterno liscio e carnoso, di colore giallo-verdastro, che emana un odore sgradevole per la produzione di acido butirrico, e da uno strato interno legnoso. La parte esterna, al contatto con la pelle, provoca delle dermatiti dovute all’acido ginkgolico e ad un principio cristallino, il bilobolo. L’embrione possiede due cotiledoni e un abbondante endosperma amilaceo. Germina nella primavera successiva.

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 La moltiplicazione avviene per seme in primavera, per talea in primavera e in autunno e anche per margotta. I rami laterali di vecchi esemplari possono accrescersi verso il basso e radicare venendo a contatto con il terreno. L’embrione del seme abbrustolito è commestibile e i cinesi, che ne sono ghiotti, li hanno inseriti nella loro tradizionale arte culinaria. E’ molto amaro, ma loro amano questo sapore. I semi, in Cina chiamati “pa-kwo”, sono venduti nei mercati orientali come antielmintici. Contengono un olio dolce, dal sapore gradevole, pectine, acido citrico, glucosio. In Cina anche i frutti, ricchi di amidi, chiamati “ginan”, sono consumati, sia cotti sia crudi, soprattutto durante i matrimoni.  In Giappone i semi di Ginkgo sono aggiunti a molti piatti come contorno perché molto nutrienti.

Anche se la pianta di Ginkgo è diffusa come albero ornamentale nei giardini pubblici, nei parchi e nei viali cittadini per il suo portamento elegante e per la sua straordinaria colorazione gialla-dorata autunnale, tuttavia, a causa della notevole produzione di frutti maleodoranti degli individui femminili preferibilmente è coltivata la pianta maschio.

Il Ginkgo biloba è una specie eliofila, che predilige una posizione soleggiata e un clima fresco, ma può adattarsi a molteplici condizioni crescendo sempre in maniera rigogliosa ed equilibrata. Non ha particolari esigenze pedologiche, vegeta meglio in terreni acidi e non asfittici. Sopporta le basse temperature ed è stato dimostrato che non subisce danni anche a temperatura di 35 °C sotto lo zero. Generalmente si accontenta dell’acqua del cielo. Questo albero è un grande mistero botanico: infatti non si ammala mai. E’ immune alle malattie parassitarie pericolose, è resistente ai virus, ai funghi e soprattutto all’inquinamento atmosferico. La pianta mal sopporta la potatura: i rami che si accorciano seccano.

La pianta di Ginkgo è coltivata industrialmente in Europa, in Giappone, in Corea e negli Stati Uniti perché impiegata abbondantemente per uso terapeutico.Nell’antichità il Ginkgo è stato inserito nel primo importante erbario cinese. Generalmente, le preparazioni a base di Ginkgo biloba contengono unicamente gli estratti delle foglie, spesso purificati dagli acidi ginkgolici, agenti potenzialmente allergenici e tossici, efficaci sulla circolazione sanguigna e soprattutto sull’attività cerebrale e polmonare. Esistono numerosi documenti riguardanti l’azione degli estratti di foglie di Ginkgo tramandati da un imperatore il quale 2800 anni prima di Cristo consigliava l’utilizzo della pianta di Ginkgo biloba nel trattamento delle vertigini e delle turbe di memoria delle persone anziane. Probabilmente, dalle foglie si può trovare utilità nel rallentare il morbo d’Alzhaimer, però aumenta il rischio d’ictus. Le foglie, lavate in acqua e conservate in alcool, sono utili per produrre un medicamento efficace contro le ecchimosi e le bruciature poichè hanno funzione cicatrizzante. Dalle foglie si ricavano anche flavonoidi utili per le flebiti e le emorroidi. Gli stessi flavonoidi sono molto usati nell’industria cosmetica per ripristinare il giusto equilibrio lipidico nelle pelli secche e screpolate. Oltre a queste sostanze “buone” contenute nelle foglie e nei frutti della pianta, si trovano anche sostanze “cattive”, gli acidi ginkolici, responsabili di effetti collaterali e di reazioni allergiche, pertanto l’autoprescrizione medica è assolutamente da evitare. L’ingestione dei frutti e dei semi provoca reazioni allergiche e disturbi degli apparati: digerente, respiratorio e circolatorio. I semi, in modo particolare, possono provocare gravi intossicazioni alimentari con comparsa di convulsioni, di perdita di coscienza fino ad essere addirittura mortali. I monaci buddisti piantavano il Ginkgo biloba accanto al tè, gli antichi cinesi e giapponesi consumavano i semi tostati come rimedio alla cattiva digestione, i guaritori indiani lo associavano alla longevità usandolo come ingrediente del “soma“, “l’elisir di lunga vita”. In Cina i saggi assicurano che camminare sotto il Ginkgo allunghi la vita.Le foglie del Ginkgo, nascoste fra le pagine dei libri, pare siano utili per tenere lontani i parassiti della carta. Il legno di Ginkgo, di colore giallastro, molto fragile e di bassa qualità, è usato per la costruzione di mobili e per lavori di tornio e d’intaglio.

 

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