Mar 19, 2015 - Senza categoria    Comments Off on IL SALSO, IL FIUME CHE SFOCIA NEL MARE DI LICATA

IL SALSO, IL FIUME CHE SFOCIA NEL MARE DI LICATA

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La notizia ascoltata al TG3 delle ore 14:00 del giorno 19 Marzo 2015 ha portato la mia memoria indietro nel tempo.
Il Salso, il fiume che sfocia nel mare di Licata, esondando ha causato ingenti danni nel corso degli anni.

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Il TG3 ha riferito che una bomba d’acqua, della durata di 90 minuti, ha fatto esondare il fiume Salso che ha investito un vasto territorio della provincia di Enna nei pressi delle cittadine di Regalbuto e di Gagliano Castelferrato. La forza dell’acqua ha sommerso case rurali, ha abbattuto alberi, ha distrutto le coltivazioni, ha messo in ginocchio l’agricoltura locale, ha trasportato fango e detriti.
E’ ancora vivo in me il ricordo dell’alluvione del 1976.
Ero andata a comprare la strenna da regalare a un mio amico che convolava a giuste nozze e mi trovavo da sola in Piazza Sant’Angelo a Licata. Sentivo la gente gridare: ” A cina c’è, a cina c’è” “La piena c’è, la piena c’è”.
Non avevo capito subito il significato di quelle parole perché ancora non avevo imparato il dialetto licatese.
Vedevo la gente correre.
Correvo anch’io.
Per fortuna sono riuscita ad arrivare a casa mia in tempo, ma nel mio palazzo, in Corso Umberto 100, già l’acqua del fiume Salso lambiva le scale e aveva raggiunto la cabina dell’ascensore.
Ho visto i vigili del fuoco e i vigili urbani che, con barche e canotti, navigavano in Corso Umberto cercando di soccorrere le persone imprigionate dentro le loro automobili che chiedevano aiuto, le macchine che, sollevate dall’acqua, in Corso Serrovira acceleravano la loro corsa verso il mare. Io, che allora abitavo al 10° piano, ho ospitato a casa mia per quattro giorni una coppia di genitori con tre bambini che, fuggiti dalla loro casa del quartiere Africano, si sono rifugiati nelle scale del mio condominio.
Abbiamo condiviso quello che c’era nella mia dispensa.  La paura dell’alluvione è stata molta.

 

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Un po’ di storia:
Il Salso è un fiume molto importante e, come tutti i fiumi che si rispettano, è grondante di avvenimenti storici.
Le sue rive videro il fiorire delle civiltà del Bronzo, fu via di penetrazione per i coloni greci in cerca di nuove terre, fu il probabile confine che vide fronteggiarsi e combattere greci e cartaginesi di Sicilia.
Il maggior fiume siciliano, il Salso, detto anche Imera Meridionale, scende da Portella del Bafurco sulle Madonie, nel versante meridionale, nei pressi di Petralia Sottana, a circa 1360 metri d’altitudine e attraversa le province di Palermo, di Caltanissetta, di Enna, di Agrigento con un’estensione di ben 2.002 chilometri quadrati.
Percorre l’altopiano centrale fino a sfociare, dopo un cammino di circa 144 Km, nel mar d’Africa attraversando la città di Licata e dividendola in due parti.
Sfociando al piano, a Nord della città, si divide in due rami gettandosi in mare all’interno del centro abitato con il tratto principale e all’interno della cala di Mollarella con un ramo secondario il “Fiumicello” che agisce da canale scolmatore naturale per piene di modesta entità.
Così racconta il geografo Al Edrisi: “Ma arrivato presso Licata volge a mezzogiorno emette foce a piccola distanza da quella”.
Nell’attraversare terreni franosi e argillosi, spesso salati, raccoglie, in autunno – inverno, le acque piovane di scorrimento superficiale e trasporta a valle, con l’acqua salmastra, i materiali d’erosione del suo vasto bacino.
Il carattere torrentizio del fiume Salso e la stretta dipendenza tra gli afflussi meteorici e i deflussi sono rilevati dalle sensibili variazioni della portata idrica del fiume che, nei mesi estivi, tende a zero, perciò, nei pressi della foce, si assiste all’invasione d’acqua marina che penetra per un buon tratto nel letto fluviale.
Può raggiungere portate notevoli in caso di forti e prolungate piogge fino a riprendere anse abbandonate e a sommergere la piana e la parte bassa dell’abitato.
É il più lungo fiume della Sicilia.

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Molto prima di giungere al piano, il Salso riceve, infatti, liquami civili e industriali molto inquinanti, non certamente compatibili col suo delicato equilibrio ecologico che è completamente sconvolto nell’attraversamento dell’abitato di Licata. Mancano o non sono funzionanti i depuratori delle acque luride.
Da parecchi anni, infatti, il suo ecosistema è fortemente compromesso. D’estate, quando la portata è minima, è frequente il triste e famoso fenomeno dell’eutrofizzazione, le cui esalazioni sono ben note all’olfatto dei licatesi, che impedisce anche la vita a molti animali che là abitano.
Nel 1154 l’arabo Sherif Al Edrisi, geografo del conte Ruggero, ricorda così un pesce dalle carni grate al palato che vi si pescava abbondante “Il fiume, che mette foce presso Licata, si chiama Salso nel quale abbonda del buon pesce da mangiare, grasso e delicato al gusto”.
Era l’Alosa o Cheppia, specie che risaliva il fiume per riprodursi ed è scomparsa quando, sensibile all’inquinamento fluviale, vi installarono presso la foce un’industria chimica.
Oggi quell’industria è stata smantellata, ma le Alose non sono tornate.
L’Alosa era molto abbondante anche nelle acque del Tevere e dell’Arno da dove, decimata dall’inquinamento e dagli sbarramenti, è oggi ugualmente scomparsa.
Le acque del fiume si caricano di soluti per la presenza di cloruri e solfati quando attraversano l’altopiano interno ricco di depositi evaporatici di salgemma. La concentrazione, variabile da 1,5 a 4,5 gr/l in relazione alla stagione e alla piovosità, ostacola la sopravvivenza degli esseri viventi e rende il corso d’acqua non sfruttabile per scopi irrigui.
Solo quando piogge eccezionali lo rendono impetuoso, ritorna brevemente in vita e, dopo che l’ondata di piena avrà trascinato via i sedimenti inquinanti e soffocanti, il fiume ospiterà la fauna marina delle foci quali anguille e cefali, ma per breve tempo. Portate eccezionali del Salso-Imera hanno determinato frequenti esondazioni della piana e, qualche volta, anche dell’abitato di Licata.
L’esondazione del 1915 ha distrutto il vetusto ponte di legno all’interno della città, ha separato il centro di Licata dal quartiere Oltremonte, ha causato la morte di 109 persone che, incuranti del pericolo, si sono affacciate sul fiume per ammirare lo spettacolo, ed ha danneggiato pesantemente la flora e la fauna.
Un’altra calamità ecologica si è verificata durante l’importante ondata di piena del 1976, quella che ricordo io, quando l’acqua ha sommerso gran parte del centro abitato invadendo le case basse, i negozi e le scuole del quartiere Africano.
Automobili, macchine per cucire, frigoriferi, televisori, materassi, piatti e altri mobili e suppellettili, che la forza dell’acqua, con violenza, ha trascinato via all’esterno delle case, galleggiavano tristemente. Nel 1991 l’onda di piena si riversò sul ramo del Fiumicello distruggendo numerose villette nelle contrade di Ciavarello e di Mollarella. Per questo motivo i terreni della piana sono d’origine alluvionale nella parte più bassa, con prevalenza di argille e di sabbie. L’ultima esondazione si è temuta a Licata il 02/02/2014.

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Un proverbio licatese recita “Caliti juncu ca passa a cina”.
Ora che la qualità delle acque del fiume è migliorata per alcuni interventi, sicuramente non completamente risolutivi, esso sa dare ospitalità a molti esseri viventi, soprattutto agli uccelli migratori che sostano e nidificano presso la sua foce. Lungo gli argini del fiume, la Cannuccia di Palude, nel suo canneto molto fitto di vegetazione, ospita una fauna ornitologica stanziale e di passa molto numerosa e varia accompagnata dalla presenza di vari tipi di insetti, di zanzare, di crostacei, di rettili etc.
Durante i mesi invernali, con un po’ di fortuna, è possibile ammirare il Tuffetto, uccello timido e diffidente, che si nasconde fra le fronde della folta vegetazione.
Ho visto riposare o pescare nelle acque del fiume Salso il Cormorano, dalla nera livrea, solitario o in gruppo, durante tutti i mesi invernali.

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 Tempo fa in primavera ho ammirato l’Airone bianco, che cacciava le prede immerso nell’acqua e l’Airone cinerino, che preferisce riposarsi appoggiandosi su una zampa sola.
Nascosto nel canneto, raramente sosta il Falco di palude durante la sua migrazione in autunno.
Anche la Gallinella d’acqua preferisce nascondersi nel groviglio del canneto, ma, essendo più socievole, si lascia osservare mentre nuota, si tuffa nelle acque per alimentarsi, corre. La sua visione è più frequente perché sosta lungo la foce del fiume regolarmente per quasi tutto l’anno.
Dal mese d’agosto in poi, fino alla primavera successiva, è possibile osservare la Folaga.
Sono uccelli che vivono in gruppi più o meno numerosi e che, sorvolando il letto del fiume per rifornirsi lungo le rive, attirano l’attenzione con il loro strepitare e rumoreggiare.
Lungo gli argini impervi nidificano il Gabbiano comune e il Gabbiano reale col suo piumaggio bianco e grigio.

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 Si è perfettamente adattato all’ambiente costiero, si ammira nelle sue spettacolari evoluzioni aeree per poi poggiarsi anche a terra senza temere la presenza di estranei. Lungo l’ultimo tratto del corso del Salso, nonostante l’alto tasso d’inquinamento, durante i periodi di passa, è abbastanza facile osservare la Garzetta.
Il Ramarro, la Testuggine palustre e il Gogilo sono rettili presenti sulla foce del fiume. Nel 1976 la piena che invase le strade dell’abitato, portò con sé numerosi esemplari di Testuggine palustre. Le Testuggini, disorientate, si muovevano per le strade coperte dal fango nel tentativo di riguadagnare il loro habitat naturale. Anche i molti cani randagi amano passeggiare lungo le sponde del fiume Salso.

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Il fiume Salso è stato capace di plasmare, anno dopo anno, paesaggi di gole e di stretti dalle pareti intarsiate e variopinte, valli silenziose ove ci si aspetta di udire ancora il flauto di Pan; pigre e voluttuose sono le anse tondeggianti nel suo approssimarsi al mare.
Il fiume Salso richiede continui interventi di protezione, di manutenzione, di tutela e di difesa fluviale per la valorizzazione dello stesso paesaggio naturale.

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Chissà, forse il suo Genio, la cui rabbia improvvisa, violenta, distruttiva e catartica che i licatesi hanno ben conosciuto, li sta solo aspettando. Forse aspetta che “L’Uomo” faccia il passo finale, dell’autodistruzione, cessando così di violentare la sua natura?

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