Mar 31, 2015 - Senza categoria    Comments Off on I RITI DELLA SETTIMANA SANTA A MISTRETTA

I RITI DELLA SETTIMANA SANTA A MISTRETTA

  I SEPOLCRI

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Gli altari della reposizione, conosciuti come i sepolcri, “i sabburchi, i lauredda”, nella tradizione cattolica del rito della settimana santa a Mistretta, sono gli altari addobbati nelle parrocchie il giovedì che precede la Pasqua. Si chiamano sepolcri perché caratterizzano i sepolcri in cui è custodito il SS.mo Sacramento per la comunione dopo la Messa del giovedì e per l’azione liturgica del venerdì santo.
In essi è offerto a Cristo, che dovrà risorgere, il frumento.
 I “sabburchi” si preparano facendo germogliare in una ciotola le cariossidi di frumento sparse in una coltura idroponica e nascosta in un luogo buio e umido. Ricordo che mia madre, devotissima, preparava diversi sepolcri facendoli germogliare sotto il forno a legna in cucina.
Il germoglio di frumento, non potendo compiere la fotosintesi clorofilliana, assume la colorazione bionda, anziché verde, e cresce in lunghezza. Quindi i germogli, fitti, uniformi, sono legati da un nastro rosso e adornati con fiori di camelie e di rose.

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 Gli altari della reposizione sono la continuazione, sotto un altro nome, del culto dei giardini di Adone, la giovane divinità che,  nell’antica Grecia, incarnava la morte e la resurrezione. Come le piante, egli moriva d’inverno e rinasceva in primavera a significare il ritorno della stagione agricola.
Adone era il bellissimo giovane nato dall’amore di Ciniro e di Mirra e ardentemente amato da Astarte. Secondo il mito fenicio, poiché Adone era stato ucciso da un cinghiale durante una battuta di caccia, Astarte piangeva sconsolatamente la perdita dell’amato. Ogni anno le donne di Byblos esponevano il simulacro del corpo del dio sopra un letto di fiori detto “il giardino di Adone”, vi si disponevano intorno e auspicavano la sua resurrezione. In ogni giardino di Adone c’è la fede e la pietà cristiana.
La liturgia cristiana impone ai fedeli la visita ai sepolcri la sera del giovedì e la mattina del venerdì santo. Durante il pellegrinaggio bisogna mantenere un comportamento afflitto, recitare i misteri dolorosi del Santo Rosario, sostare in preghiera davanti al sepolcro.

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I MISTERI DEL VENERDI’  SANTO

La fede cristiana esprime la propria religiosità materializzandola nei richiami concreti delle raffigurazioni di statue e di immagini di Cristi, di Madonne, di Santi. Il Venerdì Santo è un evento penitenziale e devozionale molto sentito dal popolo amastratino che partecipa con fede e commozione al cammino processionale dei Misteri durante il quale le Vare simulano i momenti della Passione e della Morte di Cristo secondo la successione descritta nei vangeli. A Mistretta le dieci “vare”, trasportate in processione secondo l’ordine dell’evento, sono: Gesù nell’orto degli Ulivi, proveniente dalla chiesa di San Sebastiano,

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il gruppo di Giuda, proveniente dalla chiesa di San Nicola di Bari e recentemente restaurato dal pittore amastratino Sebastiano Caracozzo,

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Il  Cristo alla colonna, proveniente dalla chiesa di San Giovanni Battista,

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 l’Ecce Homo, proveniente dalla chiesa di Santa Caterina,

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Il Cristo sotto la Croce, proveniente dalla chiesa di San Giovanni,

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Gesù Crocefisso con Maria e Maddalena, proveniente dalla chiesa di Monte Carmelo,

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 Gesù in Croce, proveniente dalla chiesa delle Anime Purganti,

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la Pietà, proveniente dal santuario della Madonna della Luce,

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 il Cataletto, proveniente dalla chiesa della SS.Trinità,

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 l’Addolorata, proveniente dalla chiesa del Rosario.

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 Ogni vara rappresenta un momento della Via Crucis.

 

IL CAMMINO PROCESSIONALE

Il Venerdì Santo il cammino processionale inizia dall’ampia piazza dei Vespri, davanti alla chiesa di San Giovanni Battista, dove si radunano tutti i simulacri che poi snodano lungo i corsi principali della città di Mistretta.

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Il venerdì, in genere per tutto l’anno, è il giorno della crocifissione e della morte di Cristo Gesù, è tempo di dolore, di pianto.
A tal proposito un proverbio mistrettese così recita: ” Cu ri venniri rriri ri sabbitu chjanci”, “Chi di venerdì ride di sabato piange”.
Io ricordo che ogni vara era seguita dai cantori che intonavano il canto delle parti del Venerdì Santo, vere e proprie storie in versi poetici, chiamate “ i parti ra Santa Cruci, o i parti ru venniressantu”.
Sebastiano Lo Iacono nel suo libro “Ideologia e realtà nella letteratura popolare di Mistretta scrive: ”I cantori che con voce e gestualità rianimano la rappresentazione di una drammatizzazione immobile e muta, diventano attori-protagonisti. Essi, in fase di doppiaggio, inseriscono un audio. La scelta dei cantori dietro una certa vara è determinata anche da particolari motivazioni devozionali. Oggigiorno sopravvive solo un gruppo di cantori dietro la vara della Madonna Addolorata. Questa tradizione tende a scomparire sia perché i cantori-contadini sono ormai defunti, sia perché il senso del cantare come preghiera è venuto meno”.
Pregare cantando dietro le vare è, come dice Sant’Agostino, “pregare due volte”.
Io ricordo mio padre Giovanni e i confrati della confraternita di San Nicolò, con la testa cinta dalla corona di spine, realizzata con l’intreccio dei rami probabilmente della pianta di Gleditsia triacanthos, cantavano dietro la vara di Giuda”:

E ntussicata Maria – povira ronna!-

circannu a lu so figghiu a-ccorchi bbanna.

 

Nun lu circari, no, ch’è a la culonna

bbattutu cu na ranni  virdi canna!

Maria passa ri na strata nova

e a porta ru  furgiaru aperta era:

 

<<Oh, caru mastru, chi fai apiertu a st’ura?>>

<<Fazzu  na lancia e ttri ppuncenti chjova!>>

<<Oh caru mastru, tu pi-ccu l’a-ffari?>>.

<<L’a-ffari pi lu figghju ri Maria!>>

 

<<Oh caru mastru, nun li fari ora:

ri nuovu ti la paju la mastria!>>.

<<Oh, cara ronna, si-fforra pi-mmia,

cchju-lluonghi e-senza punta li farria!>>.

 

<<Oh, caru mastru tuttu mmalirittu

ca r’unni passi tu n-truovi rrisiettu!>>.

Maria passa ri na strata nova,

e a porta  fallignami aperta era.

 

<<Oh,  caru mastru, chi-ffai apiertu a st’ura?>>.

<<Fazzu na cruci e na curune e spini!>>.

<<Facitili cchju-llieggi chi-putiti

pirchì sunu carnuzzi ddilicati!>>

 

<<Oh, cara ronna, si-fforra pi-mmia,

tutti ri rossi e-sciuri li farria!>>.

<<Oh, caru mastru, tuttu bbinirittu

ca r’unni vai tu truovi rrisiettu!>>.

 

<<Sienti, sienti, Maria: to figghju passa

e-pporta na catina longa e ggrossa;

ri quant’è-llonga tuttu lu scuncassa,

ca purpi n-avi cchjui supra ri l’ossa!>>.

 

<<Chiamatimi a Ggiuanni ca lu uogghju.

 quantu m’ajuta a-cchianciri a-mme figghju!

La lampa ora muriu;canciati l’uogghju:

ora ca viu ch’è-mmuortu me figghju!

 

Ora ca viu ch’è-mmuortu me figghju,

ri niviru mi miettu lu cummuogghju!

Manciati carni o sabbitu, ca uogghiu:

 

vardatici  lu venniri a-mme figghju:

a-cu n-ci varda u venniri a-mme figghju

li carni si cci abbbrucinu cuom’ uogghju!>>.      

 

Oh, Santa Croce, voi vengo a trovare;

piena di sangue vi trovo allagata!

Chi fu quell’uomo che venne a morire?

Fu Gesù Cristo ch’ebbe un colpo di lancia!

Acqua domanda, non potè averne:

gli diedero la spugna intossicata!

E intossicata (è) Maria-povera donna!-

cercando suo figlio da qualche parte.

Non cercarlo, no, ch’è alla colonna,

percosso con una grande canna verde!

Maria passa da una strada nuova

e la porta del fabbro era aperta:

<<Oh, caro mastro, che fai aperto a quest’ora?>>

<<Faccio una lancia e tre pungenti chiodi!>>

<<Oh, caro mastro, per chi devi farli?>>

<<Devo farli per il figlio di Maria!>>

<<Oh, caro mastro, non li fare ora:

nuovamente te lo pago il tuo lavoro!>>

<<Oh, cara donna, se fosse per me,

più lunghi e senza punta li farei !>>

<<Oh, caro mastro tutto maledetto,

che dove passi tu non trovi pace!>>

Maria passa da una strada nuova

e la porta del falegname aperta era.

<<Oh, caro mastro, che fai aperto a quest’ora?>>

<<Faccio una croce e una corona di spine!>>

<< Fateli più leggeri che potete

perché sono carni delicate!>>

<<Oh, cara donna, se fosse per me,

tutte di rose e fiori le farei !>>

<<Oh, caro mastro tutto benedetto,

che dove vai tu trovi pace!>>

<< Senti, senti, Maria: tuo figlio passa

e porta una catena lunga e grossa;

di quant’è lunga tutto lo sconquassa,

tanto che non ha più carne sopra le ossa!>>

 << Chiamatimi Giovanni che lo voglio,

perché mi aiuti a piangere mio figlio!

La lampada s’è spenta; cambiate l’olio:

ora che vedo ch’è morto mio figlio!

Ora che vedo ch’è morto mio figlio,

di nero me lo metto il manto!

Mangiate carne il sabato, lo permetto:

ma rispettate il venerdì per mio figlio:

A chi non rispetta il venerdì a mio figlio

le carni gli si brucino come olio!>>

 L’ascolto di questo canto suscitava tanta commozione!

Anche se i vecchi cantori, come mio padre, non ci sono più, la tradizione continua.
Il signor Indovino Orazio, (per gli amici Bettino), e il signor La Ganga Filippo, (per molti anni superiore della vara di San Sebastiano), sono coloro che hanno trasmesso ai confrati della Confraternita di San Sebastiano l’importanza dei canti tradizionali del Venerdì Santo, canti che orgogliosamente da 15 anni ripetono con cadenza annuale.
Già dal 2003 è stata riportata in auge la Confraternita di San Sebastiano e i confrati cantano “i parti ra Cruci” sia in chiesa, prima della processione, sia durante il cammino processionale. Queste tradizioni non si devono perdere!
La quasi totalità dei confrati conosce a memoria le strofe. I nuovi confrati, ammessi da poco tempo, si aiutano leggendo il foglietto con le strofe che discretamente nascondono nella manica della tunica.
Le vare sono accompagnate da “i truocculi”, particolari strumenti musicali che, facendoli girare a mano, producono un suono sgradevole, ma efficace.

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Almeno questa tradizione ancora si conserva!

 

LA CADUTA DEL TELONE

La chiesa Madre di Mistretta custodisce una preziosa opera d’arte: il telone quaresimale. E’ una tela artistica, di circa 80 metri quadrati di superficie,  ottenuta cucendo insieme parallelamente 14 rettangoli di lino e realizzata dal pittore Matteo Mauro di Trapani nel 1823 su commissione del sacerdote don Paolo Di Salvo. E’ unica ed eccezionale e rappresenta il mistero, la rivelazione della santità di Cristo. Il telone è l’ombra che  cade per rivelare la Redenzione.  La scena della tela rappresenta il primo processo di Gesù. L’evangelista Matteo  racconta che Gesù, dopo essere stato  arrestato, è stato portato davanti ai sacerdoti Caifa e Anna.  Erano presenti anche gli scribi e un folto pubblico.  I sacerdoti chiedono  ai presenti testimonianze contro Gesù, ma nessuno risponde.
Ad un certo momento si presentano due persone che dissero che Gesù si era vantato di ricostruire in tre giorni il tempio che era  stato distrutto.  L’evangelista Giovanni (2, 18-22) così scrive: ” Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: << Quale segno ci mostri per fare queste cose?>>.  Rispose loro Gesù: <<Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere>>. Gli dissero allora i Giudei:  < < Questo tempio è stato costruito in quarantesei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?>>. Ma Egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi Gesù fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo e credettero alla Scrittura e alla Sua parola.
Questa frase fa adirare Caifa che è raffigurato nella tela con l’aspetto di persona molto arrabbiata. Anna, invece, punta il dito contro Gesù e un sodato alza la mano come per dare lo schiaffo a Gesù.
Matteo racconta che Gesù è condotto nel palazzo-fortezza.  Gesù sarà bastonato  e poi  crocifisso.
Nel primo piano della tela è raffigurata l’autorità religiosa mentre  in alto è raffigurata l’autorità politica con la scritta “ Senato e Popolo romano”.
In  Gesù c’è la luce mentre  gli scribi e i sacerdoti sono quasi in penombra. Quindi Gesù rappresenta la luce, mentre chi accusa rappresenta l’ombra. In primo piano c’è la colonna. Il telone narra una storia che è venuta prima, una storia reale nel presente, una storia di quello che avverrà dopo.
Il telone quaresimale è stato sottoposto a restauro per tre volte. Alla base della colonna ci sono le date degli avvenuti restauri e i nomi dei committenti. Il primo restauro è avvenuto  nel 1893 con l’arcipretura di don Francesco Portera, il secondo restauro nel mese di luglio del 1961 con l’arcipretura di don Arturo Franchina,  il terzo restauro,  nel 2009, effettuato dalla ditta Rimedi SAS di Bolzano, con l’arcipretura di Mons. Michele Placido Giordano. La cornice del telone richiama foglie di cardo, di alloro e di quercia.
La notte del Sabato Santo si verifica uno spettacolare evento: “a caruta r’u tiluni”.
Questo maestoso telo quaresimale è fatto cadere dal tetto durante la veglia di Pasqua dopo le letture e dopo il GLORIA intonato da mons. Michele Placido Giordano.  Il telone quaresimale era stato issato con le corde nel tetto della chiesa davanti all’altare maggiore del presbiterio con la base arrotolata il mercoledì delle ceneri per coprire tutta la navata centrale. Il venerdì santo il telone è completamente srotolato e nella parte inferiore si possono osservare i simboli della Passione di Gesù: la scala, la corona di spine,  i chiodi della crocifissione, le catene, i dadi, la coppa, il bastone con spugna, il martello, la  croce, le tenaglie, la lancia,  il tamburo. I simboli della Passione sono rappresentati nella collana portata addosso da mons. Michele Placido Giordano.
Questo fenomeno della “A caruta r’u tiluni” genera nei fedeli che partecipano alla funzione religiosa una grande gioia. E’ un modo scenografico per rappresentare il passaggio dal buio della morte alla luce della vita.
Cominciano a suonare le campane,  si accendono tutte le luci,  nell’altare appare Cristo con la bandiera del trionfo.
E’ finito il tempo della passione e del dolore, inizia il tempo della gioia.

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Ringrazio la signora Marisa Cittadino per aver realizzato il film che ci dato  la possibilità di essere presenti all’evento

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Il suono delle campane  annunzia al mondo Cristo, il risorto!
Questa è la buona novella che la Chiesa ci dà. Auguri, Buona Pasqua!

 

 

 

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