Jul 24, 2017 - Senza categoria    Comments Off on LA BROUSSONETIA PAPYRIFERA NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

LA BROUSSONETIA PAPYRIFERA NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

 

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Subito dopo aver superato il cancello principale della villa comunale “Giuseppe Garibaldi” a Mistretta, percorrendo il viale di destra, dopo pochi passi, sul lato sinistro, di fronte al Viburnum tinus, s’incontra la pianta di Broussonetia papyrifera, più comunemente chiamata “Gelso da carta, Moro cinese”.

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Arbusto appartenente alla famiglia delle Moraceae e originario dell’Asia orientale, soprattutto del  Giappone e della Cina, è stato importato in Europa nella metà dei secolo XVIII come pianta ornamentale dove si è naturalizzato.
Si trova facilmente ovunque: lungo i bordi delle strade, sui binari ferroviari, nei terreni incolti, lungo le spiagge.

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In Italia la pianta è stata introdotta nel 1760 come essenza botanica rara e coltivata in alcuni giardini solo come elemento decorativo ed è presente in tutta la penisola e nelle grandi isole.
Data la sua rapida velocità di crescita, se il suo sviluppo non viene controllato, si trasforma in una pianta altamente infestante.
Il nome del genere “Broussonetia” è un omaggio al francese Pierre Marie Auguste Broussonet (1761-1807), medico, naturalista e professore di Botanica all’Università di Montpellier, che fu il primo studioso ad introdurre in Francia gli alberi femminili del Gelso di carta.
Il nome di “Gelso da carta” ricorda l’utilizzo della sua corteccia per la produzione della carta in Asia orientale sin dai tempi remoti, da cui anche nome della specie “papyrifera”, perchè utile alla produzione della carta come il Papiro.  La pianta presenta un portamento che può essere sia arboreo, con chioma larga ed espansa, sia cespuglioso, con chioma più bassa e ramificata.

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La pianta presente nel giardino di Mistretta cresce sia in altezza che in larghezza dando origine ad un arbusto arrotondato.
Il tronco ha uno sviluppo eretto e snello alto circa due metri.

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Nella sua terra d’origine può raggiungere anche i 15 metri di altezza.
Il tronco è rivestito dalla corteccia grigio-giallastra chiara, liscia e punteggiata di bianco sui rami della pianta giovane poi, screpolata superficialmente, lascia  intravedere il sughero sottostante di colore bruno-violaceo. I rami giovani sono pelosi ed ispidi.
La maggior parte delle foglie ha una forma ovale, ma questa pianta ha una particolarità: a seconda dell’età e delle condizioni di crescita, le foglie sono dimorfe e possono diventare lobate, palmate o cuoriformi.
Quelle poste alla base dei rami sono intere,

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 quelle distali, alle estremità dei rami, presentano da 3 a 5 lobi profondi separati da una insenatura.

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Le foglie, picciolate, semplici, alterne, a lamina col margine dentellato nelle foglie superiori delle piante adulte e negli individui giovani anche in quelle basali, sono ruvide, coriacee e con una sottile peluria. Sono di colore verde intenso nella pagina superiore, grigiastre e tomentose nella pagina inferiore e presentano tre nervature principali.
L’insieme delle foglie forma la chioma ampia, allargata, abbastanza irregolare e non troppo densa che, in estate, assume una colorazione verde viola.

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 Le foglie in inverno non rimangono sulla pianta e assumono un colore dorato.

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La Broussonetia papyrifera è una pianta dioica, quindi i fiori apetali sono portati da individui diversi.
Gli arbusti maschili producono piccoli fiori verdi-giallognoli raggruppati in allungati amenti cilindrici;

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 gli arbusti femminili formano piccoli capolini sferici e compatti di fiorellini di colore bianco crema ridotti al solo pistillo.
La fioritura avviene da maggio a giugno. L’impollinazione è favorita dal vento.
Il frutto, un legume grande, lungo 20-40 cm e largo circa 2,5, cm spesso contorto, falcato e compresso, coriaceo, di colore arancio-rossastro a maturità, commestibile e dal sapore dolciastro, cadono interi in inverno. Non ha impieghi particolari. I numerosi semi sono ovali, appiattiti e avvolti in un mesocarpo polposo.

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La moltiplicazione avviene per seme in autunno, oppure per talea semilegnosa in estate. Si moltiplica normalmente anche tramite il trapianto di polloni basali che è possibile asportare. Facendoli prima radicare in un contenitore, si porranno a dimora la primavera successiva.
Piuttosto rustica, la pianta ha una grande importanza dal punto di vista ecologico poiché, facendosi coltivare con gran facilità e producendo numerosi polloni, si presta per colonizzare i terreni sterili e per stabilizzare quelli mobili e franosi.
Indifferente al substrato, preferisce un terreno di tipo calcareo, sciolto, umoso e con un ottimo drenaggio. Predilige posizioni soleggiate, ma si sviluppa anche in posti scarsamente luminosi.
Non teme il freddo e sopporta gelate anche intense e prolungate. Tollera la siccità, ma è bene ugualmente irrigare il terreno quanto basta.
In genere, non si utilizzano concimazioni, anche se è consigliabile interrare del fertilizzante ai piedi del fusto in primavera.
Prima dell’arrivo dei mesi freddi, si consiglia un trattamento antifungino ad ampio spettro; le piante, che sono state colpite da patologie fungine, vanno curate in maniera particolare raccogliendo e bruciando tutte le foglie affette dalla malattia.
La Broussonetia papyrifera teme particolarmente l’attacco di lepidotteri defogliatori, come il Bruco americano.
La pianta possiede diverse proprietà medicinali: è galattogoga, diaforetica, emostatica, astringente, oftalmica, stimolante, stomachica, diuretica, lassativa, tonica.
In Cina è utilizzata in sostituzione del Gelso per l’allevamento dei bachi da seta.
Dalla corteccia della pianta si ricavano fibre molto lunghe usate in Polinesia per produrre filati e tessuti. Nei territori d’origine la corteccia macerata era un tempo utilizzata per produrre la carta pregiata, dall’aspetto fine e setaceo, conosciuta col nome di “carta cinese o carta di seta”.
La produzione della carta risale al II secolo d.C.
Il ministro cinese Ts’ai Lun si recava ogni giorno presso uno stagno adibito a lavatoio e lì osservava le donne che lavavano i panni.
Un giorno si accorse che le fibre, staccate dai panni logori per lo strofinio e per la sbattitura esercitati dalle lavandaie, si accumulavano in un’ansa dello stagno e si riunivano come un feltro sottilissimo.
Ts’ai Lun raccolse con delicatezza il batuffolo, lo pose ad essiccare e lo distese.
Nacque, così, un foglio di una certa consistenza, di colore biancastro ed idoneo per la scrittura.
Il ministro ordinò di sostituire, nella fabbricazione dei feltri, le fibre animali con quelle vegetali.
Il primo materiale adottato da Ts’ai Lun fu la corteccia della Broussonetia papyrifera.
La parte fibrosa della corteccia era messa a macerare in acqua, risciacquata e, successivamente, battuta in mortai di pietra fino ad ottenere una pasta uniforme di fibre cellulosiche.
La pasta, diluita con abbondante acqua, era versata sopra la “forma“, un reticolo formato da sottilissimi bastoncini di Bambù. L’acqua passava attraverso le maglie del graticcio e le fibre, stringendosi tra loro, restavano in superficie formando un foglio di piccolo spessore che, staccato dalla forma, era posto ad essiccare all’aria. L’impiego della carta come elemento per la scrittura è da ricollegare alla percentuale di diffusione della cultura che, anticamente, era privilegio solo di pochi.
La richiesta della carta per scrivere è stata inizialmente piuttosto ridotta. La carta, infatti, ancor prima di essere usata come supporto per la scrittura, in Cina era stata impiegata per realizzare capi di vestiario. Le prime citazioni relative a quest’uso risalgono al primo secolo a.C. Intorno alla metà del III secolo d.C. i preti taoisti, i poeti e gli scolari indossavano cappelli di carta. Con la carta si costruivano aquiloni, lanterne e ventagli.
I ventagli di carta esistevano già fin dal IV secolo quando gli imperatori della dinastia Chin vietarono, per questioni economiche, l’uso della seta per la loro preparazione.
Al IX secolo risale, probabilmente, l’uso della carta moneta: si ritiene, infatti, che in quel periodo, essendo aumentate le transazioni commerciali, si sia resa necessaria una moneta più leggera di quella metallica, pesante e poco trasportabile.
La diffusione della carta nel mondo si deve attribuire ai musulmani che, nel 751, conquistarono Samarcanda prendendo come prigionieri alcuni cinesi che rivelarono ai conquistatori il segreto della fabbricazione della carta.
Proprio Samarcanda, città dell’Uzbekistan, in Asia centrale, divenne il primo grande centro musulmano di produzione della carta realizzata con un misto di lino e di canapa.
Per almeno cinque secoli la diffusione della carta nel mondo occidentale segue di pari passo le conquiste dell’esercito del Profeta.
La carta raggiunse l’Egitto alla fine dell’VIII secolo. Tra il X e il XII secolo si diffuse in Africa Settentrionale. Nella valle del Nilo si passò dall’antica utilizzazione del Papiro, l’ultimo Papiro egiziano noto risale al 935, alla produzione di una carta simile a quella di Samarcanda, ma molto più fine con la quale sono state realizzate lussuose edizioni del Corano.
Nel X secolo la Sicilia divenne un importante centro di commercio della carta.
Nel 1072 Ruggero di Normandia conquistò l’isola e la carta divenne il materiale ufficiale dei documenti dello stato normanno.
Nel XIII secolo, grazie a Federico II, Palermo divenne uno dei centri più rilevanti in Europa per la produzione della carta.

 

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