Oct 27, 2013 - Senza categoria    Comments Off on CUPRESSUS SEMPERVIRENS, CUPRESSUS MACROCARPA MONTEREY E CUPRESSUS TURCO GLI ALBERI A GUARDIA DEI DEFUNTI

CUPRESSUS SEMPERVIRENS, CUPRESSUS MACROCARPA MONTEREY E CUPRESSUS TURCO GLI ALBERI A GUARDIA DEI DEFUNTI

 

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   Il Cipresso è un elemento presente nelle civiltà di tutti i paesi mediterranei. Fin dai tempi remoti è stato scelto come simbolo di ciò che fa meditare l’umanità: “il dolore”. Dei suoi alberi si ornano i cimiteri e i luoghi funerari. I romani lo chiamavano “arbor funeralis”. Gli etruschi e gli antichi fiesolani adornavano di rami di Cipresso le loro lampade mortuarie. Il sepolcro del grande Augusto, posto nel Campo di Marte, fu circondato dai Cipressi. Nella mitologia greca erano intagliati nel legno di Cipresso le frecce di Eros, lo scettro di Zeus, il bastone di Eracle. Fu collegato al culto di Ade, signore degli Inferi, e ancora, ai nostri giorni, si trova presso tutti i cimiteri. E’ la pianta “del silenzio, del raccoglimento, della tensione spirituale”. Il Cipresso non è l’albero che rattrista, anzi è l’albero che conforta. Albero sacro presso diversi popoli, il Cipresso fu detto anche “Albero della vita” per la sua longevità e per il persistere del suo fogliame. Il legno, resistente ed inattaccabile dalle tarme, era considerato incorruttibile. I vecchi medici consigliavano alle persone ammalate nell’anima e nel corpo di passeggiare vicino ai Cipressi, di abbracciare il tronco, di accarezzare la chioma per ricevere la forza spirituale, per liberarsi dalle proprie angosce, per sopportare meglio le sofferenze e le difficoltà della vita. I persiani, per la forma della sua chioma ascensionale, che si estende tra cielo e terra e che ricorda la fiamma, vi coglievano il simbolo del “fuoco”. Per il filosofo cristiano Origene d’Alessandria il Cipresso era il simbolo delle “virtù spirituali”. In Cina si credeva che i semi di Cipresso, ricchi di sostanze yang, assicurassero la longevità. Nelle logge delle società segrete cinesi il Cipresso era associato al Pino come simbolo “dell’immortalità”. In Giappone uno dei legni più usati nei riti schintoisti appartiene ad una varietà di Cipresso.
Il Cipresso fu utilizzato da Noè per costruire l’arca come è scritto in intervento di Dio per salvare l’uomo, Genesi (6.13): “Allora Dio disse a Noè: <E’ venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco, io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un’arca di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e le spalmerai di bitume dentro e fuori. Ecco come devi farla: l’arca avrà trecento cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza, e trenta di altezza. Farai nell’arca un tetto e a un cubito più sopra la terminerai; da un lato metterai la porta dell’arca. La farai a piani: inferiore, medio e superiore>”

Questo triste albero funebre, simbolo “di lutto e di dolore perenne”, prima di diventare un membro della famiglia vegetale, era un leggiadro principe giovinetto, come racconta Ovidio ne “Le Metaformosi”: “Sacro alle ninfe che abitano i campi di Cartea, vi era un gigantesco cervo; con le corna ampiamente ramificate, esso da sé porgeva folta ombra alla sua testa. D’oro splendevano le corna e al ben tornito collo stavano appesi, scendendo sulle spalle, monili ornati di gemme. Gli balzava sulla fronte, legata da catenelle, una borchia d’argento, dal tempo della nascita; da ambe le orecchie, intorno alle tempie incavate, fulgevano perle. Senza paura esso era solito visitare volentieri le case e porgere per le carezze il collo a mani sconosciute.
Ma più che ad altri, esso era caro a te, o Ciparisso, bellissimo tra gli abitanti di Ceo. Tu conducevi il cervo a pascoli intatti, allo specchio di fonti limpide; tu, a volte, fra le sue corna intrecciavi fiori infiniti; a volte, standogli sul dorso a guisa di cavaliere, lieto vagavi per ogni dove, frenando la sua arrendevole bocca con guinzagli di porpora.”

Un giorno Ciparisso si fermò in un erboso prato e il cervo si adagiò al fresco sotto gli alberi. Proprio lì la fatalità volle che Ciparisso si allenasse nel lancio dell’arco e, non vedendo il cervo assopito, lo colpì involontariamente, “puer imprudens”, “fanciullo incauto”, scambiandolo per un cervo qualunque. Un grido altissimo parve fendere il cuore del giovane. Il cervo trafitto gli passò davanti lasciando dietro di sé un ruscello di sangue. Ciparisso gli corse dietro raggiungendolo vicino ad un corso d’acqua. Il cervo lo fissò con i suoi grandi occhi dorati poi, ansimando, si distese sull’erba, rovesciò la testa dalle corna d’oro e spirò. La disperazione di Ciparisso fu atroce. Chiuso in un impenetrabile silenzio, il fanciullo si mise a piangere sconsolatamente. Apollo, commosso, scese dall’Olimpo per consolarlo perché il giovane, per la colpa di avere ucciso il suo amato cervo, si stava lasciando morire. “Che cosa vuoi per mitigare il tuo dolore”?  Gli chiese Apollo. Rispose Ciparisso: “Fa’ che io sia immortale per poter piangere sempre e poter essere in lutto in eterno”. Apollo decretò: “ Dagli Dei sarai pianto tu e tu piangerai gli altri, sempre vicino a chi soffre”. Le membra del giovane morente cominciarono subito a tingersi di verde, i capelli, che prima scendevano dalla sua candida fronte, si mutarono in una chioma ispida, affusolata, svettante verso il cielo gremito di stelle, le lacrime si rappresero in piccole foglie verdi, i piedi si affondarono nel terreno. Nel luogo dove il bel Ciparisso piangeva si elevò un elegante albero che prese il nome di “Cipresso”.

Ancora Ovidio, ne “Le Metamorfosi, X, 78-147”, in una tenera storia, spiega poeticamente i miti di uno degli alberi più amati d’Italia e più caratteristici del suo cuore sulmonese. Orfeo ancora piangeva la perdita della sua Euridice abbandonata nell’Ade. Erano passati tanti anni da quel tragico evento eppure lui, da allora, non aveva amato più nessuna altra donna. Malinconico, vagava accompagnato dalla divina musica della sua lira. Un giorno, sedutosi su uno spiazzo in cima ad una collina, non riceveva ombra da nessun albero ma, appena toccò le corde del suo strumento, un intero bosco di Querce, di Platani, di Faggi, di Olmi, di Cedri gli si avvicinò prodigiosamente. Fra tutti gli alberi spiccava, però, il Cipresso che sembrava piangere, assieme ad Orfeo nel tentativo di consolarlo, l’amore perduto.

Ugo Foscolo, nel verso de “I Sepolcri” “All’ombra dei cipressi e dentro l’urne confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro”?, canta il dolore provocato dalla morte delle persone care. Non vive l’Uomo forse idealmente sottoterra, quando non esisterà più per lui la bellezza armoniosa dell’universo, se può risvegliare nei suoi cari, mediante il culto della tomba, l’illusione che egli vive ancora? Una lapide ricorda il nome e un albero di Cipresso consola le ceneri con le sue confortevoli e profumate ombre.

https://youtu.be/_5-1NFmciY0

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Nella villa comunale di Mistretta vivono: ll Cupressus sempervirens, il Cupressus macrocarpa di Monterey, il Cupressus turco.

                                              cupressus sempervirens

ll Cupressus sempervirens, chiamato anche con i sinonimi “Cipresso comune, Cipresso italiano, Cipresso piramidale, Cipresso mediterraneo, Cipresso maschio”, è originario delle regioni più orientali del bacino del Mediterraneo, dell’Iran settentrionale, della Siria, della Turchia, di Cipro e di diverse isole greche. Il termine “Cupressus” deriva dal greco “κυπάρισσος”, da “κύος”, “generato” e “παρισόω”, “pareggiare, uguagliare”, alludendo all’accrescimento simmetrico della pianta. Il termine latino “sempervirens” significa “sempreverde” e allude al fogliame persistente. Fu introdotto negli altri paesi del bacino del Mediterraneo probabilmente prima o durante l’epoca romana diffondendosi e adattandosi ottimamente alle diverse condizioni ambientali tanto da essere considerato una specie naturalizzata. In Italia, dove  secondo alcuni studiosi è stato importato dagli Etruschi e, secondo altri, dai Fenici, non sono presenti boschi naturali di Cipresso. Cipressete di piccola estensione si trovano sulle colline costiere tirreniche dalla Liguria, alla Calabria alla Sicilia; quelle più ampie e produttive sono localizzate in Toscana, a Siena e a Pisa. In Italia settentrionale il Cipresso si trova sulle rive dei laghi dove le condizioni climatiche favoriscono la sua crescita.

Il Viale dei Cipressi è una famosa strada storica lunga quasi 4 chilometri, tra Bolgheri e l’Oratorio di San Guido nella Maremma, affiancata, su entrambi i lati, da una lunga fila di Cipressi. Il poeta Goisuè Carducci ha dedicato a questo viale l’opera “Davanti San Guido”.

Fra gli alberi che adornano il giardino “Garibaldi” di Mistretta il Cipresso sempervirens è certamente uno dei più belli. Il Cipresso, pur vivendo in mezzo ad altre piante, è una pianta solitaria. Anche la Rosa rampicante, che ama abbracciarsi a qualche fusto, non osa tendere i suoi tralci verso il severo tronco del Cipresso. Gli cresce ai piedi, lo guarda un po’ timida e un po’ innamorata della sua meditativa severità e pare voglia ingentilirlo con il profumo dei suoi fiori. Le Zinnie sembra vogliano rallegrarlo con il gioioso sfolgorio dei loro colori. Alto, snello, compatto nel verde cupo della sua chioma, levigato e spoglio nel suo tronco, è un albero che, appunto perché perennemente verde e uniforme, sembra sempre giovane.

Il Cupressus sempervirens, appartenente alla Famiglia delle Cupressaceae, è un albero sempreverde, longevo, può vivere anche 1000 anni. Presenta un portamento eretto, piramidale, il cui tronco, rivestito da una corteccia bruno-grigiastra fessurata, può raggiungere, a maturità, i 20-30 metri d’altezza. In contrapposizione, la varietà “horizontalis” è detta “Cipresso femmina”. Le radici scendono a fuso nelle profondità della terra in maniera piuttosto superficiale e si sviluppano orizzontalmente. Per questo motivo il Cipresso è l’albero dei cimiteri: perchè non crea disturbi alle bare. I rami sono eretti, quadrangolari, appressati al tronco. Le foglie, piccole, allungate, squamiformi, fortemente embricate, formano la chioma compatta, di colore verde brillante, affusolata e appuntita. Le foglie, se strofinate, diffondono un odore caratteristico perché sono provviste di ghiandole resinifere. Le infiorescenze sono dei coni sub-globosi: le maschili, di 4-8 millimetri, sono disposte in strobili giallastri all’apice dei rametti, quelle femminili sono costituite da 8-14 squame peltate, a margine poliedrico. Fioriscono all’inizio della primavera, da marzo a maggio. I frutti, bruno-giallastri, sono formati da 8-14 squame con punta o con leggero rilievo centrale. Sono tondeggianti, costituiti da capsule carnose che, a maturazione, diventano legnose e si aprono liberando i piccoli semi in numero da 8 a 20 che cadono nel terreno. La semina avviene in primavera, anche se non è molto utilizzata a causa della crescita non troppo veloce della pianta, pertanto si preferiscono le talee. Nella Bibbia, nell’Invito al regno di Dio, nel ritorno (Is. 55,13) si legge: “Invece di spine cresceranno cipressi, invece di ortiche cresceranno mirti; ciò sarà a gloria del Signore, un segno eterno che non comparirà“.

Nell’invito al ritorno, in Osea (14,9) si legge: “Io sono come un cipresso sempre verde, grazie a me tu porti frutto“. Gesù realizzò nella propria persona la parola che Osea mise sulla bocca del Signore. E’ portatore di frutti all’umanità tutta.

 Cupressus Monterey

 Il Cupressus macrocarpa, detto anche Cipresso Monterey perché originario della baia di Monterey nella California occidentale, è stato introdotto in Europa nel XIX secolo a scopo ornamentale.

Il nome Macrocarpa significa “cogliere ( frutti )  grossi”, dal greco “μακρός”, “lungo, esteso, grosso” e dal latino “carpere”, “cogliere”, anche se i galbuli sono più piccoli di quelli del Cipresso sempervirens. Il Cipresso Monterey è un albero sempreverde di media grandezza, alto fino a 15 metri, e presenta rami e foglie ascendenti. Le foglie triangolari, verdi-giallastre, persistenti e squamiformi, strettamente addensate ai rami, formano la chioma di colore verde-brillante, conica, folta, appiattita nei vecchi esemplari. Le foglie, se strofinate, emanano un profumo di agrumi. Le infiorescenze maschili formano dei piccoli coni giallastri in posizione terminale dei rametti; le infiorescenze femminili formano coni grandi, più o meno tondeggianti, raggruppati a due a due o singoli. I galbuli sono sferici-ovoidali, brunastri, caratteristici per le incisioni sulla superficie delle squame e con rilievi aguzzi nella zona centrale. Nel giardino di Mistretta vive la varietà “Goldcrest”, “a cresta dorata”, che possiede deliziosi aghi dorati e il Cipresso turco dalla forma globosa. E’ usato nelle zone litoranee come frangivento perché tollera bene l’aria salmastra. Nei parchi è coltivato per ornamento e adatto alla realizzazione di giardini all’italiana perchè la chioma tende ad aprirsi e a diventare piatta ed espansa. La pianta vecchia viene sagomata in modo alquanto pittoresco dal vento. Inoltre, l’albero, avendo un accrescimento velocissimo, è utilizzato anche come rimboschimento e come essenza da legno, fragrante, giallastro, di buona qualità.

I Cipressi, come la maggior parte delle altre specie forestali, prediligono suoli ricchi, profondi, umidi, ben drenati e aerati; tuttavia la loro rusticità li fa crescere anche in terreni poveri, aridi e superficiali. I Cipressi, oltre ad avere un ruolo importante nella caratterizzazione del paesaggio mediterraneo per la loro funzione estetica, hanno dimostrato di essere specie pioniere insostituibili per il rimboschimento dei terreni rocciosi, argillosi, calcarei. Esercitano una funzione di prevenzione dall’erosione idrogeologica. Amano un clima caldo e umido e le posizioni soleggiate, possibilmente riparate dai venti. Non temono molto il freddo, anche se difficilmente sopravvivono in climi troppo rigidi. Reagiscono male agli eccessi dell’inquinamento atmosferico. Le annaffiature vanno eseguite regolarmente, anche se sopportano brevi periodi di siccità. Gradiscono anche un po’ di nutrimento attraverso una concimazione autunnale e primaverile interrando un pò di fertilizzante organico alla base del tronco e in prossimità delle radici. Le foglie, i giovani rami, e gli strobili del Cipresso sempervirens trovano impiego officinale. Dalla corteccia si ricava, per distillazione, un olio essenziale utilizzato in profumeria. Le foglie, relativamente ricche di olio, possono essere utilizzate sia per uso interno, grazie alle proprietà balsamiche ed espettoranti, sia per uso esterno, grazie alle proprietà detergenti, perché leggermente antisettiche. Gli strobili, più ricchi in tannini, hanno proprietà astringenti, vasocostrittrici, antinfiammatorie e sono utilmente impiegati nel trattamento delle varici e delle emorroidi, per tonificare la muscolatura della vescica in modo da impedire la perdita involontaria d’urina durante la notte. Durante le stagioni polliniche, tra febbraio e marzo, la presenza di polline nell’atmosfera e la sua dispersione provocano in alcuni soggetti sensibili stati di fastidiose allergie. I sintomi legati alle allergie polliniche sono: raffreddore, congiuntivite, tosse secca, asma. Nonostante il Cipresso sia diffuso nel bacino del Mediterraneo sin dall’antichità, l’allergia al Cipresso è stata segnalata per la prima volta nel 1945 e, negli ultimi 20 anni, è andata progressivamente aumentando.

Il legno di Cipresso, molto compatto, resistente e duro, è usato per la fabbricazione di mobili e di infissi, per piani di calpestio, per arredi interni come armadi, cassepanche ed anche per costruzioni navali. Si pensa che le navi delle flotte dei Fenici e di Alessandro Magno siano state costruite col legno di Cipresso. Il legno di Cipresso, come quello di Cedro, servì a rivestire il Tempio di Gerusalemme. Nel libro primo dei Re (5,22) è scritto: “Chiram mandò a dire a Salomone: < Ho ascoltato il tuo messaggio; farò quanto desideri riguardo al legname di cedro e di cipresso”.  A Roma le porte di San Pietro, risalenti all’epoca di Costantino il Grande, sono state realizzate col legno di Cipresso. Per il suo caratteristico forte odore pepato è usato come repellente per le tarme e per gli insetti nocivi.

In genere, il Cipresso è resistente alle malattie, ma non al cancro del Cipresso.  Negli ultimi 50 anni, infatti, il Cipresso è stato attaccato dal “Seiridium  cardinale”, un microscopico fungo parassita, comunemente conosciuto con il nome di “cancro del Cipresso“, che ha messo in serio pericolo la sopravvivenza di questa pianta arborea in tutta Italia e in molti altri paesi. I danni arrecati da questo fungo sono particolarmente severi in Italia, soprattutto in Toscana ed in Umbria dove il Cupressus sempervirens assume notevole importanza paesaggistica, ornamentale e selvicolturale. Oltre a determinare un enorme danno naturalistico, la malattia influisce sulla salubrità e sulla gradevolezza dell’ambiente. Quando le condizioni climatiche sono favorevoli, allora il micelio fungino, attraverso piccole ferite presenti sulla corteccia, penetra nei tessuti della pianta danneggiandoli. Queste ferite possono essere causate da diversi fattori: dall’abbassamento repentino della temperatura, da eventi meteorici, da alcuni insetti, dall’eccessivo accrescimento. Sulla zona corticale aggredita dal fungo, durante la primavera e l’autunno, si distinguono delle piccole pustole nere che contengono migliaia di conidi, gli organi di riproduzione del parassita. I conidi, trasportati dagli insetti, dagli uccelli o dall’acqua piovana vanno ad infettare altre piante.Il Cipresso, per difendersi dal processo infettivo, forma all’interno una barriera di cellule più o meno suberizzate ed espelle una certa quantità di resina. Spesso l’azione del parassita e l’inadeguata risposta della pianta danno luogo alla formazione di una zona necrotica, il “temibile cancro”, depressa e fessurata, dalla quale fuoriescono enormi quantità di resina. Nel linguaggio floreale il Cipresso è simbolo di “ dispiaceri  “. Il Cipresso teme molto la violenza dei fulmini che spesso spezzano la sua cima.

 

stobilif

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