Mar 17, 2021 - Senza categoria    Comments Off on MARIO BIFFARELLA L’ARTISTA AMASTRATINO – IL RICORDO DEI SUOI PAESANI

MARIO BIFFARELLA L’ARTISTA AMASTRATINO – IL RICORDO DEI SUOI PAESANI

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 Mistretta 14 marzo 2020-14 marzo 2021
Il ricordo di Mario Biffarella a un anno della sua dipartita per raggiungere la casa del Padre.

Il pensiero del figlio Alvaro Biffarella: “È passato un anno esatto da quando ci hai lasciato. Eppure ancora siamo increduli! Sentiamo tanto la tua mancanza ma non si riesce ad accettare l’inaccettabile. Tu dicevi sempre che non si “muore” ma avviene una sorta di cambiamento che ci porta ad “un’altra vita”. Vita che vivono coloro che come te hanno lasciato questo mondo.
Dicevi che dall’aldilá si vede quello che succede sulla terra e che i trapassati sono sempre presenti nella vita terrena ma spesso noi non c’e ne accorgiamo. Eppure personalmente posso dire che questo avvertire i defunti o meglio questo comunicare con loro in un modo chiaramente diverso da quello che si usa sulla terra a me capita. Capita soprattutto quando mi sento libero quando sto nei luoghi che il buon Dio ha creato e quindi la campagna o il mare, lì riesco a comunicare e colmare l’immenso dolore che normalmente viene percepito qui sulla terra.
CIAO PAPÀ GRANDE UOMO E GRANDE ARTISTA!”

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Il ricordo della sorella Mariangela Biffarella: “ Carissimo Tatà, grazie per il dono prezioso che hai voluto fare anche a me. Ritrovarmi tra le mani un libro dedicato a mio fratello, con quella sua foto in copertina così emblematica del suo <essere Mario>, è stato un tuffo al cuore, forse anche perché ancora non riesco a pensarlo <morto>. È una realtà troppo dura da accettare!
Così cerco di portare i pensieri altrove e di illudermi che non sia vero.
Nel tuo libro non c’è solo il ricordo di Mario (ragazzo, amico, uomo, artista…), ma la lettura del carattere e della personalità di un essere umano grandemente forte e fragile a un tempo. C’è la sua arte, letta e interpretata dall’arte (la tua).
C’è filosofia, quell’amore per la parola e la conoscenza che, mentre lascia i comuni mortali smarriti a interrogarsi sul senso delle parole e a rileggerle per assicurarsi di avere capito, scopre verità profonde e le mette a nudo con argomentazioni inoppugnabili.
 A rendere tali i tuoi ragionamenti ancor di più, nel caso di Mario e della sua arte, c’è la differenza tra “conoscenza” e “opinione”, tra “epistème” e “dóxa”, direbbe Platone.
Dico questo perché la tua logica e le conseguenti conclusioni si fondano sulla reale conoscenza di Mario in moltissimi aspetti del suo carattere e in diverse fasi della sua vita, della quale tante esperienze hai condiviso, da amico “simile”.
Non ti è sfuggito nulla di lui: Mario è stato un grande artista e un altrettanto grande chitarrista e vignettista satirico.
Riusciva a trovare l’aspetto comico, umoristico e grottesco in ogni cosa. Attraverso i tuoi racconti ho rivisto quella porzione di vita che sapevo essere solo sua, ma che io, da sorella minore, osservavo rimanendo “a parte”, come diresti tu, e tuttavia coinvolta, perché fiera di lui, di quell’arte che nasceva dalle sue mani e fioriva nelle sue meravigliose tele come fosse la cosa più semplice e naturale del mondo; di quella musica che fluiva dalle sue dita che pizzicavano le corde della chitarra e che ascoltavo incantata, intimamente fiera.

La presenza di Mario, l’odore delle resine, dei colori dell’acqua ragia, la sua tavolozza zeppa di colori, perfino gli stracci nei quali puliva i pennelli, per me erano casa, famiglia, focolare domestico.
Da una parte lui, dall’altra mio padre, il signor Antonio, con le sue tele, i suoi colori, le sue opere liriche, i suoi dolci sorrisi e i suoi silenzi. Ho respirato tutto questo fin dalla mia nascita e di tutto questo sono grata al buon Dio. Ma ormai per me è un vuoto, una voragine che mette a nudo la pienezza che c’era al suo posto.
Adesso che lui non c’è più (irrimediabilmente!), sono arrabbiata con me stessa e con lui per il tempo da vivere insieme che spesso abbiamo stupidamente sprecato. E questo rinfocola ancora di più la sofferenza.
Con la sua morte, so di essere più povera e sola. Ma so anche che il mondo lo è, (sebbene ancora non lo sappia), perché ha perso un vero artista
”.

Sebastiano Lo Iacono risponde: “ Questo libro è il ritratto (e forse, al tempo stesso, un autoritratto mio e suo) di un amico grande, compagno di giovinezza, impegno culturale e politico, lotte e comuni passioni per l’arte, la cultura e la verità. Il <simile cerca il simile>.
L’identico si rispecchia nell’identico. Scrivere di Mario Biffarella non è stato altro che continuare a dialogare con lui sui massimi sistemi e le perenni grandi narrazioni. Spero che, leggendolo, Mario possa continuare a essere nell’esserCi ancora.
Non l’ha scritto chi l’ha scritto.
È come se l’avessimo scritto insieme. A quattro mani. Credo anch’io, come ha detto il figlio Ferruccio, che Mario&B., che si definiva «diversamente credente», in quel luogo dove egli è adesso, stia «insegnando agli angeli come si dipinge» il mistero della bellezza.
Se morire è una metamorfosi, come quella di un bruco che diventa farfalla con le ali di colore blu-cobalto, i quadri di Mario sono stati la sua metamorfosi di uomo in artista e di artista in uomo: le sue ali di colore blu-cobalto”
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https://www.youtube.com/watch?v=Z6cqo7SYTqQ

 

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Lo ricordano:
Custode Angelo Porrazzo:”Chi muore, oltre al ricordo umano della persona che è stata, vivrà nel ricordo della collettività con le sue opere, frutto del proprio ingegno e creatività. Mario lascia ai suoi cari, ed insieme alla comunità Mistrettese, regionale, nazionale,un eredità inestimabile di cultura e di bellezza artistica che tracima dalle sue opere che abbracciano varie branchie dell’arte:disegno, scultura, pittura, musica”.

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Filippo Giordano: “Ciao amico artista. Anche per te “le jeux sont faits”. Avevi una spiccata intelligenza, un carattere ribelle e una morbida mano con le quali sei riuscito ad andare oltre il quotidiano creando tante opere d’arte. Ripudiavi gli apparati inibitori della evoluzione umana e talvolta mi raccontavi della <<vita oltre la vita>>. Mi sei stato <compare> in diverse avventure terrene. Con te si invola una parte di me”.

Nino Romano: “ Ciao grande amico mio !!! Aspetterò ogni giorno la tua visita come hai fatto fino a qualche giorno fa in attesa che uscisse tua moglie dal lavoro per poterla accompagnare a casa. La cosa che più mi addolora è non poterti salutare per l’ultima volta, a causa di questo sciagurato corona virus, ma lo farò col cuore ed una lacrima furtiva. Ciao Mario!”

Francesco Saverio Modica:Mario è una tra le persone che più mi hanno formato, un punto di riferimento nei miei anni di adolescenza a Mistretta. Sapevo della sua esistenza fin da piccolo, non è difficile imbattersi in qualche sua opera a casa di qualcuno o anche in chiesa, a Santa Caterina, dove settimanalmente mi recavo.
Mi affascinava vedere la tanta bellezza dei suoi dipinti e le sue ricostruzioni mitiche dell’Amestratos ellenistico-romana o del Castello medievale mi catapultavano verso altre epoche e verso la volontà di volerne sapere di più. Iniziammo a parlare solo nel 2013.
Io, ginnasiale alle prese con un progetto scolastico, Archeologia per Crescere, non pensai che a lui per scoprirne di più sulla nostra cittadina, lui che negli anni del “Sacco di Mistretta”, sotto l’egida di Egidio Ortolani, provò a salvare il salvabile, giungendo all’istituzione del Museo.
Si mostrò con me subito molto disponibile ed entusiasta, una fonte senza argini pronta a parlare di qualsiasi argomento. Andavo nel suo studio a trovarlo, lo ascoltavo e lo osservavo nella sua infinita pazienza.
Da una parte, le sue mani sulla tela trasmettevano pace, dall’altra, rancore, rabbia e tristezza uscivano dalle sue labbra per le attuali condizioni del paese, per il clima triste esistente e per il rimorso di non essere riusciti, forse, a fare abbastanza.
Mi stimava e mi incoraggiava tanto, e ciò mi ha reso tanto felice. Vedendo la mia curiosità e la passione che metto in ciò che faccio, non ha esitato a definirmi come “Ortolani III”) o ad augurarmi di diventare un giorno il primo archeologo mistrettese che di Mistretta si occupa.
Per  la mia laurea mi salutò con un <<fatti sentire, dobbiamo parlare ancora di tante cose>>.
Così non è andata, ma per tutto ciò che c’è stato non posso che gioire ed esternare verso di lui i più profondi sentimenti di estrema gratitudine.  

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Lucio Vranca: “Mario, un apprezzatissimo artista, rispettabile musicista che, con la sua chitarra, ha impreziosito momenti culturali di prestigio. Addio, rispettabile amico con la musica nel cuore, sarai sempre nei miei ricordi”.

Francesca Scarcina:”Ciao maestro, ciao artista…mi mancheranno i tuoi consigli, la tua ammirazione per ogni mio disegno, per ogni mia creazione…! Mi volevi bene come una figlia e i tuoi consigli per me erano molto preziosi. Mi mancherà parlare con te, uomo di grande cultura, confrontarmi, imparare da te… Ancora non ci credo. Ti voglio bene e te ne vorrò sempre…Mario Biffarella..riposa in pace!
Rimarrai sempre nei nostri cuori, la tua arte e il tuo ricordo..non moriranno mai.Conserverò con grande amore il regalo che mi hai fatto per i miei 18 anni, il mio ritratto…

Giuseppe Sirni: “Ciao Mario Biffarella. Grazie per quello che mi hai insegnato. Per tutti i pomeriggi passati insieme tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso nel corso d’arte che tenevi presso l’ex tribunale di Mistretta e grazie al quale ho potuto apprendere le basi che mi hanno permesso di iscrivermi più tardi all’accademia di belle arti. Sono stati anni fantastici che hanno arricchito non solo me, ma anche tanti ragazzi che hanno frequentato quel corso. Con te se ne va una figura importante, un riferimento dell’arte mistrettese e siciliana”.

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Marianna Tita: “Ciao Sig. Mario…MAESTRO, così ti chiamavo e tu mi rispondevi “Mariannuzza”.
Ti ricorderò per sempre per la persona intelligente, distinta, educata e acculturata che eri. Ho avuto il privilegio di essere anche una tua vicina di casa e di frequentare il tuo studio ogni qualvolta avevo bisogno di un tuo suggerimento. E lì, mentre parlavamo di tutto, io mi perdevo tra il profumo dell’olio di lino, mentre lavoravi ad una delle tue creature e, le tue opere mi guardavano come se dovevano uscire dalla tela.
Uomo da mille sfaccettature te ne sei andato così, senza avere la fortuna di poterti salutare un’ultima volta, come meritavi.
Il mio paese MISTRETTA
dev’essere fiero di averti avuto come abitante e mi auguro con tutto il cuore che ti ricorderà come meriti!
Lasci a noi un segno tangibile della tua maestria e a me personalmente un tuo regalo “il mio ritratto”.
Ovunque tu sia, dove ti troverai sarai pieno di luce e a me piacerà pensarti così, immerso tra pennelli e colori a dipingere la nuova vita che vivrai…ti voglio bene
”.

 Padre Damiano Amato: “Con Mario Biffarella ci siamo incontrati negli ultimi anni della sua vita, apparentemente diversi, contrastanti, ma in realtà molto, ma molto vicini perché ambedue alla ricerca della VERITÀ, del BELLO, dell’ESSEZIALE.
Tra di noi c’erano: rispetto, stima, volersi bene.
Abitavamo in due sponde diverse, lontane forse contrastanti ma unite da un PONTE: LA VERA AMICIZIA.
“Mario ti so tra le braccia del Padre, questa sera celebreremo la messa insieme, tu nella certezza ed io ancora nel dubbio DELL’AMORE DEL PADRE”.

 Mario Lorenzo Marchese: “Come sono inafferrabili taluni ricordi nel loro essere appesi a niente, forme in continuo movimento che restituiscono il niente in un niente più grande. Ovunque tu sei, ciao Mario. Ad un anno dalla tua scomparsa ti ricordo amico con questa tua bella opera.
Che dirti? Ogni grande opera d’arte ha due facce, una per il proprio tempo e una per il futuro, per l’eternità”.

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Mariano Basci’: “ Oltre che un “Grande” artista, un compagno di banco e di giochi d’infanzia, un consulente ed un collaboratore di prim’ordine, un caro amico, gentile, affettuoso che ha portato con se un pezzo di me”!

Enzo Salanitro: “ Mario apparteneva alla grande famiglia de “LA NUOVA MANIERA” pur nella sua solitudine, scelta, voluta, personale.
“LA NUOVA MANIERA”, nata negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso,
è uno spazio virtuale dedicato a tutte le forme di espressione artistica. Comprende artisti che rivendicano il mondo classico nella pittura, nella scultura, nei simboli, nelle atmosfere del tempo corrente e nei contenti contemporanei. Mario è stato un artista, un costruttore di pensieri, idee, colori.
Credo che un artista abbia come unica aspirazione quella che il suo messaggio venga recepito e capito.
Certo, aspira al successo delle sue opere, delle sue idee. Il successo, però, costa umiliazioni e silenzi assordanti e ciò vale per qualsiasi artista. Mario è stato un artista contemporaneo e tale rimane, un uomo che ha vissuto in una periferia così come Catania o Palermo nei confronti di Roma o Milano, ma ciò non gli ha impedito di avere un’idea totale dell’uomo, sul mondo sull’Oltre.
Sarà l’opera altrui a raccogliere il lavoro di chi è stato presente e dare, forse, un giudizio equo, anche se mai finale.
Parlerà l’opera con i suoi colori, i suoi virtuosismi, i suoi contenuti.
Amiamo, dunque, gli artisti costruttori di bellezza e di pensieri.  Amiamo tutti quelli che danno emozioni e anche quelli che non ne danno. Amiamo le loro opere, anche quelle sperimentali, di qualsiasi stile o momento artistico. Chi ha gusto si tenga il suo, ma rispetti l’innocenza degli artisti… e rispetti l’opera di Mario Biffarella che, col suo lavoro, ha riscattato la pochezza di tante figure e l’onore di chi è stato calpestato dalla vita.
Solo Mario sapeva farlo con la voce, con i colori, con i pennelli, con il suo genio
”.

Giuseppe Ciccia: “ Un caro e semplice saluto al mio amico Mario.Ci vedevamo spesso. Mi parlava delle sue esperienze artistiche, delle sue collezioni, di quello che faceva senza un attimo di riposo.  Io parlavo dei miei hobby o insieme delle quotidianità.
Ricordo adesso, con commozione, il nostro ultimo incontro pochi giorni prima, <o puzzu>, davanti alla casa dove abita Alvaro suo figlio.
Ci siamo lasciati con un sorriso dopo aver parlato del più e del meno, ma sempre con un accenno a qualcosa di culturale e di artistico.
Il sapere, la cultura, l’arte e la bellezza ci unisce sempre! Ciao Mario”.

Gaetano Catania: ”  E’ difficile tratteggiare un profilo sincero e disinteressato di un artista in piena attività.
Il mio vuole essere soltanto un sincero ricordo di un <vicinieddo> di casa, del quartiere Santa Caterina, che conoscevo fin da bambino, avendo frequentato la stessa Parrocchia e la stessa Azione Cattolica.
Cresciuti insieme, le nostre strade con il tempo si sono separate, io sono andato via da Mistretta per motivi di studio e di lavoro, mentre Mario è rimasto a Mistretta a continuare la sua passione per l’ARTE. Mario, fin da bambino, nel campo artistico era un piccolo <genio>.
Creava, con estrema semplicità, opere d’arte sia nel campo della pittura sia nella scultura.
Mario Biffarella, fin da bambino, aveva uno spirito artistico e creativo eccezionale, soprattutto nella pittura. Ho avuto la gioia di scoprire e di ammirare tantissime sue opere d’arte. Desidero fare un appello a chi ha la competenza, all’autorità istituzionale, di valorizzare questo nostro Artista, per quello che ha fatto per MISTRETTA. Un riconoscimento “ufficiale”, anche postumo, da parte di chi rappresenta Mistretta, gli è sicuramente dovuto”.

Nella Seminara: “ ho conosciuto Mario Biffarella nell’antiquarum che aveva creato nell’edificio di  via Monte a Mistretta, oggi sede dell’Agenzia delle Entrate, ed ho apprezzato le sue qualità di persona competente, aperta al dialogo, disponibile a dare notizie sul materiale custodito, entusiasta del lavoro che svolgeva. Lo ricorderò sempre con grande stima”.

Giorgio Toselli: “Mario Biffarella propone argomenti di riflessione, col fine ultimo di ritrovare l’armonia perduta, la bellezza, la semplicità della natura umana, l’amore universale. Poco importa se per realizzare un’opera ci vuole troppo tempo, lui dice sempre: <per me fare un quadro è una esperienza, come scrivere un libro, anche nel corso di anni: perché allo scrittore è consentito e a me no>?
In questo <processo magico> Biffarella, come i grandi artisti del passato, è un comunicatore che utilizza le immagini del suo tempo:
I personaggi della cronaca, le immagini degli strumenti tecnologici che cambiano nel bene e nel male la vita; utilizza il linguaggio figurativo, nella dimensione di un tempo unico dove passato e presente sono già scritti…”

Federico Zeri – 1992 “… I dipinti di Mario Biffarella posseggono un certo spirito trasgressivo, che gli fa toccare espressioni davvero notevoli…”.

Mario Biffarella è nato a Mistretta (Messina) il 15 agosto 1952.
Dopo aver frequentato l’Istituto d’arte a Santo Stefano di Camastra e l’Accademia di BB.AA. a Firenze e a Palermo, ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento e ha prestato servizio in qualità di insegnante di Educazione artistica nelle Scuole  Medie.
Vincitore di concorso, ha lasciato la scuola per assumere la responsabilità di dirigere il Museo Civico polivalente del Comune di Mistretta.
Per 30 anni ha lavorato impegnandosi per la difesa del patrimonio culturale e artistico del territorio.
Ha creato la scuola comunale nell’ambito della quale sono istituite diverse rassegne d’arte come la collettiva di pittori e quella degli allievi della Scuola, a cadenza annuale. Ha insegnato nella locale Scuola di disegno “Noè Marullo”.
Ha collaborato a numerose pubblicazioni di natura artistico-culturale. Ha collaborato per la nascita del museo silvo-pastorale “G. Cocchiara”.
Ha partecipato a numerose mostre collettive e a concorsi ottenendo molti premi e riconoscimenti. Ha organizzato diverse mostre personali.
Ha illustrato diversi libri di storia, di poesie, d’arte.
E’ stato, assieme ad altri membri, socio fondatore dell’associazione “Nebrodi Arte”, di Sant’Agata Militello, per il rilancio dell’arte e della cultura nel territorio dei Nebrodi. Ha realizzato e restaurato importanti opere d’arte nelle chiese, al cimitero monumentale di Mistretta,nella villa comunale “Giuseppe Garibaldi”.

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E’ stato ampiamente citato da riviste locali e nazionali.
Nel 2013 è stato insignito del premio alla carriera alla “Dicembre Arte” presso il palazzo Minoriti a Catania.
È deceduto presso l’ospedale di Patti il 14 marzo 2020, all’età di 68 anni.

R.I.P. in pace e che la terra ti sia lieve carissimo Mario!

 

 

 

 

 

Mar 15, 2021 - Senza categoria    Comments Off on “IL VENTO” LA LIRICA DELLA POETESSA LICATESE ROSARIA INES RICCOBENE

“IL VENTO” LA LIRICA DELLA POETESSA LICATESE ROSARIA INES RICCOBENE

IL VENTO

Soffia.Ulula. Imperversa.

La sua presenza soffoca

gli aspetti della vita.

Imprime la sua forza.

Arrotola le onde le spinge

infrange la costa.

Infuria il  mare

apre squarci profondi sulla rena.

Smerlature bianche e spumose

avanzano danzando.

Spruzzano scompaiono si frantumano.

Il giorno scorre. Arriva il tramonto.

Dal libro Le ali del cuore”

Edito da “LA VEDETTA” Ass. Cult. “Ignazio Spina”

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Mar 1, 2021 - Senza categoria    Comments Off on LA SINAPIS ALBA DAI BEI FIORI GIALLI E LUMINOSI NELLA CAMPAGNA DI LICATA

LA SINAPIS ALBA DAI BEI FIORI GIALLI E LUMINOSI NELLA CAMPAGNA DI LICATA

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In questo periodo, relativo al mese di Marzo 2021, allegra è la campagna di Licata colorata di giallo per la presenza abbondante dell’Oxalis acetosella e della Sinapis alba, ma colorata di bianco anche per la presenza del Diplotaxis erucoides, specie botanica conosciuta a Licata col nome di “Finacciolo”, oltre alle altre piante verdi che sono tutte piante infestanti.
A suscitare la mia curiosità botanica è stata la SINAPIS ALBA.

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Il genere Sinapis è composto da 4 specie di piante erbacee annuali provenienti dall’Asia e dall’Europa.
Queste specie sono: Sinapis alba, Sinapis arvensis, Sinapis flexuosa, Sinapis circinata, Sinapis allionii.
Etimologicamente il nome del genere “Sinapis” deriva dal  latino e significa “Senape”.
Il nome della specie “alba” “bianca” per il colore chiaro dei semi.
Sinonimi sono: Senape gialla, Luchettone, Ruchettone, Rapicello selvatico, Raphanus albus, Eruca alba, Brassica hirta, Brassica alba, Brassica foliosa, Sinapis foliosa, Bonannia officinalis, Rhamphospermum album, Napus leucosinapsis, Leucosinapsis alba, Crucifera lampsana.
In alcuni paesi europei è conosciuta col nome “Mostarda” dal latino “Mustum ardens “ “Mosto ardente” dall’uso di aggiungere i semi al mosto, il succo d’uva appena spremuta e non fermentata.
Nomi esteri sono: in Francese “Moutarde blanche”, in Inglese “White mustard”, in Spagnolo “ Mostaza blanca”, in Tedesco “Weisser Senf”.
La Sinapis alba è originaria dell’Africa (Algeria, Egitto, Libia, Marocco e Tunisia).
Molto coltivata fin dall’antichità nell’area del Mediterraneo come pianta medicinale e come spezie, la sua coltivazione si è estesa progressivamente in Europa, in Asia e in America.
In Italia cresce spontanea in quasi tutte le regioni dal mare e fino a quote collinari dai 200 ai 300 metri.
È possibile rinvenirla ai margini dei sentieri e in luoghi assolati e riparati dai venti.
La Sinapis alba, la Senape bianca,è una pianta erbacea annuale appartenente alla famiglia delle Brassicaceae.

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Possiede poche radici a fittone che la saldano al terreno da cui partono lunghi fusti solcati longitudinalmente, eretti,  ispidi, che raggiungono altezze di 70-80 cm. Ogni fusto è composto di varie ramificazioni in alto.
Le foglie, di colore verde scuro, le inferiori picciolate, larghe, dalla superficie ispida, disposte in modo alternato lungo i fusti, sono palmato-lobate, lunghe da 5 a 15 cm con i lobi a margine dentato. Le foglie superiori, progressivamente più piccole e più strette, con picciolo corto o assente, lunghe 2-4 cm, hanno i lobi uguali con margini dentati.

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Fiorisce da febbraio a giugno, con un’abbondante e prolungata fioritura.

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I fiori sono riuniti in infiorescenze a racemo lunghe fino a 30 cm all’apice dei fusti.
 Ogni fiore possiede la corolla, formata da 4 petali di colore giallo, e il calice, formato da 4 sepali disposti a croce.
Sono fiori attinomorfi. Gli stami sono 6 di cui due corti e quattro più lunghi.

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Il frutto è una siliqua cilindrica leggermente compressa, lunga da 2 a 4 cm, fittamente ricoperta da corte setole biancastre.
La siliqua, portata da un lungo peduncolo, è divisa in 2 parti, quella inferiore contiene i semi.
La siliqua è un frutto secco deiscente che contiene da 3 a 5 semi sferici, di colore bianco grigiastro, e dalla superficie finemente zigrinata.
A maturità, si apre e lascia cadere i semi.

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 La parte centrale del frutto, dove sono collocati i semi della siliqua, si chiama replo.
Si tratta di una struttura dalla quale i semi si staccano a maturità.
La riproduzione avviene esclusivamente per seme.
I semi si raccolgono nel periodo compreso tra i mesi di giugno e di agosto, prima di essere completamente maturi, e prima dell’apertura della siliqua.
Veramente si raccolgono i rami che contengono le silique perché, essendo i semi molto piccoli, si dispererebbero nel terreno.
I rami si fanno essiccare all’ombra e poi si battono per separare i semi. I semi vengono conservati in recipienti di vetro.
Ogni pianta cresce, fiorisce, germina, ma poi muore.
Tuttavia, essendo una pianta molto resistente, può germinare in autunno, svernare come piantina e fiorire l’anno successivo.
Il suo ciclo vegetativo dura da 1 a diversi mesi, a seconda del momento della germinazione.
La semina della Senape bianca è effettuata nel periodo primaverile, indicativamente nel mese di marzo o, comunque, quando la temperatura è superiore a 13°-14°C.
Nelle regioni con un clima caldo mediterraneo la semina può avvenire in qualsiasi periodo dell’anno.
I semi sono ricchi di olio ed è proprio da questi che si estraggono prodotti alimentari.
Le proprietà utili della senape sono molte, visto che contiene molte vitamine: A, C, E, K, B1, B2, B6, nonchè selenio, fosforo, rame, ferro,  magnesio e la sinalbina, un tioglicoside responsabile del sapore pungente.
La Senape bianca in natura cresce spontaneamente su terreni argillosi e calcarei, ben drenati, ma si adatta bene a vegetare su qualsiasi tipo di terreno essendo una pianta abbastanza rustica. E’ bene concimare il terreno prima della semina con un concime minerale ricco di potassio in primavera. Cresce meglio se esposta al sole e resiste a temperature relativamente basse.
Gradisce le annaffiature, ma non i ristagni idrici, per evitare l’attacco di funghi e di alcuni insetti nocivi.
Non è necessaria la potatura.
È buona cosa effettuare i regolari interventi di sarchiatura in modo da evitare la crescita incontrollata di erbe infestanti e permettere una maggiore areazione del terreno.
La Senapis alba è anche una pianta medicinale.
E’ conosciuta per le sue proprietà digestive, carminative e stimolanti.
Ha funzione  disintossicante, contrasta il colesterolo cattivo, è lassativa, riesce a modulare i livelli di glicemia e ossigena il sangue.
I cataplasmi, impiegati per il trattamento dei reumatismi, hanno un effetto rubefacente, però possono causare infiammazioni alle pelli sensibili e delicate.
Per questo motivo devono essere usati con molta attenzione e dietro il consiglio del medico o di un esperto erborista.
Con le parti verdi della pianta è possibile inoltre realizzare un decotto che può essere usato come vasodilatatore e aggiunto all’acqua per i pediluvi.
L’uso in cucina è principalmente come condimento piccante, la famosa salsa di senape, ottenuta dai semi dal caratteristico sapore forte utilizzata  per insaporire carni e pesci.
I semi di tutte le Senapi contengono dei glicosidi che, mescolati all’acqua, liberano un alcaloide, la sinapina.
Per questo un uso indiscriminato dei semi di Senape può causare problemi gastrointestinali anche gravi.
Le foglie tenere e le infiorescenze non ancora sbocciate possono essere utilizzate cotte in minestre o come verdura, cruda o cotta, per il loro sapore gradevole.
La Senape bianca è coltivata per i suoi semi utilizzati per la produzione di olio. Contengono dal 25 al 45% di olio utilizzato nell’industria alimentare, farmaceutica, cosmetica e nell’industria dei saponi.
Inoltre dai semi macinati si ottiene la farina utile, assieme ad altri ingredienti, per preparare i vari tipi di mostarda.
La mostarda, oltre a conferire ai cibi un particolare sapore, assunta in piccole dosi stimola la secrezione gastrica, ma potrebbe causare irritazione dell’apparato digerente. Assunta a dosi elevate ha effetto emetico e altamente irritante.
La Senape bianca è coltivata anche come foraggio per gli animali.
Dopo la raccolta dei semi, le piante servono da foraggio per il bestiame, ma che deve essere somministrato con moderazione in associazione con altri alimenti.

 

 

 

Feb 23, 2021 - Senza categoria    Comments Off on STORDISCE IL CANTO DEGLI UCCELLI LA POESIA DELLA POETESSA LICATESE ROSARIA INES RICCOBENE

STORDISCE IL CANTO DEGLI UCCELLI LA POESIA DELLA POETESSA LICATESE ROSARIA INES RICCOBENE

STORDISCE IL CANTO DEGLI UCCELLI

Sole filtrato imprigionato.
Sfarfallio di foglie.
Dondolio di rami.
Intrecci.
Teneri abbracci.
Canti di uccelli.
Svolazzare di ali.
Voli circoscritti
e poi lontani.
Verde immenso ti circonda
ti sovrasta.
Ascolti guardi ammiri.
Senti voci deliranti.
Bevi,ingoi il creato.
Il suo splendore
Ha rapito il tuo essere.
Rosaria Ines Riccobene
Dal libro di poesie “Luci ombre voci e silenzi”

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Feb 10, 2021 - Senza categoria    Comments Off on L’ AGAVE ATTENUATA NELLA MIA CAMPAGNA DI LICATA

L’ AGAVE ATTENUATA NELLA MIA CAMPAGNA DI LICATA

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Madre Natura mi regala sempre nuove sorprese! E’ stato entusiasmante trovare, all’improvviso, nella mia campagna di Licata, in contrada Montesole, in un’aiuola dietro alla casa, un bellissimo arco di fiori gialli! Non è stato difficile riconoscere la pianta a causa della sua unicità e della sua bellezza.
E’ L’ AGAVE ATTENUATA.
Veramente piante di Agave attenuata nelle aiuole della mia campagna ce ne sono tante, ma questa è stata l’unica a regalarmi questa magnifica fioritura che ho tanto apprezzato.

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Purtroppo la pianta, dopo diversi anni di vita vegetativa, fiorisce una sola e poi muore per lo stress di produrre un arco così grande e così pieno di fiori che si schiudono gradatamente.
Mi dispiacerebbe assai!

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Tutte le specie di Agave, prima di morire, dopo la fioritura emettono germogli basali che, raccolti e rinvasati, favoriscono la propagazione della specie.
Etimologicamente il termine del genere “Agave” deriva dal greco “αγανόϛ” “splendido, meraviglioso”, termine che non smentisce la verità. L’Agave attenuata è una specie originaria dell’America meridionale, e più precisamente delle aree deserte del Messico. Per questo motivo è chiamata “Agave americana”.
Appartiene a una numerosa famiglia di piante che comprende circa trecento specie tutte originarie del Messico.
Fu lo studioso slovacco Benedict Roezl che, durante le sue ricerche nelle due Americhe, scoprì alcune specie di Agave. Dalle Americhe le piante furono portate in Europa, dove attecchirono nei giardini e nelle ville signorili considerate come piante esotiche. La specie più diffusa di agave è l’Agave americana. Fu l’esploratore Galeotti a trasportarla in Italia nel 1834.
È considerata una pianta rara poiché si trova difficilmente come vegetazione spontanea ma, poichè è coltivata artificialmente, non corre alcun rischio di estinzione.
L’Agave attenuata, appartenente alla famiglia delle Asparagaceae, è una vigorosa, elegante e ornamentale pianta succulenta, turgida, molto acquosa e di rapida crescita.
E’ formata da un insieme di foglie disposte a rosetta.

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Le foglie sono di colore verde-azzurro, prive di spine, di forma lanceolata, grandi, possono raggiunger i 50–70 cm di lunghezza, di natura fibrosa e dotate di abbondanti tessuti acquiferi per resistere ai lunghi periodi di siccità.
Nel mese di febbraio del 2021 l’Agave attenuta nella mia campagna ha prodotto un bellissimo arco di fiori giallo-verdastri.

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E’ un’inflorescenza racemosa che può raggiungere anche i 3 metri di altezza.
I fiori sono visitati da quasi tutti gli insetti imenotteri avidissimi del loro nettare. Dopo la fioritura, la pianta produce una grande quantità di semi che si disperdono nel terreno dando origine a nuove piantine.
L’Agave attenuata è una pianta ornamentale, che sfoggia il meglio della sua bellezza ed eleganza in ogni stagione dell’anno. Pertanto è ampiamente utilizzata per abbellire le aiuole dei giardini e delle ville.
Non è facile scoprire che questa pianta cresce spontaneamente in Natura. Coltivare l’Agave attenuata, sia in vaso sia in piena terra, è facile.  Vegeta molto bene nelle zone a clima mite invernale, mentre teme le temperature particolarmente basse. La temperatura non deve scendere mai al di sotto dei 5°C. Accetta qualsiasi tipo di terreno. Deve  essere esposta per molto tempo alla luce del sole, quindi è bene collocarla in un luogo ben esposto ai raggi solari. Essendo una pianta succulenta, non ama particolarmente l’acqua. Potrebbe essere sufficiente un’annaffiatura mensile. Durante l’inverno le annaffiature devono essere molto ridotte. La concimazione è necessaria solo in primavera aggiungendo un concime a base di fosforo e di potassio che aiuta la fioritura.
La pianta teme l’attacco degli afidi e delle cocciniglie. Le abbondanti piogge e le escursioni termiche potrebbero favorire anche la comparsa dei funghi. Per combattere questi parassiti è opportuno effettuare un trattamento con un insetticida ad ampio spettro alla fine dell’inverno e usando un fungicida sistemico.
La potatura deve essere eseguita solamente per eliminare le parti malate. Il marciume al colletto, dovuto all’eccessiva umidità del terreno, va combattuto limitando le annaffiature e mantenendo asciutto il terreno.

Feb 1, 2021 - Senza categoria    Comments Off on LA NUOVA PICCOLA CHIESETTA DEDICATA ALLA MADONNA DELLA LUCE DALLA FAMIGLIA LA GANGA-BARBITTA DI MISTRETTA

LA NUOVA PICCOLA CHIESETTA DEDICATA ALLA MADONNA DELLA LUCE DALLA FAMIGLIA LA GANGA-BARBITTA DI MISTRETTA

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La devozione alla Madonna della Luce, alla quale si rivolgono i cittadini di  Mistretta, è grande, immensa!
Lo dimostra il giovane Antonino la Ganga e i membri della sua famiglia La Ganga-Barbitta che hanno invocato l’intercessione della Madonna della Luce affinchè questo male universale, il Covid_19, possa essere debellato per sempre.

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 Come? Attraverso la costruzione di una piccola chiesa, così come racconta Antonino:
“La piccola chiesa di campagna nasce per  volontà mia e della mia famiglia. 

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La chiesa è stata completata

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Era il mese di marzo del 2020 quando nel mondo la pandemia da Covid-19 stava segnando la storia degli esseri umani.
Proprio in quel periodo, quando tutti eravamo chiusi a casa, in quarantena… ,chiesi a mio nonno materno, il signor Antonio Barbitta, di trasformare un vecchio rudere esistente nella campagna di famiglia in una piccola chiesa, una cappelletta da dedicare alla Madonna della Luce.
 

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 Mio nonno, con grande gioia, accolse subito la mia proposta con la promessa alla Madonna di edificarLe una piccola cappella come ringraziamento per aver protetto la mia famiglia ( e anche i mistrettesi)  da questa terribile pandemia.
Il 5 maggio del 2020 sono iniziati i lavori.

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La chiesetta è stata progettata da me e realizzata dalle esperte mani di mio nonno, carpentiere di mestiere, il quale, con amore e dedizione, insieme alla mia collaborazione, ha realizzato la piccola cappella. 

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Circa un mese dopo dall’inizio dei lavori di ristrutturazione, la costruzione della chiesetta è stata completata e vi si può accedere al suo interno. 

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Contattai lo scultore siciliano Marcello Interlicchia  per  realizzare una statua raffigurante la Madonna della Luce. 

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Il 20 ottobre 2020 Mons. Michele Placido Giordano si recò nella chiesetta per  benedire il nuovo religioso intitolandolo a Maria Santissima della luce.

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 L’altare della chiesa, di piccole dimensioni, accoglie la statua in terracotta, alta 40 cm, raffigurante la Madonna della Luce, 

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 il  Cristo in Croce,

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  la tela raffigurante l’affresco della Madonna della Luce

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 e la statua di Maria Assunta in cielo. 

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 L’altare  è stato realizzato in marmo, mentre la nicchia in pietra, la famosa pietra dorata, tipica di Mistretta.
La chiesa sorge a circa 800 mt di altezza su slm, in contrada Romei, nella valle di Mistretta”.
Grazie assai al giovane Antonino La Ganga e al nonno Antonino Barbitta per avere avuto la nobile idea di ristrutturare il vecchio rudere trasformandolo in una chiesetta di campagna che, non solo ha arricchito la loro proprietà  terriera, ma ha anche consegnato alla protezione della Madonna della Luce una delle valli dei monti Nebrodi, nel territorio di Mistretta, in contrada Romei.

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Anche da lontano, la vista del tetto con la Croce, simbolo di Cristo, stimola nei passanti il segno della croce e la recita di qualche fervente preghiera.

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Un momento di gioia e di condivisione dopo la ristrutturazione del nuovo tempietto.

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 Personalmente andrò ad onorare la Madonna della Luce nella piccola chiesa, quando potrò venire a Mistretta cessata la pandemia del Coronavirus, accompagnata dal giovane Antonino La Langa, che ringrazio.

https://www.youtube.com/watch?v=Ab6Nq2OA-gA 

                                                    CLICCA QUI                                          

 LA STORIA DELLA MADONNA DELLA LUCE E DEI GIGANTI A MISTRETTA

A Mistretta ogni anno si ripete il mito della festa della Madonna della Luce e dei Giganti, festa che non è solo professione di fede, ma storia, leggenda antica, folklore.
I giganti, Kronos, il Tempo, che impugna la spada sguainata e Mitya, il Mito, che tiene nella mano destra un mazzetto di spighe e di fiori di campo, dal Santuario adiacente al cimitero, dove abitano tutto l’anno, salgono a Mistretta in agosto, prima della festa di San Sebastiano. Praticamente, l’acchjanata ri gesanti precede di alcuni giorni la festività della Madonna della Luce.
I giganti girano per la via Libertà esibendosi in balli non molto aggraziati e attorniati e ammirati dalla gente, soprattutto dai bambini. La festa della Madonna della Luce si compie in due ambiti territoriali: quello urbano e quello cimiteriale.
Il giorno sette settembre, il primo giorno della festa, i giganti fanno ritorno nel santuario adiacente al cimitero per andare a prendere la statua della Madonna e per accompagnarla in paese assieme ai sacerdoti, ai fedeli, alla banda musicale.
Una grande folla attende l’arrivo della Madonna alle porte del paese, “a Crucidda”, e tutti insieme, in processione, l’accompagnano fino alla chiesa Madre dove viene officiata la funzione religiosa. Come i Giganti proteggono la Madonna è veramente emozionante!

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Si inchinano profondamente dinanzi a Lei in segno di riverenza. All’interno della Chiesa i giganti si dispongono come sentinelle l’uno a destra e l’altra a sinistra del portale della chiesa stessa. Nella piazza dinanzi alla chiesa Madre i giganti, per festeggiare il Suo arrivo a Mistretta, si esibiscono in una ballata sciolta.

Il ballo è esteriorizzazione del sentimento religioso in cui paganesimo e cristianesimo, leggenda e misticismo popolare, si fondono insieme per ravvivare annualmente nel popolo amastratino il sentimento delle proprie radici. La ballata è speranza, è preghiera, è pantomima del corteggiamento durante la quale Kronos, con lo sguardo rude, e Mytia, in sembianze matronali, da truci guerrieri diventano moderni ballerini dai movimenti lenti e poco virili.
I Giganti sono portati dai portanti, perché non hanno le gambe, e sostenuti dalle loro spalle. Senza i portanti i giganti sarebbero senza vita e senz’anima. I portanti conservano e gestiscono un codice di segni, di gesti, di inchini, di movimenti delle spalle mediante i quali ripetono una coreografia arcaica, ma sempre nuova.
La festa continua il giorno dopo, l’otto settembre, ricorrenza della natività di Maria.
L’evento religioso inizia con la ballata dei giganti davanti alla chiesa Madre, elevata a santuario della Madonna dei Miracoli, mentre all’interno della chiesa è celebrata la Santa Messa solenne.
Nel pomeriggio dello stesso giorno il fercolo della Madonna della luce, condotto in processione per le vie della città, accompagnato dal clero, dalle autorità civili, da altre associazioni, dalla folla festosa, dalla banda musicale e dai giganti, che si dispongono sempre la femmina a destra e il maschio a sinistra nel ruolo di guardie del corpo,fa ritorno nella Sua casa la sera.
E’ un pellegrinaggio di gente proveniente anche dai paesi vicini. Un grande falò, una luminaria di fuoco, allestito nello spiazzo antistante il santuario, conclude la solennità religiosa.
Il falò, che illumina la notte, è il simbolismo della luce abbagliante della Madonna nella grotta, oppure della luce nascente che rievoca la purificatrice luminaria del mondo popolare contadino al tempo dei raccolti in onore di Demetra e della romana Pale.
I giganti si esibiscono in una ballata finale nel piazzale antistante il santuario concludendo la festa in un contesto di sacro e di profano, di amore e di fede che si tramanda di generazione in generazione.
La folla applaude.
L’estrazione dei biglietti dei premi messi in palio dal comitato regala ai fortunati estratti qualche gioia  in più.

 

Jan 22, 2021 - Senza categoria    Comments Off on L’OROLOGIO NEL CAMPANILE DEL SANTUARIO DI MARIA SS.MA DEI MIRACOLI A MISTRETTA

L’OROLOGIO NEL CAMPANILE DEL SANTUARIO DI MARIA SS.MA DEI MIRACOLI A MISTRETTA

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In mezzo, tra il palazzo Gallo- Giaconia e il palazzo Francesco Gallegra, emerge la torre campanaria della chiesa Madre, eletta a Santuario di Maria SS.ma dei Miracoli il 31 ottobre 2016, che si affaccia in Piazza Vittorio Veneto.
Innalzata negli anni dal 1521 al 1562 da maestranze locali e palermitane, la torre ha la forma di un parallelepipedo a base quadrangolare alto circa 38 metri, presenta cinque livelli e termina con due finestre bifore.
In essa è inserito l’orologio rivolto verso la Piazza.
La vista di questo orologio, in un giorno particolare che sono ritornata a Mistretta, ha riaperto il cassetto dei miei ricordi  richiamando alla memoria indimenticabili episodi di vita vissuta che descrivo nel racconto:

L’ OROLOGIO NEL CAMPANILE DELLA CHIESA MADRE DI MISTRETTA:

Dal campanile della chiesa Madre, di pietra dorata, l’orologio della piazza regola, da tanti anni, la vita del paese.
La sua faccia rotonda, bianca, grande ha la numerazione romana che segna le ore e due enormi lancette ricamate che ruotano intorno. Circondato da un’importante cornice semicircolare sormontata da una finestra bifora, l’orologio batte, a intervalli regolari, i suoi rintocchi, nitidi richiami.

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Fa la guardia al monumento marmoreo dei caduti nella prima e nella seconda guerra mondiale nella Piazza V. Veneto,

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controlla il movimento della gente, segue le mattinate trascorse dagli studenti nelle aule della Scuola Media Statale “Tommaso Aversa” posta di fronte al campanile, nell’edificio col porticato. Purtroppo alcune compagne di scuola sono passate a miglior vita.

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foto di Rosa Maria Maniaci

L’aula della scuola frequentata da Laura si affacciava proprio sulla Piazza V. Veneto.

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Ricorda ancora perfettamente lo scherzo ricevuto dall’orologio tanti anni fa!
Quella mattina l’aria, particolarmente fredda, era velata da un sottile strato di neve che cadeva silenziosa. Laura sentì 9 rintocchi squillanti dell’orologio della piazza e un solo, ampio, tò. Le ore nove e un quarto?! Chiese meravigliata alla sua mamma.
E’ possibile?
E’ cominciata già la prima ora di lezione ed io sono ancora qui! Sempre puntuale, come un cronometro, contrariamente alle sue abitudini, pensando di essere in ritardo, precipitosamente si avviò verso la scuola, distante pochi metri da casa sua. Guardò l’orologio. Segnava veramente le ore 9,15.
Laura esitò.
L’istituto era avvolto da un insolito e inquietante silenzio.
Non udì l’abituale chiasso dei ragazzi. Entrò nella sua aula. Non incontrò nessuno dei suoi compagni di classe. Nessun alunno era presente nelle altre aule. Si aggirò per i corridoi. Nessuno! Rifletté: “E’ tardi! I miei compagni si sono recati in palestra per partecipare alla lezione di ginnastica della prima ora”.
Poiché la palestra si trovava all’esterno dell’’edificio scolastico, ma poco distante, per poterla raggiungere bisognava attraversare la strada e girare l’angolo a sinistra.
Davanti alla porta della palestra ecco lo stupore e l’incredulità: era serrata da un energico chiavistello. Laura, agitata, quasi spaventata, era disorientata.
Un acceso rossore le infiammava le guance.
Il lungo cappotto verde muschio, la sciarpa di lana bianca attorno al collo, il cappello a passamontagna, i guanti rossi e gli stivali felpati e bordati di pelliccia di lapin le davano l’aspetto di uno strano babbo natale. Lo zaino, pieno di libri, legato dietro alle spalle, faceva avvertire tutto il suo pesante carico.  Portava con sé il responsabile e piacevole lavoro dello studio di tanti giorni.
Ritornò indietro per chiedere di nuovo l’ora all’orologio della piazza. Le sue lancette avevano descritto un piccolo angolo e si erano spostate di pochi minuti. E’ tardi? Chiese ad alta voce a se stessa.
Non le era mai capitato di arrivare in ritardo a scuola! Sempre così diligente!
Tanti pensieri le affollavano la mente. Pensava: avrebbe perso la lezione di educazione fisica!  Alta, atletica, partecipava alla lezione con entusiasmo.
Era l’alunna preferita dell’insegnante, una donna anziana, prossima alla pensione, grassa, goffa nei suoi movimenti.
Laura, in sua vece, illustrava alle compagne gli esercizi ginnici. I maschi facevano la lezione di ginnastica in un’altra palestra con un altro professore.
Già pensava di giustificare l’assenza della prima ora, per entrare la seconda ora. Non poteva perdere le altre lezioni: di matematica, d’italiano, di latino, alle quali teneva tanto. Lo studio della storia, invece, non le era particolarmente gradito.
Il suo papà si era già recato al lavoro e la sua mamma non poteva uscire di mattina, così all’improvviso.
Si era rassegnata, a malincuore, a tornare a casa e a privarsi di quella giornata di scuola.
A quei tempi i professori erano molto severi sulla disciplina!  I maschi facilmente marinavano la scuola ed erano rigorosamente puniti, mentre le ragazzine, in genere, la frequentavano con più assiduità.
Contrariata, ritornò a casa. Controllò ripetutamente l’orologio della cucina, interpellò l’orologio a pendolo nella stanza buona, esaminò attentamente le lancette della piccola sveglia posta sul suo comodino.
Non credeva ai suoi stessi occhi.
Tutti gli orologi segnavano, più o meno, la stessa ora. Le ore 8,15 del mattino erano passate da poco. Era in perfetto orario per recarsi nell’ aula scolastica.
L’orologio della piazza, forse proprio per la sua lunga esperienza, si era fatto un’opinione personale del tempo; andava avanti o restava indietro con una disinvoltura volubile e impressionante.
Laura non possedeva il personale orologio da polso; lo ricevette in regalo dalla prof.ssa Rosalia Cuva, la madrina, quando accolse il sacramento della cresima. Allora non esistevano i telefonini con l’orologio inserito!
In pratica l’orologio della piazza si fermò.
Proprio così!
Dopo qualche secolo di scrupoloso servizio, l’orologio si fermò perché si era guastato.
Era così vecchio! Che brutto scherzo subìto da Laura!
Forse sarebbe stato impossibile ripararlo, forse sarebbe rimasto muto per parecchio tempo o avrebbe taciuto per sempre.
Laura si sentì invadere da una piacevole speranza: almeno non l’avrebbe ingannata più con i suoi battiti impazziti che misuravano erroneamente il tempo.
Due orologiai, saliti sul campanile, cominciarono a frugare pazientemente nelle sue viscere per restituirgli la voce regolare, autorevole.
Dalla mostra ingiallita toglievano le lancette; evidentemente l’orologio non voleva più fare girare quelle braccia pesanti perché si era accorto di quanto fosse inutile l’additare costantemente dei segni che non si vedono: i segni del tempo che passa.
Lo ripararono in breve tempo.
Per qualche giorno l’orologio riprese docilmente il suo preciso servizio sonoro. Parve un sollievo per tutti coloro ai quali l’orologio della piazza evoca uno scenario di suggestioni e di emozioni uniche e gli affidano le loro monotone attività giornaliere.
I suoi nitidi rintocchi si risentirono nell’aria serena portando a domicilio i quarti, le mezze, i tre quarti e le ore intere attraverso porte, finestre, balconi.
Sembrava che tutte le case si aprissero per mostrare la vita familiare che si svolgeva nel loro interno: le massaie affaccendate intorno al fuoco, gli allegri bambini che rincorrevano il gatto, le tavole imbandite con la tovaglia a quadretti colorati e la zuppiera fumante, la televisione che parlava da sola e nessuno l’ascoltava.
Le vicine di casa, chiamandosi dalle finestre e dai balconi, diffondevano la buona notizia: l’orologio della piazza aveva ripreso a funzionare! E’ già mezzogiorno? Che cosa preparo per il pranzo? I bambini stanno già per uscire dalla scuola?
Come passa il tempo! Avrei ancora tante cose da fare! Mi devo sbrigare! Dove arrivo metto il punto! Così commentavano tra loro le comari.
Quel misurare il tempo, quarto d’ora per quarto d’ora, aveva sempre dato a Laura in indefinibile fastidio. Contando ogni attimo di tempo, era come sbriciolare l’esistenza, ricordare che era stata spesa inesorabilmente una parte della vita che non sarà mai più recuperata.
Di notte i battiti dell’orologio giungevano fin nella sua cameretta rompendo la tranquilla atmosfera e il sonno.

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L’insonnia sopraggiungeva inevitabilmente rendendola irascibile e scontrosa. Anche il signor Luigi, della porta accanto, gravemente malato, si lamentava perché i rintocchi dell’orologio disturbavano quel raro momento di riposo.

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La nuova crisi dell’orologio si rivelò all’improvviso dopo poco tempo.
Nel buio della notte Laura distinse lo squillo di un limpido quarto d’ora emesso dall’orologio con tono signorile.  Quarto di che cosa?
L’altro tono baritonale era mancato; non aveva udito l’ora. Rimase in ascolto.
Dopo un tempo impreciso, probabilmente dopo qualche altro quarto d’ora, ecco due tocchi isolati, liberi, indipendenti. Con quel suono innocente segnava sempre il primo quarto. L’orologio aveva perduto le ore.
Continuò a librare i suoi quarti d’ora senza alcun riferimento.
Gli orologiai ritornarono ancora una volta sul campanile, si impegnarono nel lavoro di ripristino. Cercavano di riuscire a ricondurre l’orologio sulla via del dovere, ma inutilmente. Un nuovo guasto sopraggiungeva inevitabilmente.
A Laura il resistere dell’orologio per tanti anni a misurare il tempo con meticolosa monotonia sembrava una ponderata fissazione quindi pensò: “L’orologio del campanile della piazza si è stancato. Deve andare a riposo.
Invece no!
Adeguatamente curato, l’orologio riacquistò una nuova giovinezza.
La voce, nei suoi toni, riprese a farsi ascoltare con il vigore dei primi giorni.
Al suo posto, sul campanile della chiesa, l’orologio, senza più fermarsi, scandiva il tempo, che ostinato, procede sempre inesorabilmente.
Laura avrebbe voluto che il tempo frenasse la sua corsa, almeno per permetterle di completare gli impegni di studio e di lavoro nei tempi necessari, invece esso corre veloce più del vento.
Dopo la chiusura della scuola, Laura, da ragazzina, assieme alla famiglia, usava trascorrere le vacanze estive in collina ritornando in paese, per abitudine, il 23 settembre, proprio il giorno dell’equinozio d’autunno.
Là, a diretto contatto con la Natura, Laura rispondeva positivamente alle forti emozioni ricevute. Le ore trascorrevano felici e l’orologio, ladro e inflessibile tiranno del tempo, era molto lontano dai suoi sogni e dai suoi passatempi. In campagna, finalmente i rintocchi dell’orologio del campanile della chiesa, che scandisce minutamente il tempo, non la raggiungevano.
Fuori, all’aria aperta, i giorni le sembravano più lunghi e più interessanti, non cronometrati dalla voce dell’orologio della piazza.
Sognava di essere libera da qualsiasi orario in un mondo non intrappolato nell’insulsa punteggiatura dei minuti, staccato dalla misura ossessionante di ogni atto, pensiero, palpito. La misura è essere se stessi; unico pendolo è il cuore.
Vivere in campagna, per Laura, significava alzarsi al primo sorriso del sole, respirare l’aria pulita, andare a dormire con le galline.

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Amava percorrere spazi liberi, fare lunghe passeggiate a piedi e in bicicletta, sola o in compagnia di Shiver “Brivido”, il suo affezionatissimo cane, un pastore tedesco di taglia media, col corpo lievemente allungato, muscoloso e ricoperto dal mantello color miele.
Era forte, robusto, vivace, coraggioso, fedele. La testa allungata, il muso cuneiforme, le orecchie appuntite, erette e gli occhi a mandorla, leggermente obliqui gli davano un simpatico aspetto. Gli arti, diritti e paralleli, gli permettevano un incedere fluido, veloce e scorrevole.
Teneva la coda leggermente piegata ad arco. Invece la sollevava quando, giocando, diventava esuberante, quasi aggressivo. La sua indiscutibile forza, l’innata intelligenza, la bellezza, l’armonia, la nobiltà d’animo, il carattere leale lo rendevano un cane speciale, gradito alla sua padroncina, non per opportunità, ma solo per amore. Docile di carattere, ubbidiva ai comandi di Laura che gli aveva insegnato a camminare su due zampe, a riportarle il sasso lanciato lontano, a cercare un foglio di carta nascosto nel muro di cinta, a tenere la palla sul muso; però incuteva paura quando si arrabbiava.
Sempre vigile, era un attento guardiano e un bravo difensore se si convinceva che Laura poteva correre qualche pericolo.
L’aspettava, se si fermava a parlare con i contadini che lavoravano la terra sotto il sole caldo dell’estate e mietevano a giugno le bionde spighe del grano maturo.
Quando il papà di Laura lo legava con la catena, per motivi di sicurezza alla presenza di altri bambini, lei lo chiamava: “Shiver”.
Rispondeva con un guaito lungo, lamentoso, sempre lo stesso. Laura capiva. Era una richiesta di coccole per essere liberato dalla prigionia della catena.
Se invece era slegato e si allontanava, appena si sentiva chiamare, abbaiava graziosamente e, saltellando, le andava incontro, le si prostrava davanti con la pancia in sù in segno di sottomissione.
Shiver le faceva sempre da battistrada anche durante le sue escursioni per la collina a cavallo di Gemma, la giovane giumenta che suo papà le aveva regalato realizzando il desiderio di possedere un cavallo tutto suo. Spingeva a camminare anche il giovane puledro lento nei movimenti.
Gemma era bella, bianca, con la criniera intrecciata e con la lunga coda sempre in movimento.

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Elegantemente sorretta dall’alto schienale della sella di cuoio rossiccio, su cui saliva aiutata dagli speroni, e con le redini in mano, Laura, come una esperta amazzone, cavalcava per i sentieri della contrada Cecè fermandosi, di tanto in tanto, all’abbeveratoio per rinfrescarsi e per far bere i suoi compagni di viaggio.
Laura, innamorata della Natura, era un’attenta osservatrice del mondo animale, vegetale e minerale e ne ammirava tutte le sue forme.
Rispettava gli alberi, i cespugli, gli animali e tutte le cose vive alle quali dava un’anima.
Dimenticando il tempo che passava, tante volte faceva ritorno nella fattoria all’imbrunire. Una volta era così concentrata a osservare una montagna di bisce, tranquillamente riparate dal muro nell’orto, che non si rese conto che l’orario del rientro era abbondantemente trascorso. Stava per scendere già la sera e il sole era quasi tramontato, ma, per Laura, l’aria si era offuscata perché si avvicinava la pioggia, non perché la giornata era terminata.
Come erano spensierati e allegri i giorni trascorsi in campagna!
Laura inventava i suoi giochi con la partecipazione degli animali della fattoria. Nel pollaio i coccodè delle galline si spandevano per l’aria come inafferrabili voci d’infinito. Erano un richiamo irresistibile per Laura che voleva scherzare con loro. Il gallo, il re del pollaio, aveva stabilito una linea di confine invalicabile per la difesa del suo territorio. Il battagliero gallo e Laura si venivano incontro l’un l’altra fermandosi al limite dello spiazzo fissato, poi ciascuno dei due tornava indietro. Un pomeriggio Laura, imprudente, si spinse oltre, il gallo la raggiunse, le beccò la coscia in tre punti.
Laura esibisce ancora le cicatrici di quel doloroso incontro e conserva il ricordo del gallo intrigante, con la cresta paonazza e con le ali svolazzanti.
Era importante il tempo? Era necessario guardare l’orologio?
Spesso Laura si arrampicava sul platano, che faceva la grazia di un filo d’ombra, lo abbracciava con trasporto e, col volto al sole, faceva la lucertola dimenticandosi di tutto.

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Amava il vecchio platano come si amano le persone care, lo conosceva bene, da sempre. A marzo ammirava le sue piccole gemme strette ai ramoscelli, ad aprile le foglioline schiuse a calice sulla base e che presto diventavano grandi a forma di mani eleganti, le raggiere dei fiori, i penduli frutti a palline.

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Il robusto platano voleva  bene agli uccellini, li accoglieva sempre a braccia aperte, era una casa ospitale dove potevano sostare a piacere.
Gli uccellini che fretta hanno? Passa l’inverno, arriva la primavera, il tempo dei nuovi amori.
Altre volte se ne stava con gli occhi abbassati ad ascoltare il respiro della Natura, il canto dell’uccellino, il cri cri del grillo, il frinire della cicala solitaria, il gracidare delle rane attorno alla fontana.

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Oppure in piedi, sostenuta dai levigati e lisci scogli,  le piaceva ascoltare la voce del fiume Romei attraverso il rumore  dell’acqua che continua a scorrere nel suo letto.

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Nelle fredde sere d’inverno, invece, Laura, seduta accanto al camino di casa, spesso distraeva il suo pensiero concentrando lo sguardo sulle braci ardenti: quattro braci fra la cenere, quattro piccole stelle rosse che mandavano sempre meno bagliori, come gli occhi quando il sonno li vela, o come le stelle quando l’alba le spegne. Immersa in una realtà senza tempo, dove proprio il tempo non ha nessuna importanza, sentiva il battito del proprio cuore. L’orologio, in quei momenti, era inutile.

Laura, allora, non si faceva rincorrere dal tempo. Con la maturità, con le tante responsabilità della vita che cambia, invece, necessariamente si è dovuta abituare a non sprecare nessun attimo, anzi ad essere in lotta col tempo.
La libertà, la spensieratezza, la fanciullezza sono ricordi ormai lontani, ma vivi e indelebili nella memoria di Laura che ha vissuto una vita intensa, sempre in crescita, come somma algebrica, positiva e negativa, di tutto: di bellezza interiore ed esteriore, di intelligenza, di esperienza, di competenza, di profondità, di capacità, di pazienza, di pienezza.

Pur vivendo lontana dal suo paese, spesso risente evocare nella mente la voce dell’orologio della piazza.
E’ sempre un’amena e piacevole musica che la riporta indietro negli anni.
E’ come se bloccasse il tempo al periodo della sua gioventù.
Tempo:
In un fiocco di neve che si scioglie nel palmo della mano,
nell’ultima goccia della stalattite di ghiaccio,
nel battito d’ali di una farfalla posata sull’erba appena tagliata,
in una foglia autunnale che volteggia verso la terra fredda
inesorabile te ne vai.

Nel sole tiepido che sorge tra le bianche vette,
nel ruscello che scorre verso il grande oceano,
nel canto delle cicale tra le spighe del grano,
nei variopinti colori di un bosco autunnale
c’illudi di tornare
”.
Lo afferma l’amica Armida Bormetti nella sua poesia: “Tempo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Jan 14, 2021 - Senza categoria    Comments Off on LE PIANTE DI CORTADELIA SELLOANA CHE ABBELLISCONO LA VILLA “REGINA ELENA” DI LICATA

LE PIANTE DI CORTADELIA SELLOANA CHE ABBELLISCONO LA VILLA “REGINA ELENA” DI LICATA

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Esistono in Natura diverse piante da giardino che, grazie al loro aspetto, danno una visione esotica allo spazio verde in cui vegetano.
Un chiaro esempio è sicuramente la Cortaderia selloana, una pianta ornamentale conosciuta anche con il sinonimo di “Erba delle Pampas” o “Gynerium”.

                                        CLICCA QUI

Nella villa comunale “Regina Elena” di Licata sono presenti due bellissimi esemplari di Cortaderia selloana che adornano la piazzetta “8 Marzo” e il viale “Clotilde Terranova”.

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La Cortaderia selloana è una pianta erbacea perenne, appartenente alla famiglia delle Graminaceae, originaria dell’America meridionale, in particolare delle Pampas Argentine.
E’ una pianta a portamento arbustivo compatto e dalla crescita veloce che, negli esemplari adulti e ben radicati, può raggiungere l’altezza di 2 – 3 metri e di 1,5 metri di diametro.

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Possiede una radice bulbosa dalla quale si originano le numerose foglie, lunghe fino a 2,5 metri, persistenti, nastriformi, lanceolate, ricadenti, di colore grigio-verde, disposte a rosetta lungo gli steli e dai margini lisci e taglienti.

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Dal fitto cespuglio di foglie spuntano gli steli erbacei, tubolari, eretti, terminanti con particolari e decorative infiorescenze a pannocchie di fiori piumosi di colore bianco – argenteo che persistono sugli steli per lungo tempo, fino alla primavera successiva.

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La Cortadeira selloana fiorisce da settembre a novembre. Le fioriture sono più precoci dove il clima mite.
La moltiplicazione avviene per divisione dei cespi.  I periodi migliori per eseguire questa operazione sono la primavera e l’autunno.
Con un coltello, ben disinfettato e affilato, si dividono i polloni basali con porzioni di radici ben sviluppate che si mettono a radicare in un miscuglio di torba e di sabbia fino ad avvenuto attecchimento.
La Cortaderia selloana è una pianta coltivata nei giardini per l’aspetto molto decorativo delle sue infiorescenze piumose.
Particolarmente adatta per abbellire le aiuole, può essere messa a dimora da sola o in gruppi per formare siepi.
Poichè la pianta tende a espandersi in larghezza, al momento della messa a dimora di più piante, è opportuno impiantarle a circa un metro di distanza l’una dall’altra.
La Cortaderia selloana è una pianta rustica, resistente, che necessita di poche cure, pertanto è di facile coltivazione.
Per un corretto sviluppo della pianta occorre, comunque, dedicare  ad essa alcune attenzioni.

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Bisogna proteggerla dai vari agenti atmosferici in quanto è molto resistente al freddo invernale, ma teme moltissimo l’umidità dell’ambiente. Sopporta il caldo e brevi periodi di siccità e non teme la salsedine e i venti salmastri.
Gradisce essere posta su un terreno soffice e fertile, permeabile e ben drenato, senza ristagni idrici, esposta al sole, ma si adegua con facilità se esposta a mezz’ombra.
Poiché tende a svilupparsi in fretta, è necessario che abbia abbastanza spazio per crescere, senza essere invadente per le altre piante.
Le annaffiature devono essere costanti in estate e durante i periodi di prolungata siccità in modo da mantenere il terreno sempre umido e sospenderle in inverno.
Affinché cresca rigogliosa, è opportuno praticare una concimazione periodica, in primavera e in autunno, con dei fertilizzanti per piante a base di azoto e di potassio.
L’imponente e veloce crescita della pianta obbliga il giardiniere ad adottare interventi di potatura per frenare le sue dimensioni, potatura che la Cortaderia selloana tollera bene.
Quando la pianta sfiorisce, i pennacchi sfioriti vanno tolti. Alla fine inverno o all’inizio della primavera bisogna togliere anche le foglie secche e danneggiate recidendole alla base per favorire l’emissione di quelle nuove.
Le parti prelevate durante la potatura possono essere utilizzate per formare nuove piante.
E’ opportuno proteggere le mani con i guanti considerato il fatto che i margini delle foglie sono taglienti.
Anche se raramente, la Cortaderia selloana teme l’attacco degli afidi e lo sviluppo di malattie fungine, spesso favorite dal clima fresco e umido. Bisogna intervenire con trattamenti preventivi usando materiali antifungini e antiparassitari ad ampio spettro.
A parte la sua bellezza ornamentale, la Cortaderia selloana non ha usi specifici.
Non è una pianta tossica per l’uomo e per gli animali domestici, quali i cani e i gatti.
Le spighe recise ed essiccate sono utilizzate per la realizzazione di confezioni floreali.

Jan 2, 2021 - Senza categoria    Comments Off on L’AEONIUM ARBOREUM, LA BELLISSIMA PIANTA DAI FIORI GIALLI FOTOGRAFATA A LICATA

L’AEONIUM ARBOREUM, LA BELLISSIMA PIANTA DAI FIORI GIALLI FOTOGRAFATA A LICATA

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Ho fotografato questa bellissima pianta davanti al cancello di un villino nei pressi della spiaggia di Mollarella a Licata.
Il piacere di fotografarla è stato così grande da non farmi desistere neanche dall’abbaiare dei cani a guardia dei tanti villini.

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E’ L’AEONIUM  ARBOREUM!

Etimologicamente il nome del genere “Aeonium” deriva dal greco “αίώνιος” “perpetuo, eterno” in riferimento alla sua resistenza e alla sua affinità col genere Sempervivum.
Il nome della specie “arboreum” deriva dal latino “arboreum” “arboreo” per la forma dell’infiorescenza ad alberello.

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Il genere Aeonium comprende circa trenta specie di piante succulente, semirustiche, appartenenti alla famiglia delle Crassulacae.
Con il nome di Aeonium sono indicate differenti piante che possono anche non assomigliarsi molto. I caratteri che le accomunano sono: i fusti, rigidi, sottili, completamente spogli e di colore marrone, e una rosetta che spunta in cima.
Il colore del fiore può essere: giallo dorato, il più frequente, ma anche il bianco, il rosa, il rosso in varie sfumature. Questi colori sono più rari.
Le foglie possono essere scure, rosse, marrone, nere, striate.
Alcune specie: L’Aeonium decorum  che ha le foglie che al sole assumono un colore bronzeo e i fiori bianchi con striature rosee.
L’Aeonium haworthii che  ha le foglie verdi, che assumono una colorazione rossastra alla cima, e i fiori di colore  giallo chiaro.
L’Aeonium tabulaeforme che ha le foglie che si incastrano le une alle altre e i fiori gialli.
Le piante del genere Aeonium, originarie delle Isole Canarie, di Capo Verde e di Madeira, con qualche specie proveniente dall’Africa settentrionale, si sono naturalizzate in molte parti dell’Italia diffondendosi in tutti quei paesi che si affacciano sul mar Mediterraneo dove alcune specie, come l’Aeonium arboreum, sono diventate comunissime anche allo stato spontaneo.
Sono piante abituate a vegetare in un clima mediterraneo, pertanto il loro habitat di provenienza è quello marino.
L’Aeonium arboreum è una piccola pianta grassa, succulenta, di forma simile a un piccolo arbusto alto da 50 cm a oltre 2 metri.
La pianta si lega al suolo mediante le radici molto estese e abbastanza superficiali.
Accade spesso che piante molto grandi, con il passare del tempo, “cadano” estirpando il piccolo apparato radicale.
Dalle radici si sollevano i sottili fusti carnosi, rigidi, spesso ben ramificati, a portamento eretto e ramificato, simile a un piccolo albero.

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Alla fine degli steli vi sono le rosette composte dalle foglie larghe, di colore verde chiaro, carnose, lanceolate, terminanti a punta e con il bordo leggermente irregolare. Le foglie tendono a richiudersi in una fitta palla se il clima è molto freddo e umido, tendono ad aprirsi e a divenire quasi arcuate se il clima è molto caldo e asciutto.

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Dal centro della rosetta si sviluppa un sottile stelo che porta in cima un’ampia infiorescenza a ciuffo piramidale, a racemo, alta sino a 20 cm, costituita da moltissimi fiorellini di colore giallo oro.

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La fioritura, un evento eccezionale, gradevole, inizia in autunno e si protrae fino alla primavera inoltrata.

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Dopo l’impollinazione, spuntano i semi fertili che germinano con facilità. Quando essi sono maturi, la rosetta alla base comincia a perdere vitalità e ad appassire propagandosi, però, lateralmente.
La pianta si moltiplica, oltre che per disseminazione dei semi, per mezzo della talea da operare preferibilmente in primavera.
La talea radica con grande facilità. La talea si ottiene tagliando un singolo stelo con l’aiuto di un coltello da innesto ben affilato, pulito e disinfettato. Quindi si ripone in un luogo fresco e ombreggiato e si attendono almeno 12 ore per permettere alla base della talea di asciugarsi bene. S’interra in un composto molto ben drenato e leggermente umido. Nell’arco di alcuni giorni la talea produrrà un nuovo apparato radicale crescendo bene e formando piante folte e vigorose.
L’Aeonium arboreum è una pianta molto semplice da coltivare e necessita di pochissima manutenzione.
Si può coltivare in piena terra e in vaso per abbellire il giardino roccioso o il balcone.

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E’ apprezzata per le belle rosette concentriche di foglie e per i fiori.

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Questa pianta è particolarmente amante delle posizioni ben luminose, soleggiate e arieggiate. Il sole diretto favorisce la colorazione delle foglie. Ama le alte temperature, da 18 a 25°C, ma resiste bene anche a brevi periodi di freddo, purché non scende sotto i 4 °C.
Necessita di un terreno povero, moderatamente drenante, composto di terra concimata e di sabbia. Le annaffiature devono essere regolari e solo quando il terreno si presenta asciutto, anche se la pianta sopporta bene la siccità.
Come molte succulente, l’Aeonium arboreum è resistente a molti parassiti e a crittogame. L’unico vero nemico è il marciume radicale o del colletto, che può essere prevenuto con il giusto substrato e regolando le irrigazioni. La pianta segnala le affezioni con l’ingiallimento diffuso e con una consistenza più molle delle foglie.Il parassita più frequente è la cocciniglia farinosa che può essere rimossa manualmente o con l’uso di insetticidi sistemici.La pianta di Aeonium arboreum collocata all’esterno è molto appetibile per le lumache che si possono allontanare usando apposite trappole o granuli.

 

 

Dec 26, 2020 - Senza categoria    Comments Off on “ASPITTANNU U CAPUDANNU” LA LIRICA DELLA POETESSA LICATESE ROSARIA INES RICCOBENE

“ASPITTANNU U CAPUDANNU” LA LIRICA DELLA POETESSA LICATESE ROSARIA INES RICCOBENE

“ASPITTANNU U CAPUDANNU” è la lirica della poetessa licatese Rosaria Ines Riccobene

Tratta dal suo libro “ Luci ombre voci e silenzi”

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ASPITTANNU U CAPUDANNU

Aspittannu u Capudannu passa tuttu l’annu.

Minuti supra minuti uri appressu a uri

jorna doppu jorna e botti di simanati sani

comu diciano i nostri paisani – parlannu sicilianu –

che è u nostru dualettu isulanu.

Misi doppu misi,dudici ppessiri cchiù pricisi

passa n’autru annu e ni trasa unu picciliddru

ca sempri si spera sia megliu di chiddru.

Quanti sonna ad occhi aperti e ad occhi chiusi.

Quanti prumisi e quanti prieri si fannu,

puru giaculatori e quanti scungiuri ci sunnu.

E nill’aria casteddi si costruisciunu

mentri i pinzera crisciunu.

Stasciuni doppu stasciuni: caudu, friddu,

simini sciura,frutti, travagliu e sudura.

Furmini du celu caduti ca mancu t’aspetti

E vudeddri sturciuti e un sa cchi fari

unni ta riparari e ti metti ad aspittari

tempi cchiu megliu c’hanno a viniri.

Speri ca i guai hannu a passari, ca quetu a stari

e ca u suli ppi tutti ava a spuntari.

Ma a vita accussì è cuminata:gioi guai spiranzi

attesi dilusioni, festi e festini e puru morti e funirali.

Signuri miei ci sunni chiddri ca ci hannu a campari

e tutti sti cosi  intra a na grossa pignata hannu a stari

e accussì sunnu, accussì hannu a giri

u munnu ava a firriari, ppi tutti ava a girare.

Ogni annu è a solita minestra

anchi se all’urtimu dill’annu

si iettinu cosi vecchi da finestra

-si tenunu luntanu guai e malanni si dica-

ma poi tutti i cosi l’ominu unni ficia.

E ora aspittannu u novu annu un brindisi

ccu tutti vogliu fari  spirannu  – comu sempri –

ca u 2013 sulu cosi boni ava a purtari.

 

 

 

 

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