Dec 1, 2021 - Senza categoria    Comments Off on IL PINUS HALEPENSIS NELLA MIA CAMPAGNA IN CONTRADA MONTESOLE A LICATA

IL PINUS HALEPENSIS NELLA MIA CAMPAGNA IN CONTRADA MONTESOLE A LICATA

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L’altra specie di Pino presente nella mia campagna, in contrada Montesole, a Licata, è il Pinus halepensis, più comunemente noto come “Pino d’Aleppo”.

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Etimologicamente il termine del genere “Pinus” deriva dal nome latino del Pino, connesso con il sanscrito “pítu resinoso”.
Il nome della specie “halepensis” deriva da “Aleppo”, l’attuale città di Haleb nella Siria settentrionale.
L’areale del Pino d’Aleppo, cioè l’area geografica entro i cui confini questa specie può essere osservata, comprende le regioni del Mar Mediterraneo e del Mar Nero, ove colonizza preferibilmente i settori prospicienti la costa, quindi anche quella licatese.
In natura, il Pino d’Aleppo occupa l’areale più meridionale dei tre pini mediterranei, ma si spinge a Nord fino alla zona meridionale della Francia, in Croazia e nelle regioni costiere del Montenegro e dell’Albania. È particolarmente presente in Spagna e in Grecia.
Vegeta anche in Marocco, in Libia e nei Paesi del Vicino Oriente, come la Siria, da cui origina il nome “Aleppo”, in Giordania e in Israele. È coltivato anche in California.
In Italia è presente in natura nel Parco nazionale del Gargano, nelle zone costiere del Centro-Sud, in alcune aree costiere della Liguria, sulla costiera triestina, all’interno nella bassa valle del fiume Nera, nelle Marche.
E’ presente nella zona Nord-occidentale della Sardegna.
In Sicilia, nella riserva naturale orientata dello Zingaro, e a Palermo, sul monte Pellegrino, e A Catania, sull’Etna sono state realizzate importanti piantagioni di Pino d’Aleppo. Nella mia campagna ci sono tanti alberi di Pino d’Aleppo che, agendo da frangivento, proteggono le altre piante più delicate. È coltivato anche in molte altre zone, soprattutto costiere.

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Fra le piante della macchia mediterranea il Pino d’Aleppo è la specie più resistente all’aridità e al vento e mostra il più alto grado di termofilia fra tutte le specie di Pinus della nostra flora. Assieme alle associazioni di Lentisco, di Carrubo, d’Olivo, di palma nana, di ginestra, di Rosmarino, tutte piante presenti nella mai campagna di Licata, il Pino d’Aleppo forma delle belle associazioni floreali.
Il Pinus halepensis è una conifera sempreverde appartenente alla famiglia delle Pinaceae.
Presenta un portamento ramificato fin dalla parte bassa e un accrescimento rapido soprattutto in gioventù.

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Per la sua longevità potrebbe vivere anche 250 anni. Il mio albero ha un aspetto non molto slanciato, alto 15 metri circa, una chioma leggera, spesso irregolare, facilmente riconoscibile per la sua forma globosa.

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Ha il fusto tortuoso, talora ramificato a breve altezza. I forti venti in parte sono responsabili del suo non elegante portamento.
La corteccia, che riveste il tronco, è screpolata profondamente e contiene una sostanza tannica usata per la concia delle reti da pesca.

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I rami sono grossi e inseriti a verticilli. I rametti glabri sono di colore verde tendente al grigio.
Le foglie sono gli aghi, riuniti a due a due, sottili, rigidi e molli, lunghi circa 8 cm, di colore verde chiaro, addensati all’estremità dei rametti.

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Sui rami si trovano i fiori, che in botanica sono chiamati “sporofilli”.
I fiori femminili sono i macrosporofilli di colore rosso-violacei e grandi 1 cm circa, solitari o a gruppetti di 2-3.
I fiori maschili, i microsporofilli, sono costituiti da piccoli coni ovoidali di colore giallo e riuniti a spiga.

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La fioritura avviene nei mesi da marzo a maggio.Le pigne sono indicate scientificamente come “strobili”.
Le pigne femminili e le pigne maschili sono distinte e prodotte dalla stessa pianta.
In quelle femminili si trovano i semi, mentre quelle maschili liberano il polline. Le pigne, ovali, portate da alberi di almeno 10 anni d’età, maturano dopo due o tre anni.
Gli strobili, numerosi, disordinati, conici, rossicci, solitari, spesso appaiati, sono di colore verde in età giovanile e diventano di colore marrone dopo due anni. Contengono i semi piccoli, alati, lunghi 5-6 mm. Gli strobili si aprono con lentezza, di solito nel corso di qualche anno. 
Alcuni cadono spontaneamente, altri rimangono attaccati ai rami anche dopo l’emissione dei semi.

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La riproduzione avviene per seme alla fine dell’inverno o all’inizio della primavera. Le squame, schiudendosi al calore del sole, con il loro crepitio, interrompono la silenziosa monotonia del luogo.
Il Pinus halepensis è un albero ornamentale ampiamente coltivato nei giardini pubblici e privati e nei parchi per la sua rapida crescita e per le qualità estetiche molto apprezzate. Vegeta bene a un’altitudine compresa tra i 200 e i 60 metri s.l.m.
Comunque l’altitudine non deve superare i 600 metri per quanto riguarda le regioni meridionali e centro-meridionali della nostra penisola.
In altre regioni può vivere anche ad altitudini maggiori. In Marocco, ad esempio, riesce a vegetare anche a 2.000 metri.
Il Pinus halepensis, per la sua coltivazione, non necessita di particolari attenzioni. Cresce bene su terreni acidi, rocciosi, anche argillosi, ma sopporta anche quelli più aridi e poveri rendendo più solidi i terreni scoscesi e i pendii naturali.  Ama una regolare esposizione alla luce del sole. Resiste molto bene alle alte temperature, caratteristica del clima temperato-caldo del Mediterraneo, dove gli inverni non sono troppo freddi. Non è coltivabile nelle zone in cui le temperature invernali scendono al di sotto dei 3-5 °C.
Per quanto riguarda l’apporto d’acqua il Pino d’Aleppo è estremamente resistente alla siccità grazie alle sue profonde radici che scavano in profondità nel terreno, ove l’umidità del suolo è più elevata. Si adatta ai forti venti in parte responsabili del suo aspetto disordinato e portando i semi a distanze notevoli.
Il Pino d’Aleppo è una pianta forestale impiegata soprattutto a scopo ornamentale.
Nei luoghi di origine è ampiamente coltivato per il suo legno, ricco di resina che cola facilmente quando si recide qualche ramo, che lo rende uno degli alberi forestali più importanti in Algeria e in Marocco.
Il legno del Pino d’Aleppo è pesante e duro, resinoso, e si usa nelle costruzioni navali e per fabbricare tavole grezze e imballaggi.
Nelle coste orientali del Mediterraneo è coltivato per la raccolta della resina commestibile impiegata nella conservazione alimentare.
In Grecia, è utilizzato per la produzione del “resina”, il vino greco “vino resinato”.
Dai pinoli del pino d’Aleppo viene fatto un budino chiamato in dialetto tunisino “asidet zgougou”; è servito in ciotole, ricoperto di panna, di mandorle e di piccole caramelle.
Con i pinoli, inoltre, si possono accompagnare ottimi piatti usati in cucina.
In Israele esistono molte pinete di pino d’Aleppo e sono utilizzate anche per scopi ricreativi. Il pino d’Aleppo è usato anche per i bonsai.

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Simbolo di speranza e di pietà, il Pino infonde allo stato d’animo serenità, forza e rassegnazione.
Essendo un albero sempreverde, è anche simbolo d’immortalità e di eternità. Oltre a questo importante significato, comune a tutte le conifere, questo albero simboleggia la felicità coniugale e la fertilità a causa degli aghi uniti a coppia e innestati su corti rametti denominati brachiblasti. Nella Grecia antica i Pini erano consacrati a Rea.
Le leggende greche descrivono i Pini come simbolo di albero sacrificale, ovvero, l’albero del supplizio iniziatico, alberi sacri anche a Dioniso e ad Attis.
Si narrava, infatti, che il Pino d’Aleppo prosperasse in presenza di terreni caldi, gli stessi che permettono alla vite una crescita lussureggiante.
La resina di questa pianta si pensava servisse proprio alla conservazione e al miglioramento del vino.
Da qui il collegamento tra la Vite e il Pino e tra il Pino e Dioniso.
La gradevole essenza, che sgorga dal tronco di questa pianta, è equiparabile al prodotto della Vite.
Molti sono i simboli riferiti a quest’ albero. In Giappone, infatti, per costruire templi e strumenti utili per le celebrazioni religiose si usava il legno di questo albero.
Tutto ciò avveniva soprattutto nei matrimoni, dove la coppia di sposi era invitata a bere una tazza di tè vicino a un albero di Pino.
In Cina quest’albero fa parte di un insieme di simboli il cui significato è legato alla longevità.
Diverse sono le malattie che attaccano il Pino d’Aleppo. Solo per citarne alcune.
Il cancro resinoso del Pino è una malattia fungina virulenta e incurabile causata dal fungo Gibberellacircinata.
Gli alberi infettati manifestano diversi sintomi: piccole aree di tessuto morto che si allargano lentamente, spesso per un periodo di anni, lo scolorimento dei rami, del tronco e delle radici esposte. Il fungo infetta i rami dalle punte verso il basso facendo diventare marroni gli aghi e creando un flusso di resina ambrata che scorre lungo il tronco. Il fungo fu scoperto in Italia nel 2005, in Puglia.
Aveva contagiato due giovani piante di Pinus halepensis e di Pinus pinea.
Il fungo si trasmette grazie alle spore trasportate dal vento o dagli insetti xilofagi, Curculionidi e Scolitidi. Questi ultimi causano ferite che facilitano la penetrazione del patogeno nei tessuti della pianta, dato che si cibano della corteccia, nelle pigne e dei ramoscelli degli alberi colpiti.
Evetria buolianao Rhyacionia buoliana è una farfalla la cui larva vive a spese dei pini risultando pericolosa in particolare sulle giovani piante.
Le larve, in primavera, nei mesi di Maggio-Giugno, danneggiano i giovani germogli che crescono disformi e disseccano.
Successivamente, nei mesi di Giugno-Luglio si formano gli adulti che depongono le uova da cui nascono, dopo circa una settimana, delle piccole larve. Queste iniziano a minare gli aghi provocandone il disseccamento. L’insetto sviluppa una sola generazione durante l’anno e sverna come larva. La lotta contro questo lepidottero deve essere effettuata alla comparsa delle giovani larve.
Un altro grave pericolo per i Pini è rappresentato dalla Diorychtria sylvestrella le cui larve penetrano attraverso i canali resiniferi ostruendoli. La Diorychtria sylvestrella è un lepidottero, della famiglia Pyralidae, comune in tutta Italia, che attacca diverse specie di Pino scavando delle gallerie nel legno.
La lotta è difficile perchè le larve vivono immerse nei tessuti corticali e nella resina emessa dalla pianta per cui sono difficilmente raggiungibili dagli insetticidi. Bisogna che intervengano gli Enti preposti alla salvaguardia delle piante e gli uomini del Corpo forestale.
Pericolosissima è la Thaumetopoea pityocampa, un dannoso lepidottero endemico parassita con ciclo biologico annuale. Esso svolge la sua azione tra la pianta e il terreno.
Le larve, nutrendosi voracemente degli aghi e degli apici vegetativi di diverse specie di Pino, causano la defogliazione della chioma dell’albero indebolendolo anche pesantemente. Di solito le larve sono attive solo la notte, mentre di giorno si trattengono al riparo nel nido. In primavera le larve sono molto voraci cibandosi degli aghi di Pino. Nelle stagioni più calde, quando la temperatura del nido supera i 9 °C, le larve escono a cibarsi anche in inverno.
Anche se la pianta reagisce, tuttavia riceve gravi danni alle foglie e ai germogli.
Durante la loro vita larvale le larve si rifugiano dentro bianchi nidi sericei che costruiscono sulle chiome dei Pini. Se la presenza dei loro nidi non è massiccia, la pianta si difende dal debole attacco con l’emissione di nuove foglie.

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Giunte a maturità le larve abbandonano definitivamente il nido e, scendendo lungo il tronco, giungono al suolo.
I gruppi di larve di processionaria si spostano in fila indiana, lunga anche diversi metri, formando una sorta di “processione“, da cui il nome “Processionaria”, fino a che non trovano un luogo ideale dove interrarsi fino a una profondità di 10–15 cm.

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Le larve, provenienti dallo stesso nido, formano delle crisalidi tutte insieme nel terreno racchiuse in bozzoli singoli fittamente vicini l’uno accanto all’altro. Una parte delle crisalidi può rimanere in pausa anche fino a 7 anni.
Nei mesi di luglio-agosto compaiono gli adulti.
Le femmine depongono sugli aghi dalle 100 alle 280 uova, in un’unica ovatura a forma di manicotto. Le larvette nascono alla fine dei mesi di agosto-settembre e iniziano ad alimentarsi subito sugli aghi causando solo danni modesti. La Processionaria causa danni anche all’uomo e agli animali domestici per l’effetto urticante delle larve primaverili.
Esse sono provviste di peli urticanti il cui prodotto, se inavvertitamente viene a contatto con la pelle, può provocare forti irritazioni alla cute, agli occhi e alle mucose delle vie respiratorie.
Tutti i miei pini, così grandi, così alti, sono ospitali nel dare accoglienza ai tanti nidi di tortorelle, di colombi, di passeri e di altri uccelli che proliferano in montagna perché trovano cibo abbondante, tranquillità, silenzio e pace.

 

 

 

 

Nov 23, 2021 - Senza categoria    Comments Off on IL PRUNUS PISSARDII DALLE FOGLIE ROSSE NELLA VILLA COMUNALE “G. GARIBALDI” DI MISTRETTA

IL PRUNUS PISSARDII DALLE FOGLIE ROSSE NELLA VILLA COMUNALE “G. GARIBALDI” DI MISTRETTA

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L’autunno ha percorso già la metà del suo cammino stagionale.
Molti alberi rimpiangono la bella estate ormai lontana con la caduta delle loro foglie.
L’alberello di Prunus cerasifera pissardii in questo periodo ha quasi perso la sua chioma rossiccia.
La poesia ”Tempo d’autunno”, tratta dal libro “Sintiti, Sintiti” , composta dal prof. Carmelo De Caro nel Settembre del 1962, induce il lettore a profonde riflessioni.

 

TEMPO D’ AUTUNNO

Tempo d’autunno,

di foglie gialle

Che, come ballerine,

volteggiano nell’aria,

animate dal fremito dolce

del vento della sera.

 

Vento d’autunno,

che corri per le vie

con ali di velluto,

baciando la sua pazza chioma bruna,

col tuo alito fresco di verde muschio

e di terra bagnata.

 

Pioggia d’autunno,

che cadi lentamente

 nell’arsa terra brulla,

che canti correndo giù, giù

per la grondaia, empiendo di suoni

 il pacato silenzio della notte.

 

Amore d’autunno,

che come viva fiamma

riscaldi i nostri cuori,

 riaccendendo l’essenza della vita,

tu, te ne andrai così,

come l’autunno.

 

 Al genere Prunus appartengono diverse specie di alberi e di arbusti presenti in tutto il pianeta e appartenenti alla famiglia delle Rosaceae.
I Prunus, per la maggior parte, sono originari dell’emisfero settentrionale, soprattutto dell’Asia, e introdotti in Europa in un tempo imprecisato, ma, secondo alcuni studiosi, già sin dall’epoca romana. Molte specie sono coltivate per i frutti dolci e succosi che si trovano nelle nostre tavole: ciliegie, pesche, albicocche, prugne, mandorle.
I Pruni ornamentali costituiscono, invece, un mondo quasi a sé stante e sono, generalmente, degli ibridi prodotti dall’Uomo. Coltivati nei giardini sono: il Prunus cerasifera Pissardii, e il Prunus cerasifera Pissardii nigra, dalle foglie quasi nere. Provengono dal Giappone dove il ciliegio da fiore è un vero e proprio simbolo nazionale.
Il Prunus cerasifera ‘Pissardii‘, presente nella villa comunale “G. Garibaldi” di Mistretta con due esemplari posti alle spalle del busto bronzeo del comm. Vincenzo Salamone, è una varietà di ciliegio ampiamente coltivata soprattutto nel verde pubblico, nei parchi e nei giardini dove forma macchie di colore e contrasti di tinte per il suo fogliame di colore rosso, per la spettacolare e prolungata fioritura incredibilmente abbondante, per i piccoli fiori di colore rosato, per la robustezza e per le poche cure di cui ha bisogno.
Il Prunus cerasifera pissardii è chiamato anche con altri sinonimi “Mirabolano,Ciliegio-susino,Padus Racemosa, Prunus myrobalana, Prunus divaricata”.
Il termine “Mirabolano” deriva dal greco antico “μυροβάλανον” composto da “μύρον“, “unguento” e da “βάλανος”,ghianda” per indicare i frutti succosi.

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 Il Prunus cerasifera pissardii è un alberello di piccola taglia dal portamento elegante. Il tronco snello, diritto poi sinuoso e nodoso, è presto ramificato e rivestito dalla corteccia di colore bruno-rossiccio, fessurata e squamata negli esemplari adulti. Le foglie, caduche, ovate o ellittiche, con apice affusolato e margine seghettato, danno alla chioma una forma tondeggiante. La pagina superiore è di colore rosso intenso, la pagina inferiore è più chiara e presenta alcuni peli lungo le nervature penninervie ben marcate. Nell’insieme, le foglie formano la chioma piuttosto globosa. Sono molto decorative per tutto il periodo vegetativo.

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In primavera la pianta produce un’eccezionale fioritura costituita da piccoli fiori ermafroditi, solitari o a mazzetti, a forma di coppa, molto numerosi, portati da un corto picciolo, con i petali della corolla di colore rosa pallido, che appiano abbondantemente sulle gemme da fiore inserite sul legno dell’anno precedente e prima delle foglie. È una delle prime specie, insieme al mandorlo, a fiorire dopo l’inverno, tra febbraio e marzo.

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L’impollinazione è entomofila, favorita dalle api e da altri insetti pronubi. I frutti, gli amoli, simili alle prugne, ma di dimensioni più piccole, sono delle drupe rotonde del diametro di 2-3 centimetri, di colore rosso cupo, commestibili e dal sapore acidulo.
Il seme è contenuto all’interno di un endocarpo legnoso, il nocciolo. La maturazione si completa a giugno. Per la riproduzione si possono seminare i noccioli in autunno per vederli germinare nella primavera seguente. Si ottengono risultati soddisfacenti anche interrando talee ricavate dal legno di 2 anni.

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Il Prunus issardii, pianta rustica, a crescita rapida, è facilmente coltivato isolato o a gruppi.
Necessita di un’esposizione diretta alla luce del sole anche per molte ore del giorno. Non temendo il freddo e l’inquinamento atmosferico, può essere posto a dimora in un qualsiasi giardino per tutto l’arco dell’anno.
Le annaffiature devono essere regolari e, per evitare che la pianta sia troppo esposta all’acqua delle piogge, è necessario scegliere un substrato ricco, profondo, leggermente calcareo, ben drenato, dove riesce a trovare gran parte dei nutrienti poiché le sue radici si diramano anche per decine di metri.
Con il passare degli anni, lo sviluppo di un cospicuo apparato radicale consente alla pianta di accontentarsi delle risorse del terreno senza la necessità di ulteriori annaffiature. In genere sopporta la siccità, anche se sarà necessario annaffiare in caso di aridità molto prolungata durante i mesi caldi. Durante i mesi autunnali è bene interrare alla base dell’albero una buona quantità di concime.
I giovani esemplari, da poco messi a dimora, necessitano di più cure rispetto agli esemplari adulti. Di solito, quando la pianta è giovane si pota poco, ma, man mano che invecchia, si deve intervenire in modo più accentuato per evitare che la vegetazione si diradi nelle parti basse dell’albero e si sposti verso le estremità dei rami.
Una potatura invernale danneggerebbe la fioritura. Solo dopo la fioritura si potrà ripulire la pianta dai rami rovinati o deboli, alleggerendo la chioma, con la tecnica “a tutta cima“, cioè accorciando il ramo sopra una ramificazione laterale rivolta verso l’esterno il cui apice vegetativo assumerà la funzione di cima.
Il legno fresco tagliato emana un buon profumo di mela. È possibile, invece, tagliare i rami in boccio o in fiore per adornare la casa: la raccolta dei rami fioriti può essere definita come una vera e sufficiente potatura.
Se il taglio è eseguito sui rami piccoli, la pianta non ne soffre. L’eventuale eliminazione dei rami secchi, invece, potrà essere eseguita in ogni periodo dell’anno. Interventi troppo energici provocano, però, una diminuzione della fioritura.
Il clima primaverile, con un elevato sbalzo termico tra le ore diurne e quelle notturne, e le piogge abbastanza frequenti, potrebbero favorire lo sviluppo di malattie fungine. Prima dell’arrivo dei mesi freddi è consigliabile effettuare un trattamento anticrittogamico ad ampio spettro. Le piante, che sono state colpite da ticchiolatura o da altre patologie fungine, vanno curate in maniera particolare avendo l’accortezza di raccogliere e distruggere col fuoco tutte le foglie malate. In primavera anche gli Afidi possono danneggiare la pianta.
I frutti del Prunus pissardii sono usati in cucinaper essere consumati crudi o lavorati in torte, in crostate, in marmellate. Non è prudente mangiare il seme se è troppo amaro; assunto in notevoli quantità, per il suo contenuto di acido cianidrico, potrebbe arrecare inconvenienti anche gravi.
Per uso farmaceutico l’estratto è utile a chi è affetto da turbe mentali. Il dott. Edward Bach così scrive: “ […] A chi ha paura di avere la mente sovraffaticata, di perdere la ragione, di compiere azioni terribili e spaventose, non volute, che si sanno essere sbagliate e non si vogliono fare, ma che tuttavia vengono alla mente, e che si ha l’impulso di fare  […]”.
Aiuta a riacquistare l’equilibrio psichico, ad accettare i lati negativi del proprio carattere senza permettere che prendano il sopravvento, a favorire l’inserimento nella società. Induce a riconoscere la ricchezza del proprio mondo interiore liberando le energie positive.
Anche l’Ayurveda indiana, il sistema medico che volge la sua attenzione sulla forza vitale, sugli elementi e sulle qualità della Natura, dal punto di visto terapeutico è ricorsa ai rimedi erboristici poiché la biochimica ha individuato nelle essenze esaminate la presenza di principi attivi che ne giustificano l’uso.
Lo Spinello, uno degli spagyrici speziali del tempo, nel “Theatro Spagyrico”, edito a Napoli nell’anno di grazia 1666, scrisse: “[…] Sono tutti i Mirabolanti, medicina benedetta; salvano e purgano il corpo dagli humori superflui e tristi; confortano il capo, il fegato, il cuore, lo stomaco e tutte le membra interne; risvegliano il sentimento e l’ingegno, rallegrano il cuore, chiarificano il sangue. Cacciano la melanconia e fanno buon colore, ma i citrini in specie purgano la colera, reprimono l’infiammo agli occhi, chiarificano la vista, asciugono le lacrime importune […]”.

 

Nov 14, 2021 - Senza categoria    Comments Off on IL PINUS PINEA NELLA MIA CAMPAGNA IN CONTRADA MONTESOLE A LICATA

IL PINUS PINEA NELLA MIA CAMPAGNA IN CONTRADA MONTESOLE A LICATA

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Il Pinus pinea è posto proprio di fronte all’ingresso principale della mia casetta in campagna. E’ alto circa 12 metri.
Di rilevante bellezza, maestoso, è uno degli elementi più rappresentativi della mia pineta imponendosi, con le sue dimensioni, per  il suo effetto estetico.

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Appartenente alla Famiglia delle Pinaceae, il Pinus pinea è il Pino conosciuto con moltissimi altri sinonimi: “Pino domestico, Pino italico, Pino mediterraneo, Pino parasole, Pino da pinocchi, Pino da pinoli”.
E’ l’albero più caratteristico delle zone circostanti il mar Mediterraneo perchè è la specie originaria dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, in particolare sulle coste settentrionali dove forma vasti boschi.
Sa regalare un’ombra molto gradita nel clima caldo dell’estate mediterranea.
Vive bene tra i 500 e i 1000 metri d’altezza.
Il Pino domestico si trova distribuito in quasi tutta l’Europa.
E’ stato coltivato da oltre 6000 anni per i suoi pinoli che sono diventati merce di scambio.
Si è naturalizzato in Africa meridionale, dove è considerata una pianta invasiva. E’ piantato comunemente anche in California e in Australia.
In Italia è coltivato praticamente ovunque, ad eccezione delle zone molto montuose.
É stato accertato che il Pino domestico vive spontaneo in Sicilia sui monti Peloritani.
É autoctono in Sardegna dove forma boschi affollati.
Dà origine ad estese pinete associandosi ad altre piante della macchia mediterranea.
Per l’alto numero di esemplari presenti in Italia, da molti è considerato l’albero simbolo del nostro paese tanto che dagli anglosassoni il Pino domestico è denominato “Italian stone Pine” e dai francesi “Pin d’Italie“.
Nel 1966 il Pino domestico fu designato la “pianta emblematica italiana” dal Ministero del Turismo.
Arrigoni afferma che “il Pino domestico era certamente presente in passato sui litorali italiani dove tende a rinnovarsi spontaneamente”.
Il Pinus pinea è facilmente riconoscibile per il suo portamento elegante.
Possiede l’apparato radicale robusto, all’inizio lungamente fittonante, il tronco eretto, alto da 20 a 25 metri, spesso biforcato e spoglio nella parte inferiore, mentre è ramificato in alto con rami verticillati ed espansi, disposti a raggiera come le aste di un ombrello tanto da fargli attribuire il nome di “Pino ad ombrella“.

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La corteccia, spessa, di colore rosso bruno, è divisa da larghe placche verticali di forma romboidale.
Le foglie, aghiformi, sempreverdi, morbide, flessibili, molto appuntite, riunite in coppie di due, decidue, lunghe 12-15 centimetri, avvolte alla base da una guaina trasparente e persistente, formano la chioma.

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E’ una pianta monoica dicline. I fiori, meglio indicati come sporofilli, sono riuniti in infiorescenze.
I macrosporofilli femminili, in strobili ovoidali, di color rosa-viola, crescono all’estremità dei nuovi germogli e, a maturazione, diventano legnosi e liberano i semi.
I microsporofilli maschili, in piccoli strobili giallo – dorati, più evidenti di quelli femminili, sono posti alla base del germoglio.

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La fioritura avviene da aprile a giugno. L’impollinazione è anemofila. Nell’autunno dello stesso anno o di quello successivo, nascono le pigne.

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Il frutto, lo strobilo, lungo fino a 15 centimetri, solitario, grande, pesante, di forma conica, formato da tante squame romboidali, matura ogni tre anni.

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Ogni squama, schiudendosi, libera due semi.
I semi sono protetti da un guscio osseo di colore rosso scuro ornato da un’ala brevissima che si stacca facilmente. Sono i pinoli, lunghi 2 centimetri,  oleosi, commestibili, molto gradevoli e gustosi.
In varie zone d’Italia sono chiamati con altri nomi come “pinoccoli” o “pinocchi“.
I semi sono dispersi dagli animali, dagli uccelli e anche dall’uomo.

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Sono  venduti per alimentare gli uccelli in gabbia perché si presume che favoriscano il “bel canto”.
La raccolta degli strobili si compie da ottobre fino alla fine dell’inverno lasciandoli esposti al sole per favorire l’apertura delle squame.
La moltiplicazione avviene, quindi, per seme da praticare in qualsiasi periodo dell’anno, preferibilmente in primavera.
La fragilità dei giovani esemplari, che sono attaccati facilmente da parassiti e da malattie, rende poco probabile la possibilità di ottenere dal seme nuove piantine.
Più facile è la propagazione per talea in primavera o in estate inoltrata.
Il Pino domestico è una conifera molto utilizzata nei viali e nei giardini pubblici come pianta ornamentale.
E’ una pianta rustica, a crescita abbastanza rapida, xerofila.
Poco esigente nei riguardi del suolo gradisce, però, quelli sabbiosi, sciolti, non aridi ed evita quelli argillosi o troppo calcarei. Pianta eliofila, predilige un’esposizione sufficientemente soleggiata, un clima di tipo costiero, non troppo esposto ai venti, e resiste ai freddi invernali.
Richiede annaffiature solo se il clima è particolarmente siccitoso e, raramente, ha bisogno di qualche concimazione.
Teme l’attacco di Afidi e di Acari.
Pericolosissimo è il  Thaumetopoea pityocampa, un dannoso lepidottero endemico parassita con ciclo biologico annuale.
Esso svolge la sua azione tra la pianta e il terreno.
Le larve, nutrendosi voracemente degli aghi e degli apici vegetativi di diverse specie di Pino, causano la defogliazione della chioma dell’albero indebolendolo anche pesantemente.
Di solito le larve sono attive solo la notte, mentre di giorno si trattengono al riparo nel nido.
In primavera le larve sono molto voraci cibandosi degli aghi di Pino. Nelle stagioni più calde, quando la temperatura del nido supera i 9 °C, le larve escono a cibarsi anche in inverno.
Anche se la pianta reagisce, tuttavia riceve gravi danni alle foglie e ai germogli.
Durante la loro vita larvale le larve si rifugiano dentro bianchi nidi sericei che costruiscono sulle chiome dei Pini.
Se la presenza dei loro nidi non è massiccia, la pianta si difende dal debole attacco con l’emissione di nuove foglie.
Giunte a maturità le larve abbandonano definitivamente il nido e, scendendo lungo il tronco, giungono al suolo.
I gruppi di larve di processionaria si spostano in fila indiana, lunga anche diversi metri, formando una sorta di “processione“, da cui il nome “Processionaria”, fino a che non trovano un luogo ideale dove interrarsi fino a una profondità di 10–15 cm.
Le larve, provenienti dallo stesso nido, formano delle crisalidi tutte insieme nel terreno racchiuse in bozzoli singoli fittamente vicini l’uno accanto all’altro. Una parte delle crisalidi può rimanere in pausa anche fino a 7 anni. Nei mesi di luglio-agosto compaiono gli adulti. Le femmine depongono sugli aghi dalle 100 alle 280 uova, in un’unica ovatura a forma di manicotto.
Le larvette nascono alla fine dei mesi di agosto-settembre e iniziano ad alimentarsi subito sugli aghi causando solo danni modesti.
La Processionaria causa danni anche all’uomo e agli animali domestici per l’effetto urticante delle larve primaverili.
Esse sono provviste di peli urticanti il cui prodotto, se inavvertitamente viene a contatto con la pelle, può provocare forti irritazioni alla cute, agli occhi e alle mucose delle vie respiratorie.

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Come quasi tutte le pinaceae, il Pinus pinea produce una resina che allontana la maggior parte dei parassiti.
Essendo piante resinose, tutti i Pini si lasciano attraversare dal fuoco con molta facilità.
Il fuoco, molto spesso provocato dalla disattenzione dell’Uomo, è uno dei maggiori pericoli per le pinete che vengono enormemente danneggiate o distrutte.
Il legno non è un ottimo combustibile poichè produce una fiamma viva e dal colore intenso, ma poca carbonella.
Il Pino domestico produce un legno rossiccio e venato di scuro, leggero, tenero, poco resistente, resinoso, non di gran pregio, pertanto non molto ricercato. E’ adatto per lavori di falegnameria comune, per travature, per traverse, per paleria, nell’industria cartaria e per costruzioni navali.
Ugo Foscolo, ne ”I Sepolcri”, ha inserito l’episodio di Nelson, l’inglese che avrebbe tagliato l’albero maestro di una nave francese nemica, costruito con il tronco di Pino, e si sarebbe fabbricato la propria bara.

[…] Pietosa insania che fa cari gli orti

De’ suburbani avelli alle britanne

Vergini dove le conduce amore

Della perduta madre, ove clementi

Pregaro i Genj del ritorno al prode

Che tronca fe’ la trionfata nave

Del maggior pino, e si scavò la bara.[…]

Sacro a Bacco, a Cibele, a Diana e a Nettuno, nella tradizione greca il Pino simboleggiava la “resurrezione”.

Nov 1, 2021 - Senza categoria    Comments Off on GLI ALBERI DEI PINI NELLA MIA CAMPAGNA IN CONTRADA MONTESOLE A LICATA

GLI ALBERI DEI PINI NELLA MIA CAMPAGNA IN CONTRADA MONTESOLE A LICATA

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 I Pini sono alberi molto belli!
Il colore sempre verde e le audaci forme delle chiome conducono la fantasia ad immaginare luoghi montagnosi e tempi invernali quando la neve li ricopre e li rende affascinanti.
Sono gli alberi preferiti dagli uccelli e, insieme, ravvivano l’ambiente dove vivono.
Alcune specie di Pino, da tempo antichissimo, vegetano sui monti e sulle valli del nostro Bel Paese e, più in generale, di tutta l’Europa.
Sono circa una settantina le specie facenti parte del genere Pinus.
Si tratta della famiglia di conifere più estesa e di maggior importanza economica e forestale.
Sono piante arboree sempreverdi che, nella prima fase del loro sviluppo mostrano una bella forma piramidale differenziando poi, gradualmente, le impalcature.
Invecchiando, mutano la propria sagoma da piramidale in altra con figure più aperte e globose.
Col tempo la corteccia della maggior parte delle specie si ispessisce e si fessura più o meno profondamente.
Le foglie sono aciculari e perenni.
I fiori femminili e maschili sono presenti sulla stessa pianta.
Il frutto, lo strobilo, maturando, si schiude lasciando fuoriuscire i semi.
Tra l’impollinazione e la fecondazione può passare anche un anno di tempo, mentre la maturazione dei semi richiede circa due anni.
Il termine Pinus, d’origine controversa, forse deriva dal latino ”pix, picis”, “pece, resina”, un prodotto della pianta; potrebbe anche derivare dalle radici indoeuropee “pic”, “pungere”, in riferimento agli aghi, oppure “pi”, “stillare”, emanare la preziosa resina, oppure ancora dal celtico “pen”, “testa” alludendo alla forma della chioma, oppure dal celtico “pin”, “montagna, roccia” per la capacità della pianta di vivere in terreni pietrosi. Secondo la mitologia latina, fu la ninfa Pitis ad attribuire il nome alla pianta. La ninfa Pitis chiese agli dei di essere trasformata in un albero di Pino per sfuggire alla violenza del dio Pan.
Secondo un’altra versione, Pitis era contesa tra il dio Pan e Borea, il vento del nord. Quando Pitis scelse Pan, il vento Borea, per vendicarsi, la gettò giù da una rupe con un impetuoso soffio. La Terra, impietosita, la trasformò in un albero di Pino.
Quando, in autunno, il vento soffia forte tra i boschi allora è Pitis che stilla le sue lacrime.
Sia nella mitologia latina sia in quella greca il Pino ha avuto un valore ambientale e storico davvero importante sfruttando ampiamente il simbolismo ed il suo nome.
Molti sono i miti legati a queste piante maestose, ma tutti collegati a grandi eventi luttuosi del mondo maschile.
Ovidio, nel libro X de “Le Metamorfosi”, così racconta il mito di Attis, il giovane mutato in un Pino: “E voi pure veniste, edere dalle radici aggrovigliate, e le viti piene di pampini, gli olmi avviluppati di viti, e ornielli, pìcee, corbezzoli carichi di frutti rosseggianti, tranquille palme che si danno in premio ai vincitori, e il pino che si erge con la sua chioma arruffata raccolta in cima, il pino, caro a Cibele, la madre degli dei, se è vero che per lei Attis si spogliò del suo corpo per fissarsi in quel tronco”.
Carissimi amici, desidero raccontarvi la storia della realizzazione della mia pineta che ho creato nella mia campagna.
Io, amante delle Piante, quando, nel lontano 1979, ho acquistato il pezzettino di terreno in contrada Montesole, a Licata, certamente non mi sono scoraggiata dinanzi alla macchia mediterranea incolta, affollata, ingarbugliata, intricata, pungente. Così si presentava il mio terreno! Servivano gli attrezzi da lavoro per i primi rapidi interventi.
Ho subito preparato: le forbici, il taglia erba, le zappe, la sega, il rastrello e tutto l’occorrente per creare un primitivo passaggio nella selva.
Bisognava urgentemente togliere tutte le erbe infestanti, bonificare il terreno e creare un ambiente giovane e nuovo.
Grazie anche alla disponibilità degli agenti del Corpo Forestale, che mi hanno fornito le piantine, ho messo a dimora circa 45 alberi di diverse specie: il Pinus pinea, il Pinus halepensis, il Pinus pinaster, qualche Cipresso, alcune Tuie e Yucche, un’Araucaria che, purtroppo, è morta perché le pecore hanno mangiato la sua parte apicale.
Ho sistemato le piante nel bel mezzo del terreno e lungo tutto il perimetro.
É nata la mia pineta, un giardino boscoso, un polmone verde naturale nel cuore della montagna Montesole che ha modificato sensibilmente il vecchio paesaggio. Ricordo ancora che nel periodo estivo annaffiavo le giovani piantine trasportando con i bidoni l’acqua prelevata alla fontanella di Via Palma.
Aiutavo nella crescita le mie piantine molto piccole!

https://www.youtube.com/watch?v=mXLjVnG1i1c

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In questa fatica mi sostenevano gli uccelli che, saltellando, non avevano paura della mia presenza, mi facevano compagnia con i loro cinguettii e ripetevano l’eco del mio fischiettio. Anche i conigli si avvicinavano per curiosare.
Così sono cresciuti gli alberelli! Con amore!
Adesso tutti gli alberi sono diventati grandi e hanno raggiunto una notevole altezza.
Certo non è la pineta di Ravenna, o di San Rossore, o di Viareggio,  o di Castel Fusano, dove folte pinete sono state impiantate dagli etruschi e dai romani; ma la mia è importante perché mi ha fatto faticare molto, perché ha cambiato il paesaggio arricchendolo di un’estesa macchia di colore verde visibile da chi, attraversando la strada di San Michele, alza lo sguardo verso la montagna, perché le fronde mi riparano dai caldi raggi solari durante l’estate.
Fragrante è il profumo della pineta, apprezzato è il senso di sollievo e di liberazione che provo inspirando l’aria balsamica! Sono le resine che, sotto forma di minutissime goccioline invisibili sparse tutto intorno dalle piante maestose, raggiungono le narici.
I miei Pini, anche se si sono ambientati a Licata, un ambiente marino, probabilmente non sono specie indigene, ma sono presenti in Italia da lungo tempo dove si sono adattati.
Infatti, in diverse parti del mio terreno, anche dalle fessure rocciose contenenti una piccola quantità di terra, spuntano minuscole piantine di Pino che io cerco di fare crescere.

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Qualche piantina non sopravvive o perché nata su un suolo povero di nutrimento o perché rosicchiata dal morso delle pecore e delle capre che pascolano sfacciatamente nei terreni altrui.
Qualcun’altra, più fortunata, si è già sollevata da terra per una trentina di centimetri.
Ha il fusticino ancora erbaceo, i rami laterali sottili, ma spero che possa attecchire e diventare, col tempo, grande quanto i suoi genitori.

 

Oct 4, 2021 - Senza categoria    Comments Off on 4° EDIZIONE DEL CONCORSO “BALCONE FIORITO” A MISTRETTA ANNO 2021

4° EDIZIONE DEL CONCORSO “BALCONE FIORITO” A MISTRETTA ANNO 2021

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L’Associazione Oceano­_Mistretta-Messina, l’organizzazione no-profit presente a Mistretta e formata da tanti bravi giovani volontari amanti della Natura e del bello, ha organizzato la 4° Edizione del Concorso “BALCONE FIORITO” per l’anno 2021, concorso di arredo e di allestimento floreale dei balconi, dei cortili e degli spazi urbani.
Il 2021 è ancora un anno particolare per  la persistenza della pandemia del COVID_19.  Tuttavia la manifestazione di premiazione avvenne con la presenza diretta dei  partecipanti.

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Il concorso “Balcone Fiorito” ha voluto simboleggiare la ripresa delle varie attività in questo difficile anno, ma, soprattutto, ha voluto stimolare a guardare al futuro con ottimismo, con entusiasmo, con la consapevolezza che la bellezza è un elemento fondamentale della vita di ogni società.
Pertanto  la 4° edizione del “Balcone Fiorito” vuole dimostrare quanto è importante curare l´immagine della città di Mistretta da parte di tutti i mistrettesi che hanno risposto positivamente all’invito di colorare e di ingentilire i balconi delle loro abitazioni, dei cortili e degli spazi urbani esponendo svariate composizioni floreali.
I partecipanti al concorso “Balcone Fiorito” sono stati in numero di 40. Sono stati abbelliti 11 balconi, 18 cortili e 11spazi urbani per la categoria COLORIAMO INSIEME .

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Un meritato ringraziamento è diretto non solo all’Associazione OCEANO e al presidente, al signor Alvaro Biffarella, ma alla giovane Simona Spinnato che, con notevole spirito di collaborazione, con tanta fantasia e con grande entusiasmo, ha seguito tutte le fasi del concorso “Balcone Fiorito”.
Il concorso, attraverso l’ornamento floreale dei balconi, dei cortili e degli spazi urbani, ha sempre avuto lo scopo di “valorizzare e di rendere più attraenti le vie,  le facciate delle abitazioni dell’intero paese, di promuovere i valori ambientali e la cultura del verde come elemento di decoro e di valorizzazione di tipologie costruttive tipicamente mistrettesi”.
I balconi fioriti, i cortili, gli spazi urbani, ciascuno contrassegnato da un numero ROSA, esposto nel proprio balcone o cortile o spazio urbano per tutto il periodo del concorso, affacciati lungo la via Libertà e in altre strade, vie e viuzze del paese, hanno mostrato più accogliente e più bella la nostra Mistretta. Sicuramente, la vista di un balcone, di un cortile, di uno spazio urbano in fiore fa brillare gli occhi, fa gioire il cuore e lo spirito!
Nella premessa del programma si legge: ”I fiori hanno la capacità innata di abbellire, con i loro colori e profumi, un balcone spoglio, una finestra disadorna, un vicolo, una strada, una piazza, un angolo di quartiere”.
Sui balconi, sui cortili e sugli spazi urbani hanno vegetato bene tantissime varietà di piante.
I generi più frequenti sono stati: i gerani, dalle tonalità rossa, rosa, bianca, come simbolo del pregio floreale e come stimolo verso la “cultura del bello, e i Pelargoni.  Ho notato anche alcuni Girasoli, alcune piante di Agapanthus praecox dai fiori viola, i Tagetes, la Dipladenia dai colori bianco e rosa, qualche Gazania, un solo Glicine, diverse Aloe e Cactus, tante Hidrangea macrofilla ( le Ortensie), molte Surfinie e Petunie, molte Margherite bianche e roseti bianchi e rossi, le Zinnie, la Lavandula e la Lippia citriadora, la Salvia, molti Cycas revoluta, qualche Hibiscus seriacus, l’Oleandro, l’Altea, moltissime composizioni di piante grasse, il Buxus rotundifolia, il raro Pittosforo e il Mioporo, qualche Yucca, la Tuja piramidalis, alcune piccole Phoenix canariensis, la Chamaerops humilis (la palma nana), anche alcuni cladodi di Ficorindia, un albero di ciliegi e un tralcio con l’uva bianca.
Personalmente, penso che la lodevole iniziativa di istituire la 4° Edizione del concorso “Balcone fiorito” non solo abbia stimolato la promozione dei valori ambientali e turistici della nostra amata Mistretta, ma abbia dato la prova che gli amastratini posseggono il “pollice verde” nel saper curare abilmente piante e fiori, di essere maggiormente sensibilizzati a valorizzare il verde, a rispettare la Natura, in particolare a proteggere il patrimonio naturalistico che la città di Mistretta possiede, esattamente le due ville comunali, la villa “Giuseppe Garibaldi” e la villa “Chalet”.
Per valutare la 4° edizione del concorso “Balcone Fiorito” è stata nominata la GIURIA TECNICA composta dai giurati che hanno espresso i propri criteri di valutazione.
NELLA SEMINARA: Mistrettese, ma abitante a Licata, laureata in Scienze Naturali, è stata docente di Scienze matematiche, chimiche, fisiche e naturali nelle Scuole Statali di Licata. E’ autrice di innumerevoli articoli botanici, storici e architettonici su Mistretta e su Licata che pubblica nel suo blog molto visitato e tanti filmati caricati sul suo canale YuoTube. Ha pubblicato il video libro dal titolo: “ La Villa Comunale <<G. Garibaldi>> di Mistretta un giardino all’italiana” e il videolibro dal titolo “Mistretta in immagini tra passato e presente”. Ha anche pubblicato il libro “Da Licata a Mistretta, un viaggio naturalistico”.  Ha curato la pubblicazione dei libri: ”Sintiti, Sintiti”, del prof. Carmelo De Caro, e “Amoenitates”, del prof. Gaetano Todaro.
I Criteri di valutazione di Nella Seminara: 1) Eleganza nella composizione floreale 2) Accostamento dei colori e dei profumi 3) Adattamento all’ambiente 4) Facilità di coltivazione 5) Tipo di riproduzione per la conservazione della specie 6) Resistenza alle azioni meccaniche 7) Pianta innocua o causa di allergie.
SEBASTIANO CARACOZZO: mistrettese, artista poliedrico,amante dell’arte pittorica e scultorea, dipinge su vari supporti tela,tessuti e superficie lignee. Vincitore di numerosi concorsi di pittura nei comuni siciliani di: Valledolmo, Raddusa,  Nicolosi, Villafranca tirrena ecc. Sue opere sono presenti in collezioni private e pubbliche e alcune  presso il museo degli Angeli, (Santangelo di brolo), alla fondazione mandralisca di Cefalù, al museo diocesano di Palermo e al museo contro la Mafia a Palermo. Attualmente ê impegnato enlla realizzazione di una megalografia di mt.16×3,raffigurante la pentecoste.
I Criteri di valutazione di Sebastiano Caracozzo: 1) Accoppiamento dei colori 2) profumazione 3) cura della pianta 4) aspetto artistico e pittoresco nel contesto paesaggistico 5) tipologie delle piante 6) disposizione delle piante 7) eleganza rappresentativa.
ANTONIO TURCO:  ha realizzato dei reportage per il programma radiofonico “Tre Soldi” di Rai Radio 3. Il suo film documentario “Il Francesco di Palermo” vinse al Foggia Film Festival – University Award come miglior cortometraggio e con “Caravaggio 107” vinse il premio del pubblico al Modena doc film festival. Attualmente lavora come corrispondente per BlogSicilia.
Criteri di Antonio Turco: 1) Tipologia delle piante 2) Unicità rappresentativa 3) Combinazione con facciata e quartiere 4) Colori 5) Fantasia espositiva 6)Unicità del contesto 7) Profumo.
Organizzatrice del Concorso “Balcone Fiorito” , come già detto, è stata la bravissima Simona Spinnato.
SIMONA SPINNATO, diplomata al Liceo Scientifico di Mistretta, recentemente all’Università di Palermo ha conseguito la laurea Magistrale in “Ingegneria edile-architettura”.
Amante di viaggi e di nuove culture e tradizioni, negli anni 2014 – 2015 studiò a Madrid vivendo l’esperienza dell’Erasmus nell’Università politecnica di Madrid, una delle università più importanti al mondo. Molto attiva nella comunità amastratina, ha fatto parte di innumerevoli Associazioni di Mistretta. Attualmente fa parte del Coro “Claudio Monteverdi” e dell’”Associazione Oceano”.
Amante di arte e di architettura, decise di impegnarsi in una nuova associazione musicale, culturale e sportiva per organizzare eventi che valorizzino le architetture mistrettesi tra cui il “BALCONE FIORITO” della prima edizione del 2018, della seconda edizione del 2019, della terza edizione del 2020 e della quarta edizione del 2021.

La Giuria ha valutato:
– Varietà e composizione di fiori e piante;
– Migliore combinazione di colori;
– Originalità e creatività;
– Sana e rigogliosa crescita della pianta durante il concorso;
– Inserimento armonico nel contesto urbano;
– Qualità dei materiali dei vasi utilizzati;
– Tipologia architettonica del balcone.
Gli obiettivi del concorso sono stati pertanto: Promozione dei valori ambientali e della cultura delle piante e dei fiori; educazione al rispetto dell’ambiente e alla salvaguardia del decoro urbano.

Il concorso “ Balcone Fiorito” si è articolato in tre categorie:
– CATEGORIA CON GIURIA con tre sottocategorie:
-BALCONE FIORITO
– CORTILE FIORITO
– COLORIAMO INSIEME
I premi sono consistiti nella consegna ai vincitori dell’attestato di partecipazione e di tre manufatti  in ceramica realizzati e decorati a mano dall’artista amastratino Antonio Manno.

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LA  CATEGORIA LIKE- “BALCONE FIORITO” MISTRETTA 2021
Tutti i balconi, i cortili e gli spazi urbani sono stati fotografati e inseriti all’interno di un album sulla pagina facebook dell’Associazione organizzatrice pubblicato il 17 Luglio.  La fotografia, che entro le ore 23,00 del 17 luglio 2021  ha ricevuto il maggior numero di like ha vinto questa categoria.
Vincitore della Categoria like è stata la signora Angela Manno COL CORTILE N° 9.

0d ANGELA MANNO VINCITRICE CAT. LIKE

 Il premio è consistito nella consegna dei Buoni spesa per fornitura offerti dai Fiorai e che si potranno usufruire  entro il 31 maggio 2022.
Hanno contribuito: la fioreria “S. Antonio” di Alfieri Andrea, la fioreria “Non solo fiori” di Lavinia  Provinzano.

Alla CATEGORIA A SORPRESA hanno partecipato tutti gli iscritti attraverso il proprio numero d’iscrizione.
Il premio è consistito nella consegna di un Kit Pollice Verde offerto dalla ferramenta e Colori Iraci e dalla Ferramente Volo Sebastiano.

La bravissima Simona Spinnato nel suo discorso introduttivo nella sala delle conferenze della Società dei Militari in Congedo di M.S ha detto: ”L’associazione, costituita nel 2014 come associazione culturale, musicale e sportiva, nasce dalla voglia di questi bravi giovani di unirsi insieme per valorizzare le bellezze della nostra città. Anche per quest’anno 2021 hanno pensato di ripetere l’evento del concorso “Balcone Fiorito” sensibilizzando i cittadini ad abbellire i balconi, i cortili e gli spazi urbani con piante e con fiori colorati. L’evento ha avuto grande successo perchè hanno partecipato 40 concorrenti. Cari mistrettesi, avete reso la nostra cittadina colorata, radiosa, con tutti questi fiori che hanno portato una ventata di freschezza e di bellezza“.

Il giovane Alvaro Biffarella, presidente dell’Associazione Oceano, ha detto: ” Anche quest’anno, grazie il concorso “Balcone Fiorito”, abbiamo voluto valorizzare le bellezze architettoniche della nostra città che è ricca di tante opere d’arte”.
La cerimonia di proclamazione dei classificati per categoria è avvenuta venerdì 21 Agosto 2021 nella sala delle conferenze della Società dei Militari in Congedo di M.S. sita in Via primavera a Mistretta.

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Simona Spinnato- Giuseppe La Via

SI E’ NCONCLUSA COSÍ LA 4° EDIZIONE DEL CONCORSO “BALCONE FIORITO” ANNO 2021 a MISTRETTA

I premiati “BALCONE FIORITO”:
1°classificato: signora Teresa Sirni COL BALCONE n°5

1 TERESA SIRNI 1° CATE BALCONE FIORITO ok

2°classificato: signora Maria Grazia Spinnato COL BALCONE N° 7

2 MARIA GRAZIA SPINNATO FIGLIO 2° BALCONE FIORITO ok

 3°classificato: la signora Valentina Antoci COL BALCONE N°3

3 VALENTINA ANTOCI 3°BALCONE FIORITO RITIRA LA MADRE ok

Per la CATEGORIA CON GIURIA “CORTILE FIORITO”

1°classificato: la signora Daniela Dainotti COL CORTILE  N° 15

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 2°classificato: il signor Francesco Rinaudo COL CORTILE  N° 30
3°classificato: la singora Gaetana Del Monte COL CORTILE  N° 25

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 PER LACATEGORIA CON GIURIA “COLORIAMO INSIEME”

1°classificato: Gruppo: I Parrocchiani di Santa Nicola

2°classificato: Gruppo: Piazzetta del Carmine N°17

3°classificato: Gruppo: Via Granata Vito N° 6

Per la CATEGORIA SORPRESA vincitrice è stata la signora Ninfa Nobile.

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E’ stato estratto a sorte il BALCONE N° 8 che ha ricevuto in omaggio un kit di floricultura “POLLICE VERDE” offerto da Ferramenta Iraci e Volo Sebastiano.
I vincitori di tutte le categorie

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L’ ASSOCIAZIONE OCEANO, rappresentata dalla dott.ssa Simona Spinnata,   ha ringraziato la Società dei Militari in Congedo nella figura del Presidente signor Giuseppe La Via e del signor  G. Liddino per avere concesso di svolgere nella loro sede la premiazione di questa 4°Edizione del “BALCONE FIORITO”.

Si ringraziano i 40 concorrenti per aver colorato e abbellito la città di Mistretta!
Si ringrazia la Giuria Tecnica di quest’anno composta da:
Nella Seminara
Sebastiano Caracozzo
Antonio Turco

Si ringraziano inoltre:
~ le Fiorerie: Non solo Fiori di Lavinia Provinzano e Sant’Antonio di Andrea Alfieri che hanno offerto i buoni premio della categoria like.

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~ le Ferramenta: Iraci e Volo che hanno offerto i premi del kit pollice verde della categoria a sorpresa.
~ Ceramiche Artistiche del bravissimo artista  Antonio Manno per aver realizzato i premi del concorso soddisfacendo, come sempre, le nostre esigenze nel migliore dei modi.

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 ~ Arkigraf di Giovanni Ribaudo per la sua pazienza e disponibilità nel realizzare attestati e altro occorrente per il concorso in qualunque orario e momento.
Si ringraziano i soci Leonardo Lorello, Simona Spinnato e Carmen Giangarrá per aver reso possibile la realizzazione dell’evento attraverso la loro collaborazione fattiva.
Si ringraziano anche le seguenti attività per tenere esposti nelle loro vetrine i premi del Concorso Balcone Fiorito 2021:
~BenOttica

~ Emporio dei desideri/Turco Liveri gioielli

~ La Via della Notizia

Anche questa 4° Edizione del concorso “Balcone Fiorito” è stata una bellissima esperienza che ha coinvolto gli amastratini che hanno partecipato con entusiasmo a un evento così importante che ha reso Mistretta elegante, accogliente e ammirata.
Bravi tutti!

 

 

 

Oct 1, 2021 - Senza categoria    Comments Off on LA CALENDULA ALGERIENSIS OFFICINALIS DAL FIORE ARANCIONE ABBONDANTEMENTE PRESENTE NELLA PERIFERIA DI LICATA

LA CALENDULA ALGERIENSIS OFFICINALIS DAL FIORE ARANCIONE ABBONDANTEMENTE PRESENTE NELLA PERIFERIA DI LICATA

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E’ il mese di aprile 2021. La presenza di questi fiori spontanei, dal colore arancione, è molto frequente in tutto il territorio di Licata ed io non posso fare a meno di fotografarli per la loro bellezza!

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Sono i fiori della “CALENDULA ALGERIENSIS OFFICINALIS”, pianta nota anche come “Oro di Maria” per le proprietà del suo infuso di alleviare i dolori femminili.
Altri sinonimi sono: “Garofano di Spagna, Fiorrancio, Calta, Margaita, Fior d’mort, Fior de San Peder, Calendria, Madalenis, Calandla, Fior d’ogni mese, Cappuccina, Primo fiore, Calenna, Mamlina, Catinedda, Frore de cada mese”.

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https://www.youtube.com/watch?v=IwW6IIh7AZQ

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Il nome “Calendula” deriva dal latino “Kalendae”, “calende”, parola con la quale i Romani indicavano il “primo giorno del mese nel loro calendario. Ciò sta a indicare che la pianta fiorisce una volta al mese durante tutta l’estate. Un’altra ipotesi suppone che si chiami “Calendula” da “calendario”, poiché segna il ritmo del giorno aprendosi alle prime luci del mattino e chiudendosi al tramonto. La tradizione contadina vuole che, se al mattino i fiori sono chiusi, probabilmente pioverà. I latini e i greci erano soliti chiamare la “Calendula” “Solsepium” “ Seguace del sole” proprio per il fatto che i fiori di Calendula si aprono al sorgere del sole e si chiudono al calare del sole.

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La Calendula è un genere di piante erbacee, annuali, biennali o perenni, appartenenti alla famiglia delle Asteraceae. Sono molto diffuse in Europa mediterranea, in Africa e in Asia. Il genere comprende 12 specie di cui la più conosciuta è la Calendula officinalis.
Un elemento determinante per l’esatta identificazione delle varie specie è dato dalla forma del frutto “rostrato” se ricurvo e prolungato in una specie di becco privo di spine; “cimbiforme” se ricurvo, alato, ma privo di becco; “anulare” se molto ricurvo, spesso tanto da chiudersi ad anello, privo di ali e di spine.

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La Calendula algeriensis officinalis è una pianta erbacea annuale legata al suolo mediante una radice a fittone da cui partono numerose radichette laterali. Il fusto, con portamento eretto, variamente ramificato, angoloso, è alto circa 30 cm.
Le foglie, prive di picciolo, di colore verde, spesse, lanceolate, alterne e con il margine intero o leggermente dentato, sono ricoperte da una fitta peluria che le conferiscono un aspetto vellutato.
Le foglie inferiori sono più piccole e disposte a rosetta rispetto a quelle superiori, che rimangono più slanciate e più grandi.

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I fiori, ligulati, inseriti al termine dei rametti, di colore arancione, da cui il nome popolare “Fiorrancio” , sono riuniti in capolini e circondati da brattee. Tutta la pianta è ricoperta da peli scabri e da ghiandole.
La fioritura avviene ogni mese in ogni stagione dell’anno.

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I fiori e le sommità fiorite si raccolgono preferibilmente nei mesi di aprile-giugno e nei mesi di settembre-novembre.
La pianta, se strofinata, emana un gradevole odore.
I frutti sono degli acheni rugosi o muniti di aculei. Il seme, uncinato, ricorda una falce di luna.

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 La Calendula è diffusissima come pianta spontanea nelle regioni dell’Europa meridionale, in particolar modo lungo le coste del Mediterraneo, ma anche nelle località collinari, fino a 600 m di altitudine, nei prati e nei terreni incolti.
Gradisce vegetare su terreni sciolti e ricchi di sostanze organiche, ma teme i ristagni idrici, che favoriscono la presenza del fungo “Entyloma”, il cosidetto “carbone”,  che deposita sulle foglie una muffa bianca. Le foglie ingialliscono e muoiono. Teme anche l’attacco degli Afidi.
Ama l’esposizione diretta ai raggi del sole, sopporta il calore estivo e la siccità.
La Calendula officinalis, pur essendo una pianta spontanea, data la particolare bellezza del fiore, si più coltivare a scopo ornamentale donando colore e vivacità ai balconi, alle ville e ai giardini. Spesso è coltivata per le straordinarie proprietà officinali.
Infatti, una pianta ricca di storia e rappresenta un “concentrato di salute”.
Fin dai tempi  antichi è stata utilizzata dalla medicina naturale come rimedio fitoterapico proprio per le sue infinite proprietà curative in grado di intervenire su una serie di disturbi. Nell’antichità i guaritori le attribuivano poteri magici.
Della Calendula si utilizzano tutte le parti della pianta perché ricche di principi attivi quali: olio essenziale, vitamina c, flavonoidi, resina, mucillagini, triterpenoidi, steroli e carotenoidi.
Hildegard von Bingen ( 1098 – 1179), meglio  conosciuta come Santa Ildegarda, mistica benedettina, vissuta in Germania e studiosa di medicina, rese famosa questa pianta come rimedio per tante malattie. Ancora oggi in Germania la pianta è coltivata in maniera intensiva ed è iscritta nella farmacopea tedesca.
E’ considerata un ottimo antisettico, antispasmodico, cicatrizzante. Ha anche notevoli proprietà idratanti, emollienti e lenitive. La sua virtù fondamentale è l’utilizzo cosmetico sotto forma di creme naturali, per dare sollievo e per curare la pelle grazie a una decisa azione antinfiammatoria. I fiori freschi, leggermente tritati, possono essere applicati sulla superficie della pelle delicata.
Le foglie di Calendula hanno proprietà callifughe applicandole fresche più volte al giorno sulla parte interessata.
Per uso esterno le sue attività antinfiammatorie, rinfrescanti, emollienti e dermopatiche rendono la pianta il rimedio elettivo per le scottature, per le ferite,  per le ulcere della bocca e per le infiammazioni gengivali.
Gli estratti alcolici e acquosi determinano una leggera riduzione della pressione arteriosa e una riduzione dell’attività cardiaca.
In ambito ginecologico la Calendula ha azione antispasmodica nelle disfunzioni dell’apparato genitale femminile favorendo la regolarizzazione del ciclo mestruale e attenuando i dolori femminili.
L’olio di Calendula, ricco di antiossidanti e vitamina A, possiede proprietà lenitive. Ottimo da applicare sulla delicata epidermide dei neonati.
Per l’utilizzo della Calendula non sono note controindicazioni o effetti collaterali. Anche il rischio di allergia alla pianta è molto basso.
La Calendula è utile anche in cucina.
I petali e l’intero fiore possono essere utilizzati per preparare zuppe, risotti, insalate conferendo alle pietanze il caratteristico sapore amarognolo. I fiori in boccio possono essere raccolti e preparati come sottaceti. I petali essiccati sono usati per aromatizzare l’aceto o trasformati in deliziosi canditi.
La Calendula è un fiore molto utile. Attira gli insetti impollinatori, come api e vespe e bombi, interessati al nettare del fiore.
Il suo apparato radicale allontana i vermi nematodi dal terreno in modo naturale perché l’essudato radicale della Calendula è sgradito a questo parassita terricolo. I fiori sono usati per tingere con varie sfumature di giallo-arancio tessuti quali la lana e la seta.
La Calendula è stata una pianta citata anche dalla mitologia greca.
Un’antica leggenda greca racconta che la Calendula ha suggerito l’idea che questa pianta fosse simbolo “di sottomissione e di dolore”. Infatti, si narra che Afrodite crebbe con Adone, figlio di Mirra e Tia, poichè la madre Mirra, per punizione, era stata trasformata dagli Dei in un albero. Afrodite s’innamorò del giovane Adone. Marte, il dio della guerra, suo marito, si ingelosì. Marte, per vendicarsi, con l’intenzione di ferirlo a morte, scagliò contro Adone un cinghiale. Adone, ferito, fu accolto e protetto da Afrodite che lo nascose in una cassa affidandola alle cure di Proserpina, la regina degli Inferi. Proserpina, incuriosita dal contenuto della cassa, la aprì.
Anche Proserpina s’innamorò del giovane e bello Adone. Quando Afrodite le chiese la restituzione della cassa, Proserpina si rifiutò. Allora Afrodite chiese aiuto a tutti gli Dei dell’Olimpo per sanare il torto subito. Zeus, il padre degli dei, stabilì che Adone dovesse trascorrere una parte dell’anno con Afrodite, tra i vivi, e l’altra parte con Proserpina, tra i morti.
Quando Adone tornò negli Inferi, Afrodite pianse lacrime amare.
Le sue lacrime, cadute a terra, si trasformarono in tanti fiori di Calendula che, come Adone, sarebbe stata destinata a vivere periodi di vita alternati a periodi di morte.
Per questo motivo, nell’Ottocento, il fiore di Calendula era sempre associato a simbologie tristi causate da pene d’amore.
La Calendula è da sempre stata associata al dolore e al rancore. In particolare, per i messicani è il fiore simbolo della morte. Infatti, una leggenda narra che le Calendule, portate dai conquistatori, si siano sviluppate e diffuse nel territorio messicano a causa del sangue versato dagli indigeni, vittime della colonizzazione dei bianchi.
Per gli inglesi la Calendula è simbolo di gelosia.
Infatti, secondo le credenze popolari, le donne non sposate, che non sono mai state amate da nessuno, alla loro morte si trasformano in Calendule gialle dalla rabbia. Tuttavia, il suo lato triste e malinconico, che lega il fiore alle pene d’amore, alla gelosia e al rancore, trova la sua giustificazione nelle eccellenti proprietà curative.
Anche William Shakespeare nel sonetto XXV nomina il fiore di Calendula:

Coloro che hanno le stelle favorevoli

“Coloro che hanno le stelle favorevoli

si vantano pure di pubblici onori e di magnifici titoli,

mentre io, cui la fortuna nega un simile trionfo,

gioisco, non visto, di ciò che più onoro.

I favoriti dei grandi principi schiudono i loro bei petali

Come la calendula sotto l’occhio del sole,

e in loro stessi il loro orgoglio giace sepolto,

poiché, a un cipiglio, essi nella loro gloria muoiono.

Il provato guerriero, famoso per le sue gesta,

sconfitto che sia una volta pur dopo mille vittorie,

è radiato per sempre dal libro dell’onore,

e dimenticato è tutto ciò per cui si era impegnato.

Allora felice io, che amo e sono riamato

da chi non posso lasciare, né essere lasciato”.

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In questo sonetto Shakespeare insegna che la vita vale solo se si pongono in essa i semi per far crescere l’amore. L’amore è più importante di qualsiasi altra cosa. Senza l’amore non c’è nulla per cui valga la pena di vivere e di lottare. I giorni sono stati trascorsi inutilmente senza amare ed essere amati!
E non c’è nulla di ciò che è terreno che può eguagliare il sentimento e la gioia dell’amore, vero alimento del fuoco della vita.
Si vantino, dunque, i principi e i signori delle loro glorie e delle loro ricchezze, mostrandole al mondo intero, ma nessuna gloria terrena sarà mai uguale alla forza che un sentimento d’amore può dare agli esseri umani.
Occhi di chi amiamo, specchio del puro sentimento, guardarli è già ricchezza che né oro né argento potranno eguagliare!
Nel linguaggio dei fiori la Calendula simboleggia “sofferenza, dolore, pene d’amore”.

Sep 18, 2021 - Senza categoria    Comments Off on LE TANTE PIANTE DI MEDICAGO ARBOREA PRESENTI NELLA SALITA SANT’ANTONINO, IN CONTRADA MONTESOLE A LICATA.

LE TANTE PIANTE DI MEDICAGO ARBOREA PRESENTI NELLA SALITA SANT’ANTONINO, IN CONTRADA MONTESOLE A LICATA.

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La salita Sant’Antonino è una strada che attraverso quasi quotidianamente per raggiungere il mio villino.
Quindi, non avrebbe potuto sfuggire alla mia vista la presenza di queste tantissime e bellissime piante di Medicago arborea in piena fioritura.
Sono tantissime!
Sostenute dai muretti a secco o aggrappate alle reti dei vari recinti delle proprietà private.

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La Medicago appartiene a un genere di piante erbacee e  arbustive della famiglia delle Fabacee che  comprende oltre un centinaio di specie, di cui circa una quarantina vegetano in Italia. E’ originaria dell’Europa, della regione mediterranea e dell’Africa meridionale.
La specie più diffusa è la Medicago sativa, nota come erba medica, largamente coltivata come foraggio.
E’ una pianta perenne, con steli pelosi e fogliame verde bluastro.
Fiorisce da giugno a ottobre producendo fiori in grappoli di colore viola.
Altre specie sono:
La Medicago arborea subsp. Citrina, che assomiglia alla specie tipo ma i fiori sono giallo limone.
La Medicago arabica, Erba medica macchiata, con fogliame verde, macchiato di nero al centro.
La fioritura è gialla ed estiva. Altezza da 20 a 60 cm.
La Marina di Medicago, l’Erba medica marittima, con portamento strisciante, fogliame grigiastro e bianco infeltrito.
I fiori, gialli brillanti, fioriscono da marzo a luglio.
La Medicago arborea è la mia amica, la specie che ammiro sempre nella strada che dalla città di Licata conduce nella mia campagna. .
Il suo nome botanico italiano è: “MEDICAGO ARBOREA”.

https://youtu.be/G0bYl0PFseY

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Sinonimi sono: ” Erba medica arborea, Ginestrone, Trifoglio di ginestra, Setiso, Bottone di seta o Corniolo reale”.
Il suo nome inglese è: “ Moon trefoil”.
Etimologicamente il termine della specie “Medicago” deriva dal greco “μεδιқόϛ”, che significa “Media”, un’area geografica storica conquistata dai Medi, e che occupava gran parte dell’attuale Iran centrale e occidentale a sud del Mar Caspio, il territorio da cui Teofrasto credeva provenisse la pianta.
Il nome della specie “arborea” deriva dall’albero legnoso con portamento arboreo.
La Medicago arborea è una specie tipica delle zone del Mediterraneo nord-orientale poco diffusa, che forma una macchia compatta con portamento piuttosto allargato e vegetazione cespugliosa. Cresce spontanea anche in Italia.

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E’ un arbusto sempreverde molto ramificato, alto fino a 2 metri. Ha il fusto ricoperto dalla corteccia biancastra, con strisce longitudinali.
Le foglie, trifogliate, con foglioline ovali, allungate, con punta dentellata, persistenti, di colore grigio-verde intenso, nella pagina inferiore sono ricoperte da una peluria argentata e hanno margine finemente seghettato.

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Sono presenti anche due stipole.
Anche i rami giovani sono ricoperti da una peluria grigiastra. I rami adulti sono legnosi, bianchi e ben disposti a formare una densa massa di vegetazione.
I fiori, di colore giallo-dorato, irregolari, con la tipica corolla papilionacea delle Fabacee, riuniti in infiorescenze a grappolo, emergono dall’ascella delle foglie nelle parti apicali dei rami giovani.

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La fioritura è prolungata.
Inizia a febbraio e si protrae, senza interruzione, fino a ottobre.
I fiori attirano molti insetti impollinatori. I frutti, originali e ornamentali, sono dei baccelli gialli poi marrone appiattiti, arrotolati a chiocciola su se stessi in modo tale da creare un foro centrale. Contengono da 3 a 15 semi dal colore bruno-giallo-marrone.

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La riproduzione avviene per dispersione dei semi in primavera, o per talea nello stesso periodo di tempo.
Le radici ospitano batteri simbionti in grado di fissare l’azoto atmosferico.
La pianta di Medicago arborea è di facile coltivazione. Il suo habitat preferito è quello delle zone caratterizzate dal clima caldo estendendosi dalla pianura fino ai 300 m. s.l.m. La pianta può essere utilizzata come esemplare unico o anche per formare siepi e bordure che danno colore brillante al giardino in mesi solitamente senza grandi fioriture.

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 Vegeta bene posta su terreni sabbiosi e rocciosi, calcarei e asciutti.  Infatti, tollera bene la siccità e la salinità. L’irrigazione deve essere sporadica. Ama essere esposta ai raggi diretti del sole o appena in semiombra, perché l’ombra garantisce una crescita regolare, ma con una bassa produzione di fiori. Dopo la pausa estiva, nella ripresa vegetativa autunnale, può essere necessaria una leggera potatura per l’asportazione di parti secche e danneggiate, per stimolare uno sviluppo fitto e una successiva fioritura più intensa.
La specie sa resistere alle comuni malattie del giardino. Tuttavia, può essere suscettibile ad attacchi di certi parassiti e di roditori.
La Medicago arborea era già nota agli antichi romani e greci come pianta da foraggio per il bestiame e ancora oggi è ampiamente coltivata per questa utilità nel bacino del Mediterraneo, e non solamente come pianta ornamentale.
Il legno è estremamente duro ed è stato utilizzato, a volte, nell’artigianato, per il suo bel colore scuro e per la tessitura stretta, che, una volta lucidato, gli conferisce un aspetto brillante notevole. Questo arbusto può svolgere un ruolo importante nel contenere i fenomeni di erosione del suolo.
I ricercatori spagnoli hanno dimostrato che ha la capacità di ridurre notevolmente l’erosione del suolo causata dall’acqua e dal vento.
Nella cucina popolare le foglie di Medicago arborea e i teneri germogli sono commestibili.
Si possono utilizzare cotti o crudi nelle insalate e anche mescolati ad altre erbe aromatiche.

 

 

 

 

 

 

 

 

Sep 1, 2021 - Senza categoria    Comments Off on LA PIANTA DI LYSIMACHIA ARVENSIS MOLTO FREQUENTE NELLE SPONDE DEL FIUME SALSO A LICATA.

LA PIANTA DI LYSIMACHIA ARVENSIS MOLTO FREQUENTE NELLE SPONDE DEL FIUME SALSO A LICATA.

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Fermati! Guardami! Sono io!
Sono la Lysimachia arvensis!

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Infatti, al suo richiamo, mi sono fermata per ammirare la sia bellezza, per fotografarla, per descriverla.
La Lysimachia è una pianta tropicale apprezzata per la sua abbondante fioritura che crea splendide macchie di colore in piena terra, nelle aiuole dei giardini pubblici e anche nei vasi dei balconi delle abitazioni private.

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Il genere Lysimachia comprende circa 200 specie di piante erbacee perenni appartenenti alla famiglia delle Primulacea e originarie delle regioni temperate e diffuse allo stato spontaneo nei luoghi umidi, nelle zone boschive e montane delle regioni del Centro, del Nord Italia e in Sicilia, vicino al fiume Salso di Licata.
Le varietà più diffuse e coltivate a scopo ornamentale sono: la Lysimachia nummularia,varietà a portamento tappezzante formata da lunghi fusti ricoperti da foglie ovali o tondeggianti di colore verde lucido. I fiori, che sbocciano all’ascella delle foglie, da maggio a luglio, sono solitari e di colore giallo oro.
La Lysimachia punctata è la varietà che presenta fusti eretti, foglie di forma ovale-lanceolata e fiori gialli che sbocciano da giugno ad agosto.
La Lysimachia barystachys, varietà che forma cespugli alti 60 cm composti da fusti eretti ricoperti da foglie tomentose, lineari-lanceolate che in autunno assumono una bella colorazione giallo-arancio. Durante il periodo delle fioritura, che va da giugno ad agosto, la pianta si ricopre di fiori bianchi riuniti in infiorescenze a grappolo fitte e pendule.
La Lysimachia ciliata è  la varietà che si differenzia dalle altre specie per il caratteristico colore delle foglie che, dalla tonalità cioccolato bianco, diventa verde e poi giallo-arancio. Da giugno ad agosto produce fiori piatti e gialli.
La Lysimachia congestiflora è la varietà a portamento tappezzante con foglie di colore verde scuro e fiori di colore giallo dorato.
La Lysimachia clethroides, varietà che, da luglio a settembre, produce piccoli fiori stellati e bianchi riuniti in lunghi grappoli.
Attrae le farfalle.
La Lysimachia ephemerum, pianta diffusa in Europa, formata da fusti eretti ricoperti da foglie di colore grigio-verde, lineari, lisce, opposte e riunite alla base. In estate produce piccoli fiori bianchi riuniti in spighe sottili.
La Lysimachia vulgaris presenta fusti eretti, foglie lanceolate di colore verde intenso e fiori gialli con margini di colore arancio.
La Lysimachia arvensis, la pianta che ho osservato e fotografato, vegeta nelle aree calde del pianeta ed è riconoscibile perché produce fiori azzurri.

Etimologicamente, il nome del genere “Lysimachia” deriva dal greco “Λυσίμαχος” in onore di Lisimaco (~361 a.C.-281 a.C.), sovrano e militare macedone antico. Fu uno dei diadochi di Alessandro Magno, che seguì nell’impresa d’Asia (334-323).
Alla morte del re (323 a.C.), dalla spartizione dell’impero macedone ottenne la satrapia di Tracia. Poi divenne re di Tracia, dell’Asia minore e della Macedonia.
Nel 284 a.C. fece uccidere il figlio Agatocle con l’accusa di congiura nei suoi confronti nella guerra contro Seleuco. Morì nella battaglia di Corupedio nel 281 a.C
Una leggenda narra che Lisimaco alimentasse i suoi buoi nutrendoli con questa pianta per tenerli buoni. Secondo Linneo potrebbe derivare da “Lysimachus”, re di Sicilia, di cui parla anche Plinio.
Λυσίμαχος “ deriverebbe da “λύσις μάχη lýsis máche” “che scioglie la battaglia”.
Il nome della specie “arvensis” deriva dal latino “arvum”campo, suolo arativo”.
Nomi italiani sono: ”Centonchio dei campi, Anagallide dei campi, Mordigallina.
Altri sinonimi sono: “Anagallis phoenicea, Anagallis arvensis”.
La Lysimachia arvensis è una pianta erbacea annuale, glabra, legata al suolo mediante una radice rizomatosa da cui si diramano altre piccole radici secondarie. Il fusto, prostrato o ascendente, alto 7-20 cm, un poco radicante ai nodi inferiori, ha sezione quadrangolare ed è molto ramoso.

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Le foglie, ovate-oblunghe appuntite, con margini interi, sono sessili e normalmente opposte, le superiori a volte verticillate, punteggiate di nero nella pagina inferiore.

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All’ascella delle foglie superiori spuntano i peduncoli fiorali che portano i fiori, ermafroditi, a forma di stella. Essi hanno il calice con 5 lacinie lanceolato-acute, con bordo ampiamente scarioso e saldate alla base. La corolla, rotata, formata da 5 petali obovati, cuneati, con bordo intero, lunghi un poco più dei sepali, è di colore azzurro con anello rosso alla gola.
La pianta produce copiose fioriture da aprile ad agosto e, in condizioni ambientali favorevoli, si prolunga fino alla fine del mese di Settembre.

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Il frutto è una capsula a pisside sferica che si apre orizzontalmente in due semisfere lasciando fuoriuscire 20-35 semi.  I semi sono piccoli e di colore scuro.
La pianta si riproduce per seme, ma si può propagare anche per divisione dei cespi e per talea erbacea.
La Lysimachia arvensis vegeta nei terreni incolti e coltivati, compatti, ricchi e ben drenati, nel bordo delle strade e delle aree antropizzate, dal piano fino a 1200 metri di altitudine. Preferisce le esposizioni al sole o nelle aree parzialmente ombreggiate e mostra anche una buona resistenza al freddo, purchè al riparo dai venti gelidi.
La Lysimachia arvensis si può coltivare in vaso ed è apprezzata come pianta ricadente nei panieri sospesi dei balconi.

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E’ resistente agli attacchi degli afidi e della cocciniglia, ma è sensibile alle malattie fungine, come l’oidio o mal bianco, che si manifestano soprattutto nelle zone calde ed eccessivamente umide. Le foglie tenere sono gradite alle chiocciole e alle lumache.
La pianta, per i contenuti di triterpenoidi e di saponina nelle parti aeree, di glicoside nelle radici, di primina nelle parti pelose, di tannino, di flavonoidi ha proprietà bechiche, diaforetiche, espettoranti, colagoghe, omeopatiche, purganti, stimolanti, vulnerarie, diuretiche e nervine, ma è una pianta tossica. Le parti più tossiche sono i semi.
Gli uccelli, e anche gli animali da cortile, che eventualmente se ne cibano, possono rimanere intossicati.
E’ rifiutata dagli animali domestici ad eccezione dalle galline.
Questa piantina può rivelarsi tossica anche per l’uomo se, raccolta accidentalmente, è consumata come insalata.

 

 

Aug 15, 2021 - Senza categoria    Comments Off on LA PIANTA DI HYOSCYAMUS ALBUS DAI FIORI DAL COLORE GIALLO CHIARO

LA PIANTA DI HYOSCYAMUS ALBUS DAI FIORI DAL COLORE GIALLO CHIARO

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L’Osservazione delle piante spontanee è un fenomeno che ha sempre attratto la mia attenzione e la mia curiosità di conoscerle meglio scientificamente.
Oggi, 16 aprile 2021, percorrendo a piedi la piccola strada in salita che porta al cimitero di Marianello, a Licata, nel ciglio laterale destro ho notato tante piante spontanee fiorite, molto belle.  Volendo conoscere meglio una di esse, la bellissima pianta, dai fiori dal calore bianco-giallastro, mi sono subito documentata.

E’ la HYOSCYAMUS ALBUS.

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https://youtu.be/R23Ww9g5jmU

 

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Hyoscyamus è uno dei generi più grandi della famiglia delle Solanaceae che comprende circa 84 generi e oltre 3000 specie.
Etimologicamente il nome del genereHyoscyamus”deriva dal gecokyoskyamos” composto di hyós” ” “porco, maiale” e da “κύαμος” “fava” col significato di “fava del porco” per la sua capsula fruttifera simile alla fava e perché i maiali sono gli unici animali che possono mangiare la pianta, non nociva per essi, ma tossica per l’uomo.
Il nome della specie deriva dal latino “albus” “chiaro” per il colore chiaro dei fiori.
Il suo nome italiano è “Giusquiamo bianco”.
Il genere Hyoscyamus comprende una dozzina di specie, tra cui: “Hyoscyamus aureus, Hyoscyamus muticus, Hyoscyamus niger, che differisce per le nervature reticolate di colore porpora sui petali bianco-giallastri, Hyoscyamus pusillus, Hyoscyamus reticulates”.
In Italia sono presenti: l’Hyoscyamus albus  e l’Hyoscyamus niger.
L’Hyoscyamus albus è una pianta erbacea annuale, talvolta biennale o perennante, appartenente alla famiglia delle Solanaceae.

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Possiede una larga radice ramificata da cui si solleva il fusto eretto, ramificato, di forma cilindrica, alto da 20 a 80 cm, assumendo spesso un aspetto cespuglioso, lanuginoso, appiccicoso, talvolta legnoso alla base.

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Le foglie sono alterne, picciolate, di consistenza piuttosto carnosa, lunghe fino a 10 cm, ovato-lanceolate, di colore verde scuro sulla pagina superiore, di colore verde glauco chiaro in quella inferiore, con nervature rilevate e a margine lobato, ottusamente dentato.
Le inferiori sono sorrette da un picciolo lungo. Le superiori sono attenuate in un picciolo corto e largo.
Diminuiscono la loro grandezza nella parte più alta della pianta.
Il fusto e le foglie sono ricoperti da una caratteristica peluria lanosa e l’intera pianta emana un forte odore fetido.

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Da maggio ad agosto nella parte superiore produce delle infiorescenze in spighe fogliose, quasi unilaterali; nella parte mediana emette fiori solitari all’ascella delle foglie.
I fiori sono costituiti: da una corolla zigomorfa tubuloso-campanulata con 5 lobi arrotondati di colore giallo chiaro, senza venature, e con la fauce verdastra o porpora o violetta, ricoperta esternamente da peluria, dal calice, gamosepalo, lungo poco più della metà della corolla, verde, esternamente villoso-glanduloso, campanulato, con 5 lobi ovato-lanceolati saldati alla base di cui i 3 superiori più grandi degli inferiori, dai 5 stami disuguali, leggermente più lunghi della corolla, con antere ovali di colore porpora, nere quando seccano, da uno stilo.
Fiorisce da aprile ad agosto. La fioritura inizia fin dal primo anno di vita.

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Il frutto è un pissidio arrotondato, una sorta di capsula a due sezioni, ovale, glabra, di colore verdastro, che rimane racchiusa nel caratteristico calice allungato. All’apertura del piccolo coperchio, racchiuso nel calice persistente, disperde i suoi numerosi semi di colore glauco, e poi giallastro e marrone Di forma ovata, simili alle fave, sono crestati e con un’appendice sferico-conica.

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Presente in quasi tutte le regioni italiane, la pianta è comune al Centro, al Sud dell’Italia e nelle isole, è assente nel Trentino Alto Adige e nella  Valle d’Aosta.

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 Cresce dal mare fino a 800-900 metri di altitudine nelle zone ruderali, negli incolti, negli anfratti delle rocce, sui muri a secco, nei bordi delle strade, nei luoghi pietrosi e sabbiosi.
La diffusione dell’Hyoscyamus albus si è propagata facilmente lungo le antiche vie della transumanza in quanto parte della pianta, grazie alla sua viscosità, rimaneva attaccata al vello degli ovini che, involontariamente, favorivano la diffusione dei semi nei sentieri che attraversavano. Oggi la pianta è ritenuta piuttosto rara per la difficoltà di conservazione del suo habitat naturale.
L’Hyoscyamus albus è una pianta officinale altamente tossica, molto pericolosa.  Era già conosciuta come pianta medicinale dai Babilonesi, dagli Egizi, dagli Arabi, dai Greci e dai Romani che la usavano come calmante e come veleno.
Plinio la descrive come pianta che altera la mente e disturba la testa, effetti da cui deriva, probabilmente, il nome volgare antico di “disturbio”, con cui l’Hyoscyamus è stato pure chiamato. L’assunzione di piccole quantità fa manifestare sintomi quali lo sdoppiamento della vista, accessi di follia e aggressività.
L’ingestione di 20-30 semi può causare la morte di un bambino, mentre una dose quintuplicata può causare la morte di un uomo adulto. Se si eccettuano i maiali, gli altri animali, al pari degli uomini, sono estremamente sensibili alla velenosità dell’ Hyoscyamus tanto che anche gli uccelli che si cibano dei semi di questa pianta muoiono in pochi minuti.
Per questo motivo dovrebbe essere usata con grande cautela. Nelle foglie, nei semi e nelle radici sono contenuti principalmente due alcaloidi: la josciamina e la scopolamina che, durante il riscaldamento o l’essiccamento delle parti, si trasformano in atropina. La loro assunzione causa assopimento, sonno profondo e può addirittura la morte.
Le foglie vanno raccolte quando la pianta è in fiore e possono essere essiccate per un uso successivo.
Molto conosciuta sin dai tempi più antichi come erba medicinale, la pianta era usata come potente sedativo e antidolorifico per sopportare il dolore durante le operazioni chirurgiche e, principalmente, per curare il mal di denti. Infatti, era conosciuta con il nome di “Dente cavallino”, o con quello di “Erba di Sant’Apollonia”, la Santa invocata per la protezione dei mali di denti.
La pianta è utilizzata internamente nel trattamento di asma, di pertosse, di cinetosi, di epilessia. Il suo effetto sedativo e antispasmodico è un valido trattamento per i sintomi del morbo di Parkinson alleviando tremore e rigidità durante le prime fasi della malattia. Sotto forma di olio è utile per alleviare nevralgie e dolori reumatici. Diffuso nel medioevo come narcotico, anestetico e sudorifero, l’assunzione di questa pianta è stata abbandonata per l’alto rischio di tossicità. L’Hyoscyamus albus ha fatto parte anche della tradizione magica certamente per il potente effetto allucinogeno.
In “Zadig” o “Il destino”, opera di Voltaire, si legge “… Intanto sul far del giorno, il farmacista di Sua Maestà entrò in camera mia con una pozione di giusquiamo, oppio, cicuta, elleboro nero e aconito …”. Una miscela mortale racchiudente alcuni degli ingredienti vegetali più venefici conosciuti sin dall’antichità e con i quali si usava porre fine a discordie più o meno regali.
L’Hyoscyamus albus è la pianta nominata da William Shakespeare nell’Amleto. “… il re, padre di Amleto, viene ucciso per avvelenamento da Giusquiamo versatogli nell’orecchio durante il sonno”.
Nel romanzo “Salammbô”, al cap. XIII, Gustave Flaubert si riferisce ai «bevitori di giusquiamo» come i più feroci difensori della città di Cartagine, assediata dai suoi ex-mercenari. Inaffidabili, però, perché, «quando erano assaliti da una crisi, si credevano bestie feroci e balzavano sui passanti, sbranandoli».
Nel linguaggio dei fiori l’Hyoscyamus albus è il simbolo del “difetto”.
L’intera pianta non ha alcun elemento apprezzabile essendo maleodorante e velenosa.

Aug 1, 2021 - Senza categoria    Comments Off on LA MORICANDIA ARVENSIS, LA PIANTA CHE CAMBIA IL COLORE DEI FIORI NELLE DIVERSE STAGIONI DELL’ANNO.

LA MORICANDIA ARVENSIS, LA PIANTA CHE CAMBIA IL COLORE DEI FIORI NELLE DIVERSE STAGIONI DELL’ANNO.

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La Natura è una scoperta continua di conoscenze e di esperienze nuove.
Appoggiata al muro, sotto il cimitero di Marianello, a Licata, in una giornata molto ventosa ho notato una modesta pianta dai fiori violacei a forma di croce.
Il suo nome scientifico è “Moricandia arvensis”.

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https://youtu.be/7Ux_oEJHIpI

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Il nome italiano è “ Moricandia dei campi”.
Altri sinonimi sono: “Brassica arvensis, Moricandia longirostris, Sinapis arvensis”.
Gli inglesi la chiamano “Violet Cabbage”
Gli americani degli Stati Uniti la chiamano “Purple Mistress”.
I tedeschi la chiamano “Acker-Morikandie”.
Gli spagnoli la chiamano “ Berza arvense”
I francesi la chiamano “Moricandie”.

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Etimologicamente il nome del genere “Moricandia” è in onore  di S. Moricand (1780-1854), commerciante e naturalista ginevrino che scrisse una Flora di Venezia.
Il nome specifico “arvensis” deriva dal latino “arvum”, ossia “campo coltivato”.
La Moricandia arvensis è una pianta straordinaria, capricciosa, perché produce fiori di diverso colore a seconda della stagione.

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In primavera produce fiori grandi, di colore lilla, che attirano le api per l’impollinazione.
In estate, essendo l’aria secca e calda, produce i fiori più piccoli, arrotondati, di colore bianco, in grado di assorbire i raggi ultravioletti.
Inoltre, i fiori “estivi” attirano insetti vari che facilitano l’impollinazione, permettendo alla pianta di riprodursi con più efficacia in condizioni difficili come quelle più secche e più calde.
I ricercatori dell’Università di Granada (UGR) descrivono, infatti, un fenomeno di “plasticità fenotipica”, cioè quella capacità di un essere vivente di riprodurre, tramite il proprio genotipo, fenotipi diversi, in questo caso in risposta a qualche fattore ambientale, quale la differenza di temperatura fra la primavera e l’estate, soprattutto a Licata, città di mare, di fronte all’Africa, che modifica la sua espressione genica.
Il dott. Francisco Perfectti Álvarez, professore di genetica dell’UGR e autore principale dello studio, ha così spiegato il fenomeno: “Ciò è dovuto alla sua plasticità nei principali tratti vegetativi e fotosintetici che regolano il suo metabolismo a queste condizioni estreme di alta temperatura e di deficit idrico”.
I ricercatori dell’Università di Granada hanno realizzato lo studio lavorando assieme ai  colleghi del Consiglio superiore spagnolo per la ricerca e delle università di Vigo, Pablo Olavide e Rey Juan Carlos.
La Moricandia arvensis è una pianta erbacea annuale, glabra e glauca, appartenente alla famiglia delle Brassicaceae.

5 FOGLIE OK

Possiede radici superficiali dalle quali si innalzano i fusti cilindrici, suffruticosi, ramosi dalla base con i rami ascendenti e flessuosi.

5A  fusti e foglie OK

Le foglie carnose, sono di colore verde. Le basali sono spatolate, con breve picciolo, spesso scomparse alla fioritura.
Le cauline sono lanceolate, tondeggianti, sessili, profondamente scavate alla base con due orecchiette larghe e tonde che abbracciano interamente il fusto.

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I fiori sono raccolti in racemi allungati, che portano da 10 a 20 fiori, su peduncoli erettiti, dritti o un po’ curvi, cilindrici, più corti del calice.
I sepali del calice sono eretti, appressati alla corolla, ottusi, verdastri o rossicci; due di essi sono più grandi e allungati, gli altri due sono quasi lineari.
La corolla è formata da 4 petali spatolati, patenti, roseo-violetti, con vene delicate di colore più scuro, lunghi fino a 22 mm. Gli stami sono gialli o biancastri, tutti più lunghi del calice. L’antesi avviene da aprile a settembre

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Il frutto è una siliqua compressa, quasi tetragonale, con valve a un nervo, lunga fino a 7 cm.
I semi sono ellissoidi, apteri, brunastri.

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Gli habitat preferiti dalla Moricandia arvensis sono i terreni incolti, aridi, i pendii ripidi dei calanchi argillosi, i muri, i ruderi.
Vegeta bene dal livello del mare fino a 600 m di altitudine.
Diffusa in Spagna meridionale e nel Nord Africa, da dove proviene, in Italia è presente in Liguria, in Toscana, nell’Umbria, in Puglia, in Calabria, in Basilicata, in Molise, in Lombardia, in Sicilia, in Sardegna limitatamente ai luoghi caratterizzati da bioclima termo mediterraneo secco o subumido. La Moricandia arvensis è una specie commestibile, utilizzata a scopi alimentari in Spagna, in Sardegna e in Sicilia.
In cucina le foglie sono ottime bollite, fritte utilizzate come contorno di carni.
In Tunisia la pianta è chiamata “prosciutto” ed è consumata bollita o fritta, condita con aglio e con peperoncino rosso.

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