Jul 1, 2023 - Senza categoria    Comments Off on LA CHIESETTA DI MARIA SS.MA DI POMPEI E LA CHIESETTA RUPESTRE SAN CALOGERO A LICATA

LA CHIESETTA DI MARIA SS.MA DI POMPEI E LA CHIESETTA RUPESTRE SAN CALOGERO A LICATA


La Chiesa della Madonna di Pompei fu edificata nel XV secolo alle pendici orientali del monte sant’Angelo, a Licata, dove sono sorti i primi insediamenti abitativi della città e dove sono stati trovati notevoli reperti archeologici.


Per la sua posizione elevata è visibile da diversi punti della città.
Basta alzare lo sguardo dal Corso Umberto I, sopra il palazzo di città, o guardare dal porto dei pescherecci, o dalla baia Marina di Cala del Sole, per vedere da lontano la chiesetta.

Ammiro la chiesetta osservandola da lontano, soprattutto la sera quando è illuminata dalle luci accese al suo interno.

Si chiamava prima chiesa di “Santa Maria del Soccorso”, successivamente fu conosciuta con il nome di “Chiesa della Collura”.
Nel 1557 fu ceduta ai padri Domenicani e,nel 1566, ai padri Agostiniani che dovevano costruire il convento.
La chiesetta fu restaurata nel 1897 grazie alla generosità di alcuni benefattori e all’interessamento di don Raimondo Incorvaia, parroco della Chiesa Madre.
La consacrazione della chiesetta a “Maria SS.ma di Pompei” avvenne nel 1897.
Lo stesso giorno fu scoperta la lapide per ricordare don Raimondo Incorvaia e dove è scritto: ” D.O.M. Raymundus M.Dr. Incorvaia Praep. P.D.O.M. suiset fidelium largitionibus nectam munificentiam Joanne Verderame Sapio, Josephi Sapio et Marianna Damanti hoc templum Deiparae SS. Rosari Pompei aedificavit. A.D. 1897“.


Nuovi interventi di restauro sono avvenuti nel 2000, dopo lunghi anni di abbandono e di degrado.
La chiesetta, di piccole dimensioni, costruita in muratura con cocci di calcarenite in una delle più ricche zone archeologiche di Licata, ha il prospetto planimetrico rettangolare e dalle linee semplici.



Il prospetto della facciata, ristrutturato nel 1897, fu abbellito da un portale bugnato discretamente elaborato con archi e con paraste in ottima pietra di taglio.


Il prospetto è sormontato da un timpano semicircolare spezzato con tre forature allungate nella parte centrale. Funge da campanile dove sono alloggiate le tre campane.

Una finestra, posta sopra la porta d’ingresso, dona luce all’ambiente interno.


All’interno della chiesa, a una sola navata, non vi sono particolari elementi decorativi, solo piccoli ma pregevoli affreschi.

La volta è interamente affrescata, ma avrebbe bisogno di nuovi interventi di restauro.

L’altare del presbiterio accoglie la Madonna del Rosario col Bambino e, lateralmente, i Santi Domenico e Caterina, un quadro dipinto da Giovanni Cammarata nel 1987.

L’altare è realizzato interamente in marmo con decori sui quattro lati e colonne laterali.
Arredano la chiesetta il quadro dell’Annunciazione e le statue di due Cristi crocifissi.

Il quadro di Gesù crocifisso con gli angeli è posto alla base dell’altare. Ad uno di Essi appartiene la lapide.


La strada, per raggiungere la chiesetta, è in un pendio ripido e, purtroppo, poco agevole e non facile da raggiungere. Tuttavia, nonostante la strada per accedere alla chiesa sia particolarmente accidentata, le funzioni religiose sono celebrate regolarmente perchè la chiesa appartiene alla rettoria della Parrocchia di Santa Maria la Vetere e alla diocesi di Agrigento.
Le persone che raggiungono la chiesetta, non solo partecipano alle funzioni religiose, ma dal piazzale davanti alla chiesetta osservano e apprezzano il suggestivo panorama che mostra gran parte di Licata, il mare e il porto.

Ai piedi della chiesa della Madonna di Pompei, scavati nella roccia, resistono i resti del santuario rupestre di San Calogero, di età Bizantina.

Alla base della chiesetta di Maria SS.ma di Pompei ci sono delle grotte.
Nell’antica città di Licata una buona parte dei suoi abitanti, in genere contadini e allevatori, abitava all’interno di grotte e spelonche naturali nella zona alta del Cotturo, di Piano Madre e di San Calogero.
Probabilmente erano preesistenze di età preistoriche.
Queste grotte esistono ancora, ma sono state incluse nelle successive abitazioni che furono edificate in quella zona a partire dal 1600. A Licata, in località “Collura”, oggi “Pompei”, si possono visitare ancora i resti della chiesetta rupestre di “San Calogero”, dedicata alla “Santa Croce”, un ipogeo scavato nella roccia dai monaci calogerini.




I monaci calogerini, oltre che a Licata, si erano stanziati a Naro, ad Agrigento, a Sciacca.
“Calogerini” era l’appellativo che indicava gli anacoreti che vivevano in luoghi solitari e dentro le grotte.
Nel 1700 il santuario rupestre fu incluso in una chiesetta oggi non più esistente.
San Calogero (Calcedonia, 466 – Monte Kronio – Sciacca, 18 giugno 561) è stato un monaco eremita, seguace di San Basilio, venerato come santo taumaturgo dalla Chiesa cattolica, dalla chiesa ortodossa e patrono di moltissimi paesi della Sicilia.
Il nome “Calogero” deriva dal greco “καλόγηρος”, termine composto da “καλός” “bello” e da “γῆρας” “vecchiaia”col significato di uomo “bel vecchio”.
Calogero, nato da genitori cristiani, colloca la sua esistenza tra il V e il VI secolo d. C.
Sin da bambino abbracciò gli insegnamenti del Cristianesimo. A vent’anni, secondo l’innografia composta dal monaco Sergio, fuggì dalla Tracia a causa delle persecuzioni scatenate dai monofisiti contro i fedeli al dogma proclamato nel 451 nel concilio di Calcedonia. Si recò in Sicilia, dove abitò per qualche tempo predicando e curando gli ammalati con le acque sulfuree dell’isola, convertendo molti abitanti alla religione cristiana e vivendo la sua vita di eremita e di taumaturgo.
San Calogero, in dialetto siciliano chiamato San Calòjiru o San Caloriu, è il patrono di Naro e compatrono di Agrigento. E’ particolarmente venerato a Caltavuturo, a Favara, a Sciacca, a Frazzanò, a San Salvatore di Fitalia, a Santo Stefano di Quisquina, a Cesarò, a Petralia Sottana, a Casteltermini, a Campofranco, a Canicattì, a Torretta, a Porto Empedocle, a Mussomeli, a Villalba e a Vallelunga Pratameno.
Si festeggia il 18 Giugno di ogni anno.
Auguri di buon onomastico a tutti coloro che si chiamano Calogero, Calogera, Caloriu, Caloria, Caluzzu, Caluzza, Caliddu, Calidda, Lillo, Lilla, Rino, Rina, Gero, Gera.
Si venerava anche a Licata nella chiesa rupestre, detta della “Santa Croce”, in località “Collura”, oggi Pompei. L’immagine del Santo nero fu trasferita nella chiesa di Santa Maria La Vetere.

La filastrocca a San Calogero
SAN CALORIU OGNI PAISI
San Caloriu da marina
Fa i grazii sira e matina
San Caloriu d’ Agrigentu
Fa i grazii a centu a centu
San Caloriu di Naru
Fa i grazii a migliaru
San Caloriu di Caniattì
Ni fici una e sinni pintì
San Caloriu da Licata
fà i grazii a na vùlata.

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Una leggenda devozionale racconta che durante la sua vecchiaia, non potendo più raccogliere le erbe di cui nutrirsi, Calogero si cibava del latte di una cerva che gli sarebbe stata mandata da Dio.
Un giorno il cacciatore Siero, detto Arcario, perché cacciava con l’arco e le con frecce, involontariamente uccise la cerva.
Addolorato per la cattiva azione, divenne discepolo del santo.
Alla morte di Calogero, avvenuta dopo quaranta giorni, Arcario lo seppellì in una caverna sul monte solo da lui conosciuta. Egli stesso trasformò la grotta in cui era vissuto il Calogero in una piccola chiesa dove alloggiò insieme ad altri discepoli. In seguito furono scavate nella roccia le cellette che costituirono i dormitori. Furono chiamate “Eremo” o “Quarto degli Eremi”.
A causa delle invasioni Saracene in Sicilia, il vescovo agrigentino del tempo, per non far disperdere le reliquie, le fece trasportare nel monastero basiliano di San Filippo di Fragalà, nei pressi di Frazzanò, nel messinese. Ai giorni nostri le sacre spoglie di San Calogero riposano nella chiesa Madre di Frazzanò, Diocesi di Patti, custodite in una cassa lignea.

 

 

Jun 17, 2023 - Senza categoria    Comments Off on LE PIANTE DI SILYBUM MARIANUM DALLE PUNGENTI SPINE NELLE CAMPAGNE DI LICATA

LE PIANTE DI SILYBUM MARIANUM DALLE PUNGENTI SPINE NELLE CAMPAGNE DI LICATA

Il fusto eretto e vigoroso, le foglie spinose, la forma stellata del fiore hanno suscitato in me una grande ammirazione.

Nella mia campagna, in contrada Montesole, a Licata, ho raccolto molti semi che, germogliando, hanno prodotto tante piante molto utili perchè hanno circondato una superficie di circa 2 metri quadrati per proteggere l’Elicrisum italicum, la specie botanica molto amata dal prof. Carmelo De Caro.



E’ il “SILYBUM PYGMAEUS”.
Sinonimi sono: “Carduus marianus, Centaurea dalmatica, Mariana lactea”.

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In Italia la specie è conosciuta in quasi tutte le regioni ed è chiamata con diversi nomi: “Cardo di Santa Maria, Latte di Maria nel Veneto, Card d’ le maccie, Card Marianu in Piemonte, Gardo santo in Liguria, Cardo lattario in Lombardia, Cardo macchiato, Cardo Mariano, Cardo Santa Maria, Erba del latte, Cardo asinino inToscana,Carduni, Cocas in Calabria, Muganazzi, Maganazzi, Magunazzi veri, Cardunazzu,Cardalana, Battilana in Sicilia, Cardu tuva Cima de carduin Sardegna“.
Etimologicamente il termine del genere “SILYBUM” deriva dal greco “σίλυβον/σίλλῠβον”, nome con cui Dioscoride chiamava alcuni cardi commestibili. Anche Plinio ha dato il nome “Sillybus”, un tipo di cardo.
Il termine della specie “marianum“, letteralmente di “Maria”, trae origini dalla leggenda secondo la quale le bianche striature presenti sulle nervature delle foglie dei cardi sarebbero le scie lasciate dalle gocce di latte della Vergine Maria scivolate sulle foglie mentre allattava il Figlio Gesù durante la fuga in Egitto per sottrarLo alla persecuzione di Erode. La mamma Maria, Giuseppe e il Bambino Gesù hanno trovato riparo in una vegetazione di cardi.


Il Silybum marianum è una pianta erbacea, biennale,con portamento vigoroso, appartenente alla famiglia delle Asteracee. Originaria del continente eurasiatico, presente anche in limitate zone dell’ America, dell’Australia e dell’Africa, si è diffusa in diversi Paesi del bacino del Mediterraneo.
In Italia è distribuita in altitudini comprese tra i 100 e i 1100 metri, vegetando dalle zone costiere fino alla zona submontana.
Più rara al nord e più frequente al sud e nelle isole fino a diventare invadente.
Anche a Licata è diventata infestante. Infatti vegeta bene nei ruderi, lungo le strade, nei terreni incolti.

Il Silybum marianum possiede la radice robusta e fittonante, capace di dissodare i terreni compatti.
Nel primo anno di vita emerge dalla radice solamente una rosetta basale di foglie laterali grandi, lobate e picciolate. Nel secondo anno spunta lo scapo fiorale che può raggiungere i 1,5 metri. Esso è robusto, striato e ramificato, con rami eretti.


Le foglie che si sviluppano sullo scapo sono sessili, amplessicauli, più piccole e meno divise delle basali, espanse alla base in due orecchiette. Le foglie superiori sono pennatifide, con margine ondulato e sinuato-lobato, con i lobi triangolari che terminano con robuste spine. La lamina fogliare, di colore verde-scuro, variegata di bianco lungo la nervatura, è glabra, coriacea, e cerosa.
Il rivestimento ceroso agevola il deflusso dell’acqua per mezzo di grosse gocce.


L’antesi avviene nei mesi tra aprile e maggio del secondo anno.
La parte più manifesta è l’infiorescenza a capolino, globosa, formata da piccoli fiori ermafroditi, con corolla tubulosa di colore rosso-purpureo e profumata.
L’infiorescenza è circondata da brattee spinose che hanno una base slargata che si prolunga in un lembo patente, rigido, stretto e acuminato, provvisto di una serie di spine sui margini e terminante con una robusta spina apicale.
Le brattee tendono a curvarsi verso il basso durante la fruttificazione.
Nell’insieme la pianta si presenta interamente spinosa.



I sepali del calice del fiore sono ridotti ad una coroncina di squame. La corolla è formata da un tubo filiforme terminante in 5 lobi.
Nell’ androceo i 5 stami sono formati da filamenti liberi, papillosi o raramente glabri e distinti. Sorreggono le antere saldate in un tubo che circonda lo stilo. Il polline è sferico o schiacciato ai poli.
Nel gineceo lo stilo è filiforme con due stigmi divergenti.
L’ovario è infero, uniloculare, formato da 2 carpelli. L’ovulo è unico e anatropo.
La fecondazione avviene tramite l’impollinazione dei fiori mediante gli insetti e le farfalle diurne e notturne.
I frutti sono degli acheni penduli, obovato-compressi, più stretti alla base e compressi lateralmente, di colore bruno-nerastro o screziate di giallo. Sono lucidi e glabri, inodori e dal sapore amaro, provvisti di pappo setoloso all’apice composto da lunghe setole, scabre, caduche, bianche, saldate in un anello basale con la funzione di disperdere il seme. I frutti maturano in piena estate.


Contengono i semi che vengono disseminati dal vento o cadono direttamente sul terreno.


La disseminazione è favorita anche dagli insetti, dalle formiche secondo la disseminazione mirmecoria.
La pianta ha anche una facile diffusione spontanea.
Il Silybum marianum è una pianta che si adatta a qualsiasi tipo di terreno gradendo una esposizione in pieno sole. Non necessita di essere irrigata se non in periodi di prolungata siccità.
I principali impieghi fitoterapici del Silybum marianum riguardano l’uso contro le affezioni del fegato e come galattogeno per la stimolazione del latte materno.
L’utilizzo, a scopo terapeutico, di questa pianta è noto fin dall’antichità.
Già gli antichi rilevavano la sua efficacia sulle cellule epatiche. Successivamente questa fama terapeutica fu confermata dalla taumaturgica Santa Ildegarda.
Tuttavia l’affermazione dei principi attivi è stata completata negli anni settanta.
Già nel Cinquecento Pietro Andrea Mattioli, noto umanista e medico italiano, descrisse le qualità curative del Silybum marianum: “La radice scalda, monda, apre e assotiglia. La cui decottione dà utilmente nelle oppilationi del fegato e delle uene, per prouocar l’orina ritenuta…Prouoca la medesima i menstrui non solamente beuta, ma anchora sedendouisi dentro…”
Il Silybum marianum è una pianta officinale.
Pertanto, grazie alle proprietà antiepatotossiche, è utilizzato in caso di sofferenza organica e funzionale del fegato dovuta a patologie come epatiti, cirrosi e steatosi.
Ha, inoltre, proprietà colagoghe, perchè favorisce l’escrezione della bile, e capacità diuretiche. I suoi benefici per il fegato sono stati attribuiti alla silimarina, una miscela di flavonolignani, (silibina, silidianina, isosilibina e silicristina), che si estraggono dagli acheni, e si basano si meccanismi antiossidanti, antinfiammatori, citoprotettivi e rigenerativi sulle cellule epatiche. La moderna fitoterapia utilizza il decotto o l’infuso delle radici.
L’uso è consigliabile con cautela di pazienti sofferenti di ipertensione arteriosa per la presenza della tiramina.
Le radici hanno, inoltre, proprietà diuretiche e febbrifughe. Le foglie hanno proprietà aperitive. Le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimurgici sono indicati a scopo informativo.
In campo alimentare l’estratto dalle radici è usato nella preparazione di liquori d’erbe.
Le radici bollite sono commestibili, i capolini si cucinano come i carciofi, le giovani foglie si consumano in insalata e i fusti si mangiano crudi o cotti.
Curiosità: In Germania, in Prussia e in Boemia il Silybum marianum era considerato un protettore magico che allontanava gli influssi negativi di ogni genere. Le ragazze innamorate potevano indagare se erano veramente amate dal partner con questo sortilegio: bruciavano un fiore lasciandolo immerso nell’acqua in una bacinella per una intera notte. Se il fiore rifioriva, le innamorate avevano la certezza di essere amate.
Il De Gubernatis riporta una leggenda secondo la quale in un certo luogo cresceva uno strano cardo dall’aspetto umano. Quando sbocciava il dodicesimo capolino, allora il Cardo svaniva.
Un giorno un vecchio uomo si avvicinò proprio allo sbocciare del magico fiore.
Il vecchio, incuriosito dalla strana sembianza umana, si avvicinò e lo toccò col suo bastone.
Il bastone di legno prese fuoco e il braccio del vecchietto si paralizzò, chiaro segno della Potenza inceneritrice del dio Sole.

 

Jun 1, 2023 - Senza categoria    Comments Off on LE PIANTE DI BUPLEURUM FRUTICOSUM NEL BOSCHETTO DELLA NEVIERA A MISTRETTA

LE PIANTE DI BUPLEURUM FRUTICOSUM NEL BOSCHETTO DELLA NEVIERA A MISTRETTA

Ho incontrato una grande estensione di terreno coperta da tantissime piante dai fiori gialli ad ombrella percorrendo, la scorsa estate, la regia trazzera nel boschetto in contrada Neviera che conduce alla chiesetta “A Matri Tagliavia”, “Madonna Tagliavia”, una piccolissima chiesa rurale extra moenia, distante dal centro abitato di Mistretta appena 2,5 chilometri e ad un’altezza di 1100 metri.

A Mistretta, sui monti Nebrodi, questa specie evidenzia la tendenza a costituire arbusteti connessi con formazioni forestali a querce caducifoglie termofile.
La vegetazione osservata, e che riempie quell’area, è la “BUPLEURUM FRUTICOSUM”. Uno spettacolo della Natura!
Come dice J.J Rousseau: ” C’è un libro sempe aperto per tutti gli occhi: la Natura”.
Il nome italiano è “Bupleuro cespuglioso”.
Il sinonimo “Tenoria fruticosa”.
Etimologicamente il nome del genere “Bupleurum” deriva dalla parola greca composta da “βούπλευρος” e da “βοῦς” “bue” e da “πλευρά” “costola” in riferimento alle pronunciate rigature longitudinali delle foglie.
Il nome della specie “fruticosum” ” frutice” perchè ricco di germogli.

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Il genere Bupleurum comprende circa 200 specie. Allo stato spontaneo si estende in un’area dal Marocco alla Grecia. Principalmente è originario dell’Europa, dell’Asia, dell’Africa boreale e delle Isole Canarie ed Azzorre.
In Italia le specie di Bupleurum sono poco comuni e sono presenti in Sicilia, in Sardegna e in Liguria.
Alcune specie sono : “Bupleurum fruticosum, Bupleurum montanum, Bupleurum elatum, Bupleurum odontites, Bupleurum gibraltarium, Bupleurum lancifolium, Bupleurum baldense”.
Il nome “Bupleurum ” fu usato per la prima volta da Ippocrate e ripreso, in tempi relativamente moderni, dal Tournefort e da Linneo. Però fu il botanico francese Antoine-Laurent de Jussieu (1748-1836) che introdusse questo genere di piante nella famiglia delle Umbelliferae.
La specie che ho incontrato io a Mistretta e che ho fotografato è la “BUPLEURUM FRUTICOSUM“.


E’ una pianta arbustiva, rustica, perenne e sempreverde, dalla crescita veloce e dal portamento folto e regolare.
La singola pianta, sostenuta dalla radice rizomatosa, assume l’aspetto di un grosso e folto cespuglio alto fino a due metri formato da numerosi fusti rigidi, legnosi, eretti, sottili, rivestiti da corteccia brunastra che, dividendosi ripetutamente ed orientandosi in ogni direzione, conferiscono alla pianta una forma globosa.
Nelle vecchie piante i fusti tendono a ramificarsi, a diventare intricati e ad assumere una tonalità grigia.


Le foglie, semplici, intere, coriacee, persistenti, a disposizione alterna, con il picciolo ridottissimo, sono quasi sessili e abbraccianti il fusto. La lamina fogliare è ellittico-lanceolata (molto più lunga che larga) ed è attraversata da una nervatura mediana evidente in entrambe le pagine. La pagina superiore è lucida e di colore verde, la pagina inferiore è opaca e glauca. Spesso le foglie basali sono riunite in una specie di rosetta. Il margine fogliare è intero e liscio. L’apice della foglia è acuto. Le foglie, se stropicciate, emanano un persistente odore aromatico.


In estate, nel periodo compreso tra il mese di luglio e il mese di settembre, proprio durante il mio soggiorno a Mistretta, nella parte terminale dei rami compaiono abbondanti infiorescenze ad ombrella composte da piccoli fiori ermafroditi, pentameri, con calice e corolla formata da 5 elementi, di colore giallo e dall’aspetto carnoso.


Dai fiori nettariferi fecondati si sviluppano in autunno i frutti, i diacheni, divisi in due acheni saldati lungo un asse centrale, di forma ovoide, lunghi pochi millimetri, costoluti, brunastri che ospitano i semi che garantiscono una facile diffusione della specie.
La Bupleurum fruticosum è una pianta diffusa soprattutto nei paesi a clima freddo o temperato adattandosi bene alle più disparate condizioni di vita. Non necessita di particolari cure colturali.
Gradisce vegetare su habitat di rupi, di luoghi sassosi, ma anche su spazi erbosi asciutti, aridi, sterili su terreni grassi, sabbiosi e argillosi e, soprattutto, freschi e ben drenati. Gradisce l’esposizione luminosa, in pieno sole, ma si accontenta anche della mezza ombra. L’irrigazione non è un’operazione frequente da fare. Sopporta temperature minime invernali solo di alcuni gradi inferiori allo zero.
Le infiorescenze della Bupleurum fruticosum, per la loro bellezza, sono ornamentali per cui la specie si può coltivare in vasi e in contenitori per abbellire terrazze, balconi e giardini pensili. I giardinieri piantano alcuni cespi nelle ville comunali come siepi di separazione delle aiuole.
La medicina farmaceutica popolare consiglia l’uso delle foglie delle piante di Bupleurum che sono capaci di un’azione psicotropa e ansiolitica. I decotti delle foglie sono utili per rilassare i tendini. Inoltre, prodotti erboristici di questa specie vengono usati in chimopuntura, per combattere i reumatismi autoimmuni.
In cucina, per uso alimentare, in Occidente tali piante non sono molto conosciute come specie eduli, mentre in Giappone si consuma a scopo alimentare il Bupleurum falcatum perchè là esiste una normale coltivazione orticola di questa pianta.

 

May 17, 2023 - Senza categoria    Comments Off on RAPSODIA, LA POESIA DI CARMELO DE CARO

RAPSODIA, LA POESIA DI CARMELO DE CARO

23 ANNI!
Carmelo carissimo, il tuo ricordo è sempre vivo!

RAPSODIA
Brilla l’Astro dorato
dopo la greve pioggia
portata dalle nuvole
che ora, squarciate, mi
feriscono gli occhi.
Nell’aria pungente,
tersa, limpida, è la
Natura che si sveglia
dopo il monotono pianto della pioggia.
E la vita ritorna a fiorire
sui verdi davanzali,
nell’azzurro profondo
del cielo.
Ho voglia di correre,
ho voglia di volare,
ho voglia di salire
sempre più in alto,
ho voglia di volare
lassù, fino a quell’astro dorato.
27 novembre 1963

“RAPSODIA” è la poesia, tratta dal libro “SINTITI SINTITI”, di CARMELO DE CARO,
che lui ha scritto nel lontano 1963.

May 1, 2023 - Senza categoria    Comments Off on GLI ALBERELLI DI NICOTIANA GLAUCA LUNGO LE STRADE DI LICATA

GLI ALBERELLI DI NICOTIANA GLAUCA LUNGO LE STRADE DI LICATA

Percorrendo alcune strade di Licata, soprattutto la via Principe di Napoli, si possono osservare tanti arbusti di questa meravigliosa pianta dai fiori gialli dalla forma particolare di lungo imbuto.
Veramente, pur essendo una pianta rara, tanti altri esemplari della stessa specie si possono osservare lungo il Corso Argentina, nella baia di Marianello, davanti alla sede dei Vigili Urbani nella pazzetta Libia, e all’Istituto Comprensivo “Guglielmo Marconi” in via Egitto, in via Gen.le Dalla Chiesa, in via Gela, in via Umberto II, sempre a Licata. Ciò significa che è una specie di facile riproduzione e poco esigente nella scelta del suo habitat. I piccoli semi,dispersi d vento, favoriscono la diffusione della specie.
Il nome scientifico e “NICOTIANA GLAUCA”
Il nome italiano è “TABACCO GLAUCO”.
Sinonimo è “TABACCO SELVATICO”


Etimologicamente il nome del genere “Nicotiana” è in onore di Jean Nicot, Signore di Villemain (1530-1600), accademico e ambasciatore francese in Portogallo che, nel 1559, spedì alla corte di Caterina de’ Medici un esemplare di questa pianta allora considerata un efficace farmaco contro diverse patologie.
Il nome della specie “glauca” deriva dal greco “γλαυκός” “glauco, azzurro verdognolo” per il colore delle foglie verde-azzurro.

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La Nicotiana glauca, chiamata comunemente “Falso tabacco o tabacco glauco”, è una specie vegetale perenne della famiglia botanica delle Solanaceae originaria dell’America meridionale e diffusa in Argentina, nel Paraguay e in Bolivia , ma ormai inselvatichita e divenuta naturalizzata in tutto il mondo.
Probabilmente è arrivata in Europa all’epoca della colonizzazione spagnola dell’America meridionale. In Italia, introdotta come essenza ornamentale, è possibile trovarla in Sicilia, in Campania, nel Lazio, in Liguria, nelle Marche, in Puglia, in Sardegna in Toscana.
Vegeta bene nelle zone calde, appoggiata al muro, sui suoli sabbiosi, nei greti dei torrenti e lungo le scarpate a quote che variano tra 0 e 600 metri sul livello del mare.
La pianta, legata al suolo mediante una robusta e profonda radice fittonante, si solleva dal terreno assumendo uno sviluppo di arbusto ascendente.  

Il fusto, alto fino a 2 metri, legnoso e molto ramificato, è ricoperto da una corteccia liscia di colore marrone scuro.
I numerosi rami semilegnosi, che dal colore marrone virano al verde chiaro nelle estremità apicali, formano la chioma irregolare.

Le foglie, portate sui rami da lunghi piccioli, alterne, coriacee, e di colore verde – azzurrino, hanno la forma lanceolata e il margine intero.


I fiori, a di forma trombetta, con la corolla gamopetala di colore giallo intenso, sono disposti in vistose infiorescenze a pannocchie che, durante il periodo della fioritura, sbocciano nelle parti apicali dei rami. Le infiorescenze della Nicotiana sono composte da 20–40 fiorellini lunghi 4 cm e larghi 0,5 cm circa. I fiori non profumano.
La fioritura avviene nel corso della stagione estiva e i fiori si mostrano sulla pianta fino all’arrivo dell’autunno. Considerando la lunga durata della fioritura la Nicotiana glauca è utilizzata per lo più come pianta ornamentale.







Il frutto è una piccola capsula ellissoidale, coriacea, pendula, lunga fino a 1 cm, contenente numerosissimi semi scuri. La pianta si propaga per seme in primavera. L’ impollinazione avviene tramite farfalle diurne e notturne. Dai semi germogliano in poco tempo piante capaci di fiorire già dal terzo mese di vita.
La Nicotiana glauca predilige i terreni sciolti, ricchi e ben drenati posta in luoghi soleggiati dove possa ricevere la luce del sole per molte ore al giorno, ma prospera abbastanza bene anche nei luoghi semi-ombrosi e più freschi. Vegetando spontaneamente in piena terra, si accontenta delle scarse piogge sopportando anche lunghi periodi di siccità. Teme i venti freddi.
La Nicotiana glauca è una pianta facile da coltivare e non richiede accorgimenti particolari per regalare il meglio della sua bellezza per gran parte dell’anno.

Si può coltivare anche nei giardini, nelle villette private sia in piena terra, sia nei vasi abbastanza capienti. Per ottenere una fioritura abbondante bisogna annaffiare quando il terreno è asciutto e somministrare un concime per piante da fiore. Per quanto riguarda la potatura, per dare una forma più ordinata all’arbusto all’inizio della primavera bisogna accorciare i rami di circa la metà della loro lunghezza. Si favorisce l’emissione di nuovi getti floreali.
Le foglie della Nicotiana glauca vengono fumate dai nativi americani. La pianta possiede anche delle presunte proprietà medicinali per l’alto potere cicatrizzante. Serve anche per combattere le malattie reumatiche, e come pomata per curare gonfiori, ematomi, ferite e infiammazioni.
Come le altre piante ornamentali e quelle coltivate per la produzione del tabacco, anche la Nicotiana glauca contiene anabasina, un alcaloide estremamente tossico e velenoso.
L’ingestione delle foglie di Nicotiana glauca può infatti causare convulsioni, vomito, coma e anche la morte.
Con gli estratti della pianta si producono insetticidi.

 

 

 

Apr 19, 2023 - Senza categoria    Comments Off on LE PIANTE DI OSTEOSPERMUM ECKLONIS E DI OSTEOSPERMUM FRUTICUM ADDOSSATE ALLA RECINZIONE DELLA MIA CAMPAGNA A LICATA.

LE PIANTE DI OSTEOSPERMUM ECKLONIS E DI OSTEOSPERMUM FRUTICUM ADDOSSATE ALLA RECINZIONE DELLA MIA CAMPAGNA A LICATA.

Durante la passeggiata nelle campagne di contrada Montesole-Giannotta a Licata, la mia attenzione è stata attratta dalla colorazione bianco-violacea di moltissime piante fiorite che, prepotentemente, occupano ampi spazi delle recinzioni, anche attorno al cancello della mia campagna, creando un ambiente colorato.
Sono i fiori di Osteospermum che mettono allegria, perché sono l’esplosione della vita.
Formano pareti intense, ampie e ondeggiano al primo alito di vento.

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Esistono circa 80 specie di Osteospermum, ma la più frequente è “l’Osteospermum di Ecklon o Dimorfoteca di Ecklon”.
Questa specie è nota con altri nomi: “Margherita sudafricana, Margherita del Capo, Margherita dagli occhi azzurri, Margherita dei Carpazi”.
Etimologicamente il nome del genere “Osteospermum” deriva dall’unione delle parole greche “όστεον”  “osso” e “σπερμα” “seme” per via dei semi duri, che sembrano di osso.
Il nome “Dimorphotheca” deriva dal greco “δίς” “due volte” e da “μορφή” ” forma”, “apparenza”, e da “θήκη” “cassa, scrigno, capsula” per i frutti o i semi di duplice forma.
Il nome della specie “ecklonis” è stato attribuito in onore del Dr. Christian Frederik Ecklon (1795-1868), studioso botanico tedesco.
Si tratta di piante originarie dall’Africa meridionale, ma anche dalla penisola arabica, ritrovate nelle praterie, nelle montagne rocciose, ai margini dei boschi.
L’Osteospermum, per bellezza e per la raffinatezza dei suoi fiori, dal colore bianco, rosa,violetto, ha conquistato molti floricoltori non solo con il bell’aspetto, ma anche per la fioritura a lungo termine.



L’Osteospermum è un genere botanico composto da circa 85 specie appartenenti alla grande famiglia delle Asteraceae maggiormente originario dell’Africa meridionale e della penisola arabica.
Alcune specie sono piante erbacee, altre sono arbusti.
La specie più nota e più coltivata è la “Osteospermum ecklonis”, una pianta erbacea perenne, se il clima è mite in inverno, altrimenti è annuale, se il clima è freddo.



Possiede radici profonde, con le quali si lega al terreno, e dalle quali si sollevano i fusticini, eretti, alti fino a 1 metro, da dove emergono densi cespi di foglie disposte a rosetta alla base della pianta, sessili, lanceolate, ghiandolari, di colore verde chiaro, cerose, cuoiose, leggermente succulente, aromatiche e con il margine intero.


Fra le foglie sbocciano i fiori, simili a margherite, di colore viola che iniziano a fiorire in primavera prolungando la fioritura fino all’inizio dell’estate.



Durante i mesi invernali la pianta si concede un lungo periodo di riposo entrando in una sorta di “letargo” per poi rifiorire durante la stagione successiva.
Nella stessa ringhiera della mia campagna vegetano bene  anche fiori di Osteospermum fruticosum dal colore bianco.

Se le foglie o il gambo sono danneggiati, il fiore emette un odore piuttosto sgradevole che, altrimenti, non c’è.
La pianta di Osteospermum può essere propagata per seme o per talea.
Il frutto è una piccola bacca con la superficie rugosa.

La riproduzione per seme si esegue in primavera.
Si usano i semi raccolti in autunno dai fiori appassiti e si conservano in un luogo fresco ed asciutto.
Seminati in semenzai o nei vasi, su un substrato universale, germoglieranno dopo 10-15 giorni circa.
La moltiplicazione per talee semilegnose si esegue all’inizio della primavera.
Bisogna tagliare alcuni steli teneri, lunghi circa 10 cm, che vanno interrate in un miscuglio di sabbia e di torba nel terreno o nei vasi. Radicheranno in circa 20 giorni.
Nella stagione autunnale è possibile effettuare la divisione dei cespi.
L’Osteospermum è una pianta rustica, ornamentale, facile da coltivare sia in giardino, in piena terra, per formare bordure e aiuole, sia nei vasi, per abbellire le terrazze e i balconi delle case private creando un fenomeno spettacolare allegro in primavera e in autunno.

Essendo una pianta di origine africana bisogna tenere presente che il suo principale nemico è il freddo durante il periodo invernale.
Per questo motivo, pur essendo una pianta perenne, spesso viene coltivata come pianta annuale.
La coltivazione in vaso ha il vantaggio che, all’arrivo della stagione fredda, le piante possono essere riparate in un luogo dove la temperatura si mantiene costantemente più alta.
Gradisce una posizione all’aperto, su luoghi molto soleggiati, dove può ricevere alcune ore di luce diretta ogni giorno, ma cresce anche a mezz’ombra, dove la temperatura minima annuale non deve essere inferiore a -4 -5ºC, pur producendo più foglie che fiori.
L’Osteospermum non è una pianta esigente in fatto di terreno, ma preferisce essere posta su un substrato fertile, ricco di sostanza organica, soffice, leggero e ben drenato.
È adatta anche ai giardini di mare, perché sopporta il caldo intenso, la salsedine ed i venti salmastri.
Potrebbe incorrere in una fase di riposo vegetativo durante la stagione avversa, per riprendere la fase di vegetazione quando le condizioni torneranno favorevoli.
Durante il periodo della fioritura la pianta necessita di irrigazioni regolari ed abbondanti evitando i ristagni idrici, che potrebbero provocare la formazione di marciumi radicali.
Durante le altre stagioni occorre bagnare il terreno con moderazione e solo quando è asciutto.
Dall’inizio della primavera e fino alla fine dell’estate è consigliabile concimare aggiungendo dei fertilizzanti organici, come guano o pacciame.
Oppure usare quelli chimici, liquidi per piante da fiore diluiti nell’acqua d’irrigazione in modo da stimolare un migliore sviluppo della pianta e una fioritura più abbondante.
La pianta non ha bisogno di essere potata. Si devono soltanto eliminare i fiori appassiti, accorciare gli steli che crescono troppo, e tagliare quelli secchi o deboli.
Per quanto riguarda i parassiti, le malattie e le altre avversità l’Osteospermum è frequentemente attaccato dagli Afidi, dalla Mosca bianca, dalla Cocciniglia cotonosa.
L’azione preventiva contro eventuali attacchi è quella di intervenire con insetticidi specifici, da somministrare prima della ripresa vegetativa.
Importante: la pianta di Osteospermum contiene acido cianidrico, che la rende velenosa per il bestiame.

Apr 8, 2023 - Senza categoria    Comments Off on “RAMI DI SCIROCCU” – TRILOGIA POETICA IN DIALETTO SICILIANO NELLA PARLATA MISTRETTESE DEL SECOLO VENTESIMO DI FILIPPO GIORDANO.

“RAMI DI SCIROCCU” – TRILOGIA POETICA IN DIALETTO SICILIANO NELLA PARLATA MISTRETTESE DEL SECOLO VENTESIMO DI FILIPPO GIORDANO.

L’amico Filippo Giordano continua la sua instancabile e fruttuosa voglia di scrivere le sue apprezzate poesie in dialetto siciliano mistrettese. Filippo è “Poeta educatore dei sentimenti umani, maestro dell’arte della Poesia”.

Infatti, ha aggiunto, alla sua numerosa collana produttiva, il nuovo libro dal titolo “RAMI DI SCIROCCU – trilogia poetica in dialetto siciliano nella parlata mistrettese del secolo ventesimo”, edito dalla Youcanprint e pubblicato nel mese di Aprile del 2023.

“Rami di sciroccu” è una espressione dialettale siciliana appartenente al gergo pastorale che, pittorescamente, ritrae particolari forme di nuvole le quali, secondo la secolare esperienza contadina, preludono all’imminente arrivo dello scirocco, con conseguente innalzamento della temperatura.
Sotto questo unico nome, il libro riunisce tre piccole raccolte di poesie, già pubblicate, col titolo: “Scorcia ri limuni scamusciata” (anno 2003), “Ntra lustriu e scuru” (anno 2006), “Riepitu” (anno 2015), scritte in dialetto siciliano in uso nel XX° secolo a Mistretta, piccolo comune, di antichissima origine, sito sui monti Nebrodi.
”Da ogni poesia di Filippo Giordano emerge la descrizione di un piccolo mondo perfetto, il mondo che ha visto per primo e che amerà per tutta la vita: il posto dove è nato e cresciuto. Posto del quale il poeta Filippo Giordano conosce ogni angolo del luogo, ogni paesaggio, ogni suono, ogni voce, ogni profumo. Luogo che lo affascina e lo rassicura. In cui ogni cosa parla il suo stesso linguaggio, il linguaggio mistrettese, il linguaggio dei nostri padri, il linguaggio per molti incomprensibile, ma che Filippo comprende e racconta straordinariamente perché è il linguaggio che gli appartiene.
E’ il linguaggio della sua città. Della nostra città. Di Mistretta!
In “SCORCIA RI LIMUNI SCAMOSCIATA” , edito dal giornale “Il Centro Storico” di Mistretta nel 2006, le poesie rivivono i personaggi del villaggio attraverso l’immediatezza vitale del dialetto, così come s’incarna la saggezza popolare in figure elementari che assurgono a spunti di meditazione filosofica: “E quando il tempo / mi salì addosso / capii che era lui a comandare / e che l’asino ero io.”

” NTRA LUSTRIU E SCURU”, edito dal giornale “Il Centro Storico” di Mistretta nel 2006, e arricchito da magnifici disegni di Enzo Salanitro, fa seguito a “Scorcia ri limuni scamusciata”, con la preziosa prefazione di Giuseppe Cavarra , libro di poesie che aveva ottenuto notevoli consensi di pubblico e anche da quella critica attenta a questo tipo di pubblicazioni. Pertanto, il nome di Filippo Giordano si aggiunge alla schiera della grande tradizione di poesia in dialetto siciliano, dalla Conca d’oro, alla sub-regione etnea, passando ora per Mistretta, rappresentata, nell’ultima generazione, dagli ottimi Antonino Cremona, Mario Grasso, Salvatore Di Marco, Nino De Vita, che, in vario modo, dicono la loro esigenza “colta” e “gergale” in una fusione espressiva che qualcuno ha voluto definire neodialettalità.


“RIEPITU”, edito da Youcanprint nel 2015, è il poemetto dove Filippo descrive il ritorno incessante dell’immagine del fratello Enzo scomparso prematuramente.
Ritma la sconsolata malinconia e il cuore, oppresso dal rimpianto, corre al pensiero dell’estrema dimora: “ssu juornu che, ‘nsirata, mentri spaccavi ligna, / l’ummira, a trarimientu, t’agghiaccau / idda, na pussenti rancata / cuomu na rizza bbannotta / sbulazziau”.
Filippo ricostruisce, nel richiamo della memoria, le cose positive della vita che Enzo aveva costruito, unitamente alle sue qualità umane e sociali: “A-ttia ca stavi o terzu pianu / ti piacìa, passannu, spi ssu arrialari / cassette r’aranci, limuni e mandarini / e condomini ri casi popolari”.
Nella nobilissima rievocazione, tutto è sospeso in domande inappagate, alla ricerca di spiegazioni sull’aldilà.
“Po’ essiri ca l’armi ri muorti vanu a pusari / nna npuostu chi nuaddi nun virimu”. Una sequenza di domande, che tessono il ciclo misterioso e attraente della vita, demarca il confine col mistero: “Ma siddu ssu puostu ‘n-cielu c’è, / mu rici, frati miu, cuomu è fattu? / Nni viri rosi, jaloffiri, gerani? / Nni curri acqua nno vadduni ? / Nni sciuscia vientu a mienzu i rami? / Chiovi, corchi bbota, a primavera? / Tu fai u bagnu, a mari, ri stasciuni? Cancinu culura i fogghj nna l’autunnu? / Nni quagghia nivi nna mmirnata? / Cu è dduocu chi ti fa cumpagnia? / C’è a banna musicale nna ssu puostu? / Sona cuomu sona cca / o puru, arrivànnu dduocu, / cancia pi sempri ogni sunata?

Molti letterati, critici d’arte e giornalisti hanno scritto sulla validità dell’opera poetica di Filippo Giordano: “Poesie che riescono a coinvolgere il lettore per l’armonia sonora che sprigionano e per l’atmosfera di mistero che aleggia nei versi” (nc)”, “Un piccolo capolavoro” (gc), “Raccolta effervescente” (pt), “Armoniosa completezza di contenuto e di fattura” (pf), “Insolita commistione di chiarezza e misteriosità” (sa), “Dense e luminose poesie d’amore fraterno, che diviene amore e compartecipazione per il mistero della creazione” (sgp).
Giorgio Bárberi Squarotti commenta: “Mi piace soprattutto, nella sua poesia, la capacità di cogliere con epigrammatica forza le situazioni di vita siciliana fra sociologia e spettacolo ed esplosione dei sensi e dei sentimenti”.
Chi è Filippo Giordano?
Filippo Giordano è nato è nato a Mistretta, un piccolo paese sui monti Nebrodi, il 12 Marzo 1952, dove vive con la famiglia, con l’affettuosa moglie, la signora Pina Sutera, e con dolcissima figlia Maria Laura.
La figlia primogenita, Ilenia, laureata in Scienze della Formazione, vive e lavora a Roma quale docente in una Scuola Elementare di primo grado.
A Mistretta, in via Libertà, Filippo ha gestito l’ufficio sindacale in qualità di Consulente del Lavoro.
In quiescenza, si gode il meritato riposo.

Collabora da oltre un ventennio con diverse riviste specializzate di arte e di cultura varia e con diversi settimanali.
Articoli, sulla sua produzione letteraria, sono stati pubblicati su molteplici riviste del settore, mentre alcuni quotidiani, fra i quali la Gazzetta del Sud e L’Avvenire, hanno riportato notizie sui suoi studi sulla successione dei numeri primi in aritmetica matematica.
Un suo teorema, relativo a una proprietà dei numeri perfetti, è stato inserito nel contesto di una tesi di laurea presentata nel 2005 presso la Facoltà di Matematica della Università di Torino.
Per altri diversissimi interessi, che hanno radici nella matematica combinatoria, collabora da un paio d’anni con un settimanale nazionale.
Filippo, oltre ad essere Poeta e Scrittore, è anche Ricercatore autodidatta di matematica.
Molti sono i premi letterari conseguiti da Filippo Giordano.
Ha vinto il premio di poesia “Città di Marineo”, edizione 1979, e (per la poesia dialettale) il premio “Bizzeffi” (Limina), edizione 1999. Ripetutamente è stato apprezzato e premiato dalla giuria del concorso letterario “Maria Messina” organizzato dal Centro Storico di Mistretta.
Dei tanti libri pubblicati dall’autore Filippo Giordano ne cito solo alcuni:
Il libro “VOLI DI SOFFIONE– piccole storie di minima gente”, Edito dalla tipografia LA CELERE di Messina nel 2001, è una raccolta continente 19 racconti dai titoli: “La valigia del militare, Con gli occhi chiusi, Il funerale del cavaliere Panarea, Pan per focaccia, Nitto, Contadino senza terra, Tempo di Beguine, La mula, Nuvole, Una sera di Marzo, U su-Bastianu, Lisa, Lo specchio del sorriso, Nuccia, L’ombra, Il maresciallo Leonardo, Il fiore che vola, Lingua e dialetto, La foto, La neve. Questi racconti sono stati riuniti per la prima volta in questo volume perchè già singolarmente pubblicati su molte riviste: Alla Bottega Milano, Il Centro Storico di Mistretta, Liberetà (mensile dello Spi-cgil), Paleokastro (sant’Agata di Militello).


“NEBRODIVERSI” , edito da “IL CENTRO STORICO” di Mistretta nel 2016 , che contiene 14 sillogi di poesia, è il titolo che l’autore ha dato al suo libro unendo due termini: “Nebrodi”, i monti della Sicilia, e “versi”, che indicano il suggestivo scenario a cui s’ispira la poesia dell’autore che tratta diversi punti: “Ricordo improvvisamente sbucato / da un tempo di pastori / accovacciati all’ombra di qualche rudere / mentre la nenia delle pecore / si spandeva sulla groppa dei Nebrodi. / Infanzia incavata nella memoria. / Ora l’alba preme sui vetri.” (Sulla groppa dei Nebrodi, da Se dura l’inverno). In questi versi prendono vita “odori e sapori” della terra di Sicilia. Per dirla con Vittorini, le intense fragranze dei limoni, dei fichidindia, delle zagare che evocano il profumo della terra di Sicilia. L’ “amara terra mia” col suo fascino malioso seduce irresistibilmente i suoi figli, ma anche li condanna all’inanità o li costringe all’esilio: “Occhi di operai, occhi di studenti, / gli occhi dei miei amici, / i miei occhi. / Partiranno domani col solito / treno diretto verso il nord. / Saranno gli occhi di un carabiniere, / di un operaio della fiat, / di un laureato. / Saranno gli occhi di uno straniero.” (Autunno). Essa piange i suoi morti, dopo averli abbandonati al loro destino: “Cresce uomini / e subito li espelle, / Mistretta. / E vedove bianche / attendono mariti. / E al morto del giorno / si piangono anche i vivi.” (Mistretta). Le dure condizioni della povertà insinuano la sofferenza nelle famiglie: “Ancora gambe di bambini tremano / sotto il peso eccessivo del lavoro / e il lavoro continua a restare / debitore nei confronti di molti uomini / e molta gente continua a riempire / treni di valige e di speranze / e troppe madri piangono figli lontani / cupidamente falciati dal capitale / mentre uomini vecchi montano / questo nuovo anno.” (Ancora).


“VALLE DELLE CASCATE – il volto sconosciuto di Mistretta” è il libro fotografico che Filippo Giordano ha presentato nella sede della Società Agricola di M:S di Mistretta il 3 settembre del 2015. L’autore scrive: “[…] La valle delle cascate di Mistretta si trova a quattro Km dal centro abitato verso est, al confine delle contrade Pietrebianche, Rescifu, Acquasanta, Ciddia e Farà. Le cascate più alte (Pietrebianche e Rescifu rispettivamente di 33 e 25 metri circa) raccolgono le acque torrentizie provenienti dalla zona a monte, i cui corsi si estendono per circa 3 Km. Guardando da Sud verso Nord, cioè dalle rispettive foci, sul greto del torrente più a sinistra, proveniente dalla contrada Acquasanta, circa 100 metri prima della cascata omonima, si trova il <<doppio salto carrivali>> di circa 6/7 metri alla cui base si forma una ampia vasca profonda quasi un metro. Più sotto, poco prima di giungere alla cascata, l’acqua attraversa altre due ampie vasche. Dalla seconda vasca, l’acqua, a cascata, giunge sul sottostante greto e subito si incontra con l’acqua che precipita, alcuni metri più sotto, dalla cascata Riscifu, ribattezzata <<Cascata delle Fate>> dove alla sua base è abbastanza frequente vedere apparire un arcobaleno che risale lungo la schiuma vaporizzata dell’acqua […]”.









Filippo Giordano con Daniela Dainotti presidente dell’Ass.ne “La valle delle cascate”

“MENTRE PIANO RISALI IL TORRENTE” edito da Youcanprint, è il libro dedicato alla Valle delle Cascate, sui Monti Nebrodi, a Mistretta. E’ Poesia musicale, come il mormorio delle cascate. Il libro contiene 13 liriche e 14 splendide fotografie a colori che ritraggono meravigliosi scorci tratti dalle nove cascate della valle sottostante a Montepiano.
È un incontro simbiotico perfettamente riuscito dell’immagine con la parola o, per meglio specificare, si tratta della sinergia tra Poesia e Natura. Filippo Giordano scrive con animo stupefatto e con un sentimento che nasce dal bisogno dello spirito di cercare nuovi aspetti e inaspettate bellezze.
Con l’occhio attento e con una grande capacità espressiva , il suo percorso si snoda lungo gli ambienti delle valli dei Nebrodi in un rapporto tra realtà e sogno. L’incanto dei luoghi, dove l’uomo vive pressoché isolato, il ritmo primordiale dell’esistenza, la bucolica armonia del paesaggio, la purezza e la luminosità dell’aria danno a Filippo un sentimento di intimo appagamento.
Riuscendo a cogliere i profumi e i colori, Filippo fa vivere la bellezza della Natura che lo rilassa dando serenità al suo animo e risvegliando le sue emozioni.
Fa da sfondo una presenza amica e idillica: l’acqua delle cascate di Ciḍḍia, un’area di notevole pregio naturalistico nei dintorni di Mistretta. Sono le fulgide “dieci sorelle, tutte diverse che godono nei giorni che imbiancano le creste del Corvo e della Conigliera e luccica la montagna al lume della luna”.


“MISTRETTA DA SCOPRIRE”, ed. Youcanprint, è la pubblicazione di Filippo Giordano volta a promuovere una nuova visione della “capitale dei Nebrodi” nei suoi aspetti naturalistici, storici e antropologici. Riguarda l’identità mistrettese esprimendo la ricchezza e i valori che la connotano.
L’opera, dalla costruzione grafica originale e dal testo scorrevole, è un ulteriore tassello che va ad aggiungersi al grande mosaico della storia di Mistretta che domina uno scenario ricco di remote suggestioni, arroccata su una rupe in vista delle alte e boscose cime dei Nebrodi che sembrano avvinghiare in un abbraccio passionale il suo cuore. Scorrendo le immagini sapientemente selezionate, Filippo racconta la storicità del suo silenzioso linguaggio: la pietra arenaria dorata, protagonista indiscussa del paesaggio, che contribuisce a dare una immagine uniforme dell’abitato ben adattato all’ambiente.
Il viaggio nel paese consente al lettore di leggere i segni di una vicenda storica e umana di strutture urbanistiche dove le case, sono addossate le une alle altre in pittoresco disordine.
Le enigmatiche vanedde, ripide e tortuose, dove si percepisce il palpitare di una umanità autentica le scalinate, i chiani, le scalette esterne, gli anniti, sono descritti da Filippo con grande entusiasmo. I mascheroni apotropaici, inquietanti e misteriosi, i fregi di tipo naturalistico e le figurazioni dalla funzione propiziatoria, le insegne artigianali, altri elementi decorativi su balconi, mensole e portali, le facciate delle chiese, che sono stilisticamente di un barocco esclusivo, figurativamente legati alla fantasia di anonimi artisti locali e ai momenti più significativi della storia locale, diventano un buon filo per rinascere con la città di Astarte e trovarne l’anima vecchissima.
Con questa riposante rievocazione Filippo vuole rinsaldare nei mistrettesi l’amore per questa misteriosa città con la sua atmosfera intima, dove si risente quel profumo antico della vita e dove il silenzio è infinito, mentre i giorni che passano fugaci lasciano dentro un malinconico affetto per la nostra montagna.  
In “MISTRETTA E MARIA MESSINA: UN LEGAME SECOLARE”, Edito da Youcanprint, Tricase 2016, di 78 pagine, Filippo descrive il rapporto vissuto da Maria Messina e Mistretta, città dove la scrittrice abitò, dal 1903 al 1909, in una casa di Via Paolo Insinga dove ambientò le sue novelle e i suoi racconti.
l’Associazione “Progetto Mistretta” ha rivolto alla scrittrice grande attenzione assegnando a Maria un posto di meritevole rilievo nella cultura amastratina divulgando il suo nome e la sua opera attraverso la promozione del concorso letterario “Maria Messina” con cadenza annuale (già alla XIII edizione) e la cui premiazione avviene nell’elegante sala di rappresentanza del Circolo Unione.
Maria Messina è nata ad Alimena, in provincia di Palermo, il 14 marzo del 1887.
Si arrese alla sofferenza fisica all’alba del 19 gennaio del 1944 morendo a Masiano, una frazione a pochi chilometri da Pistoia, nella casa di contadini della famiglia Tarabusi dove si era trasferita per sfuggire ai bombardamenti della guerra, che aveva diviso l’Italia in due parti separandola dall’amato fratello e dalle nipoti, e dove viveva in solitudine in campagna, “vinta” dal destino, divorata dalla distrofia muscolare.
A Pistoia fu sepolta nel Cimitero della Misericordia Addolorata. Riesumata nel 1966, i suoi resti mortali furono custoditi nella stessa tomba della madre, signora Gaetana Valenza Traina.
Dal 24 aprile del 2009 Maria Messina riposa nel Cimitero monumentale di Mistretta. Il merito di questo “ritorno” in patria si deve attribuire soprattutto al prof. Nino Testagrossa, il presidente dell’associazione “Progetto Mistretta”, che ha messo in risalto il legame della Messina con quelli che lei stessa definì “i miei buoni mistrettesi”. Maria Messina fu una delle più grandi scrittrici veriste, ammirata dal Verga, commentata da Borghese come “scolara del Verga”. Tuttavia, completamente dimenticata, è stata assente dalla letteratura italiana del Novecento.
Abbattere il muro del silenzio attorno a lei, schiudere le porte dell’oscurità, che avevano nascosto per oltre mezzo secolo il nome e l’opera di Maria Messina, aprire quelle della sua fama, furono meriti dello scrittore Leonardo Sciascia che, nei primi anni ottanta, ha ripropo sto la lettura di alcuni dei suoi racconti e alla casa editrice Sellerio per la pubblicazione delle opere.
Da allora le sue opere hanno attraversato una nuova stagione di notorietà e sono state tradotte in diverse lingue. Nelle sue opere ha raccontato, con una commiserazione pervasa di ribellione, la società maschilista dell’epoca, la subalternità dell’universo femminile nella società dell’epoca in Sicilia, quale era fino agli anni della seconda guerra mondiale. Ha decritto diversi temi come quello della gelosia, dell’adulterio, dei maltrattamenti, dell’abuso sessuale, dei pregiudizi, dei costumi, delle contraddizioni, della religiosità.
Nei suoi lavori Maria Messina ha evidenziato anche l’isolamento e la percezione di un destino avverso, a cui non ci si può ribellare, che non dà ai “vinti” la possibilità di evasione e di liberazione in una società dove le regole sono stabilite da sempre.


Il libro di Filippo Giordano si sofferma sugli avvenimenti che hanno legato il nome di Maria Messina a Mistretta: dall’istituzione del Premio Letterario a lei intestato alla intitolazione di una strada comunale, all’assegnazione della cittadinanza onoraria alla scrittrice, al reperimento delle sue spoglie mortali e alla traslazione delle stesse presso il cimitero monumentale di Mistretta.
Filippo Giordano, nella sua attività di poeta, di scrittore e di ricercatore, nell’ampia raccolta dei suoi scritti ha abbracciato l’intero arco di una vita, dalle primizie di luce della giovinezza all’imbrunire del tramonto, dipingendo i colori, restituendo gli umori e i sapori della sua terra natia, ritraendo i personaggi più caratteristici, spaziando dall’ironia, alla levità poetica, all’indagine gnoseologica offrendo un quadro completo della propria personale esperienza di umana vicissitudine.
Caro Filippo, i commenti elogiativi e gli apprezzamenti sono meritati e tantissimi!
Ti auguro di continuare a seguire la SCIA della scrittura ampliando e arricchendo di nuove conoscenze le menti dei tuoi paesani di Mistretta.

 

 

 

Apr 4, 2023 - Senza categoria    Comments Off on LA CYMBALARIA MURALIS APPOGGIATA AL MURO DELLA VILLA “DELLE PALME” A PALERMO

LA CYMBALARIA MURALIS APPOGGIATA AL MURO DELLA VILLA “DELLE PALME” A PALERMO

Ho osservato questa pianta appoggiata ad un muretto nella villa “Delle Palme” accanto allo stadio comunale “Renzo Barbera” a Palermo.
E’ la CYMBALARIA MURALIS.
Osservare questa pianta fiorita per me è stato motivo di ammirazione perchè la Natura sa essere sempre incantevole!

Tanti sono i sinonimi della Cymbalaria muralis: “Ciombolino comune, Erba piattella, Erba tondella, Linaria muralis, Parrucca, Cimbalaria, Palomilla de muro“.
Il Genere “Cymbalaria” comprende una decina di specie alcune delle quali sono spontanee.
La specie più diffusa è la “Cymbalaria muralis”.
I primi studiosi  a classificare e a descrivere questa specie furono i botanici e naturalisti tedeschi Philipp Gottfried Gaertner, Bernhard Meyer, Johannes Scherbius.
Etimologicamente, il termine del genere “Cymbalaria” deriva dal greco “κύμβαλον” “cembalo”, in riferimento allo strumento musicale cavo, molto simile a un tamburo, in analogia con la forma concava delle foglie della pianta.
Il termine della specie “muralis” deriva dal latino “murus” “muro” , in riferimento al suo habiat naturale poichè ama appoggiarsi ai muri.
La Cymbalaria muralis, appartenente alla famiglia delle Plantaginaceae, è una pianta comune che ha origine in Africa, in America, in Asia, in Australia, in Europa.
In Italia è diffusa in quasi tutte le regioni, isole comprese.
Evidentemente, essendo una pianta piuttosto comune, è diffusa in tutto il pianeta Terra.

La Cymbalaria muralis è una piantina erbacea perenne che si salda al terreno mediante un apparato radicale poco sviluppato che permette ad essa di cresce nelle fessure di muri e negli anfratti rocciosi molto umidi.

Dalla radice emerge la parte aerea formata da sottili fusti glabri, esili, striscianti, legnosi, lunghi fino a 60 cm, di colore verde alla base e di colore rosso porpora nella parte apicale e provvisti di ventose.
Proprio per questa caratteristica dei fusti, che si insinuano tra gli anfratti dei muri, per questa particolare forma pendente, questa specie è stata usata dai giardinieri per creare vasi sospesi nelle ville come avviene nella villa comunale “Giuseppe Garibaldi” di Mistretta.
Le foglie, portate da un picciolo, di forma reniforme – palmata, le superiori alterne, le inferiori opposte, glabre e carnose, di colore verde lucente nella pagina superiore e rossastre sulla pagina inferiore, sono munite di stoloni, che permettono alla pianta di arrampicarsi.

La “Cymbalaria muralis” produce bellissimi piccoli fiorellini ermafroditi, zigomorfi, solitari o appaiati all’ascella delle foglie.
Il calice, gamosepalo, glabro o debolmente peloso, è diviso in 4 lobi lanceolati-lineari, acuti.
La corolla, gamopetala, trilobata, ha i piccoli petali di colore viola e mostra due prominenze, tinte di un bel colore giallo, nella parte inferiore della fauce.
Queste prominenze sono il punto d’appoggio degli insetti visitatori per aprire il fiore e per penetrare nel suo interno dove è gelosamente custodito il nettare col quale la pianta li ricompensa del loro servizio di impollinazione, di fondamentale importanza per la conservazione della specie.
Il fiore, soggetto al  fototropismo, prima dell’impollinazione si muove verso la luce, come il Girasole.
Quindi, si sposta al riparo dentro le fessure del muro.
La fioritura è molto lunga. I fiori fioriscono generalmente da marzo ad ottobre.


Dopo l’impollinazione, compiuta da piccoli ditteri, coleotteri e formiche, il peduncolo del fiore si allunga, s’incurva e porta in basso l’ovario, sotto le foglie, in cerca di un nascondiglio ove porre al sicuro i frutti.
Sul muro si vedono qua e là tenue righe d’argento. Ciò significa che esso è stato attraversato dalle lumache le quali, involontariamente, rendono un grande servizio alla Cymbalaria muralis  perché trasportano i semi che si sono appiccicati al loro corpo coperto di mucillagine.
Il  frutto è una piccola bacca nera, glabra, globosa, deiscente, con 3 aperture alla sommità, che ospita i piccolissimi semi scuri, ovoidi, rugosi e crestati.

Dopo la fioritura, i peduncoli che portano i frutti crescono si allungano per agevolare la dispersione dei semi tra le fessure dei muri e delle rocce.
La riproduzione avviene per seme e per stolone.
La Cimbalaria muralis è una pianta spontanea, però può essere coltivata nei giardini a scopo ornamentale o nei vasi che abbelliscono le abitazioni dei privati.
Gli Habitat della Cimbalaria muralis sono: i muri, le rocce, le zone ruderali,  i margini dei boschi.
Cresce facilmente e velocemente prediligendo i luoghi semi-ombrosi o poco soleggiati a quote comprese tra 0 -1500 metri sul livello del mare adattandosi a tutti i tipi di terreni, anche se preferisce quelli non calcarei, sciolti e ben drenati.
Si accontenta di poca acqua, quella che cade dal cielo, ma il terreno deve essere sempre umido.
Pertanto, nelle piante coltivate, le annaffiature devono essere regolari e costanti soprattutto in estate e nei periodi di prolungata siccità.
Per favorire la fioritura e l’emissione di nuovi getti a fine inverno è bene somministrare del concime organico a lenta cessione.
Per quanto riguarda le malattie e i parassiti la pianta è resistente e non viene attaccata da parassiti e non è affetta da malattie fungine.
Nella medicina popolare si usava la pianta fresca raccogliendo le foglie nel periodo da marzo ad ottobre recidendo pochi rami per ogni pianta in modo da non danneggiarla.
Per i principi attivi contenuti, tannini e mucillagini, gli infusi delle foglie sembra che abbiano doti lenitive per curare le infiammazioni emorroidali e della pelle e per fare cicatrizzare le ferite.
I fiori sono diuretici e facilitano l’emissione dell’urina.
Dalla radice è possibile ricavarne un colorante rosso.
In India pare che la pianta venga usata per curare il diabete.
Queste applicazioni farmaceutiche sono indicate solo a scopo informativo.
E’ sempre necessario il consiglio del proprio medico.
La Cymbalaria muralis è usata anche in cucina, ma con moderazione, perché le foglie sono leggermente tossiche.
La quantità usata deve essere limitata.
Esse si prestano per impreziosire le insalate perchè hanno un gusto acre e pungente.
Nel linguaggio dei fiori la “Cymbalaria muralis” indica “affetto, fratellanza, amicizia”.

Mar 27, 2023 - Senza categoria    Comments Off on LA CRASSULA OVATA NELLA MIA CAMPAGNA, IN CONTRADA MONTESOLE, A LICATA

LA CRASSULA OVATA NELLA MIA CAMPAGNA, IN CONTRADA MONTESOLE, A LICATA

Superato il cancello d’ingresso della mia campagna, in contrada Montesole, a Licata, il muro che circonda la grande aiuola è abbellito dalla presenza di alcuni vasi, provenienti dalla ceramica di Santo Stefano di Camastra, dove vegetano bene le piante di Crassula ovata protette dalla Tuya e in compagnia dell’ Oleandro.
Altri vasi di Crassula ovata circondano il perimetro della terrazza attorno alla casa all’ombra degli alti Pini.









 

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Il genere Crassula è estremamente vasto e vario. Infatti, sono raggruppate oltre 300 specie diverse nell’aspetto e nelle dimensioni e quasi tutte provenienti dagli stati meridionali dell’Africa.
La specie più diffusa è la Crassula ovata.
Il suo nome scientifico è “CRASSULA ARBORESCENS” .
Il nome italiano è “CRASSULA OVATA”.


Altri nomi sono:” Albero di Giada, Crassula argentea, Cotyledon arborescens, Crassula portulacea,Crassula obliqua. Precedentemente la specie fu classificata col nome di Cotyledon ovata (Mill., 1768).
Ha ottenuto l’attuale denominazione nel 1917 ad opera di George Claridge Druce.
E’ conosciuta anche con il nome di “Albero di Giada” in riferimento al colore delle foglie simili alle verdissime pietre di giada, un minerale molto apprezzato in gioielleria.

Etimologicamente il nome del genere “Crassula” deriva da latino “crassus” “grasso, spesso”, per le foglie carnose.
Il nome della specie “Ovata” deriva dal latino “óvum”, ” uovo”, in riferimento alla forma delle foglie della pianta che richiamerebbero la caratteristica forma delle uova.
La Crassula ovata è una pianta succulenta molto apprezzata a scopo ornamentale, pertanto è molto diffusa.
È, infatti, molto semplice da coltivare e, nelle favorevoli condizioni, regala un’abbondante e prolungata fioritura molto decorativa.
Non indugiamo a coltivarla!
La pianta di Crassula ovata, originaria dalle aree più meridionali dell’Africa, è giunta in Europa nel XVIII secolo, dove si è diffusa rapidamente grazie all’adattabilità al clima. Quindi è stata esportata in tutto il mondo, come varietà ornamentale, per le sue foglie singolari.
E’ una pianta arbustiva succulenta, appartenente alla famiglia delle Crassulaceae.
Ha l’aspetto di un arbusto molto ramificato, eretto, che può ragiungere l’altezza di 1 metro ma, se coltivata in uno spazio adeguato, può crescere fino a 2 metri sia in altezza sia in larghezza. La sua crescita è abbastanza lenta.
Dalla radice fuoriescono i fusti, spessi, di colore grigio-marrone, robusti, di forma cilindrica e dalla consistenza carnosa, che si ramificano creando una chioma tondeggiante formata da un singolare fogliame.


Le foglie, di forma ovata, mediamente affusolata e bombata, carnose, turgide, per la grande quantità di acqua che contengono, sono di colore verde scuro, ma spesso il bordo ha sfumature rossastre se esposte al sole intenso per molte ore del giorno. Sono sessili e crescono a coppie contrapposte.



I fiori, ermafroditi, con la corolla di forma stellare, formata da petali lanceolati di colore bianco-rosato, sono raccolti in grandi infiorescenze a corimbo raggruppati agli apici dei rami e sostenuti da lunghi steli.






Essendo un specie originaria dell’emisfero australe, la temperatura influisce molto sulla fioritura.
Pertanto, se posta nelle giuste condizioni ambientali, la fioritura avviene, in generale, nel periodo autunno- inverno. Con una buona esposizione solare la pianta fiorirà in primavera anche alle nostre latitudini.
A Licata dove l’inverno è mite, le mie piante fioriscono a partire dal mese si Febbraio e continuano a fiorire fino alla primavera inoltrata.
L’impollinazione avviene grazie alla visita delle api, delle vespe, delle mosche, degli scarafaggi e delle farfalle, animali attirati dal profumo dolce e tenue dei fiori della pianta.
I frutti sono dei piccoli follicoli lunghi circa 3 mm, di forma ovoidale che contengono piccoli semi.
La Crassula si propaga per seme, per polloni, per talea.
La moltiplicazione per seme avviene a marzo o a settembre. Bisogna mettere i semi all’interno di un contenitore contenente terriccio misto a sabbia sottile adeguatamente bagnato. Mantenendo il vaso all’ombra, i semi germoglieranno.
La moltiplicazione per polloni avviene prelevando il pollone durante la stagione primaverile e piantarlo in un terriccio misto a torba e a sabbia e concimarlo almeno una volta al mese. Quando si notano i primi germogli, significa che la pianta ha radicato.
Il metodo più semplice di moltiplicazione è la talea, da effettuarsi nei mesi di maggio- giugno. Bisogna prelevare piccoli steli lunghi 10-15 cm e piantarli nel vaso a 5 cm di profondità esponendolo al caldo e alla luce diretta del sole. Quando compariranno le prime radici allora la Crassula ovata può essere trattata come una pianta adulta.
Come tutte le piante succulente, la pianta di Crassula ovata non ha bisogno di cure particolari, per cui può essere efficacemente coltivata sia in piena terra, nel giardino, sia in vaso all’esterno del balcone, sia dentro l’appartamento e, nelle giuste condizioni, darà una fioritura ricca e molto decorativa.
La Crassula ovata ama i climi caldi e secchi, pertanto vegeta bene nelle regioni meridionali e sulle coste dove la temperatura, tra i 10°C e i 25°C., non scende mai al di sotto dello 0°C. La sua crescita vegetativa si arresta completamente solo quando il termometro scende sotto i 5°C.
Per garantire la piena salute è necessario far vegetare la pianta su un suolo morbido, leggermente acido, asciutto e ben drenante accettando anche quelli argillosi, sabbiosi. S adatta alle tipiche condizioni costiere ventose e di salsedine, mentre soffre l’umidità e il gelo.
Ama essere posizionata in un luogo dove poter ricevere la luce del sole e dove la temperatura rimane alta anche durante le ore notturne.
La pianta tenderà a svilupparsi in direzione della luce del sole.
Per questo motivo è bene girare frequentemente il vaso affinché la crescita dei vari rametti risulti equilibrata.
Accetta anche l’esposizione a mezz’ombra diventando più scura e più bella, ma non fiorirà. Posizionata in pieno sole, diventerà tutta rossa, virerà dal colore verde al colore giallo, ma non morirà e fiorirà ugualmente.
Se riceverà il sole la mattina o nel tardo pomeriggio regalerà grandi fioriture invernali e mostrerà il suo bel colore verde- giada delle foglie. Andrà a riposo in estate, quando diventerà un pochino avvizzita, fermerà la sua crescita e per qualche settimana berrà poca acqua.
Come tutte le piante succulente, anche la Crassula ovata non ha bisogno di annaffiature frequenti, che devono essere abbastanza parsimoniose perchè, essendo dotata di tessuti particolari, è in grado di contenere grandi quantitativi d’acqua come riserva riuscendo a disperderne pochissima.
Le annaffiature eccessive potrebbero causare il temuto marciume radicale. La pianta non ama, infatti, i ristagni d’acqua.
La Crassula ovata va concimata durante il periodo vegetativo, cioè tra la primavera e l’autunno, utilizzando un fertilizzante ricco di azoto, di fosforo e di potassio e anche di microelementi utili che favoriscono la crescita equilibrata della pianta.
Quando la pianta va a riposo vegetativo non deve essere concimata. All’interno degli appartamenti la pianta deve essere coltivata nei vasi garantendo ad essa una buona quantità di luce essendo posta vicino a una finestra.
La Crassula ovata non necessita di potature. E’ sufficiente eliminare i rami secchi e le foglie morte.
Solitamente, non è colpita da malattie o da parassiti.
Occorre, tuttavia, fare molta attenzione alle annaffiature, alle esposizioni in luoghi molto assolati e ad altre cattive tecniche di coltivazione. Il suo maggior nemico è il ristagno idrico, che causa il marciume delle radici e la conseguente perdita delle foglie.
Quindi bisogna limitare le irrigazioni e scegliere un terreno sufficientemente drenante.
Un altro nemico della Crassula è la muffa grigia, che causa delle macchie gialle sulle foglie. Il trattamento prevede la somministrazione di anticrittogamici.
La Cocciniglia cotonosa è un parassita molto dannoso. Deposita sulla foglie un cotone bianco appiccicoso che blocca la funzione vitale della pianta.
Per eliminarla è necessario tagliare la parte “malata” della pianta o strofinare le foglie con un batuffolo di cotone imbevuto di alcool e di acqua.
Il Ragnetto rosso causa il colore rosso delle foglie.
Per prevenire la comparsa del ragnetto rosso è bene mantenere alta l’umidità poichè esso prolifera proprio in ambienti caldi e secchi.
L’Oidio è una malattia fungina che crea macchie bianche irregolari sparse sulle foglie della pianta.
Questo problema emerge quando si effettuano eccessive annaffiature, quando esiste un alto grado di umidità, quando la temperatura è bassa, quando la luminosità e la circolazione dell’aria sono scarse.
L’Oidio si combatte utilizzando una soluzione composta da bicarbonato di sodio e da aceto e spruzzata sulla foglie.
Le tartarughe si nutrono delle foglie della Crassula, però raramente le divorano completamente.
Frequentemente le vespe nidificano tra i suoi rami.
La Crassula ovata è un alimento tradizionale per alcune tribù dell’Africa Meridionale tra i quali i Khoi.
La cucina locale prevede, infatti, che le parti edibili, cioè le radici, dopo la raccolta, vengano grattugiate e poi bollite nel latte.
Nella loro medicina tradizionale queste popolazioni utilizzano lo stesso procedimento per realizzare rimedi curativi contro la diarrea, l’epilessia e per rimuovere i calli.
La Crassula ovata è tossica in tutte le sue parti se mangiata dai cavalli, dai cani e dai gatti. Mediamente è anche tossica per l’uomo. L’ingestione può causare diarrea e vomito. Il contatto della linfa con la pelle può dar luogo a pruriti e a irritazioni. Sintomi simili, ma più intensi, si hanno sugli animali domestici. Si è osservato come, tra le chiamate d’emergenza all’American Association of Poison Control Centers (AAPCC), la Crassula ovata sia risultata la nona specie più comune tra i casi di intossicazione da piante, specialmente nei bambini.
Una curiosità: questa pianta ha la capacità di assorbire l’inquinamento elettronico prodotto dagli elettrodomestici aiutando l’aria dell’appartamento dove si abita ad essere depurata in modo del tutto naturale.
Nel linguaggio dei fiori in Cina, nei principi del Feng Shui, la Crassula ovata è descritta come simbolo di “prosperità, di fortuna e di ricchezza” per la forma delle sue foglie che ricordano quella delle monete. E’ capace, quindi, di portare benessere nella casa in cui vegeta. Per questo motivo è chiamata “L’Albero dei Soldi”.
E’ di buon auspicio regalare una pianta di Crassula ovata a tutte le persone alle quali si è legati affettivamente non solo come porta fortuna, ma anche come dono simbolo di “forza e di solidità”.

Mar 13, 2023 - Senza categoria    Comments Off on A MARIA MESSINA INTITOLATA LA CAMERA D’AUTRICE AL B&B “DIMORA SAN GIROLAMO” A LICATA. 1

A MARIA MESSINA INTITOLATA LA CAMERA D’AUTRICE AL B&B “DIMORA SAN GIROLAMO” A LICATA. 1


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Gioiosa e importante è stata la mattina del mercoledì, 8 Marzo 2023, trascorsa nella Piazzetta San Girolamo, a Licata, assieme al gruppo della Toponomastica femminile di Licata.

In occasione della Giornata Internazionale dei diritti della donna, aderendo al Progetto Camera d’Autrice, il gruppo di Licata della Toponomastica femminile ha voluto intitolare a Maria Messina, scrittrice siciliana per molto tempo dimenticata dalla letteratura italiana del ‘900, la camera del B&B “Dimora San Girolamo” sito nel cuore dei vicoli del quartiere della Marina licatese.
Il tema del Progetto “Camera d’autrice” era la ” SICILIANITA’ ” ,raccontata in un contesto fatto di di vicoli, di cortili, di case che recano il segno del tempo.
La dott.ssa Ester Rizzo, nel suo discorso introduttivo, ha fatto emergere come Maria Messina, nel romanzo
“LA CASA NEL VICOLO”, ha saputo descrivere la vita siciliana dei paesi raccontando le atmosfere di questi vicoli, le donne che si sedevano fuori a parlare tra di loro, i sapori, gli odori, i colori, le voci, i rumori della vita quotidiana in quel luogo. Ecco il motivo della scelta della Piazzetta San Girolamo, alla quale si accede percorrendo un corto vicolo denominato Piano San Girolamo.


Il progetto di intitolare una struttura alberghiera ricettiva da parte della Toponomastica femminile nasce nell’anno 2017 ed è rivolto ai direttori, ai gestori di queste strutture alberghiere perchè è molto bello poter ricordare in quel territorio una scrittrice o una donna che, magari nel corso degli anni, è stata dimenticata o non si hanno più sue notizie.

Molte sono state in Sicilia e in Italia le strutture alberghiere dove una stanza è stata intitolata a donne importanti quali, ad esempio, ad Alda Merini, a Rosa Balistreri, a Renata Fonte.
La prima intitolazione ad Alda Merini avvenne in Versilia il 16 settembre 2017 grazie alla sensibilità di Cristiana Gemignani, ls proprietaria dell’hotel “Giulia”. L’albergo, affacciato sul lungomare del Lido di Camaiore, ha una tradizione gestionale femminile che continua da diverse generazioni. La scelta letteraria è ricaduta su Alda Merini, che vinse il Premio Viareggio nel 1996, con “Ballate non pagate” (1996) e il Premio Camaiore con “Superba è la notte”(2000). Alda era una donna forte, libera e profonda, proprio come il mare sul quale si affaccia la finestra della camera a lei dedicata. La “sua” camera profuma di acqua salata e di aromi trascinati dal vento e dal quale amava farsi pettinare. I libri aperti sul tavolino dell’albergo rievocano il suono della sua voce e il suo ritratto riflette il volto di una donna dai forti contrasti.
Il 5 novembre 2021, presso l’hotel “Villa Giuliana”, a Licata, è stata intitolata la “Sala delle riunioni” a Rosa Balistreri, famosa cantatrice folk licatese, con una cerimonia alla quale hanno partecipato ospiti e il gruppo della Toponomastica femminile. Ha preceduto la cerimonia di intitolazione un percorso lungo le vie dove Rosa Balistreri ha cantato con la sua voce roca l’amore, la passione, la fatica del lavoro, la pesca, il sole cocente, il dolore, suo e delle donne di Sicilia, il carcere.
Il poeta Ignazio Buttitta scrisse:   “la voce di Rosa, il suo canto strozzato, drammatico, angosciato, pareva uscisse dalla terra arsa della Sicilia…”.
Il 25 luglio 2021, l’hotel Terminal di Santa Maria di Leuca ha intitolato la Camera d’Autrice a Renata Fonte , prima Assessora al Comune di Nardò, prima vittima di mafia nel Salento, prima vittima politica del luogo. L’omicidio-femminicidio di Renata Fonte fece molto scalpore nei primi tempi, poi cadde nell’oblio. È stata la caparbietà delle figlie Sabrina e Viviana che si sono appropriate della loro storia personale e hanno cominciato a ricucire nella memoria collettiva i frammenti sfilacciati della vicenda.
All’interno di ogni camera delle strutture ricettive dedicata a queste donne è importante che ci siano: una fotografia, un quadro, alcune frasi, dei libri, richiami alla figura e all’opera della donne in questione, segni che ricordino la loro presenza.
Nella camera del B&B “Dimora San Girolamo” di Licata sono in mostra: la foto di Maria Messina, la pergamena e una piccola libreria che accoglie alcuni libri della scrittrice siciliana a disposizione degli avventori della struttura che amano conoscerla meglio.





La prof.ssa Giuseppina Incorvaia ha messo in evidenza come su Maria Messina c’è stato troppo silenzio che, per molti anni, ha coperto la vita, le opere di questa piccola grande donna, voce suggestiva autentica della letteratura siciliana. Ha magistralmente letto la biografia di Maria Messina affermando che notizie sulla vita della scrittrice sono state fornite dall’unica nipote, Annì, figlia del fratello Salvatore, e dalla brevissima corrispondenza che Maria tenne con Giovanni Verga, che tanto l’amava e tanto la stimava. Dei suoi paesani mistrettesi così Gli scriveva:”I miei buoni mistrettesi”.



La prof.ssa Nella Seminara ha parlato della permanenza di Maria Messina a Mistretta, dal 1903 al 1909 perchè il padre, essendo un insegnante di Scuola, si è trasferito con la famiglia a Pistoia. Ha raccontato la grande attenzione che l’Associazione “Progetto Mistretta” rivolge all’amata scrittrice istituendo annualmente il
“PREMIO LETTERARIO MARIA MESSINA”, giunto quest’anno alla XVIII Edizione.
Ha parlato del giornale locale “Il Centro Storico”, dove spesso si scrive e si legge su Maria Messina.
Ha regalato l’ultima copia del giornale alla prof.ssa Lia Nogara per darne comunicazione ai suoi alunni, qualcuno dei quali potrebbe partecipare al Premio letterario.



La prof.ssa Mariella Mule’, ricordando che l’8 Marzo è la giornata internazionale dei diritti della donna, ha rivolto il suo pensiero alle donne violentate, maltrattate, uccise. Quindi ha letto magistralmente una pagina del romanzo
“LA CASA NEL VICOLO”.

La dott.ssa Donatella Meli ha letto, anche lei in maniera chiara e coinvolgente, il racconto “ROSE ROSSE” tratto dal libro “Ciancianedda” dove Maria Messina cita la città di Licata.


Infine la prof.ssa Arianna Bona ha letto un’altra pagina del romanzo “LA CASA NEL VICOLO” ricevendo molti applausi. 
La signora Lavinia Licata, titolare del B&B “Dimora San Girolamo”, ha ringraziato: il gruppo della Toponomastica femminile, la Pro Civis, tutte le associazioni e le altre persone intervenute alla cerimonia.



E’ stata scoperta la piastrella in onore di Maria Messina, realizzata dalla ceramista Susanna De Simone di Palermo.




Gli applausi sono stati abbondanti, sinceri, affettuosi e cordiali.
Insieme abbiamo dimostrato grande amore per Maria Messina, notevole elogio per l’iniziativa di questa cerimonia, l’entusiasmo di portare lontano il nome della città di LICATA.




Chi era MARIA MESSINA?
Maria Messina nacque ad Alimena, un paesino in provincia di Palermo, il 14 marzo del 1887. Si arrese alla sofferenza fisica all’alba del 19 gennaio del 1944 morendo a Masiano, una frazione a pochi chilometri da Pistoia, nella casa di contadini della famiglia Tarabusi dove si era trasferita per sfuggire ai bombardamenti della guerra, che aveva diviso l’Italia in due parti separandola dall’amato fratello Salvatore e dalla nipote Annì, e dove viveva in solitudine in campagna, “vinta” dal destino, divorata dalla distrofia muscolare.
Prima di morire, donò alla sua affezionata infermiera Vittoria Tagliaferri “I doni della vita”,  un documento di fede e di religiosità, un’esperienza di sofferenza fisica e spirituale. A Pistoia fu sepolta nel Cimitero della Misericordia Addolorata. Riesumata nel 1966, i suoi resti mortali furono custoditi nella stessa tomba della madre, la signora Gaetana Valenza Traina.
Maria Messina fu una delle più grandi scrittrici veriste, ammirata dal Verga, commentata da Borghese come “scolara del Verga”.
Tuttavia, completamente dimenticata, è stata assente dalla letteratura italiana del Novecento.
Abbattere il muro del silenzio attorno a lei, schiudere le porte dell’oscurità, che avevano nascosto per oltre mezzo secolo il nome e l’opera di Maria Messina, aprire quelle della sua fama, furono meriti dello scrittore Leonardo Sciascia che, nei primi anni ottanta, ha riproposto la lettura di alcuni dei suoi racconti. Da allora le sue opere hanno attraversato una nuova stagione di notorietà e sono state tradotte in diverse lingue.
Nelle sue opere ha raccontato, con una commiserazione pervasa di ribellione, la società maschilista dell’epoca, la sottomessa e oppressa condizione femminile in Sicilia quale era fino agli anni della seconda guerra mondiale.
Ha esaminato diversi temi come quello della gelosia, dell’adulterio, dei maltrattamenti, dell’abuso sessuale, dei pregiudizi, dei costumi, delle contraddizioni, della religiosità. Nei suoi lavori la Messina ha evidenziato anche l’isolamento e la percezione di un destino avverso, a cui non ci si può ribellare, che non dà ai “vinti” la possibilità di evasione e di liberazione in una società dove le regole sono stabilite da sempre.
Poichè dimorò a Mistretta dal 1903 al 1909, in una casa di Via Paolo Insinga dove ambientò le sue novelle e i suoi racconti, l’Associazione “Progetto Mistretta” ha rivolto alla scrittrice grande attenzione assegnando a Maria un posto di meritevole rilievo nella cultura amastratina divulgando il suo nome e la sua opera attraverso la promozione del PREMIO LETTERARIO “Maria Messina” con cadenza annuale (già alla XVIII edizione) e la cui premiazione avviene nell’elegante sala di rappresentanza del Circolo Unione.
Mistretta onora Maria Messina intitolandole una strada  della città. Il Sindaco, avv. Iano Antoci, la giunta comunale, con al seguito la banda musicale, le hanno intitolato una via del centro urbano il 20 Ottobre 2007.
Nel mese di febbraio del 2009 l’Amministrazione comunale di Mistretta ha conferito alla scrittrice Maria Messina la cittadinanza onoraria.
Grazie all’interessamento dell’Associazione “Progetto Mistretta”, al giornale “Il Centro Storico”, e al certosino lavoro di ricerca del pistoiese “mistrettese”  Giorgio Giorgetti, le spoglie di Maria Messina sono state trasferite dal cimitero della Misericordia di Pistoia al cimitero monumentale di Mistretta.
La cerimonia di accoglienza e di tumulazione dei suoi resti mortali è avvenuta il 24 aprile del 2009.
Ada Negri, poiché le due donne relazionavano in forma epistolare, scrisse a Maria Messina: “Non ti conosco fisicamente, ma mi sembra di conoscere bene la tua grande anima”.
Nel 2016 anche la città di Licata  ha onorato la scrittrice Maria Messina intitolandole la strada,  una traversa di via Salso.
Alcuni titoli dei libri:
La casa nel vicolo, Casa paterna, piccoli borghi, Pettini fini, Ciancianedda, L’amore negato, Personcine, Ragazze siciliane, Il guinzaglio.

 

 

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