Jan 22, 2021 - Senza categoria    Comments Off on L’OROLOGIO NEL CAMPANILE DEL SANTUARIO DI MARIA SS.MA DEI MIRACOLI A MISTRETTA

L’OROLOGIO NEL CAMPANILE DEL SANTUARIO DI MARIA SS.MA DEI MIRACOLI A MISTRETTA

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In mezzo, tra il palazzo Gallo- Giaconia e il palazzo Francesco Gallegra, emerge la torre campanaria della chiesa Madre, eletta a Santuario di Maria SS.ma dei Miracoli il 31 ottobre 2016, che si affaccia in Piazza Vittorio Veneto.
Innalzata negli anni dal 1521 al 1562 da maestranze locali e palermitane, la torre ha la forma di un parallelepipedo a base quadrangolare alto circa 38 metri, presenta cinque livelli e termina con due finestre bifore.
In essa è inserito l’orologio rivolto verso la Piazza.
La vista di questo orologio, in un giorno particolare che sono ritornata a Mistretta, ha riaperto il cassetto dei miei ricordi  richiamando alla memoria indimenticabili episodi di vita vissuta che descrivo nel racconto:

L’ OROLOGIO NEL CAMPANILE DELLA CHIESA MADRE DI MISTRETTA:

Dal campanile della chiesa Madre, di pietra dorata, l’orologio della piazza regola, da tanti anni, la vita del paese.
La sua faccia rotonda, bianca, grande ha la numerazione romana che segna le ore e due enormi lancette ricamate che ruotano intorno. Circondato da un’importante cornice semicircolare sormontata da una finestra bifora, l’orologio batte, a intervalli regolari, i suoi rintocchi, nitidi richiami.

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Fa la guardia al monumento marmoreo dei caduti nella prima e nella seconda guerra mondiale nella Piazza V. Veneto,

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controlla il movimento della gente, segue le mattinate trascorse dagli studenti nelle aule della Scuola Media Statale “Tommaso Aversa” posta di fronte al campanile, nell’edificio col porticato. Purtroppo alcune compagne di scuola sono passate a miglior vita.

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foto di Rosa Maria Maniaci

L’aula della scuola frequentata da Laura si affacciava proprio sulla Piazza V. Veneto.

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Ricorda ancora perfettamente lo scherzo ricevuto dall’orologio tanti anni fa!
Quella mattina l’aria, particolarmente fredda, era velata da un sottile strato di neve che cadeva silenziosa. Laura sentì 9 rintocchi squillanti dell’orologio della piazza e un solo, ampio, tò. Le ore nove e un quarto?! Chiese meravigliata alla sua mamma.
E’ possibile?
E’ cominciata già la prima ora di lezione ed io sono ancora qui! Sempre puntuale, come un cronometro, contrariamente alle sue abitudini, pensando di essere in ritardo, precipitosamente si avviò verso la scuola, distante pochi metri da casa sua. Guardò l’orologio. Segnava veramente le ore 9,15.
Laura esitò.
L’istituto era avvolto da un insolito e inquietante silenzio.
Non udì l’abituale chiasso dei ragazzi. Entrò nella sua aula. Non incontrò nessuno dei suoi compagni di classe. Nessun alunno era presente nelle altre aule. Si aggirò per i corridoi. Nessuno! Rifletté: “E’ tardi! I miei compagni si sono recati in palestra per partecipare alla lezione di ginnastica della prima ora”.
Poiché la palestra si trovava all’esterno dell’’edificio scolastico, ma poco distante, per poterla raggiungere bisognava attraversare la strada e girare l’angolo a sinistra.
Davanti alla porta della palestra ecco lo stupore e l’incredulità: era serrata da un energico chiavistello. Laura, agitata, quasi spaventata, era disorientata.
Un acceso rossore le infiammava le guance.
Il lungo cappotto verde muschio, la sciarpa di lana bianca attorno al collo, il cappello a passamontagna, i guanti rossi e gli stivali felpati e bordati di pelliccia di lapin le davano l’aspetto di uno strano babbo natale. Lo zaino, pieno di libri, legato dietro alle spalle, faceva avvertire tutto il suo pesante carico.  Portava con sé il responsabile e piacevole lavoro dello studio di tanti giorni.
Ritornò indietro per chiedere di nuovo l’ora all’orologio della piazza. Le sue lancette avevano descritto un piccolo angolo e si erano spostate di pochi minuti. E’ tardi? Chiese ad alta voce a se stessa.
Non le era mai capitato di arrivare in ritardo a scuola! Sempre così diligente!
Tanti pensieri le affollavano la mente. Pensava: avrebbe perso la lezione di educazione fisica!  Alta, atletica, partecipava alla lezione con entusiasmo.
Era l’alunna preferita dell’insegnante, una donna anziana, prossima alla pensione, grassa, goffa nei suoi movimenti.
Laura, in sua vece, illustrava alle compagne gli esercizi ginnici. I maschi facevano la lezione di ginnastica in un’altra palestra con un altro professore.
Già pensava di giustificare l’assenza della prima ora, per entrare la seconda ora. Non poteva perdere le altre lezioni: di matematica, d’italiano, di latino, alle quali teneva tanto. Lo studio della storia, invece, non le era particolarmente gradito.
Il suo papà si era già recato al lavoro e la sua mamma non poteva uscire di mattina, così all’improvviso.
Si era rassegnata, a malincuore, a tornare a casa e a privarsi di quella giornata di scuola.
A quei tempi i professori erano molto severi sulla disciplina!  I maschi facilmente marinavano la scuola ed erano rigorosamente puniti, mentre le ragazzine, in genere, la frequentavano con più assiduità.
Contrariata, ritornò a casa. Controllò ripetutamente l’orologio della cucina, interpellò l’orologio a pendolo nella stanza buona, esaminò attentamente le lancette della piccola sveglia posta sul suo comodino.
Non credeva ai suoi stessi occhi.
Tutti gli orologi segnavano, più o meno, la stessa ora. Le ore 8,15 del mattino erano passate da poco. Era in perfetto orario per recarsi nell’ aula scolastica.
L’orologio della piazza, forse proprio per la sua lunga esperienza, si era fatto un’opinione personale del tempo; andava avanti o restava indietro con una disinvoltura volubile e impressionante.
Laura non possedeva il personale orologio da polso; lo ricevette in regalo dalla prof.ssa Rosalia Cuva, la madrina, quando accolse il sacramento della cresima. Allora non esistevano i telefonini con l’orologio inserito!
In pratica l’orologio della piazza si fermò.
Proprio così!
Dopo qualche secolo di scrupoloso servizio, l’orologio si fermò perché si era guastato.
Era così vecchio! Che brutto scherzo subìto da Laura!
Forse sarebbe stato impossibile ripararlo, forse sarebbe rimasto muto per parecchio tempo o avrebbe taciuto per sempre.
Laura si sentì invadere da una piacevole speranza: almeno non l’avrebbe ingannata più con i suoi battiti impazziti che misuravano erroneamente il tempo.
Due orologiai, saliti sul campanile, cominciarono a frugare pazientemente nelle sue viscere per restituirgli la voce regolare, autorevole.
Dalla mostra ingiallita toglievano le lancette; evidentemente l’orologio non voleva più fare girare quelle braccia pesanti perché si era accorto di quanto fosse inutile l’additare costantemente dei segni che non si vedono: i segni del tempo che passa.
Lo ripararono in breve tempo.
Per qualche giorno l’orologio riprese docilmente il suo preciso servizio sonoro. Parve un sollievo per tutti coloro ai quali l’orologio della piazza evoca uno scenario di suggestioni e di emozioni uniche e gli affidano le loro monotone attività giornaliere.
I suoi nitidi rintocchi si risentirono nell’aria serena portando a domicilio i quarti, le mezze, i tre quarti e le ore intere attraverso porte, finestre, balconi.
Sembrava che tutte le case si aprissero per mostrare la vita familiare che si svolgeva nel loro interno: le massaie affaccendate intorno al fuoco, gli allegri bambini che rincorrevano il gatto, le tavole imbandite con la tovaglia a quadretti colorati e la zuppiera fumante, la televisione che parlava da sola e nessuno l’ascoltava.
Le vicine di casa, chiamandosi dalle finestre e dai balconi, diffondevano la buona notizia: l’orologio della piazza aveva ripreso a funzionare! E’ già mezzogiorno? Che cosa preparo per il pranzo? I bambini stanno già per uscire dalla scuola?
Come passa il tempo! Avrei ancora tante cose da fare! Mi devo sbrigare! Dove arrivo metto il punto! Così commentavano tra loro le comari.
Quel misurare il tempo, quarto d’ora per quarto d’ora, aveva sempre dato a Laura in indefinibile fastidio. Contando ogni attimo di tempo, era come sbriciolare l’esistenza, ricordare che era stata spesa inesorabilmente una parte della vita che non sarà mai più recuperata.
Di notte i battiti dell’orologio giungevano fin nella sua cameretta rompendo la tranquilla atmosfera e il sonno.

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L’insonnia sopraggiungeva inevitabilmente rendendola irascibile e scontrosa. Anche il signor Luigi, della porta accanto, gravemente malato, si lamentava perché i rintocchi dell’orologio disturbavano quel raro momento di riposo.

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La nuova crisi dell’orologio si rivelò all’improvviso dopo poco tempo.
Nel buio della notte Laura distinse lo squillo di un limpido quarto d’ora emesso dall’orologio con tono signorile.  Quarto di che cosa?
L’altro tono baritonale era mancato; non aveva udito l’ora. Rimase in ascolto.
Dopo un tempo impreciso, probabilmente dopo qualche altro quarto d’ora, ecco due tocchi isolati, liberi, indipendenti. Con quel suono innocente segnava sempre il primo quarto. L’orologio aveva perduto le ore.
Continuò a librare i suoi quarti d’ora senza alcun riferimento.
Gli orologiai ritornarono ancora una volta sul campanile, si impegnarono nel lavoro di ripristino. Cercavano di riuscire a ricondurre l’orologio sulla via del dovere, ma inutilmente. Un nuovo guasto sopraggiungeva inevitabilmente.
A Laura il resistere dell’orologio per tanti anni a misurare il tempo con meticolosa monotonia sembrava una ponderata fissazione quindi pensò: “L’orologio del campanile della piazza si è stancato. Deve andare a riposo.
Invece no!
Adeguatamente curato, l’orologio riacquistò una nuova giovinezza.
La voce, nei suoi toni, riprese a farsi ascoltare con il vigore dei primi giorni.
Al suo posto, sul campanile della chiesa, l’orologio, senza più fermarsi, scandiva il tempo, che ostinato, procede sempre inesorabilmente.
Laura avrebbe voluto che il tempo frenasse la sua corsa, almeno per permetterle di completare gli impegni di studio e di lavoro nei tempi necessari, invece esso corre veloce più del vento.
Dopo la chiusura della scuola, Laura, da ragazzina, assieme alla famiglia, usava trascorrere le vacanze estive in collina ritornando in paese, per abitudine, il 23 settembre, proprio il giorno dell’equinozio d’autunno.
Là, a diretto contatto con la Natura, Laura rispondeva positivamente alle forti emozioni ricevute. Le ore trascorrevano felici e l’orologio, ladro e inflessibile tiranno del tempo, era molto lontano dai suoi sogni e dai suoi passatempi. In campagna, finalmente i rintocchi dell’orologio del campanile della chiesa, che scandisce minutamente il tempo, non la raggiungevano.
Fuori, all’aria aperta, i giorni le sembravano più lunghi e più interessanti, non cronometrati dalla voce dell’orologio della piazza.
Sognava di essere libera da qualsiasi orario in un mondo non intrappolato nell’insulsa punteggiatura dei minuti, staccato dalla misura ossessionante di ogni atto, pensiero, palpito. La misura è essere se stessi; unico pendolo è il cuore.
Vivere in campagna, per Laura, significava alzarsi al primo sorriso del sole, respirare l’aria pulita, andare a dormire con le galline.

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Amava percorrere spazi liberi, fare lunghe passeggiate a piedi e in bicicletta, sola o in compagnia di Shiver “Brivido”, il suo affezionatissimo cane, un pastore tedesco di taglia media, col corpo lievemente allungato, muscoloso e ricoperto dal mantello color miele.
Era forte, robusto, vivace, coraggioso, fedele. La testa allungata, il muso cuneiforme, le orecchie appuntite, erette e gli occhi a mandorla, leggermente obliqui gli davano un simpatico aspetto. Gli arti, diritti e paralleli, gli permettevano un incedere fluido, veloce e scorrevole.
Teneva la coda leggermente piegata ad arco. Invece la sollevava quando, giocando, diventava esuberante, quasi aggressivo. La sua indiscutibile forza, l’innata intelligenza, la bellezza, l’armonia, la nobiltà d’animo, il carattere leale lo rendevano un cane speciale, gradito alla sua padroncina, non per opportunità, ma solo per amore. Docile di carattere, ubbidiva ai comandi di Laura che gli aveva insegnato a camminare su due zampe, a riportarle il sasso lanciato lontano, a cercare un foglio di carta nascosto nel muro di cinta, a tenere la palla sul muso; però incuteva paura quando si arrabbiava.
Sempre vigile, era un attento guardiano e un bravo difensore se si convinceva che Laura poteva correre qualche pericolo.
L’aspettava, se si fermava a parlare con i contadini che lavoravano la terra sotto il sole caldo dell’estate e mietevano a giugno le bionde spighe del grano maturo.
Quando il papà di Laura lo legava con la catena, per motivi di sicurezza alla presenza di altri bambini, lei lo chiamava: “Shiver”.
Rispondeva con un guaito lungo, lamentoso, sempre lo stesso. Laura capiva. Era una richiesta di coccole per essere liberato dalla prigionia della catena.
Se invece era slegato e si allontanava, appena si sentiva chiamare, abbaiava graziosamente e, saltellando, le andava incontro, le si prostrava davanti con la pancia in sù in segno di sottomissione.
Shiver le faceva sempre da battistrada anche durante le sue escursioni per la collina a cavallo di Gemma, la giovane giumenta che suo papà le aveva regalato realizzando il desiderio di possedere un cavallo tutto suo. Spingeva a camminare anche il giovane puledro lento nei movimenti.
Gemma era bella, bianca, con la criniera intrecciata e con la lunga coda sempre in movimento.

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Elegantemente sorretta dall’alto schienale della sella di cuoio rossiccio, su cui saliva aiutata dagli speroni, e con le redini in mano, Laura, come una esperta amazzone, cavalcava per i sentieri della contrada Cecè fermandosi, di tanto in tanto, all’abbeveratoio per rinfrescarsi e per far bere i suoi compagni di viaggio.
Laura, innamorata della Natura, era un’attenta osservatrice del mondo animale, vegetale e minerale e ne ammirava tutte le sue forme.
Rispettava gli alberi, i cespugli, gli animali e tutte le cose vive alle quali dava un’anima.
Dimenticando il tempo che passava, tante volte faceva ritorno nella fattoria all’imbrunire. Una volta era così concentrata a osservare una montagna di bisce, tranquillamente riparate dal muro nell’orto, che non si rese conto che l’orario del rientro era abbondantemente trascorso. Stava per scendere già la sera e il sole era quasi tramontato, ma, per Laura, l’aria si era offuscata perché si avvicinava la pioggia, non perché la giornata era terminata.
Come erano spensierati e allegri i giorni trascorsi in campagna!
Laura inventava i suoi giochi con la partecipazione degli animali della fattoria. Nel pollaio i coccodè delle galline si spandevano per l’aria come inafferrabili voci d’infinito. Erano un richiamo irresistibile per Laura che voleva scherzare con loro. Il gallo, il re del pollaio, aveva stabilito una linea di confine invalicabile per la difesa del suo territorio. Il battagliero gallo e Laura si venivano incontro l’un l’altra fermandosi al limite dello spiazzo fissato, poi ciascuno dei due tornava indietro. Un pomeriggio Laura, imprudente, si spinse oltre, il gallo la raggiunse, le beccò la coscia in tre punti.
Laura esibisce ancora le cicatrici di quel doloroso incontro e conserva il ricordo del gallo intrigante, con la cresta paonazza e con le ali svolazzanti.
Era importante il tempo? Era necessario guardare l’orologio?
Spesso Laura si arrampicava sul platano, che faceva la grazia di un filo d’ombra, lo abbracciava con trasporto e, col volto al sole, faceva la lucertola dimenticandosi di tutto.

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Amava il vecchio platano come si amano le persone care, lo conosceva bene, da sempre. A marzo ammirava le sue piccole gemme strette ai ramoscelli, ad aprile le foglioline schiuse a calice sulla base e che presto diventavano grandi a forma di mani eleganti, le raggiere dei fiori, i penduli frutti a palline.

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Il robusto platano voleva  bene agli uccellini, li accoglieva sempre a braccia aperte, era una casa ospitale dove potevano sostare a piacere.
Gli uccellini che fretta hanno? Passa l’inverno, arriva la primavera, il tempo dei nuovi amori.
Altre volte se ne stava con gli occhi abbassati ad ascoltare il respiro della Natura, il canto dell’uccellino, il cri cri del grillo, il frinire della cicala solitaria, il gracidare delle rane attorno alla fontana.

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Oppure in piedi, sostenuta dai levigati e lisci scogli,  le piaceva ascoltare la voce del fiume Romei attraverso il rumore  dell’acqua che continua a scorrere nel suo letto.

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Nelle fredde sere d’inverno, invece, Laura, seduta accanto al camino di casa, spesso distraeva il suo pensiero concentrando lo sguardo sulle braci ardenti: quattro braci fra la cenere, quattro piccole stelle rosse che mandavano sempre meno bagliori, come gli occhi quando il sonno li vela, o come le stelle quando l’alba le spegne. Immersa in una realtà senza tempo, dove proprio il tempo non ha nessuna importanza, sentiva il battito del proprio cuore. L’orologio, in quei momenti, era inutile.

Laura, allora, non si faceva rincorrere dal tempo. Con la maturità, con le tante responsabilità della vita che cambia, invece, necessariamente si è dovuta abituare a non sprecare nessun attimo, anzi ad essere in lotta col tempo.
La libertà, la spensieratezza, la fanciullezza sono ricordi ormai lontani, ma vivi e indelebili nella memoria di Laura che ha vissuto una vita intensa, sempre in crescita, come somma algebrica, positiva e negativa, di tutto: di bellezza interiore ed esteriore, di intelligenza, di esperienza, di competenza, di profondità, di capacità, di pazienza, di pienezza.

Pur vivendo lontana dal suo paese, spesso risente evocare nella mente la voce dell’orologio della piazza.
E’ sempre un’amena e piacevole musica che la riporta indietro negli anni.
E’ come se bloccasse il tempo al periodo della sua gioventù.
Tempo:
In un fiocco di neve che si scioglie nel palmo della mano,
nell’ultima goccia della stalattite di ghiaccio,
nel battito d’ali di una farfalla posata sull’erba appena tagliata,
in una foglia autunnale che volteggia verso la terra fredda
inesorabile te ne vai.

Nel sole tiepido che sorge tra le bianche vette,
nel ruscello che scorre verso il grande oceano,
nel canto delle cicale tra le spighe del grano,
nei variopinti colori di un bosco autunnale
c’illudi di tornare
”.
Lo afferma l’amica Armida Bormetti nella sua poesia: “Tempo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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