Feb 6, 2020 - Senza categoria    Comments Off on LA STORIA DELLA CERAMICA DI SANTO STEFANO DI CAMASTRA RACCONTATA DA NELLA SEMINARA AL CUSCA DI LICATA.

LA STORIA DELLA CERAMICA DI SANTO STEFANO DI CAMASTRA RACCONTATA DA NELLA SEMINARA AL CUSCA DI LICATA.

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Al confine tra le province di Messina e di Palermo, a circa 50 chilometri a est di Cefalù, sorge la cittadina di Santo Stefano di Camastra, meglio conosciuta come “La Città delle Ceramiche”.
E’ posizionata a 70 metri sul livello del mare. E’ una cittadina molto caratteristica, unica nel suo genere.
Città d’arte, Santo Stefano, porta e punto più alto del mondo nebrotico, prezioso gioiello urbanistico e architettonico restituito alla sua originale purezza.
Piccolo mondo dove miracolosamente persiste e continuamente si ricrea il lavoro più antico dell’uomo, la ceramica, che unisce e armonizza i quattro elementi empedoclei, che crea forme, inventa di continuo linee inedite e colori smaglianti.” (V. Consolo).
L’arredo urbano è abbellito dagli inserti di ceramica colorata e decorata.
Le sue strade sono piene di botteghe che espongono coloratissimi manufatti di ceramica. I numeri civici delle abitazioni private, le insegne dei negozi e dei bar, i pavimenti dei locali, le fontane, i sedili, i muri sono rivestiti da splendidi lavori di ceramica e di mattonelle maiolicate che conferiscono alla cittadina di Santo Stefano di Camastra una cornice unica e magica.
Chi giunge a Santo Stefano di Camastra, oltre alle tante vetrine dei negozi, dovrebbe visitare: il Duomo, costruito nel 1685, contenente bellissime statue e dipinti del ‘600 e del ‘700; la Chiesa di Maria SS.ma della Catena, che accoglie la tomba del Duca di Camastra, il Palazzo Trabia, sede del Museo della Ceramica, il Palazzo Armao, sede della Biblioteca Comunale, arricchito all’esterno da frontoni neoclassici e decorazioni in ceramica. Anche le tombe del Cimitero Vecchio sono rivestite di antiche mattonelle.
Obbligatoriamente dovrebbe affacciarsi dai bellissimi e frequentati balconi “belvedere” dai quali si vedono: il mar Tirreno, le isole Eolie, la montagna di Mistretta.
La storia di Santo Stefano di Camastra è racchiusa nei toponimi: prima si chiamava Noma, civiltà di pastori e di contadini; poi Santo Stefano di Mistretta, perché era un piccolo agglomerato urbano posto a 500 metri di altitudine, alle dipendenze di Mistretta, ma che, nel 1682, fu distrutto da una frana. La popolazione si trasferì presso la costa, nella località “Piano del Castellaccio”,  nella terra di proprietà di don Giuseppe Lanza Baresi.
Dal 1682 la storia di Santo Stefano di Camastra si lega, quindi, alla figura di don Giuseppe Lanza Barresi, cavaliere dell’Alcantara, Duca di Camastra e Principe di Santo Stefano che, nel 1683, ottenne dal Viceré di Sicilia la licenza di riedificare l’attuale città.
Don Giuseppe Lanza Barresi, nel concepire l’idea del nuovo centro urbano, accolse i suggerimenti di uno dei più grandi ingegneri militari del 1600, il Grunemberg.
L’impianto urbanistico fu disegnato sullo schema di uno dei parchi di Versailles e al quale si richiama la forma della pianta della villa Giulia di Palermo.
Quindi, la città di Santo Stefano di Camastra porta il nome di Don Giuseppe Lanza Barresi Duca di Camastra.
Il centro storico di Santo Stefano è, senza dubbio, uno dei più affascinanti centri storici presenti in Sicilia.  Si presenta con un quadrato imperfetto diviso in 4 parti e al cui interno si inseriscono un rombo e due diagonali.
Per facilitare l’opera di costruzione presso le cave di argilla furono impiantati i cosiddetti “stazzuni” dove si producevano il materiale da costruzione e il vasellame per uso domestico. Tracce di forni e testimonianze storiche lasciano supporre l’esistenza di un’attività ceramista sin dall’epoca araba.
Fin dai primi anni del XVIII secolo gli “stazzunari” stefanesi producevano manufatti di terracotta.
Grazie all’iniziativa di don Michele Armao, designato dalla vedova del Duca di Camastra “Governatore della terra di Santo Stefano”, fu insediata la prima fabbrica specializzata nella tecnica dell’invetriatura per la realizzazione di 100 giare stagnate per la conservazione dell’olio.
L’incarico fu affidato a Mastro Domenico Lo Presti, proveniente da Barcellona Pozzo di Gotto, e residente a Sant’Agata di Militello.
Egli, insieme all’apprendista Antonino Ragazzo, si trasferì nella città di Santo Stefano di Camastra dove impiantò, con il benestare di don Michele Armao, la propria fornace perché, per contratto, il trasporto del materiale da Barcellona a Santo Stefano di Camastra doveva avvenire a “proprio risico e periculo”.
La storia continua…
Santo Stefano di Camastra è oggi un punto di riferimento nell’arte della ceramica ed è il maggiore centro produttivo di ceramiche della Sicilia occidentale. Le botteghe artigiane, che sostengono l’economia del paese, vantano una produzione artigianale della ceramica con un ricchissimo repertorio di forme, di figure e di colori che coesistono con i motivi tradizionali.

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L’ideazione dell’oggettistica in ceramica risale già al periodo tra il 5.000 e il 10.000 a.C., quando gli antichi uomini, usando la creta bagnata, modellata, essiccarla al sole, o posta sul fuoco, ottenevano recipienti in ceramica dura: giare per conservare l’acqua e l’olio, pentole per cucinare, grandi piatti, ciotole, etc.
Pirandello nel suo racconto “La giara” scisse: “Lo Zirafa, che ne aveva un bel giro nel suo podere delle Quote a Primosole, prevedendo che le cinque giare vecchie di coccio smaltato che aveva in cantina non sarebbero bastate a contener tutto l’olio della nuova raccolta, ne aveva ordinata a tempo una sesta più capace a Santo Stefano di Camastra, dove si fabbricavano: alta a petto d’uomo, bella, panciuta e maestosa, che fosse delle altre cinque la badessa”.

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A Santo Stefano di Camastra ci sono stati i primi lavoratori della creta a mano. Poi, grazie ai primi utilizzi della tecnologia della ruota, cioè il tornio da vasaio, cominciarono a costruire vasi, anfore, ciotole e orci.

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Successivamente inizio la produzione degli oggetti di ceramica, di mattoni, di tegole e di piastrelle.

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L’argilla si estraeva dalla cava nelle grotte o nelle gallerie trasportandola con i cufina, contenitori in verga di forma tronco-conica e, se c’era spazio nella galleria, entravano anche gli asini adibiti al trasporto dell’argilla. Si chiamavano “scecchi ritaluora”.
“U ritaluoro” era un uomo che disponeva di un certo numero di asini per il trasporto e per la consegna dell’argilla ai committenti che la ordinavano.  Lo aiutavano i suoi figli e qualche altro ragazzino pagato per compiere questo lavoro. Ogni asino trasportava in media 60Kg di argilla a “viaggiu” ripartita in due “cancietri”, ceste di verga di forma allungata.  Ogni cesta aveva la capacità di 30Kg.
Nel XIX secolo avvenne la trasformazione della tecnica di produzione da artigianale a industriale.
Il salto di qualità si deve a don Gaetano Armao che, pur continuando a produrre materiale fittile e stoviglie invetriate per uso domestico, cominciò a sperimentare nuove tecniche per la produzione della ceramica, in particolare dei mattoni maiolicati, cimentandosi, in seguito, nella produzione di vasi alla maniera greca o etrusca.

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Nel dopoguerra le fabbriche non produssero più mattoni e anche la produzione delle ceramiche subì una stasi.
I pochi ceramisti rimasti continuarono a realizzare oggetti di uso quotidiano.
In seguito all’apertura della statale 113, che collega Palermo a Messina, nacquero le nuove botteghe artigianali con lo scopo di offrire ai turisti oggetti tipici della tradizione locale. Purtroppo, con l’uso dell’autostrada  A/20 Palermo – Messina, i viaggiatori non attraversano più il centro di Santo Stefano di Camastra con grave danno per l’economia locale.
Tuttavia, numerosi sono i negozi e i laboratori di ceramica che espongono i loro manufatti: piatti, tazze, brocche, caraffe, vasi, acquasantiere, oggettistica di vario genere, mattonelle, che vivacizzano soprattutto tutta la Nazionale, la via che si allunga in direzione di Messina.

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Tutti i manufatti sono decorati a mano e dipinti con motivi tipici siciliani.
Molta ceramica oggi è prodotta industrialmente, tuttavia si trovano ancora piccoli artigiani che realizzano pregiate ceramiche rigorosamente lavorate a mano.
E’ presente anche una grande esposizione di prodotti realizzati in pietra lavica, soprattutto tavoli rettangolari, quadrati e rotondi,  con un’ ampia possibilità di scelta.

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 Il luogo di nascita delle piastrelle può essere fatto coincidere con i paesi mediterranei orientali dove nel 3.000 a.C. gli egiziani fabbricavano mattonelle smaltate con la vernice azzurra ottenuta dalla malachite, che ancora oggi ricopre gli amuleti egizi per eccellenza.
La piastrella era un prodotto particolarmente sofisticato e molto costoso, utilizzato solo per le costruzioni di maggiore importanza e prestigio.
Inizialmente, come i vasi e le stoviglierie, le piastrelle erano prive di rivestimenti o smalti e prevalentemente incise.
Durante la supremazia greca e romana tali produzioni caddero in disuso, conservandosi solamente nella civiltà che più contribuì alla diffusione dell’utilizzo della piastrella: quella araba.
Furono, infatti, questi popoli che raggiunsero, nella produzione delle piastrelle, rilevantissimi risultati artistici imparando a sostituire i graffiti con linee di pigmento, a ottenere differenti colorazioni e a tenerle separate.
L’espansione araba a Ovest e le repubbliche marinare contribuirono a diffondere questi prodotti in tutto il Mediterraneo dove nacque una cultura della piastrella, prima con la maiolica e poi con le ceramiche.
La piastrella, inizialmente usata solo per il rivestimento di pareti, inizia ad essere utilizzata anche per rivestire soffitti, scalini, panche e muretti.
La fiorente e apprezzata produzione di mattonelle maiolicate a Santo Stefano di Camastra favorì l’esportazione in tutto il meridione d’Italia e in diversi paesi dell’Africa settentrionale.
La realizzazione delle mattonelle maiolicate richiese una migliore organizzazione delle officine che attinsero a maestranze specializzate provenienti da Napoli e dalla Francia.
L’argilla veniva pressata in “finestre” di legno di 22 cm di lato e marchiata sul retro con il nome della fabbrica.
La creta, asciugando, si rimpiccioliva e il mattone “stampato” raggiungeva la misura tradizionale di cm. 20 x 20.

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Una volta asciugate, le mattonelle venivano messe a cuocere in forni a legna.
L’operazione di cottura durava circa venti ore e quella di raffreddamento due giorni.
Le mattonelle venivano poi decorate. I colori più usati erano: il verde ramina, il giallo-arancio, il blu cobalto, il rosa e il manganese, quasi sempre su smalto bianco.
Dopo la decorazione, si procedeva alla seconda cottura.
Il trasporto avveniva tramite i carretti, ma, soprattutto, via mare con appositi velieri ormeggiati nella zona delle “Barche Grosse”.
Il repertorio dei decori, in un primo momento non  molto vasto, si fece via via più ricco di interventi manuali.
Ad ogni decoro viene dato un nome: “rococò”, “cinque punti”, “rigatino”, “lancetta“, ma vengono anche introdotti motivi francesi presenti nelle porcellane settecentesche che utilizzano solo il blu cobalto su bianco.
Importante, per la formazione dei nuovi giovani artisti, è l’attività dell’Istituto Regionale d’Arte per la Ceramica, oggi Liceo Artistico, frequentato da studenti provenienti anche dai paesi vicini.
L’ex dimora di don Giuseppe Lanza Barresi, Duca di Camastra, oggi denominato Palazzo Trabia, è la sede del Museo della Ceramica, ma è anche un centro polivalente per attività culturali.

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Attualmente la raccolta museale consiste nell’esposizione di una vasta serie di oggetti dell’antica tradizione stefanese,

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 oggetti d’uso quotidiano legati alle esigenze della famiglia e del lavoro, ma espone anche un assortito campionario della produzione moderna.
Vasta è pure la raccolta delle antiche mattonelle maiolicate, circa 1500, vero vanto della produzione di Santo Stefano di Camastra dal XVII secolo ad oggi.
Se è vero che i maestosi palazzi siciliani furono impreziositi dalle splendide mattonelle di Santo Stefano di Camastra,

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è anche vero che la tecnica di smaltare e di decorare mattoni è stata ed è la vera arte dei maestri ceramisti stefanesi che, insieme alla produzione più “povera” degli oggetti d’uso comune e della ceramica artigianale, hanno fatto di questo centro una vera e propria città d’arte che vuole continuare a imporsi con grande dignità all’attenzione culturale ed economica del mercato nazionale e internazionale.

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Le Fonti:
– Il libro Santo Stefano di Camastra LA CITTA’ DEL DUCA a cura di NUCCIO LO CASTRO
– Depliant turistico  SANTO STEFANO DI CAMASTRA
– Segreteria Ceramiche DESUIR DUCA DI CAMASTRA

NEI  PROSSIMI ARTICOLI: LA FIGURA  DEL CERAMISTA AMASTRATINO ANTONIO MANNO E, SUCCESSIVAMENTE, LA STORIA DELLA CERAMICA DI CALTAGIRONE!

 

 

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