Feb 15, 2020 - Senza categoria    Comments Off on LA STORIA DELLA CERAMICA DI CALTAGIRONE RACCONTATA DA NELLA SEMINARA AL CUSCA DI LICATA

LA STORIA DELLA CERAMICA DI CALTAGIRONE RACCONTATA DA NELLA SEMINARA AL CUSCA DI LICATA

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La città di Caltagirone sorge a  cavallo tra i monti Erei ed Iblei, in provincia di Catania.
La storia della ceramica di Caltagirone è scritta nel nome stesso della città, che deriva dal termine arabo “Qal’at al Ghiran”, che significa, appunto, “Castello dei Vasi”.
E’una cittadina dalle antichissime origini, una delle più preziose del Mediterraneo e, per l’eccezionale valore del suo patrimonio monumentale che caratterizza il centro storico, nel 2002 è stata insignita del titolo di “Patrimonio dell’Umanità” da parte dell’Unesco.
Tra le mura di Caltagirone abitarono bizantini, arabi, genovesi e normanni segnando la sua storia millenaria e influenzandola soprattutto per quel che concerne la produzione artistica.
Bisogna tornare indietro nel tempo, all’epoca in cui gli arabi nell’827 conquistarono la Sicilia. I ceramisti arabi si sono stabiliti a Caltagirone, città dove hanno dato impulso all’arte ceramica facendovi brillare i procedimenti tecnici portati da loro dall’Oriente.
In particolare, l’invetriatura, un rivestimento di tipo vetroso dato alle terraglie e alle maioliche allo scopo di renderle impermeabili ai liquidi e fare da fondo alla decorazione incorporandone i colori. L’invetriatura è costituita di due principali elementi, macina­ti insieme: una composizione silico-alcalina, detta “marzacotto”, e un composto di piombo e stagno calcinati insieme detto “piombo accordato”.
Le ragioni per cui la ceramica di Caltagirone nel Medioevo ebbe notevole impulso sono da ricercare: nella buona qualità delle argille, di cui abbonda la città, e nella presenza di boschi che fornivano la legna per la cottura dei manufatti nei forni.
I produttori di miele, alimentando e favorendo lo sviluppo dell’industria del miele, stimolavano i ceramisti a produrre i recipienti di terracotta per la conservazione del miele. Le quartare caltagironesi, per contenere il miele, erano note ovunque.
Nel Medioevo, il fatto che a Caltagirone il numero degli artigiani dediti all’industria del vasellame invetriato fosse rilevante è confermato dalla notizia fornita da Francesco Aprile che racconta di fornaci sepolte da una frana nel 1346 sul fianco occidentale del castello e dell’esistenza, ai primi anni del Cinquecento, di un intero rione a fianco della chiesa di San Giuliano.
Del Seicento si può dire altrettanto. Infatti, eccetto i significativi frammenti di pavimento datati 1621, opera di maestro Francesco Ragusa, e quelli del maestro Luciano Scarfia, della seconda metà dello stesso secolo, rispettivamente conservati nelle chiese di Santa Maria di Gesù e dei Cappuccini, il resto fu travolto dal terremoto dell’11 gennaio 1693 che cancellò nella parte orientale dell’isola quasi ogni traccia dell’attività plurisecolare delle officine ceramistiche caltagironesi.
Nel 1700 si ebbero palesi segni di ripresa per l’arte ceramica, che rifiorì sotto nuovi indirizzi artistici. Furono prodotti vasi con ornati a rilievo e dipinti, acquasantiere, lavabi, paliotti d’altare, statuette, alberelli, quartare, anfore, bracieri, scaldini, lucerne antropomorfe, pigne, mattonelle.
Il colore dominante nel ‘600 era l’azzurro cinerino, mentre nel ‘700 l’azzurro diventò  blu.
Tanti maestri, con la loro superba arte plastica e pittorica, hanno fatto splendere la maiolica caltagironese in ogni angolo delle case e delle chiese di Sicilia. Alcuni nomi: i Polizzi, i Dragotta, i Branciforti, i Bertolone, i Blandini, i Ventimiglia, i Capoccia, i Di Bartolo,. Angelo o Michelangelo Mirasole, nativo d’Aragona.
L’ottocento, con l’uso del cemento nei pavimenti, col dilagare delle terraglie continentali, di produzione in serie sul mercato isolano, diede un fatale colpo alla ceramica di Caltagirone che iniziò la sua parabola discendente continuando a dibattersi fra gli antichi procedimenti tradizionali di antiche botteghe prettamente artigianali.
Pure, in questo decadere, si notarono gli artisti: Giuseppe Di Bartolo, ceramista pittore e plasticatore ed Enrico Vella, abilissimo modellatore e progettista che, assieme a Gioacchino Ali, fecero assurgere a grande dignità la decorazione architettonica in terracotta lasciando eccellenti esempi che ornano ancora oggi la città, come nel monumentale cimitero, opera dell’architetto Gian Battista Nicastro.
Le conoscenze storiche sulla ceramica di Caltagirone sono state fornite dalle recenti ricerche effettuate nell’ambito della Scuola di Ceramica, fondata da Don Luigi Sturzo nel 1918, che porta il suo nome, oggi Istituto Statale d’Arte per la Ceramica.
E’ una scuola importante, che forma giovani artigiani abili in questa vecchia tradizione ceramista, che continua aggiornandosi ai tempi moderni. Inoltre, una filiale dell’Istituto può considerarsi il Museo Regionale della Ceramica, in Via Roma, al cui interno si possono ammirare circa 2.500 reperti che raccontano l’evoluzione storica, tecnica e artistica della ceramica siciliana, con particolare riferimento ai manufatti di Caltagirone, dalla preistoria fino agli inizi del novecento e la ricchissima serie di mattonelle cinquecentesche e settecentesche raccolte nel rifacimento di pavimenti di chiese dopo i disastri dell’ultima guerra.
Il Museo della Ceramica contemporanea è un’esposizione permanente di ceramiche caltagironesi, siciliane e nazionali, allestita presso il Palazzo Reburdone.
Larte della ceramica ha un grande legame con il territorio e la sua storia continua a vivere nel cuore di intere generazioni di artigiani, (detti anche cannatari), impegnati soprattutto nella decorazione degli oggetti.
Una volta terminata la modellazione, ogni artigiano gioca con fantasia scegliendo gli smalti da utilizzare e i disegni da eseguire muovendosi tra il vecchio,facendo tesoro del contributo dell’eredità della tradizione moresca, senza però rinunciare alla ricerca del nuovo.
L’arte della ceramica di Caltagirone, al fine di preservare la sua autenticità, dal dicembre 2003 è tutelata dal marchio Decop, che garantisce la provenienza e la fattura dei capolavori prodotti solo da artigiani locali.
Il viaggiatore che giunge a Caltagirone non può fare a meno di soffermarsi a guardare i negozi e le botteghe che affollano la scenografica Scalinata di Maria SS.ma del Monte, di 142 gradini rivestiti con mattonelle di maioliche artigianali con deliziosi motivi geometrici e che ha visto impegnati nell’esecuzione valenti allievi dell’Istituto come Gesualdo Aqueci, Francesco Judici, Gesualdo Vittorio Nicoletti e Nicolò Porcelli.
Si possono ammirare e anche acquistare oggetti, veri e propri pezzi della storia siciliana che si traducono in maioliche, terrecotte, vasi, statue, piatti, soli, lune, pigne minuziosamente lavorati.

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 Interessante è anche visitare i laboratori artigianali come quello di Giacomo Alessi, di Totò Regalbuto, allievo negli anni ’60 della Baca, una delle più prestigiose botteghe cataline, un’artista che organizza corsi di decorazione su ceramica. Grande maestro è anche Filippo Vento che, nella sua fabbrica-bottega, organizza corsi individuali e collettivi.
Il bravissimo ceramista dei nostri tempi, il signor Giacomo Dolce, ha portato la sua arte anche a Licata, nel negozio, sito in Corso Vittorio Emanuele, al N° civico 55, gestito dal signor  Alberto Licata.

 

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Numerosi sono stati  per Natale i presepi, i presepini e gli alberi di Natale da lui realizzati, bellissimi e originali nella loro composizione.
Oltre a questi manufatti, molto vasta è la sua produzione esposta nelle vetrine di questo negozio che invito tutti i licatesi a visitare..
Le ceramiche di Caltagirone sono apprezzate in tutto il mondo, facendo della città il fulcro dell’artigianato italiano per quanto riguarda il settore della ceramica. Tra le tipologie principali e più caratteristiche della produzione di ceramica a Caltagirone occorre menzionare quattro oggetti diventati il simbolo di questa attività. Sono: le lucerne antropomorfe, l’acquasantiera da capezzale, i fangotti,i presepi.
Le lucerne erano un oggetto indispensabile nelle abitazioni del popolo fino a quando l’olio costituiva la materia prima grazie alla quale era possibile avere illuminazione nelle case.
L’utilizzo delle lucerne si protrasse nel tempo anche dopo l’avvento di altri liquidi per l’illuminazione come il petrolio. Le lucerne erano degli eleganti contenitori d’olio atti a sostituire in pieno e con più autonomia di combustibile le vecchie lucerne metalliche. Nel suo corpo, a forma di bottiglia troncoconica, originariamente ricavato al tornio e poi modellato, ma sempre vuoto internamente, era immerso un lungo lucignolo che usciva fuori.
Nel settecento la lucerna subì una notevole modifica che la rese più agevole al trasporto per la casa e più economica nell’utilizzo. Aveva la forma di una matrona, con un braccio lungo il fianco e l’altro alla cintura, riccamente ornata di collane e di diademi.
Scomparve il pesante e capiente serbatoio e fu usata per contenere l’olio solo una piccola vaschetta ricavata nella testina della figurina. Questa figurina aveva alla base un bordo rialzato per l’eventuale raccolta dell’olio straripante.

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 Oltre alle damine, altre forme di lucerne raffiguravano gentiluomini con tube, monaci, preti, briganti, gendarmi, personaggi storici e tanti altri soggetti tratti dall’ambiente nostrano e dalla vita comune. Inoltre, la presenza di più lucerne pressoché della stessa altezza, circa 25 cm, ma di soggetto diverso e di colori vari, costituiva una festa negli ambienti signorili, ma anche nelle modeste abitazioni. L’uso di queste lucerne si diffuse ben presto in tutta l’isola e si ebbero delle imitazioni soprattutto a Collesano.
La moda delle lucerne antropomorfe nell’ottocento non solo varcò la soglia dei palazzi nobiliari, dove arredò tavoli, angoliere, comò e pianoforti, ma penetrò anche, con soggetti appropriati, nei conventi e nei monasteri. La richiesta delle lucerne si moltiplicò. Nell’ottocento, il grande artista Giacomo Failla produsse lucerne antropomorfe di ceramica dando vita a creazioni così pregiate da attrarre tutte le classi nobiliari.
La religiosità delle antiche famiglie diede impulso all’uso delle acquasantiere.
Nel settecento l’acquasantiera raggiunse il suo massimo sviluppo artistico attraverso elementi modellati e dipinti in monocromia o in policromia. I santi devozionali che più vi si riscontrano sono: la Vergine, Sant’Antonio di Padova, San Francesco di Paola, San Giacomo Maggiore, il Bambino Gesù, il volto di Cristo, San Giovanni, Santa Lucia, Santa Chiara, Santa Rosa da Viterbo, oltre ad angeli e a teste di cherubini. L’acquasantiera è formata da un’edicola nella parte superiore e da bacinella nella parte inferiore che si presenta come una coppa tornita e sagomata assai sporgente contenente l’acqua benedetta.
I componenti della famiglia vi attingevano il dito e recitavano le preghiere mattutine e serali. Nel capezzale del letto dei bambini c’erano le acquasantiere con l’immagine dell’Angelo Custode.

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Nelle campagne le acquasantiere erano appese all’entrata delle abitazioni quasi per ricordare la necessità d’intingere le dita nell’acqua benedetta per allontanare, col segno della croce, gli influssi malefici e per proteggere la casa dai ladri.
Il fangotto in ceramica è una realizzazione popolare del XX secolo utilizzato a tavola dalle antiche famiglie siciliane come unico piatto di condivisione.

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Caltagirone è anche detta “Città dei Presepi” per la tradizione artistica che impegna gli artigiani ceramisti a preparare, in maiolica policroma o in terracotta, i personaggi della Natività, pezzi unici realizzati in maniera originale per la grandezza, per il colore e per il tipo di materiale impiegato. Le prime figure del presepe in ceramica risalgono al Medioevo e, nel corso del tempo, possedere degli esemplari rappresentò per i nobili dell’epoca un simbolo del proprio stato sociale e, in generale, per tutti un vanto. Anche oggi, nelle oltre cento botteghe artigiane della città, è possibile acquistare i personaggi del Presepe in ceramica.

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Il primo presepe di cui si ha memoria risale al Natale del 1223. Fu San Francesco a chiedere agli abitanti di Greccio, un paesino del Lazio, di interpretare il presepe vivente. Da allora, sostituite le persone con le figurine di terracotta, gesso o legno dipinto, l’usanza di allestire il presepe si estese in molte regioni italiane per rievocare la venuta del Salvatore.
Nel settecento fra i “santari”, una vera e propria categoria d’artigiani che producevano statuine della Sacra Famiglia, dei santi e dei presepi, si devono ricordare i signori Antonio Branciforte ed Antonio Margioglio. Sul finire del secolo questa tradizione, diffusa in tutte le classi sociali, assurse ad alti livelli artistici.
Le statuine in terracotta policroma di Giuseppe, Salvatore e Giacomo Bongiovanni, di Bongiovanni Vaccaro hanno avuto riconoscimenti e premi in tutta l’Europa ed il privilegio d’essere esposte al British Museum di Londra e nel Museo di Monaco di Baviera.
Il presepe di Caltagirone è semplice, in sintonia con le sue origini francescane, che nulla ha che fare con la celebrazione del potere e dello stile di vita dei nobili e dei borghesi. Possedere un presepe di Caltagirone diventò per le famiglie e per le chiese un vanto, quasi uno status symbol.
La tradizione di creare i presepi, tramandata da padre in figlio e sino ai nostri giorni, è ancora viva nelle botteghe artigiane della città di Caltagirone.

La Fonte: il Web

NEL PROSSIMO ARTICOLO  LA STORIA DELLA CERAMICA DI BURGIO

 

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