Nov 1, 2020 - Senza categoria    Comments Off on LA RACCOLTA DELLE MORE A MISTRETTA E A LICATA

LA RACCOLTA DELLE MORE A MISTRETTA E A LICATA

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La raccolta delle more è un evento che compio quasi giornalmente nel mese di agosto durante il mio lungo soggiorno a Mistretta.
Poiché è una pianta eliofila, che tollera poco l’ombra degli altri alberi su di essa, si riscontra ai margini delle strade e lungo i sentieri.
Infatti, è sufficiente percorrere le strade carreggiate che portano a Castel di Lucio, a Motta D’affermo, a Santo Stefano di Camastra, al laghetto Urio Quattrocchi, strade poco frequentate, per incontrare dense siepi di rovi che regalano le gustose more.
Soggiornare a Mistretta, al mio paesello natio, è piacevole soprattutto per godere della frescura estiva e per evitare la calura di Licata dove, in estate, la temperatura raggiunge i 40°C- 45°C  gradi all’ombra.
Il Rovo selvatico si trova anche a Licata, nella mia campagna, in contrada Montesole-Giannotta.
Al confine terriero con il mio vicino, addossata alla recinzione, la siepe di rovo “u ruvettu” forma una barriera impenetrabile con i suoi lunghi sarmenti e, soprattutto, con i suoi aculei pungenti e robusti.
Il rovo, utilizzato per delimitare il nostro podere, ha funzione prettamente difensiva. Diverse volte però la mia siepe ha conosciuto la forbice del pastore che, per fare entrare nel mio terreno il suo gregge di pecore a pascolare, ha aperto il varco fra le sue membra.
Anche i cacciatori hanno sfoltito i suoi rami per permettere ai cani, entrando, di stanare l’indifeso coniglietto che, furbo, è riuscito qualche volta a sfuggire alla canna del fucile.
Etimologicamente il nome scientifico del genere è “Rubus” e quello della specie “ulmifolius”.
“Rubus”, dal latino “ruber”, “rosso”, potrebbe far riferimento al colore dei frutti maturi di altre specie dello stesso genere, come il lampone, o direttamente alla forma immatura del frutto della stessa specie.
Il termine “Ulmifolius”, dal latino “ulmus”olmo” e “folia”, “foglia”, deriva dalla similitudine con le foglie dell’albero Ulmus minor.
Il Rubus ulmifolius, originario dall’Africa meridionale, ha esteso il suo areale in tutta l’Europa, nel Nord dell’Africa, nel sud dell’Asia, in America e in Oceania. Tende a diffondersi rapidamente eradicandosi con difficoltà.
In Italia è presente in tutto il territorio, dal mare alla montagna, fino a un’altitudine di 600 metri. In origine, probabilmente era una pianta del bosco.
La tradizione popolare descrive diversi aneddoti e leggende intorno al Rubus ulmifolius, a conferma di quanto era conosciuto già fin dall’antichità.
Una leggenda narra che Satana, quando è stato scacciato dal cielo, è caduto in un bosco di rovi. Per questo motivo la pianta è spinosa, pungente, ed è stata associata alla cattiveria e all’invidia.
Anche Esopo, nella fiaba “La volpe e il rovo“, celebra questa pianta e racconta di una volpe che, nel saltare una siepe, si aggrappò, suo malgrado, ai rami spinosi di un rovo nel tentativo di evitare una rovinosa caduta.
Dolorante e con le zampe insanguinate, disse alla pianta: “Ahimè, io mi rivolgevo a te per avere un aiuto e tu mi hai conciato ben peggio!”
Il rovo rispose: “L’errore è tuo, mia cara! Hai voluto aggrapparti proprio a me che, d’abitudine, son quello che si aggrappa a tutto”.
Il riferimento è alla stoltezza degli uomini che spesso ricorrono all’aiuto di chi, al contrario, è portato a far del male.
All’abbondanza e alla bontà delle more è dedicato anche uno scritto di Virgilio: “È tempo di intessere canestri leggeri con virgulti di rovo“.
Il Rubus ulmifolius, appartenente alla famiglia delle Rosacee, è un arbusto perenne, selvatico.
Non possiede veri fusti ma numerosissimi sarmenti, lunghi anche fino a 10 metri, più o meno cadenti, ricoperti di spine per proteggersi dal dente degli animali erbivori e per sostenersi aggrappandosi ala vegetazione circostante.

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Le foglie sono imparipennate, costituite da 3 a 5 foglioline a margine seghettato. Sono di colore verde scuro, ellittiche o obovate e bruscamente acuminate. La pagina superiore è glabra e la pagina inferiore è tomentosa con peli bianchi e spine nella nervatura principale.
E’ una pianta semi-caducifoglia poiché molte foglie permangono sulla pianta anche durante la stagione invernale.

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Pianta ermafrodita, produce fiori bianco-rosati composti da cinque petali e da cinque sepali. Sono raggruppati in racemi a formare infiorescenze di forma oblunga o piramidale.

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La fioritura avviene al principio dell’estate quando le api, attirate dall’intenso profumo del nettare dolciastro, affollano i rami per prepararsi alla produzione del prelibato miele. Per questo motivo, per la grande fornitura di nettare, la fioritura del rovo è molto gradita agli apicoltori.
Nel nostro bel Paese, così come anche in Spagna, grazie alle siepi di rovo, viene prodotto il miele monoflorale.
Il frutto, commestibile e molto prelibato, è composto da numerose piccole drupe contenenti ciascuna un seme e, raggruppate insieme, formano la mora, detta appunto “mora di rovo”. La mora è di colore verde all’inizio, diventa rossa e, infine, nera a maturità.

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La maturazione del frutto è graduale e la raccolta avviene a distanza di 3 – 4 giorni.
Essa  risente dell’altezza del luogo ed è anticipata o ritardata di qualche mese in relazione alle condizioni climatiche.
Il rovo è poco coltivato in Italia e i frutti sono raccolti esclusivamente dalle piante selvatiche.
Le zone italiane dove vengono coltivate le piante di more di rovo sono: il Trentino Alto Adige, parte del Cuneese, alcune aree rurali della Lombardia e dell’Emilia Romagna.
Le more di rovo sono considerate frutti di bosco, come i lamponi, le fragoline, i ribes, l’uva spina e i mirtilli.
A Licata già alla fine del mese di giugno si possono raccogliere i primi gustosi frutti.
A Mistretta le more maturano nel mese di agosto.
Tante volte, io, le mie nipoti e i loro amici, abitanti nei villini vicini, nei lunghi pomeriggi della stagione estiva, a Licata, nel periodo delle more mature, andavamo a raccogliere cestini pieni di more che consumavamo fresche.

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Pulite e lavate sotto il getto d’acqua corrente, le abbiamo mangiate con gusto, perchè buonissime, soprattutto per quel sapore un po’ asprigno. Raccogliere le more è sempre una festa, un gioco, una gioia, un modo semplice e sincero di socializzare.
La raccolta delle more comporta sempre un certo rischio. Spesso gli appuntiti aculei dei rami, che portano in alto i frutti migliori, graffiano dolorosamente le nostre mani e le nostre braccia scoperte.

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La moltiplicazione avviene in molti modi: attraverso gli uccelli che, cibandosi dei frutti, favoriscono la dispersione dei semi contenuti nelle more, per propaggine apicale, per emissione di nuovi polloni radicali, per interramento dei rami, per talea.
E’ in grado di creare in poco tempo una siepe fitta e invalicabile.
Il Rovo si propaga spontaneamente e con molta facilità invadendo i campi abbandonati e incolti comportandosi come pianta colonizzatrice.
Il Rubus ulmifolius è una pianta che resiste al freddo e vive bene in montagna.
Preferisce climi secchi e luoghi polverosi. Si poggia con estrema facilità su terreni aridi e leggermente acidi.
Predilige un’esposizione luminosa e soleggiata, che rende i frutti più zuccherini e più gradevoli.
Non ama il vento, che secca la pianta e può spezzarne i tralci.
La pianta di rovo può essere soggetta a diverse malattie: la botrite o muffa grigia, la malattia fungina causata dal fungo Botrytis cinerea che provoca l’ammuffire del frutto e del fusto, la verticilliosi, la malattia fungina provocata dall’agente eziologico Verticillium albo-atrum che provoca l’avvizzimento delle foglie e, in seguito, di tutta la pianta, l’antracnosi, la malattia fungina provocata da varie specie di funghi tra cui il Colletotrichum lindemuthianum che rovina i frutti e forma delle piccole chiazze tonde sul fusto del tralcio.
I suoi nemici naturali sono anche: il ragno giallo e il ragnetto rosso, che infestano la pagina inferiore della foglia e deformano il frutto, gli afidi, minuscoli insetti fastidiosi che attaccano il rovo al momento della fioritura, l’antonomo del lampone, un piccolo coleottero che danneggia la pianta attaccando le foglie e, soprattutto, i fiori.
Il rovo selvatico è una pianta molto utile visto che quasi tutte le sue parti, già dall’antichità, sono state impiegate nella medicina popolare, come valido rimedio naturale, per preparazioni erboristiche e fitoterapiche per le proprietà medicamentose e in gastronomia, per l’alto valore dei nutrienti in esse contenuti.
Le sue molteplici proprietà medicinali sono: astringenti, antinfiammatorie, vitaminizzanti, antiscorbutiche, depurative, vulnerarie, ipoglicemizzanti.
Nell’antica medicina popolare i tannini, estratti dalla radice, avevano azione naturale contro i disturbi intestinali e contrastavano la diarrea.
Le foglie erano utilizzate per preparare tisane e decotti utili per contrastare le ulcere gastriche e per lenire i disturbi gastrointestinali.
I giovani germogli avevano proprietà astringenti, toniche, diuretiche, depurative.
La mora, fin dall’antichità era nota per le sue proprietà antiossidanti, astringenti e lassative e per l’alto contenuto di acido folico.
Il consumo abituale di more e dei suoi estratti ha effetti diuretici, depurativi e rinfrescanti.
L’azione depurativa, in particolare, agisce in modo benefico sul cuore e sulle arterie e favorisce un’azione di contrasto verso le patologie cardiovascolari.
Recenti studi scientifici, infine, hanno dimostrato l’utilità dei flavonoidi e delle antocianine nel prevenire i tumori. Queste sostanze sono particolarmente concentrate e rappresentano i pigmenti che conferiscono la tipica colorazione blu-rossastra al frutto.
Molte parti del rovo possono essere utilizzate in cucina come una vera e propria verdura.
I giovani germogli, raccolti in primavera, hanno spine morbidissime e innocue e possono essere cucinati come gli asparagi. Sono ottimi lessati e consumati con olio, sale e limone al pari di molte altre erbe selvatiche commestibili.
I germogli primaverili, raccolti quando il sole è alto, lavati e lasciati a macerare in una brocca di acqua fredda tutta la notte, producono anche una bevanda rinfrescante.
Le more sono la parte essenziale della pianta apprezzate per il consumo fresco, subito dopo la raccolta.
Costituiscono un alimento sano e gradevole! Sono considerate un frutto di bosco.
Esse presentano un contenuto nutrizionale significativo in termini di fibra alimentare perché hanno un basso contenuto calorico, ma ricco di zuccheri, di fibre, di sali minerali quali: sodio, calcio, potassio, ferro, manganese e di vitamine A, B, C, K.
Cento grammi di more fresche contengono 52 kcal, 0,7 gr di proteine, 0,4 gr di lipidi, 12,8 gr di glucidi, 32 mg di calcio, 0,6 mg di ferro, 6,5 mg di vitamina A, 21 mg di vitamina C.
Non sono adatte a essere conservate a lungo. Pertanto l’utilizzo maggiore è nella trasformazione per produrre gustose marmellate di more, confetture di more, yogurt, crostate, gelati, sciroppi, liquori.

 

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