Nov 11, 2018 - Senza categoria    Comments Off on LA DIOSCOREA COMMUNIS

LA DIOSCOREA COMMUNIS

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Un quadro, un dipinto, un disegno, una scultura, una statua, un gioiello sono opere meravigliose che osserviamo.
Chi dobbiamo ringraziare?  L’Uomo!
Un fiore, un albero, una farfalla, un cavallo, l’arcobaleno, una montagna, il mare sono opere altrettanto meravigliose che osserviamo.
Chi dobbiamo ringraziare? Il Creatore!
Lungo la strada che da Mistretta porta a Castel di Lucio, vicino alla fontanella “U ruviettu”, abbracciata agli altri arbusti di rubus ulmifolius, il rovo comune, mentre raccoglievo le gustose more, ho notato questi stupendi frutti rossi a grappolo simili a quelli della Smilax aspera.
La mia naturalistica curiosità mi ha spinto a conoscere più a fondo questa pianta.
E’ la DIOSCOREA COMMUNIS!
Il nome del genere “Dioscorea” è un omaggio a Dioscoride Pedanio Anazarbe (di Anazarbo in Asia Minore) vissuto negli anni 40 d.C ca – 90 d.C. ca.
Dioscoride fu medico di cultura greca, botanico e farmacista.
Fu la prima persona a trasmettere la conoscenza tradizionale botanico-erboristica, tramandata oralmente fino ad allora e raccolta nel corso di secoli da erboristi, medici o semplici raccoglitori di erbe.
L’opera “ De Materia Medica” è un erbario in 5 libri scritto in lingua greca. Pertanto Dioscoride è considerato il primo autore dell’antichità che scrisse un’opera  letteraria  di botanica farmacologica.
Il suo trattato “De Materia Medica” ancora oggi è preso a modello nella stesura degli erbari contemporanei.
Per questo motivo Dioscoride è ricordato come erborista e botanico più che come medico.
Linneo e Columella avevano dato al genere il nome di Tamus riferito a un viticcio perché il portamento della pianta e gli apparenti grappoli in cui si riuniscono le bacche ricordano la vite.
Infatti, i nomi comuni che ricordano la vite sono: Uva tamina, Vite nera, Cerasiola, Tamaro, Viticella.
I giovani virgulti ricordano il turione dell’Asparagus officinalis.
Per questi motivi i vari nomi fanno riferimento alla Vite e all’Asparago.
Il nome del genere “communis” significa che la pianta è “comune, banale”.
La Dioscorea communis ha moltissimi altri nomi in Italia e in Sicilia tanto che  è difficile elencarli tutti.
In Sicilia si chiama: “Pedi di liufanti, Sparaci di cannitu, Sparaci di donna, Sparaci niuri, Vidicedda”.
La Dioscorea communis è una specie spontanea diffusa in tutta l’Europa, nell’Africa settentrionale e nell’Asia occidentale.
In Italia è presente dalla costa alla fascia montana.
Appartenente alla famiglia delle Discoracee, è l’unica specie di  questa  famiglia presente nella flora italiana.
La Dioscorea communis è una pianta erbacea, spontanea, perenne, rampicante. Possiede una grossa radice carnosa, nerastra esteriormente e bianca internamente, molto fragile dalla quale annualmente, in primavera, emergono lunghi fusti erbacei, sottili, flessuosi, eretti che si attorcigliano intorno ai fusti degli alberi e degli arbusti vicini in volute sinistrorse per farsi sostenere.

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T-17-15 Dioscorea communis

Lo sviluppo della pianta può essere rilevante, raggiungendo, in condizioni favorevoli, anche i quattro metri di lunghezza e i tre metri di altezza.
Le foglie, di colore verde scuro, alterne e glabre, senza stipole, con l’apice acuminato, lucenti da giovani, sono lungamente picciolate con picciolo lungo 4-10 cm. Le nervature principali divergono dalla base e tendono a convergere in corrispondenza dell’apice.

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Essendo una  pianta dioica, ha i fiori unisessuali portati su piante diverse in infiorescenze ascellari. I fiori maschili, di colore bianco-verdastro, riuniti in racemi lunghi fino a 15 cm, hanno il perianzio regolare suddiviso in sei lobi profondi e 6 stami.
I fiori femminili, bianchi, riuniti in brevi racemi lunghi circa 1 cm, hanno l’ovario infero e lo stilo trifido con stimma bilobo.
Fiorisce da aprile a luglio.

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Il frutto è una bacca globosa di colore rosso brillante a maturità, portata da un pedicello e ricoperta da un guscio facile a sbucciarsi.
Queste bacche, molto appetite dagli uccelli, sono tossiche per gli animali da pascolo e, soprattutto, per l’uomo. A distogliere da un’incauta ingestione provvede il loro sapore aspro e sgradevole.
In piena fruttificazione le bacche si presentano numerose, riunite in appariscenti grappoli.

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 Ogni bacca contiene 1-6 semi globosi, lisci o leggermente rugosi, brunastri, con rafe evidente.

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 L’areale di espansione della Dioscorea communis comprende il bacino del Mediterraneo, dal piano alla zona collinare sub-montana. I suoi habitat preferiti sono i sottoboschi, i boschi densi e le macchie fitte, ma può adattarsi anche alle radure e alle siepi ravvivando gli ambienti con i suoi frutti colorati. Predilige terreni acidi, sciolti, freschi e un poco umidi. Resiste a una certa siccità estiva.
I giovani germogli della Dioscorea communis sono eduli e possono essere consumati come i turioni dell’asparagus acutifolius fritti in padella con le uova. Le foglie sono tossiche e il contatto con esse può causare irritazioni alla pelle. I frutti sono molto velenosi, ma anche le radici.
Il veleno ha effetti simili alla brionina e si rivelano con bruciori e presenza di vesciche nella cavità orale accompagnati da acuti dolori gastrointestinali, da diarree e spesso da collasso e morte.
Fra i principi attivi si segnalano: l’ossalato di calcio e di potassio, le saponine, i tannini e una sostanza simile all’istamina.
L’interesse più rilevante è offerto dalle proprietà officinali della radice.
Anche se èuna pianta particolarmente velenosa, tuttavia è stata preziosa per le sue molteplici qualità terapeutiche.
La droga vera e propria è la radice, usata in passato nella farmacopea popolare per la cura dei geloni, dei reumatismi e come purgante. Per le proprietà rubefacenti e stimolanti potrebbe essere utile anche per irrobustire il cuoio capelluto.
Le caratteristiche dei principi attivi sconsigliano l’uso non controllato anche per via esterna in quanto putrebbe comportare effetti collaterali di una certa gravità quali reazioni allergiche, vomito e diarrea. Oggi l’utilizzazione di questa pianta medicinale è del tutto abbandonata.

 

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