Aug 13, 2020 - Senza categoria    Comments Off on L’ OLMO MONTANO PRESENTE NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

L’ OLMO MONTANO PRESENTE NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

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Nella villa comunale “Giuseppe Garibaldi” di Mistretta, nascosto da altri alti alberi e posto in un’area poco frequentata dai fruitori della villa, vive bene un albero di Olmo montano.

 

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L’Ulmus montano, detto comunemente “Olmo montano, Olmo riccio” e, in dialetto mistrettese “Urmu”, è un albero della specie tipica dei boschi di latifoglie delle nostre colline e delle nostre montagne.Il nome “montano” giustifica la diffusione della pianta particolarmente in ambienti montani dell’Europa Centrale fino alle Isole Britanniche e alla Penisola Scandinava. Proviene, infatti, dall’America Settentrionale, dall’Europa e dall’Asia. Fece la sua  comparsa nel Miocene, circa 25 milioni di anni fa. In latino il termine “Olmo” molto probabilmente significa “crescere, sorgere“. Il nome “riccio” gli è stato attribuito per il margine seghettato delle foglie.
Veramente il suo nome scientifico è ULMUS GLABRA.
In Italia è presente in tutte le regioni, tranne in Calabria e in Sardegna, ed è capace di spingersi sino a 1500 metri di quota insieme con altre latifoglie. L’Olmo montano, appartenente alla famiglia delle Ulmaceae, è una pianta legnosa, caducifoglia, alta circa  25 metri, sostenuta da un apparato radicale profondo formato prevalentemente da una fitta trama di radici che assicurano un ottimo ancoraggio.
Presenta un fusto eretto, diviso in più assi principali, molto ramificato, con i rami giovani rigidi, grossi, arcuati verso il basso, sparsi senza ordine, rivestiti da peluria.

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Ricopre il fusto la corteccia che, nella pianta giovane, è liscia e di colore grigio bruno e, col passar del tempo, diventa screpolata e suberosa.
Non produce polloni alla base del tronco. Le foglie, brevemente picciolate, sono di colore verde lucido e glabre, grandi, semplici, alterne, quasi ellittiche, con il margine doppiamente seghettato e acutamente dentato. La lamina è simmetrica alla base e presenta un lobo rotondeggiante che ricopre completamente il picciolo molto breve. Il lobo è acuminato all’apice e può presentare tre punte. La pagina superiore è rugosa al tatto, quella inferiore leggermente pelosa. L’insieme delle foglie forma una chioma espansa, globosa, larga, irregolare.

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Le foglie in autunno cadono e, raccolte, possono essere utilizzate come foraggio per l’alimentazione del bestiame. I fiori, ermafroditi, riuniti in gruppi di pochi elementi in fascetti ascellari, quasi sessili, hanno calice e corolla ridotti e di colore rosso, un numero di stami variabile da cinque a sei, le antere rosse e compaiono nel mese di marzo, prima delle foglie.

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 L’impollinazione è entomofila, la disseminazione anemofila.
Gli organi riproduttivi maturano i frutti che sono samare alate, glabre, arrotondate e smarginate all’apice, sostenute da corti peduncoli, numerosissime. Adornano l’albero nel periodo primaverile ed estivo. Ogni samara custodisce il seme in posizione centrale rispetto all’ala che lo aiuta nella dispersione. Le samare sono di colore verde che poi vira al rosa e, infine, seccando, al marrone chiaro. A maturità si staccano dall’albero per essere trasportate dal vento. I frutti immaturi possono essere mangiati crudi in insalata; hanno un gusto aromatico che lascia la bocca fresca e l’alito gradevole. Sono un buon alimento perché ricchi di proteine vegetali.
L’Olmo, che di solito vive allo stato libero nei boschi o impiegato per la decorazione del giardino, ha pochissime esigenze. Preferisce vegetare in ambienti non troppo luminosi e su terreni fertili, sciolti, profondi e freschi. Si adatta ugualmente sia a quelli calcarei sia a quelli silicei traendo innegabile vantaggio dalla somministrazione autunnale di un pò di concime.
E’gradita qualche annaffiatura durante la stagione più calda, specialmente quando la pianta è ancora in giovane età. Sopporta la siccità. Resiste agli inverni lunghi e freddi, alle nebbie, al vento e alla neve.
E’ una pianta di lunga vita, può raggiungere i 600 anni d’età, e, per la sua notevole longevità, simboleggia “l’amore fedele“; forse, per questo motivo, anticamente si usava piantare un filare di Olmi presso l’ingresso dei conventi o sul piazzale delle chiese come segno di devozione e di sottomissione alle regole monastiche. Si arrende, però, a qualche malattia.
Infatti, l’Olmo è stato colpito più volte dalla “grafiosi o moria dell’Olmo”, un grave morbo proveniente dall’Asia e causato dal micete “Graphium ulmi”. L’attacco di grafiosi del 1967 è stato il più dannoso perché ha portato alla distruzione migliaia di piante secolari che, improvvisamente, si sono disseccate irreversibilmente. Si tratta di una malattia causata da un fungo che si sviluppa nei vasi conduttori impedendo il passaggio della linfa e causando la morte della pianta. La diffusione del parassita è favorita dagli insetti “Scolitidi” che, essendo xilofagi, scavano gallerie tra la corteccia e il legno degli alberi seccati o morti creando caratteristici “disegni” sulla superficie del legno, da cui il nome di “grafiosi”.
Dopo che gli insetti adulti si sono riprodotti, i nuovi nati, trasferendosi sugli alberi sani, trasportano le spore e il micelio del fungo. La lotta alla grafiosi ha presentato notevoli difficoltà perché non esistono mezzi chimici adeguati e tutti gli interventi fitosanitari si sono rivelati inutili. L’unico rimedio sicuro è la soppressione delle piante malate per limitare la diffusione. Allo stato spontaneo l’Olmo costituisce un’importante essenza forestale per il consolidamento di argini e per il rimboschimento di terreni incolti.
E’ stato uno degli alberi tradizionali del paesaggio rurale delle nostre campagne e coltivato come pianta ornamentale per il suo aspetto gradevole, per la resistenza all’inquinamento atmosferico e alle potature drastiche, ma anche per ricavare il legno impiegato nella fabbricazione di mobili, di rivestimenti interni, di attrezzi agricoli, per lavori di tornitura, per costruire chiglie di battelli, per lavori portuali perchè particolarmente apprezzato per la sua resistenza all’umidità. In alcune regioni italiane i giovani rami, molto flessibili, erano utilizzati per fabbricare cesti. Il legno di Olmo è poco adatto ad essere usato come combustibile per gli eccessivi residui di cenere e per la scarsa resa calorica.
Un proverbio mistrettese ingiustamente così recita: ” Lignu d’urmu né pi luci né pi furnu, ma, pi appuntiddu, lassa fari a iddu”. “Legno d’Olmo, né per luce né per forno, ma per sostegno è insuperabile”. Rappresenta, cioè, il sostegno e la sopportazione.
Sin dai tempi lontani ed ancora oggi, in molte regioni, gli Olmi erano impiegati come impalcatura per i vigneti in quanto si riteneva che l’uva, prodotta da viti sostenute da filari di Olmi, fosse più zuccherina e quindi più apprezzabile. E’ stato celebrato da Virgilio e da Columella per il legno duro e resistente e come sostegno della vite. Come il marito dovrebbe sostenere la moglie, così l’Olmo, perché sostiene la vite, è stato scelto come simbolo “dell’amore coniugale e dell’amicizia”.
L’Olmo possiede anche importanti proprietà farmacologiche. Il primo a parlare delle sue proprietà mediche fu Plinio che, nella sua “Historia Naturalis”, illustrò le capacità cicatrizzanti e lenitive delle ferite per merito delle sue foglie e della sua corteccia. Dioscoride ne raccomandò l’uso nelle malattie cutanee, Galeno consigliò l’infuso delle foglie come importante astringente. In Europa, Teofrasto confermò l’uso dell’Olmo già nel III secolo A.C. per le proprietà cicatrizzanti delle piaghe e lenitive delle malattie della pelle.
Fin dal Medioevo l’Olmo è stato considerato uno dei migliori rimedi per curare casi di dermatosi, di eczemi, di foruncoli. Si ritenne ancora utile per le febbri intermittenti, per i dolori reumatici, per le malattie nervose. Nel Rinascimento Mattioli riconfermò molte proprietà del passato e affermò che il decotto di corteccia di radice d’Olmo era utile nelle contrazioni e nelle convulsioni. Ancora oggi le gemme della pianta e la parte corticale interna dei rami giovani sono abbastanza usate in fitoterapia per preparare estratti, decotti e tisane con azioni depurative, drenanti, dermopurificanti, dermoprotettive, diuretiche, antidiarroiche.
La corteccia interna dell’Olmo è ricca di calcio, di magnesio e di vitamine A, B, C, K. Nutre e lenisce organi, tessuti, mucose e, in particolare, è benefica per i polmoni. Aiuta a neutralizzare l’acidità di stomaco e a lenire l’asma, la tosse, le faringiti. La mucillaggine della corteccia, ricca di parassiti contenuti in particolari escrescenze, “vussichedde”, spegne l’infiammazione delle articolazioni rendendola un ottimo rimedio per le artrosi. Aiuta il fegato, la milza ed il pancreas.
Stimola la minzione ed è utile nei disturbi delle vie urinarie. Le mucillagini si raccolgono esclusivamente il 24 giugno, giorno della ricorrenza della festività di San Giovanni Battista. Recitando una particolare orazione al Santo, si pone il liquido in un recipiente di vetro, si espone per 40 giorni “ all’aria e o sirenu” e si utilizza strofinandolo sulla parte del corpo malata. Controindicazioni: non assumere in gravidanza e con cautela durante l’allattamento. In cosmesi è utilizzato il liquido contenuto nelle galle provocate dalle punture dell’ afide che le utilizza per la maturazione delle sue uova.
La pianta, considerata una “latifoglia nobile” dai popoli dell’antichità, ha stimolato la fantasia di storici e di letterati dell’epoca greca e romana inserendola nei miti e nelle leggende.
Rabelais parla di un Olmo che cresceva presso la città di Tours, in Francia, e che si pensava essere nato dal bastone di un pellegrino piantato da San Martino. Storie locali affermavano che il bastone fu, invece, piantato da Brizio, un discepolo di Martino, dal discusso comportamento cristiano. I Greci pensavano che le ninfe piantassero l’Olmo in onore degli eroi morti. Nell’Iliade si racconta che sulla tomba di Ferione, il re di Tebe, era stato piantato un Olmo.
L’Ulmus è descritto da Virgilio nell’Averno dell’Eneide:In medio ramos annosaque bracchia pandit / ulmus opaca, ingens, quam sedem Somnia vulgo / vana tenere ferunt, foliisque sub omnibus haerent”. ”Nel mezzo spande i rami, decrepite braccia, / un olmo oscuro, immenso, dove a torme albergano / i Sogni fallaci, che alle foglie son sospesi”. Egli ha messo l’enorme Olmo a guardia degli Inferi.
Questo verso è stato successivamente ripreso da Francesco Petrarca che scrive: “Un olmo v’è che ‘n fronde sogni piove / da ciascun canto, e che confusamente / di vero e di menzogna altrui ricopre”.
I Romani lo dedicavano a Mercurio, dio dei mercanti e dei viaggiatori. Da altre popolazioni moderne l’Olmo, invece, è considerato l’albero del malaugurio perché, col suo legno, si costruiscono le bare. Si racconta che a Legnatico di Montecchio, in provincia di Reggio Emilia, nel 1484 un cavaliere, armato di tutto punto, essendo caduto in un fossato, vi rimase schiacciato sotto il peso del suo cavallo. Avendo previsto la sua fine, rivolto lo sguardo verso l’alto, tra le foglie di una pianta di Olmo scorse la Madonna con il Bambino in braccio. Subito cavaliere e cavallo si rialzarono e uscirono dal fossato sani e salvi. Il militare, uomo pio, per la grazia ricevuta, fece dipingere l’immagine della Madonna in un quadretto che sistemò fra i rami dell’Olmo.
Sparsasi, in breve tempo, la notizia del miracolo, l’Olmo divenne luogo di preghiera e, pertanto, fu costruita una cappella contenente la pianta. La tradizione vuole che il piedistallo sul quale è collocata la statua della Madonna è una parte del tronco dell’Olmo dove apparve la Madonna.  Gli antichi greci avevano consacrato l’Olmo a Morfeo, uno dei molti figli di Hipnos, il dio del sonno. Morfeo, provvisto di ali, aveva il potere di assumere le sembianze umane e di apparire nella multiformità dei sogni delle persone che dormivano. Per questo motivo si riteneva che l’Olmo avesse la facoltà di “predire il futuro”.
Plinio raccontò una vicenda verificatasi a Nocera durante la guerra contro i Cimbri “ […] Questo evento si è verificato davanti aglio occhi dei Quiriti tutti durante la guerra contro i Cimbri, a Nocera, nel bosco sacro a Giunone, quando un olmo, dopo che se n’era recisa la sommità perché incombeva sull’altare, tornò da solo a ergersi intero e a fiorire immediatamente: da quel momento in poi la grandezza del popolo romano, che in precedenza era stata travolta dalle disfatte militari, si risollevò […]”.
Poiché si pensava che l’Olmo avesse potere oracolare, nel Medioevo, in Francia, divenne simbolo della “giustizia” e, insieme alla Quercia, fu l’albero sotto il quale si riunivano i giudici per ricevere ispirazioni per amministrare bene la giustizia. “Giudici sotto l’Olmo” erano i magistrati senza tribunale che sedevano, appunto, ai piedi di questo albero piantato davanti alla porta del castello. Come ricorda Brosse, l’espressione “aspettare sotto l’Olmo”, ormai obsoleta, deriva da quell’usanza, pur avendo assunto un altro significato perché significava che le parti in causa rifiutavano di presentarsi alla convocazione giudiziaria.
Nell’antichità si riteneva che le sue foglie facessero scomparire il cattivo umore. Per irrobustire le ossa si consigliava di dormire sopra un giaciglio di foglie d’Olmo. Si credeva, infatti, di poter assimilare la stessa robustezza e la stessa forza della pianta.
I rametti flessibili dell’albero, trasformati in frustini, pare portassero fortuna ai cavalieri che ne facevano uso. Una superstizione consiglia di legare un ramo di Olmo, raccolto in autunno, con due nastri, uno nero e l’altro verde, per ottenere un potente talismano che attrae la ricchezza. Nel linguaggio dei fiori l’Olmo simboleggia “dolcezza, utilità”.

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