Sep 9, 2018 - Senza categoria    Comments Off on IL PALAZZO DI DON ANTONINO NOTARO A MISTRETTA

IL PALAZZO DI DON ANTONINO NOTARO A MISTRETTA

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 Gentile Stefano,
dopo aver visitato il palazzo di don Pasquale Salamone, quello di don Bettino Salamone, ecco che, percorrendo tutta la stretta stradina  Sant’Antonio, adesso, insieme, andiamo a scoprire il palazzo Notaro.
Il Palazzo Antonio Notaro si trova nel quartiere San Nicola, a Mistretta, in via Sant’Antonio, al numero civico 14.

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E’ la vecchia residenza della famiglia di Salvatore Tita, che vi abitò fino alla fine del’800 e, successivamente, acquisita da ‘Ntonio ‘mpapu, alias Notaro. Avendo comprato il sedime di un vecchio palazzo di fronte alla chiesa della SS.ma Trinità, la famiglia Tita vi appoggiò le fondazioni e vi costruì l’attuale palazzo.
Le notizie che riferisco sul palazzo di “Antonio Notaro” mi sono state gentilmente fornite dalla dott.ssa Filippa Manfredone in quanto preziosi ricordi della sua fanciullezza.
La sua famiglia viveva in via Sant’Antonio, al numero 18, proprio di rimpetto a questo meraviglioso gioiello, pertanto frequentò spesso questa casa.
La signora Filippa Manfredone racconta che: “Il palazzo Notaro oggi appartiene agli eredi del Signor Antonio Notaro che, nel 1954, lo acquistò  dalla famiglia Di Salvo , i cui ultimi componenti erano Clementina e suo nipote Ernesto Di Salvo.

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Antonio Notaro, il carissimo papà di Vito

Oggi, i proprietari di questo magnifico edificio, sono i tre figli del signor Notaro ed un nipote e precisamente Giuseppa, Vito, e Vincenza Notaro, quest’ultima moglie di Antonio Manfredone, ed il giovane Antonio Notaro, figlio di Antonino Notaro, anche lui deceduto.
Il palazzo, prima che la famiglia Notaro lo acquistasse, rimase disabitato per diversi anni.
Il quartiere di San Nicola, che fino agli anni novanta era popolato da famiglie appartenenti a diversi ceti sociali, oggi è poco abitato per scelte di comodità, di modernizzazione di costumi e per lo spopolamento dovuto alle forti migrazioni
”.
Il palazzo Notaro si erge alla base della prima discesa di via Sant’Antonio dove si apre uno spiazzale detto “u chianu ri Sant’Antonio”.
Essendo stato costruito su un dislivello, si accede all’ingresso principale tramite una breve scalinata esterna in pietra che termina in un terrazzino. Il materiale usato è stato la pietra dorata di Mistretta, come dimostrano il portale e i grandi archi disposti nella facciata posteriore. Sul portone principale si nota la chiave di volta con lo stemma della famiglia Tita e col monogramma ST in ferro battuto.

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Foto di Lucio Pani

In seguito, per disimpegnare le stanze più eleganti del piano nobile dalle altre, è stata aggiunta una rampa di scale a destra che porta al terrazzo sopraelevato e da cui oggi si entra nel salone principale.

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All’interno nel piano nobile c’è il magnifico salone dei lanceri.
Il salone dei lanceri, di forma quadrangolare, ha il tetto istoriato.
Il bellissimo dipinto, al centro della volta, raffigura una contadinella seduta fra due alberi, forse di pioppo.
La giovinetta tiene in mano un grosso gallo e ai suoi piedi sta seduto un magnifico e fedele levriero.
Sicuramente la figura ha un significato allegorico.
L’affresco è racchiuso in una cornice ottagonale di colore marrone chiaro e circondato da otto trapezi in cui sono dipinte delle volute fogliari.

2bTetto del salone dei lanceri del palazzo Notaro ok

La volta è circondata da due larghi festoni, uno di colore blu e uno di colore grigio cenerino.
Il primo ha inserti floreali e agli angoli sono intercalati quattro medaglioni con le immagini dei musicisti: Verdi, Rossini, Bellini e Puccini, come manifestazione dell’amore per la musica e del ruolo che rivestiva quell’ambiente.
L’inserimento di Puccini fa presupporre che la volta sia stata affrescata nei primi anni del novecento. Al di sotto delle cornici, alla fine della volta, sono rappresentati gli stemmi araldici.
La signora Filippa Manfredone mi ha riferito che la signora Lo Cicero Salvatrice, che abitava lateralmente al palazzo, dove ancora oggi esistono delle case che si affacciano in un lungo ballatoio, raccontava che il salone è stato denominato “dei lancieri” perché questo salone spesso era adoperato per intrattenere ricevimenti e feste danzanti.
Il nome la “stanza dei lanceri” si riferiva a una danza detta proprio la “danza dei lanceri” che andava in voga alla fine dell’Ottocento.
Nella stanza, a seguire, ci sono altri dipinti, un altare racchiuso da due porte semicircolari che, aprendosi, mostrano tre gradini da superare per accedere all’altare con la pietra Santa e un bel camino di marmo.
Al bisogno, le porte erano aperte per rendere visibile e fruibile il luogo sacro.
All’epoca era consuetudine che le figlie dei signori non si sposassero in Chiesa, ma nella casa propria.
Pertanto, l’ambiente aveva la funzione di Chiesa dove spesso veniva celebrata la santa messa e, giornalmenente, si recitava il Santo Rosario.
La stanza  non ha dipinti perché in passato è stata ritinteggiata probabilmente per delle trasformazioni interne.
La signora Filippa Manfredone ricorda che gli affreschi rappresentavano delle balze di pizzi.
Verosimilmente, con un restauro sapiente, si potrebbero in parte recuperare.
Esiste, sopra la porta- balcone del salone dei lanceri, una botola che, al bisogno, veniva utilizzata usando una scala di collegamento  tra il piano di sotto e il livello superiore dove ci sono dei tetti morti ed altre stanze che in passato probabilmente erano in parte utilizzati dalla  servitù.
La scala di collegamento dei due piani serviva per il trasporto delle vivande dalla cucina al sottostante piano nobile.
Oltre  alla cucina, c’erano altre stanze in parte utilizzate dalla servitù.
Il piano superiore del palazzo, probabilmente negli anni cinquanta, ha subito delle trasformazioni ed è comunque posteriore alla sua prima costruzione.

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Alcuni balconi di stanze, che sono stati costruiti nella parte laterale sinistra del palazzo, si affacciano sulla stradina.

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Sotto il piano nobile esistevano le  bellissime scuderie e le cantine.

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La stanza dei lanceri, ormai priva di affreschi, possiede due balconi che si affacciano su una lunghissima balconata sorretta da nove mensole.
Questa balconata poggia su tre maestosi contrafforti che sorreggono posteriormente tutto il palazzo.
Infatti, per colmare il dislivello della strada, il palazzo poggia su questi due imponenti piloni congiunti da due archi sui quali insiste la grande terrazza con vista dei quartieri di San Nicola e del Roccazzo e, all’orizzonte, si ammirano i monti Nebrodi, il mar Tirreno e le isole Eolie.
Entrando all’interno del piano nobile uno splendido salone quadrangolare con il tetto istoriato rivela la magnificenza dell’ambiente.

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I contrafforti sono visibili nel retro del palazzo prospiciente sullo slargo di via Balilla. Sono oggetto di molte fotografie!
Alcuni balconi di stanze, che sono stati ricavati nella parte laterale sinistra del palazzo, si affacciano  sulla stradina che scende verso la chiesa di San Nicola di Bari.

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 Oggi il quartiere è abbandonato.
Ritengo che un gioiello architettonico così bello, probabilmente semi-sconosciuto anche ai Mistrettesi, meriterebbe una maggiore attenzione e dovrebbe appartenere alla comunità cittadina per essere adibito a museo per ricordare che le comunità montane, oggi quasi abbandonate, hanno vissuto periodi fiorenti pieni di gloria, di cultura e di amore per il bello e per l’arte.

“A me vanedda” è u Cuntu in versi della dott.ssa Filippa Manfredone

A me vanedda

Si chiamava Sant’Antonio a me vanedda

Unni m’addivai e ri tanti cosi gurii

C’era na terrazza ngrannusa nâ, me casa

Nca me matri fimmina inciammusa

Bbona e upirusa ,tinia comu

nâ bannera naziunali

Quannu shuçuàva u miti vièntu ri primavera

U terrazzus’inchia ri beddi çiuri

Calle,ortenzie,camelie,

Nto mentri cchiù javitu ni la via,

L’Edira ni li mura ri la Kasa

ri Salamuni criçia.

A piricinu nu palazzu

Di petra rusata surgia .

Nca a famigghia Nutaru appartinia

E ni lu tiettu di lu saluni ri lanceri

Unni pi li festi s’abballava

N’artista scunusciutu

Avia pittatu quattru musicisti

assai famusi e na fimmina ruçiana

Nca assittata stava cu nu jaddu a manu

E cu na ghirlanda ri çiuri s’azzizzava

Chi spittaculu chi era ni du tiettu a vutti !

Io carusedda pi la miravigghiia

cu la vucca aperta arristava

ma me patri, omu cunuçituri supraffinu,

mi ricia nca dha’ artista

2 / 3

ni dha’ fimmina vulia rapprisintari

a staçiunata di lu sul liuni ,

Simbulo ri biddizza e di ricchizza

Nca di sti cosi era china a casata ri ddi signuri.

A manu manca, dda iavitu, c’era u Priatoriu

Na chisuzza unni l’armi purganti si ia a priari

E a riurdari ca tutti li murtali putimu piccari ,

Supra antrata ri stu tiempiu,c’era scurputa

Na statua nca a morti rapprisintava

Io nicaredda, passannu ddha‘vicinu,

Mi scantava, ma pi prisinzioni vardava

E suventi m’addumannava:

Comu pò esseri nca a morte è fimminina

ma stu rilevu l’attributi masculini purtava ?

un jornu svinturatu u terrimotu

li cristiani ri lu me paisi fici scantari,

picchi fui assai putenti!

e lu purtali cu la morti

ru Priatoriu fici scardinari

Talè è piriculante ,chiamamu

li pomperi ricianu li cristiani

accussì iddi cu l’ermetto ntesta

e na scala sicca e longa

s’appresintaru e s’arricamparu

circannu ri tirari dhà statua ri la morte.

Ri cursa arrivau n’omu ursigno

di l’arti siciliana appassiunatu,

marisciallu ortulani si chiamava,

e ncuminciò a ushiari:

No, no non rumpitila ,

ca voatri nun sapiti chi opira

r’arti scumpuniti,

ammatula d’omu s’allattariava

u scantu e l ‘ignuranza

regnavunu suvrani

3 / 3

e accussì un corpo a manu riritta

e uno a manu manca dhà statua

‘ntera ficiru stramazzari

Chi silenzio appresso rignau ,

l’omini erinu mpasimuti pi dhu dannu .

Doppu tantu tiempu, a Mistretta aprieru

nu musiu unni tutti i cosi antichi mittieru,

na puocu sani e na puocu rutti,

ma ti dhà morti nenti

e io m’addumanavu :

ma unni iero a finieru i piezzi ri dhà sorti statua?

Urtimament,i nu cristianu attruvau ni nu maiasenu

ri lu municipio i piezzi ri dhà statua

e menu mali a lu musiu li purtau !

Riurdi antichi io vi cuntu ,

ora a me vanedda è abbannunata,

Ri la genti disabitata

e pi li strati no ,no

çiavuru ri rose ma

l’eriva ri vientu rigna ginirusa.

Filippa Manfredone

Palermo 20017

Allegoria della Morte, un tempo fastigio del portale principale. Rimossa a causa del terremoto (1967) si trova oggi presso il Museo Civico ok.

L’allegoria della morte un tempo era fastigio del portale principale della chiesa delle Anime Purganti rovinato dalle scosse telluriche del terremoto del 1967 a Mistretta. Oggi i suoi resti sono custoditi nel museo polivalente del palazzo Mastrogiovanni-Tasca.

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