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Jan 21, 2016 - Senza categoria    Comments Off on LA STORIA DELL’ABETE

LA STORIA DELL’ABETE

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La neve depositata sugli alberi è uno spettacolo di notevole bellezza, come dimostra l’ammirazione della foto dell’amico Filippo Giordano che ha fotografato il bellissimo esemplare di Cedrus deodara, molto presente nel territorio di Mistretta, coperto dalla neve.

L’Abete è un albero resinoso di alto fusto il cui tronco s’innalza molto da terra e tende al cielo, quindi, a Dio, nella ricerca della luce. Candido e silenzioso, l’inverno, come un manto, accarezza gli ombrosi boschi di montagna. Le conifere, mosse dall’aria gelida, ondeggiano all’apice e soffici fiocchi di neve discendono delicati ad incantare la terra. Nel cuore dell’inverno, mentre moltissimi alberi si spogliano, la Natura dorme e la vita si assopisce, gli Abeti, invece, “vegliano“.

L’Abete conserva il suo verde intenso, i suoi aghi e la sua chioma folta e resistente. Questa sua caratteristica, simile a quella degli altri alberi sempreverdi, fu interpretata dagli antichi come simbolo “d’immortalità, di vita pulsante”, che perdura immutata al di là dei cicli d’esistenza sulla terra; al di là del sonno e del risveglio che si susseguono incessanti.

L’Abete è simbolicamente legato al solstizio d’inverno poiché richiama la “rigenerazione profonda, lo sbocciare della vita luminosa nel centro dell’oscurità” e, quindi, la nascita del Divino Fanciullo e del Sole lucente il cui cammino di discesa nelle profondità della terra si conclude nella notte più lunga dell’anno e quello di emersione ha inizio, in concomitanza, con l’allungarsi della durata del giornO.  E’ il simbolo di “elevazione spirituale e di meditazione”, quindi coltivato, in modo  particolare l’Abete bianco, in tutti gli orti dei conventi dei frati. Il legame fra l’Abete e i monaci era talmente forte che un antico detto recitava: “ubi fratres, ibi abies“, “dove ci sono i frati, lì c’è l’abete”.

Gli Abeti presenti nella villa comunale “Giuseppe Garibaldi” di Mistretta sono tanti. Ne cito solo alcuni:

l’Abies nordmanniana del Caucaso 2 Abete del Caucaso

3 Abies Caucaso

l’Abies nebrodensis

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5 Abies nebrodensis

Il Picea excelsa (Abies rosso)

6 Picea excelsa

7 Picea excelsa

 l’Abies reale

8 Abies reale

 L’Abete Douglas o Abete odorosoamericano

9 Douglasia, l' Abete americano

L’Abies alba

10 Abies alba

Il Picea pungens kosteriana

11 Picea pungens kosteriana

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La parola Abete ha diverse origini: da “ab-eo”,  vado via”, composto da “ab”, “da”, e dal verbo  eo” “ vado”. Per l’appunto è l’albero che va dal basso verso l’alto. Un’altra interpretazione fa derivare il nome “Abete” da “abh”, “sgorgare, gonfiare”, in relazione allo schizzare della “resina”. Oppure deriva dal greco “άβιος“, “longevo“, poiché tutte le specie esistenti, in condizioni ottimali, possono vivere fino a 800 anni, oppure da “άλφός” che corrisponde al latino “albus”, che significa “bianco, argenteo”, per il colore della chioma. Generalmente, con il nome di Abete si indicano sia gli Abeti bianchi, sia gli Abeti rossi. L’Abete bianco è una conifera sempreverde a foglie aghiformi inserite a pettine sul rametto.Plinio riferisce “inserta pectinum modo piceae”. L’Abete rosso è pure una conifera sempreverde a foglie aghiformi inserite a spirale sul rametto.

Plinio cita l’Abete bianco e lo chiama “abies”. E’ “ l’élate” di Omero. L’Abete femmina di Teofrasto. Esso ammantava l’Appennino ed i monti della Grecia e, come dice Dante nel Canto XIV dell’Infernola montagna, che già fu lieta d’acqua e di frondi, che si chiama Ida”, ai piedi della quale sulle sponde del fiume Eptaforo si ergeva un Abete di 230 piedi di altezza e rinomato per la sua dimensione colossale.

L’Abete rosso è la “Picea” di Plinio, e, secondo lui, è un albero ramoso fino alle radici, che ama i luoghi montuosi e freddi. E’ l’Abete maschio o “élate théleia” di Teofrasto. Esso abbondava nelle Alpi Marittime, nelle Alpi Liguri e nelle Alpi Cozie, ma era assente nelle altre parti d’Italia. Teofrasto osserva che il suo fogliame è più raggiato, pungente e disordinato e il suo legno meno bianco, ma più duro di quello dell’Abete bianco. Filostrato riporta la credenza popolare secondo la quale sono due Abeti rossi gli alberi piantati sulla tomba di Gerione, il gigante a tre teste ucciso da Ercole presso Cadice.

Per il popolo germanico l’Abete bianco è il re incontrastato delle foreste di montagna. Si racconta che in Svizzera e nel Tirolo il genio della foresta, che abitava in un vecchio Abete, faceva sentire ai boscaioli, intenti al taglio degli alberi, le sue invocazioni affinché fossero tutti rispettati e lasciati in vita. Forse, solo così i vecchi alberi potevano essere salvati!

Molti sono i miti riguardanti l’Abete. I più noti sono quelli dell’antica Grecia. Celebre è quello della ninfa Elatè o Καινείδης, la figlia di Ceneo, o Corono, “il Corvo“. Il termine “elatè” in greco, oltre alla divinità femminile Elatè, indica anche l’Abete e, in particolare, l’Abete rosso.

La ninfa Elatè, cioè Καινείδης, protettrice delle donne partorienti e dei neonati, venerata come dea della luna nuova dai Lapiti, popolazione selvaggia della Tessaglia, un giorno fu posseduta da Poseidone che, soddisfatto, le chiese cosa desiderasse come dono d’amore. Rispose: “Trasformami in un guerriero invincibile, sono stanca di essere donna“. Καινείδης diventò così Καινεύς, il guerriero Ceneo. Egli guidò i Lapiti alla vittoria più volte fino ad essere proclamato il loro re. Orgoglioso del suo potere, piantò la sua lancia di Abete nel centro della piazza del mercato e ingiunse la sua gente di adorarla e di non avere altro dio all’infuori di essa. Zeus, irritato da tanta superbia, incitò i Centauri, nemici dei Lapiti, ad assassinarlo. Durante le nozze di Piritoo, Καινεύς, assalito, si difese uccidendo facilmente molti di loro senza subire nessuna ferita poiché le armi degli assalitori scivolavano sulla sua invulnerabile pelle. I Centauri superstiti, ispirati da Zeus, comprendendo che Καινεύς poteva morire solo attraverso l’uso degli alberi, lo percossero con tronchi di Abete, lo stesero a terra, lo ricoprirono con una catasta di altri tronchi, lo soffocarono. Allora un uccello grigio si levò in alto. L’indovino Mopso, presente all’evento, dichiarò di aver riconosciuto nell’uccello l’anima di Καινεύς. Al termine delle esequie, il corpo aveva riacquistato le sembianze femminili.

Un’altra leggenda, riferita sicuramente all’Abete rosso, narra che un tempo gli Abeti non erano sempreverdi e, quando giungeva l’autunno, perdevano le foglie come tutti gli altri alberi. In Valtournenche, in Val d’Aosta, viveva un grande Abete i cui rami ospitavano ogni anno i nidi degli uccelli. Una volta un uccellino, feritosi ad un’ala, non ha potuto seguire lo stormo che, come sempre, all’arrivo dei primi freddi migrava verso paesi più caldi.
L’uccellino avrebbe avuto sicuramente un triste destino perché, al cadere delle foglie, sarebbe morto di freddo. Ma l’Abete era robusto e voleva salvare a tutti i costi il suo caro amico. Anche se il vento cercava di strappargli le foglie, il grande albero riuscì a resistere fino all’arrivo dell’inverno. Meravigliato di vedere un albero ancora verde in mezzo ad una distesa bianca, l’inverno chiese spiegazioni all’uccellino che, grazie all’aiuto dell’Abete, era riuscito a salvarsi. Colpito dalla generosità del grande albero, l’inverno, per ringraziarlo della sua bontà, gli promise che il vento non avrebbe mai più staccato il suo fogliame.

L’Abete vanta tradizioni che risalgono fino all’antico Egitto ricordando che la sua forma piramidale evocava le tombe dei faraoni. Spesso venivano costruite statue di legno d’Abete sulle quali era sovrapposta una ruota solare dove erano inseriti dei bastoncini ai quali si dava fuoco. Se il fuoco raggiungeva il simulacro, il messaggio era che l’anno sarebbe stato propizio. Secondo le popolazioni germaniche l’Abete è l’albero che spunta dall’ombelico della Terra, mentre, secondo gli Ostíachi–Vasjugan la sua cima penetra nel cielo e le radici affondano negli Inferi. Nei calendari nordici all’Abete rosso era riservato il primo giorno dell’anno, che allora era il giorno del solstizio d’inverno, il giorno della rinascita del Sole invitto, che poi fu scelto dai cristiani come il giorno della nascita di Gesù.

 

Jan 15, 2016 - Senza categoria    Comments Off on MISTRETTA SOTTO LA NEVE

MISTRETTA SOTTO LA NEVE

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A Mistretta, dove gli inverni sono lunghi e rigidi e le estati brevi e non molto calde, la neve è un fenomeno che si manifesta quasi ogni anno. Dico quasi perché la temperatura, per cambiamenti climatici causati dall’effetto serra, rispetto a cinquanta anni fa si è innalzata anche in montagna.

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A Mistretta e nelle montagne circostanti la neve, in genere, fa la sua apparizione nel mese di febbraio. Durante la stagione invernale la neve è attesa, anche se temuta per i disagi che può arrecare soprattutto alla circolazione stradale.

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Molti anni fa le nevicate erano molto più frequenti, abbondanti e durature, quindi era difficile uscire fuori di casa e camminare per le vie del paese. Ricordo che quando andavamo a scuola noi studenti, vicini di casa, ci prendevamo per mano, facevamo la cordata, guidata da mio padre che ci accompagnava. Gli scivoloni sulla strada ghiacciata erano, comunque, inevitabili.

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Ricordo i grandi pupazzi di neve che allestivamo nella piazza antistante la chiesa di San Biagio. Era una festa!
La neve cancella i confini, modifica l’aspetto delle case che sembra che si avvicinino l’una all’altra, nasconde le scale esterne, copre le montagne, riveste come un manto i rami degli alberi.

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 Mistretta, sotto la neve, cambia la sua fisionomia assumendo l’aria di un tranquillo e silenzioso paese. E’ bella la neve, quando viene giù a fiocchi fitti e larghi, come i fiori di gelsomino. Se si potesse osservare al microscopio un cristallo di neve, si ammirerebbero, in tutta la loro bellezza, le sue forme stellari, romboidali, prismatiche, aghiformi.
Le diverse forme dipendono dalla struttura molecolare con la quale le singole molecole d’acqua si legano fra loro al momento del congelamento con legami ad idrogeno. Queste bellissime forme sono il risultato di complesse sequenze di evaporazione, di condensazione e di deposizione che avvengono nel microambiente attorno a ciascun cristallo.
Di solito, la neve non cade in cristalli singoli, ma in fiocchi. I fiocchi più grandi, composti di centinaia di cristalli singoli, si formano tra 0 e 2°C. Se la temperatura sale anche di qualche grado, i fiocchi di neve si sciolgono, lo spettacolo finisce, viene giù la pioggia. La neve è bella perchè è bianca.
E’ bianca perchè riflette la luce del sole grazie alle infinite sfaccettature di ghiaccio che si comportano come dei minuscoli specchi. Il colore bianco della neve dona una sensazione di pulizia e di candore a tutto l’ambiente. In una giornata di sole e con il cielo azzurro essa assume tutti i colori, dal bianco al blu.

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Al tramonto si riveste di bellissime sfumature calde. E’ un evento meraviglioso scoprire la neve quando la mattina si apre la finestra e si osserva il paesaggio imbiancato. La neve non si è fatta sentire, è venuta giù silenziosa, non ha fatto rumore.

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Ringrazio i tanti amici che mi hanno fornito alcune foto inserite nell’articolo.

 

Jan 10, 2016 - Senza categoria    Comments Off on LA VITA DI SAN VINCENZO DI SARAGOZZA E LA CHIESA DELLA SS.MA TRINITA’ A MISTRETTA

LA VITA DI SAN VINCENZO DI SARAGOZZA E LA CHIESA DELLA SS.MA TRINITA’ A MISTRETTA

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San Vincenzo è fra i martiri maggiormente conosciuti e venerati nel mondo cattolico.
Vincenzo nacque a Saragozza intorno alla seconda metà del 200.
Anche le città di Valencia e di Huesca si contendono l’onore di avergli dato i natali, anche se, secondo la tradizione più attendibile, egli nacque a Huesca, alle propaggini dei Pirenei.
Etimologicamente il termine “Vincenzo” deriva dal latino “vinco” “essere vincitoreda cui “Vincentǐus” “Vincenzo”, simbolo di augurio e di vittoria.
Figlio del console Eutichio e della matrona Enola, Vincenzo ricevette un’educazione adeguata al suo stato di nobiltà.
Fu affidato dal padre a Valerio, il vescovo di Saragozza, perché provvedesse alla sua istruzione nelle discipline letterarie, scientifiche e alla formazione spirituale.
Vincenzo rispose pienamente agli insegnamenti del suo maestro tanto da conquistare la fiducia del vescovo Valerio che lo nominò arcidiacono e gli affidò il compito di predicare in sua vece, nonostante fosse ancora molto giovane, la parola del Vangelo essendo egli impedito dall’età avanzata e dalla difficoltà di parola per la balbuzie.
Avere avuto Vincenzo come diacono erudito culturalmente, munito del dono della parola, generoso e coraggioso è stato, per Valerio, un colpo di fortuna.
Appoggiata dagli imperatori Diocleziano e Massimiano, nell’anno 303 infieriva allora la persecuzione contro i Cristiani.
Tra i persecutori si distinse Daciano, governatore della Spagna, il quale ordinò che il clero e tutti i cristiani fossero arrestati e rinchiusi in orrende prigioni.
Gli editti dell’imperatore imponevano di distruggere edifici, libri e arredi dei cristiani, di sottoporre a torture i cristiani che ricoprivano cariche pubbliche e, prima, di compiere una qualsiasi azione popolare, tutti i sudditi dell’impero erano obbligati ad offrire sacrifici agli dei.
In questo clima di terrore e di imposizione, il vescovo Valerio e il diacono Vincenzo continuavano ostinati ad annunciare il Vangelo.
Insieme formavano un connubio indivisibile: Valerio, con la sua presenza e con l’autorità del ministero episcopale, garantì Vincenzo che annunciava con convinzione e con facilità di parola del Vangelo.
Una leggenda agiografica racconta che il prefetto Daciano ordinò l’arresto di Valerio e di Vincenzo.
Successivamente egli comprese che il vero nemico da combattere non era il vescovo Valerio, ma il diacono Vincenzo.
Mandò, così, il vescovo in esilio a Valencia, dove Daciano aveva il tribunale, e indirizzò tutto il suo accanimento persecutorio sul giovane Vincenzo. Entrambi ricevettero frustate.
Vincenzo, che oltre ad essere un grande oratore era anche un uomo che non si piegava facilmente, disse al governatore: “Vi stancherete prima voi a tormentarci che noi a soffrire”.
Ciò fece arrabbiare maggiormente Daciano che vide invalidati la sua autorità e il suo prestigio.
Allora il crudele prefetto tentò invano di piegare la loro volontà e di indebolire i loro corpi. Quando furono portati al suo cospetto, si meravigliò di trovarli ancora in buone condizioni fisiche.
Daciano si adirò con le guardie, accusate di essere state troppo delicate con i due cristiani, poi cercò di adoperare le armi della persuasione. Valerio e Vincenzo continuarono a testimoniare la loro fede.
Vincenzo, anche in nome di Valerio, disse: “La nostra fede è una sola. Gesù è il vero Dio: noi siamo suoi servi e testimoni. Nulla noi temiamo nel nome di Gesù Cristo […]. Non credere di piegarci né con la promessa di onori né con la minaccia di morte, perché dalla morte che tu ci avrai dato saremo condotti alla vita”.
Daciano lasciò in esilio il vescovo e fece sottoporre Vincenzo al supplizio del cavalletto: uno strumento di tortura che lussava le ossa del corpo. Vincenzo sopportava la tortura rivolgendo al cielo i suoi occhi in preghiera.
Daciano, pensando che la tortura fosse delicata, ordinò ai suoi fedeli di forare il corpo di Vincenzo con gli uncini di ferro.
Vincenzo, rivolgendosi al carnefice, disse: “Tu mi fai proprio un servizio da amico perché ho sempre desiderato suggellare con il sangue la mia fede in Cristo. Vi è un altro in me che soffre, ma che tu non potrai mai piegare. Questo che ti affatichi a distruggere con le torture è un debole vaso di argilla che deve ad ogni modo spezzarsi. Non riuscirai mai a lacerare quello che resta dentro e che domani sarà il tuo giudice“.
Daciano, molto arrabbiato, ordinò di sottoporre Vincenzo ancora alle torture del fuoco della graticola e delle lamine infuocate.
Vincenzo sopportava le torture con indifferenza.
Daciano, sempre più arrabbiato per la resistenza di Vincenzo, ordinò di sospendere quelle torture e di condurre Vincenzo in una oscura prigione legato e in catene. Il suo letto era un giaciglio pieno di cocci taglienti di vasi che gli rinnovavano le piaghe e i dolori nel corpo.
Ai piedi aveva pesanti ceppi.
Ecco il miracolo: le catene si spezzarono, i cocci si trasformarono in petali di rosa, una brillante luce celestiale illuminò la buia prigione per cui Vincenzo si alzò e, passeggiando, si mise a cantare.
Dio non abbandonò il suo servo. Una schiera di angeli, scesi dal cielo, lo prepararono a godere della gioia del Paradiso e a cantare con lui le lodi al Signore.
Il carceriere di Vincenzo, profondamente confuso, si convertì e ricevette poco dopo il santo Battesimo. Daciano No. La notizia della conversione del carceriere colpì il cuore di Daciano che si arrabbiò maggiormente.
Allora Daciano tentò di convincere Vincenzo non più con le torture, ma con le lusinghe.
Vincenzo fu adagiato su un morbido letto di piume e poteva ricevere i suoi amici.
Le lusinghe di Daciano fallirono tutte.
Reso forte dalla fede in Cristo, Vincenzo volò invitto in cielo, condotto da un coro di angeli gioiosi, col premio per il suo martirio, il 22 gennaio del 304.
La leggenda racconta che, dopo la su morte, Daciano ordinò che il corpo del martire Vincenzo fosse gettato in un campo deserto e dato in pasto alle fiere. Un corvo, inviato da Dio, scese dal cielo per vegliare sulle sue spoglie e difenderle dagli uccelli rapaci.
Daciano, testardo, non si arrese neppure davanti a questo miracolo e ordinò che il cadavere di Vincenzo fosse rinchiuso in un sacco, al quale era legato un pesante macigno per trasportarlo nel fondo del mare.
Il macigno galleggiò, tornò a riva.
Il corpo, per virtù divina, fu trasportato dalle onde che lo deposero sulla spiaggia.
San Vincenzo, apparso contemporaneamente ad un cristiano e ad una vedova, indicò il luogo dove giacevano le sue spoglie.
Molti furono i fedeli che accorsero in quel luogo per dargli l’onorata sepoltura.
Il culto di San Vincenzo di Saragozza dalla Spagna si estese in tanti i paesi, anche per opera di Sant’Agostino, di cui si conservano cinque sermoni pronunciati ogni anno il 22 Gennaio, giorno della sua festa liturgica.
San Vincenzo si festeggia tuttora il 22 Gennaio di ogni anno in diverse località dell’Europa, dell’Africa e perfino delle lontane Americhe.
Intanto, con l’editto del 313, che concedeva libertà di culto ai cristiani, l’imperatore Costantino, convertito egli stesso al cristianesimo, in onore di San Vincenzo fece costruire una basilica nella città di Valencia.  Le sue reliquie furono deposte sotto l’altare principale.
In seguito all’invasione dei Mori nel 712, i cristiani di Valencia trafugarono il corpo del martire Vincenzo per metterlo al sicuro in Portogallo, esattamente nella località del promontorio oggi detta Capo San Vincenzo. Finita la guerra contro i Mori, le sante spoglie, imbarcate su una nave, giunsero a Lisbona.
La leggenda narra che durante il viaggio alcuni corvi si posarono sulla prua e sulla poppa della nave per assicurare la rinnovata protezione al Santo, così come era già avvenuto quando Lo avevano salvato dalle bestie feroci.
Giunto in città, il corpo di San Vincenzo fu sistemato nella chiesa di San Giusto e Santa Rufina.
Il 15 Settembre del 1173 il re Alfonso I del Portogallo fece traslare solennemente le spoglie di San Vincenzo a Lisbona, nella chiesa a lui dedicata. Lo stemma della città di Lisbona raffigura la nave che trasportò i resti mortali di San Vincenzo, dall’Algarve a Lisbona, governata dai due corvi che vegliarono sulle reliquie del santo. Duecento anni dopo alcune delle reliquie del Santo furono portate all’Abbazia delle Tre Fontane, di cui divenne contitolare insieme a Sant’ Anastasio.
Numerose sono le leggende sui miracoli attribuiti al santo.
Gregorio di Tours narra che gli abitanti di Saragozza, che custodivano la tunica e veneravano San Vincenzo, furono salvati dall’assedio di Childeberto, re dei Franchi,  grazie all’intercessione di San Vincenzo. Si racconta che, fatta la pace, lo stesso Childeberto portò a Parigi la stola del Santo, un’altra reliquia che si venerava a Saragozza.
Numerosi e straordinari miracoli che si operavano ovunque e si operano tuttora all’invocazione di San Vincenzo, nome benedetto dal cielo.
San Vincenzo è protettore degli orfani, delle vedove e dei poveri.
Vincenzo è il vincente, colui che vince il male.
Ci è accanto tutte le volte che, con fiducia illimitata, Gli chiediamo di aiutarci a sopportare le difficoltà della vita e a vivere secondo la legge di Dio. E’ invocato per la protezione dei viticultori e dei commercianti di vino.
Nell’iconografia San Vincenzo è vestito in abito da diacono, con la stola portata di traverso.  Nella mano destra mostra la palma del martirio e nella mano sinistra il libro per indicare il suo compito di predicatore.
Gli emblemi del martirio sono: il cavalletto, la macina, a volte legata al collo, la graticola.

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LA CHIESA DELLA SS.MA TRINITA’ O DI SAN VINCENZO A MISTRETTA

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La venerabile chiesa della Santissima Trinità, d’origine normanna, è da tutti erroneamente chiamata chiesa di San Vincenzo poiché al suo interno si venera il Santo di Saragozza.
Noi mistrettesi la chiamiamo chiesa di San Vincenzo perchè nel 1750 le chiese erano due: una dedicata alla SS. Trinità e l’altra, sul piazzale, al martire diacono Vincenzo di Saragozza. Le due chiese successivamente furono unificate.
Ringrazio la guida turistica Nino Dolcemaschio per le sue preziose informazioni.
La chiesa è posta a tramontana e vi si accede tramite due porte: la principale è in via Libertà, la laterale si apre lungo la strada che porta al castello.

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Nel attuale prospetto esterno, del XVII secolo, le tre facce scolpite sopra la chiave di volta rappresentano la SS.maTrinità.
Un’altra interpretazione riporta al tempo dell’imperatore Federico II quando Armando Trigona era il castellano che amministrava Mistretta e il suo territorio.
Il suo stemma raffigurava il sole dai tre volti che, allegoricamente, rappresentava: la giustizia suprema, il carattere illuminato, le qualità intellettuali del fedele suddito.

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 Nel 1960, quando il Sovrano Ordine Militare dei Trinitari, al quale erano stati affidati la chiesa e il monastero di Sant’Anastasia, si trasformò in confraternita, l’antico stemma del sole a tre volti fu scolpito sull’architrave dell’antico monastero normanno che, attualmente, è la chiesa della Sant.ma Trinità. I tre soli rappresentano la Santissima Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

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La scultura è stata corredata da una colta iscrizione latina con un’interpretazione prettamente cristiana.

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 Altre facce sono scolpite, poste lateralmente al sole e in basso.

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Una colomba con le ali aperte sta ad indicare lo Spirito Santo come recita la scritta sottostante: “Veni Creator Spirito”.

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Nei primi anni del Novecento sul frontone sopra la colomba fu inserita la statua dell’Angelo dormiente, o morto nella bara, opera scultoria di Noè Marullo. La committente di questa opera fu la N.D. signora Teresina  Salamone, la mamma del cav. Enzo Tita che, dal balcone della propria abitazione, sito di fronte alla chiesa, poteva ricordare il suo bambino morto in tenera età.

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 Il prospetto termina con una sorta di ricamo ad U.
Due snelli campanili conici, posti lateralmente al prospetto, terminano con delle guglie rivestite da tessere policrome in ceramica.

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L’interno della chiesa aveva una sola navata in stile barocco a pianta quasi ovale terminante nel presbiterio a forma rettangolare.
Le modifiche apportate nel 1661 hanno ampliato la chiesa che fu trasformata a pianta quasi ellittica e arricchita di altari.

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La tela della Triade Sacrosanta, della SS.ma Trinità, che adorna l’altare maggiore, raffigura al centro un angelo seduto, che mostra la croce bicolore trinitaria sul petto, nell’atto di liberare due schiavi: un ragazzo bianco e uno nero.
Incrociando le braccia, con ambo le mani, simbolo di fratellanza, stringe i due fanciulli liberati dalla schiavitù.

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Le statue e le tele risalgono ai secoli XVII e XVIII.
Le tele raffigurano San Crispino e San Crispiniano sotto il Dio, padre onnipotente e trino.
I santi Crispino e Crispiniano sono i protettori dei calzolai. Infatti al centro in basso nel medaglione sono raffigurati gli attrezzi dei calzolai.

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 il martirio di San Vincenzo,

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la Madonna della Mazza,

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San Vincenzo diacono,

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Cristo sulla Croce.

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 Da ammirare anche gli stucchi e le colonne scanalate.

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All’ingresso della chiesa una conchiglia, sorretta da un puttino, funge da acquasantiera.

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Anche l’organo è un elemento importante della  chiesa.

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LA CONFRATERNITA DELLA  SS.MA TRINITA’

La confraternitadella SS.maTrinità, fondata nel 1711, ed i cui capitoli furono approvati nel 1734 dal Vescovo di Cefalù, associava esclusivamente “mastri”, i muratori.
La confraternita è ancora esistente e si riconosce per la croce bicolore, rossa e celeste, trinitaria che i confrati espongono sulla fascia bianca indossata di traverso sul petto.
Il disegno trinitario ripete quello dell’Ordine dei Templari.

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Applicando il proprio statuto, la confraternita è responsabile della Chiesa omonima e cura anche gli interessi economici.
La chiesa possedeva diversi ettari di terreno, edifici, chiesette rurali, colture d’ogni genere ed un vastissimo bosco.
Le rendite di questo patrimonio dovevano servire all’assolvimento della principale finalità della Confraternita: l’affrancamento degli schiavi, secondo il carisma proprio dell’Ordine Trinitario.
Io ricordo che la terza domenica di maggio, nella ricorrenza della festa della Madonna dei Miracoli, seguiva il cammino processionale un ragazzo moro in catene, simbolo della liberazione degli schiavi.
Questa tradizione è stata sospesa tanti anni fa.
Altro obiettivo della confraternita era la solidarietà fra gli iscritti.
La confraternita attuale, inoltre, promuove e gestisce la festa interna della SS.ma Trinità e la festa esterna di San Vincenzo di Saragozza, diacono e martire. Partecipa alla processione del Corpus Domini e a quella dei Misteri del Venerdì Santo con il trasporto de di Gesù nel cataletto.

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Alla fine del sec. XIX la confraternita costruì la Cappella cimiteriale per la sepoltura dei Confrati.

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Jan 6, 2016 - Senza categoria    Comments Off on LA FESTA DI SAN SEBASTIANO PATRONO DELLA CITTA’ DI MISTRETTA

LA FESTA DI SAN SEBASTIANO PATRONO DELLA CITTA’ DI MISTRETTA

 

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La festività di San Sebastiano è celebrata dal mondo occidentale il 20 gennaio e dal mondo orientale il 18 dicembre. A Mistretta San Sebastiano si festeggia in due periodi dell’anno: il 20 gennaio, giorno in cui la Chiesa ricorda il Suo martirio, e il 18 agosto per consentire agli emigrati presenti a Mistretta per le ferie estive e ai turisti di venerare il Santo.
Il culto del Santo sembra sia stato introdotto nell’anno 1063, ma la devozione a San Sebastiano si estese tra 1625 e il 1630 quando s’invocò la sua intercessione per fermare la terribile epidemia di peste che affliggeva tutta la Sicilia e che aveva mietuto tantissime vittime.
La Sua intercessione e la fervente preghiera del popolo fermarono il contagio anche a Mistretta. L’epidemia scomparve.
Il venti gennaio, poiché le condizioni climatiche non sono favorevoli, l’inverno mistrettese è molto freddo, la giornata è corta e spesso la neve fa la sua apparizione, la festa di San Sebastiano è celebrata solo dai paesani in tono minore rispetto alla festa del mese di agosto, limitatamente alla funzione religiosa in chiesa,

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alla processione, senza gli addobbi luminosi, senza i giochi pirotecnici e senza la raccolta dei “miracoli“.
E’ ugualmente un giorno festoso!
La banda musicale suona armoniosa.

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Molta gente, con grande devozione e spiritualità, attende l’uscita del fercolo di San Sebastiano nel piazzale davanti alla sua chiesa

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 e nell’ex piazza Guglielmo Marconi intitolata a San Sebastiano.

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L’uscita della Varetta degli Angeli dalla chiesa di San Sebastiano dà inizio alla processione.

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La pesante vara di San Sebastiano

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è portata a spalla da circa 60 portanti che indossano un tradizionale costume del Seicento con camicia e calze bianche, con pantaloni di velluto nero e con un fazzoletto di color carminio al collo.

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Svolgono questo piacevole compito con fede ed entusiasmo tramandando il posto sotto la vara, secondo la tradizione, da padre in figlio.
La Varetta è trasportata a spalla dai giovani del paese in numero molto minore poiché è più leggera. San Sebastiano percorre le strade del paese, secondo un percorso più corto, fermandosi nei posti dove, in passato, erano ubicati gli ospedali e nei luoghi di assistenza agli ammalati spesso soggetti alle epidemie. In alcuni punti assegnati il Santo corre.

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Il fercolo di San Sebastiano è sempre preceduto dalla Varetta degli Angeli recante le reliquie di San Sebastiano e i ceri votivi, simbolo delle grazie ricevute.

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La festa del 18 agosto, “a festa ranni“, “a festa ru vutu“, presenta non soltanto le caratteristiche di religiosità, ma soprattutto di folklore.
I mistrettesi, residenti altrove, ritornano al paese natio facendo coincidere la loro permanenza a Mistretta con la festa del Santo Patrono.
Già il 19 agosto, giorno successivo alla festa, il paese si spopola riprendendo l’aspetto invernale quando non s’incontra quasi nessuno nella piazza e nelle strade.
Il poeta Filippo Giordano, nella sua poesia “A festa ru santu patruni” esprime l’intenso sentimento religioso e devozionale dei mistrettesi verso il Patrono San Sebastiano.
La poesia è tratta dal suo libro “Scorcia ri limuni scamusciata

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La festa di San Sebastiano è gestita dal Comitato, da alcune persone che assumono l’impegno di una buona organizzazione. Caratteristica è “la raccolta dei miracoli”.

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Il gonfalone di San Sebastiano, trattenuto dalle mani dei giovani che stringono i nastri laterali, accompagnato in processione dal presidente del Comitato, dalla banda musicale e da alcuni ragazzi, nella mattinata si recano nelle abitazioni di quelle persone che, per avere ricevuto il dono della grazia richiesta, offrono gli ex-voto. Una volta il compenso al voto consisteva nell’elargizione dei prodotti della natura, soprattutto di frumento dopo la sua raccolta, e dei grossi ceri prodotti a Mistretta.
Oggi i prodotti in natura sono stati sostituiti dall’offerta in denaro. Le offerte ricevute dal Santo sono esposte nella vara e i ceri nella Varetta.
Dal suono della banda sono accompagnati le autorità civili e militari e le associazioni

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Anche la Società fra i Militari in Congedo è accompagnata dalla banda musicale per ricordare che anche San Sebastiano era un militare.

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Qualche giorno prima della festa il gruppo dei bersaglieri, provenienti da altre città, sfila di corsa per la via Libertà suonando la marcia flick flock e suscitando grande allegria fra la gente.

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Nel pomeriggio si svolgono i giochi con i ragazzi delle scuole e la sfilata dei cavalli.

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La processione inizia dopo la celebrazione della Santa Messa “a missa ranni”.
I portanti sono chiamati da mons.Michele Giordano per baciare il reliquario che contiene un osso del cranio di San Sebastiano

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 e per recitare insieme la preghiera del portante

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Una pioggia di bigliettini colorati, con la scritta “Viva San Sebastiano”, piovono dal campanile della chiesa e annunciano che l’uscita del santo è imminente.
Dalla chiesa esce prima la Varetta, poi la vara di San Sebastiano entrambe addobbate con i garofani rossi.

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Il lenzuolo, formato dalle offerte delle banconote d denaro, fa bella mostra ai piedi del Santo.

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La gente applaude.
La processione si snoda per le vie del paese dove ripide discese e brusche salite mettono a dura prova la forza e la resistenza dei portanti che si muovono con un movimento ritmico a passo di marcia, la cosiddetta “annacata”.
La corsa della vara e della varetta è un momento molto atteso dalla gente che grida ”Sammastianuzzu senza dannu”.
Corrono tutti: i sacerdoti, le autorità civili e militari, le due bande, la folla dei mistrettesi, la gente dei paesi vicini richiamata dallo sfarzo e dalla grandiosità della festa. Nel tratto terminale, che va dal palazzo Vincenzo Salamone alla chiesa di San Sebastiano, la marcia “della bersagliera” accompagna l’ultima corsa.
E’ una grande emozione!
I portanti si lanciano a velocità sostenuta quindi girano seguendo la curva a gomito davanti alla chiesa. Sempre correndo, fanno il cambio di spalla. Rimanendo sotto la vara, si girano per tornare indietro. Per un attimo la vara resta sospesa in aria.
Numerosi sono i fedeli che aspettano il passaggio delle vare fermi ai bordi delle strade, oppure affacciati ai balconi o stipati nei ballatoi. Con l’omelia, con la benedizione eucaristica, con l’esecuzione da parte della banda musicale del canto Tantum Ergo si chiude la festa religiosa.
San Sebastiano ritorna nella sua chiesa.

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la processione dei piccoli portanti

 

 

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La festa folkloristica continua con gli spari dei giochi pirotecnici, con il sorteggio dei premi messi in palio, con l’esibizione degli artisti negli spettacoli di vario genere nella piazza Vittorio Veneto, con la passeggiata lungo la Via Libertà.

Jan 1, 2016 - Senza categoria    Comments Off on LA LIPPIA CITRIODORA- LA PROFUMATA CITRONELLA NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

LA LIPPIA CITRIODORA- LA PROFUMATA CITRONELLA NELLA VILLA COMUNALE “GIUSEPPE GARIBALDI” DI MISTRETTA

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La villa comunale “G.Garibaldi” in questo periodo invernale si è spogliata dei colori brillanti dei suoi fiori ed ha acquisito una uniformità cromatica verde-gialla.

Anche la Lippa citriodora ha perso il suo profumo e la sua forma cespugliosa. La pianta, posta nell’aiuola di fronte alla fontanella d’acqua e dietro il busto dell’artista amastratino Noè Marullo,  molto rigogliosa in estate, attualmente si è trasformata in un insignificante arbusto.

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La Lippia citriodora, detta anche “Cedrina, Aloysa triphilla, Limoncina, Verbena odorosa, Erba luigia”, è una pianta appartenente alla famiglia delle Verbenaceae e originaria dell’America sud-occidentale.
Importata in Europa dagli Spagnoli nel XVII secolo, è molto coltivata per le sue proprietà aromatiche sfruttate anche nell’industria della profumeria.
La Lippia deve il suo nome all’esploratore Augusto Lippi al quale Linneo la offrì alla fine del 1700.
La Cedrina è una piccola pianta arbustiva perenne non sempreverde. Infatti, durante l’autunno, assume una colorazione verde tendente al bianco. E’ una pianta di piccole dimensioni.
Gli esemplari adulti sono di taglia media e raggiungono i 50 centimetri d’altezza, ma le dimensioni del cespo variano secondo il clima: dove è mite possono raggiungere anche qualche metro d’altezza.
La Cedrina presenta fusti eretti e rami dal portamento piuttosto disordinato e solo un’esperta potatura riesce a dare al cespuglio un aspetto compatto.

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Le foglie, verdi, sessili, intere, decidue, prive di picciolo, riunite in verticilli di tre, si sviluppano lungo il fusto e nei rami. Sono lunghe, a forma di lancia, superiormente ruvide al tatto, segnate da una profonda venatura centrale. La pianta è apprezzata soprattutto per la deliziosa fragranza delle sue foglie che, come indica il nome, emanano un profumo di limone e un sapore di Cedro simile a quello della Melissa e dalle quali si estrae un olio essenziale.

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Verso la fine dell’estate appaiono in cima agli steli le leggere pannocchie composte da minuscoli fiori bianco-violetti.

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Foto di Luigi Marinaro

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La moltiplicazione avviene per mezzo dei semi, che germinano dopo quasi 20 giorni, ma più facilmente per talea.
Nella tarda primavera o all’inizio dell’estate, dai rami e dal fusto si prelevano delle talee che si piantano in un miscuglio di torba e di sabbia mescolate in parti uguali. Le talee radicate si pianteranno nel successivo mese di maggio.
Le foglie fresche o essiccate servono in cucina per preparare tisane, infusi, liquori di erbe, vivande al sapore di limone e per insaporire olio, aceto, marmellate, macedonie, gelatine e gelati. Devono essere usate con moderazione perché un utilizzo prolungato e irregolare può provocare indigestione e mal di stomaco. L’infuso, aggiunto all’acqua del bagno, la profuma deliziosamente.
In medicina, tisane e infusi hanno diverse proprietà terapeutiche. Sono: diuretici, sedativi, antinevralgici, neurotonici, stimolanti.
Sono curativi in caso di flatulenza e di gastriti. I gonfiori e le irritazioni degli occhi traggono giovamento da un impacco freddo tenuto in loco per un quarto d’ora.
La Cedrina predilige essere posizionata in un luogo riparato, preferibilmente contro un muro esposto a sud, e semi-ombreggiato dove può ricevere il calore dei raggi solari durante le ore più fresche della giornata o protetta da altre piante più robuste.
Il terreno deve essere soffice, leggero e molto ben drenato perché i ristagni d’acqua provocano l’ingiallimento delle foglie.
Le annaffiature devono essere abbondanti e frequenti in modo che il terreno non sia mai asciutto. Se gli apici delle foglie e dei germogli appassiscono, significa che la pianta soffre la siccità. Resiste alle basse temperature sopportando, in inverno, anche gelate non troppo prolungate.
Di solito, la pianta tarda ad emettere le gemme quindi, alla fine dell’inverno rigido, è necessario non perdere la speranza che emetta i germogli. Bisogna insistere ad annaffiarla ed a concimarla perchè, anche se buona parte della chioma è stata rovinata dal gelo, è probabile che le radici siano sopravvissute. Il clima primaverile, con un elevato sbalzo termico tra le ore diurne e quelle notturne e le piogge frequenti potrebbero favorire lo sviluppo di malattie fungine che andrebbero trattate preventivamente con un fungicida sistemico.
Poiché il fogliame delle piante aromatiche è utilizzato per il consumo alimentare, è bene prestare attenzione all’utilizzo degli insetticidi e degli anticrittogamici.
Della Cedrina si utilizzano le odorosissime foglie fresche che possono essere raccolte in qualunque momento dell’anno, preferibilmente durante l’estate, quando la pianta è al massimo della fioritura, quindi si fanno essiccare in luogo fresco ed ombreggiato.
Le foglie essiccate si conservano in un vaso di vetro perché così manterranno il loro profumo anche per alcuni anni.

Dec 22, 2015 - Senza categoria    Comments Off on LE CASCATE INCANTATE DEI NEBRODI E LA SOCIETA’ AGRICOLA DI MUTUO SOCCORSO A MISTRETTA

LE CASCATE INCANTATE DEI NEBRODI E LA SOCIETA’ AGRICOLA DI MUTUO SOCCORSO A MISTRETTA

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Il documentario televisivo sulle CASCATE INCANTATE DEI NEBRODI, realizzato e trasmesso da Rai 3 nel programma

“IL SETTIMANALE SICILIA” il 19 dicembre 2015, ha mostrato egregiamente  l’importante patrimonio naturalistico che Mistretta possiede.

Bisogna ringraziare l’Associazione “La valle delle Cascate”, diretta dalla presidente signora Daniela Dainotti, e collaborata da tanti amici della Natura, perché le incontaminate e affascinanti cascate incantate, all’interno del Parco dei Nebrodi, nel territorio di Mistretta, adesso sono valorizzate, fatte conoscere e apprezzate.

 Molte sono state le comitive di escursionisti che, attratti dalla natura incontaminata del luogo, hanno avuto la voglia di ammirare le quarzarenitiche rocce e di ascoltare il mormorio dell’acqua che scorre veloce gettandosi nelle cavità del terreno sottostante.

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 A causa dell’asperità del luogo prima queste meraviglie della Natura potevano essere viste solo da alcuni fortunati e ignari pastori quando portavano al pascolo il loro bestiame.

Le cascate sono sicuramente un richiamo per gli amanti della Natura, mistrettesi e soprattutto turisti, che vogliono sperimentare l’incanto del paesaggio nebroideo e delle acque che saltano la roccia anche da 37 metri di altezza.

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Il giorno tre settembre del 2015 nella sede della Società Agricola di M. S di Mistretta è stato presentato il libro dell’amico Filippo Giordano “ VALLE DELLE CASCATE – il volto sconosciuto di Mistretta”.

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L’autore scrive: “[…] La valle delle cascate di Mistretta si trova a quattro Km dal centro abitato verso est, al confine delle contrade Pietrebianche, Rescifu, Acquasanta, Ciddia e Farà. Le cascate più alte (Pietrebianche e Rescifu rispettivamente di 33 e 25 metri circa) raccolgono le acque torrentizie provenienti dalla zona a monte, i cui corsi si estendono per circa 3 Km. Guardando da Sud verso Nord, cioè dalle rispettive foci, sul greto del torrente più a sinistra, proveniente dalla contrada Acquasanta, circa 100 metri prima della cascata omonima, si trova il <<doppio salto carrivali>> di circa 6/7 metri alla cui base si forma una ampia vasca profonda quasi un metro. Più sotto, poco prima di giungere alla cascata, l’acqua attraversa altre due ampie vasche. Dalla seconda vasca, l’acqua, a cascata, giunge sul sottostante greto e subito si incontra con l’acqua che precipita, alcuni metri più sotto, dalla cascata Riscifu, ribattezzata <<Cascata delle Fate>>  dove alla sua base è abbastanza frequente vedere apparire un arcobaleno che risale lungo la schiuma vaporizzata dell’acqua […]”.

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Le foto sono tratte dal libro dell’autore Filippo Giordano

Notevole è stato il gradimento del numeroso pubblico presente alla presentazione del libro esprimendo l’intenzione di visitare le cascate allorquando il cielo concederà una piaggia abbondante in inverno e in primavera che arricchirà la portata dell’acqua.

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Daniela Dainotti

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Filippo Giordano

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Foto di Emanuele Coronato

La Società “Agricola.” è sede anche di altri rilevanti incontri culturali.
Essa nacque il 28 aprile del 1889. Non si ispirò alle indicazioni delle Camere del lavoro agricolo, ma la sua origine pare fosse guidata dal riformismo di una parte della classe dirigente locale e dall’azione del movimento cattolico.

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Soci promotori furono i Signori: Sebastiano Paolocà, Liborio Pizzuto, Antonino Romano, eletto primo presidente.

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Presidente onorario perpetuo fu il cav. Vincenzo Salamone, espressione di una delle più facoltose famiglie di Mistretta, futuro sindaco e deputato nazionale.

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La Società, mediante la stesura di un regolamento ufficiale, stabilì di conseguire gli scopi: “promuovere l’istruzione e l’educazione della classe degli agricoltori, assicurare ai soci un sussidio in caso di malattia, costituire un monte frumentario, provvedere e concorrere alle spese per i funerali del socio deceduto”.
I soci si distinguevano in: soci effettivi, soci temporanei e soci onorari.
I  soci temporanei erano coloro i quali non erano addetti all’agricoltura o i soci effettivi che lasciavano questa attività.
Erano soci effettivi della Società Agricola i cittadini appartenenti alla classe degli agricoltori.
I soci onorari erano coloro i quali erano eletti tali per essersi distinti in azioni meritevoli. Tutti i soci dovevano versare una quota mensile di 50 centesimi. I soci effettivi, in relazione alla loro età, erano obbligati a versare una “tassa di entrata” corrispondente alla deposizione di frumento nella quantità da uno  a tre tumuli. Oggi il contributo è in Euro.

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Dei vecchi soci oggi ne rimane soltanto qualcuno che registra un’ età avanzata.

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Valido membro della Società è stato il signor Enzo Giordano, prematuramente scomparso.

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Grazie allo spirito associativo di alcuni giovani, la Società Agricola ha assunto un nuovo aspetto sociale e culturale. Essa conta circa 100 soci di cui 40 sono i giovani. L’attuale presidente della Società è il signor Giuseppe Sorbera. Valido collaboratore e vicepresidente è il giovane Vincenzo Mingari che, sostenuto da tanti altri giovani, ha materialmente ristrutturato la sede della Società.

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Il 19 luglio del 2015 è stata inaugurata, con una grande festa, la sede ristrutturata, molto rinnovata e abbellita.

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I giovani soci hanno ristrutturato anche la cripta sociale che la Società Agricola possiede al cimitero monumentale di Mistretta.

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Sono stati pitturati le inferriate, i pilastri portanti in ferro, il sopra portale in ferro battuto, è stato montato l’altare in marmo, realizzato artigianalmente,  con i fondi offerti durante i funerali, per volontà della defunta signora Chiavetta Maria.
L’ Angelo in marmo è stato offerto dalla famiglia  Di Franco Benedetto.

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Successivamente, nel 2017,  sono stati eseguiti i lavori di pavimentazione e di installazione del paleotto in ceramica raffigurante il logo del  Sodalizio.

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Giorno 1 Novembre 2017 è stato inaugurato il nuovo altare dove Mons. Michele Giordano  ha celebrato la Santa Messa.
Il presidente della Società, il signor Giuseppe Sorbera, indossa la fascia tricolore.

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Inoltre il nuovo portone e le finestre in legno di castagno sono stati realizzati dal socio artigiano Luciano Lipari e collocati presso la Cripta Cimiteriale della Società Agricola di M.S.

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Con molto entusiasmo e tanto impegno si adoperano anche ad organizzare, nel mese di settembre di ogni anno, la festa del SS.mo Ecce Homo che riscuote un grande successo soprattutto per esprimere gratitudine a questi i volenterosi, onesti e sinceri giovani.

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Dec 16, 2015 - Senza categoria    Comments Off on LA BIBLIOTECA COMUNALE “ ANTONINO PAGLIARO” DI MISTRETTA

LA BIBLIOTECA COMUNALE “ ANTONINO PAGLIARO” DI MISTRETTA

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La Biblioteca Comunale di Mistretta, intitolata all’illustre prof. “Antonino Pagliaro”, da qualche anno è stata trasferita dal palazzo della Scuola Media Statale “Tommaso Aversa” al palazzo della cultura Mastrogiavanni-Tasca dove, ordinato per categoria, il materiale libraio è stato messo a posto negli opportuni scaffali dal personale qualificato.

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 L’antica biblioteca comunale era sistemata al piano terra, sopraelevato dal livello stradale, del palazzo della Scuola Media Statale “Tommaso Aversa”, l’esteso edificio posto di fronte al monumento dei caduti e all’orologio del campanile della chiesa Madre in Piazza Vittorio Veneto.

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Esso è un palazzo elegante dal punto di vista architettonico e ricorda la sua antica origine come monastero delle Benedettine dove erano educate le bambine e le giovani alla moralità e ai buoni costumi e successivamente trasformato in edificio scolastico.

Luogo di notevoli attività letterarie, sede di diverse scuole, Mistretta da sempre svolge un ruolo importante non solo per la formazione dei mistrettesi, ma rappresenta un vitale centro di cultura dei Nebrodi.

Fin dal Medioevo, a Mistretta le istituzioni monastiche presenti costituirono importanti centri di diffusione della cultura. Fiorentissimo fu il convento dei Domenicani i quali, per motivi economici, si allontanarono dalla città nel 1578 portandosi dietro il prezioso patrimonio. Anche i frati Cappuccini e i frati Riformisti ebbero il lodevole merito di aprire scuole, di sviluppare una buona produzione letteraria, di costituire grandiose biblioteche ricche di opere umanistiche e filosofiche. I testi manoscritti e le edizioni a stampa dei frati Cappuccini furono acquisiti dal Comune nel 1866, dopo la soppressione degli Enti Ecclesiastici, per costituire il germe della futura Biblioteca Comunale e che, purtroppo, conserva pochi di quei tesori della produzione letteraria e scientifica di quei tempi.

La Biblioteca Comunale nacque nel 1865, con delibera N° 40, su proposta del consigliere dott. Liborio Marchese e sulla approvazione unanime del Consiglio Comunale. Sempre durante la stessa seduta il Consiglio deliberò che la Giunta Comunale doveva garantire l’organizzazione dei locali, degli scaffali e assicurare la disponibilità dei fondi per l’acquisto dei libri.

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Foto della biblioteca comunale al palazzo della Scuola Media Statale “Tommaso Aversa

A questi beni si aggiunse il patrimonio librario privato donato dell’illustre cittadinoSac. Mons.Sebastiano Cannata, rappresentante di quel movimento tendente al progresso culturale che, iniziato nel 1800, portò Mistretta ad arricchirsi di scuole in grado di esprimere cittadini insigni nelle lettere, nelle scienze, nelle virtù morali e sociali. Nel suo testamento ha chiaramente espresso la volontà di donare tutto il suo patrimonio librario al Comune di Mistretta.

Grande rilievo ebbero i maestri privati dotati di gusto artistico e letterario, come i nobili Matteo Agnello, Cola Cunigrello, Paolo il Magnifico, le suore del monastero delle Benedettine che provvidero all’istruzione dei giovani di buone capacità.

La Giunta comunale, con la nomina del primo bibliotecario signor Gioacchino Bartolotta nel 1875, approvò il primo statuto, in data 21/09/1875, che stabilì l’apertura ufficiale della biblioteca al pubblico con il servizio di lettura nella sua sede.

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 Da allora tale servizio non è stato mai più interrotto. L’attenzione costante delle varie amministrazioni comunali che si sono succedute nel tempo hanno consentito di ampliare il patrimonio della Biblioteca. I cittadini illustri: il cav. Giuseppe Saitta, il prof. Liborio Marchese, l’avv. Giuseppe Di Salvo, il bibliotecario Calcedonio Bavisotto, il giurista Barnaba Di Franco, che ha donato trecento volumi, il prof. Antonino Pagliaro, il prof. Giuseppe Campisi, con le loro donazioni, hanno potenziato il patrimonio librario.

Attualmente la biblioteca possiede 20767 volumi di cui 34 manoscritti, 4 incunaboli, 206 cinquecentine, 2400 volumi editi dal 1600 al 1830, alcuniPeriodici e Settimanali, giornali locali, diversi Cataloghi cartacei separati per titolo, per autore, per soggetto.

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Particolarmente ricca è la raccolta di opere di interesse locale riunite nella sezione speciale “Sezione Sicilia”. L’elenco dei libri esistenti non è, però, fisso, ma varabile continuamente per le frequenti donazioni di scrittori locali e non.

Anch’io cerco di arricchire la biblioteca comunale “Antonino Pagliaro” di Mistretta con dei miei piccoli contributi. Ho donato le mie pubblicazioni di libri e di video-libri. Faccio da tramite fra i due paesi: Licata e Mistretta regalando alla biblioteca di Mistretta i libri pubblicati dagli amici di Licata e alla biblioteca “Luigi Vitali” di Licata i libri pubblicati dagli amici di Mistretta.

 I libri si possono consultare nella sede della  biblioteca o chiederli in prestito per la durata di 30 giorni previa iscrizione gratuita, aperta a tutti e senza limite di età e di residenza. Dizionari, enciclopedie, atlanti, riviste, opere rare e di qualità si possono consultare solo nella sede della biblioteca. Probabilmente la biblioteca non è ancora provvista dei dispositivi per la consultazione dei materiali audiovisivi e multimediali.

Nell’era della tecnologia e dei social network purtroppo si sta verificando una crescente perdita dell’importanza della lettura del libro per dare spazio ad altri mezzi di comunicazione o a differenti modi di cultura. La lettura di un buon libro ha da sempre esercitato una notevole funzione formativa, soprattutto nel giovane, e la sua assiduità continua ad arricchire il pensiero e a sviluppare potenzialità espressive. E’ la SCUOLA il luogo più adatto per suscitare amore, curiosità, desiderio di una buona lettura.

Personalmente per me il libro è un silenzioso compagno col quale trascorro piacevolmente il mio tempo libero e col quale posso dialogare senza essere contestata!

Oltre alla normale attività di pubblica lettura e d’informazione bibliografica, la biblioteca ha collaborato con il Centro Culturale del Comune per dare vita ad attività culturali e di sviluppo del territorio. Particolarmente prestigiosi sono stati i due premi internazionali “Premio Antonino Pagliaro” e “Premio Giuseppe Cocchiara”, con sede a Mistretta e con cadenza triennale, con la collaborazione della Facoltà di Lettere dell’Università di Palermo. Nell’ambito del Progetto territoriale “Sesamo”, in collaborazione con l’Associazione Italiana Biblioteche e con l’Associazione culturale Pediatri, la Biblioteca Comunale ha partecipato al progetto “Nati per leggere” con l’obiettivo di avvicinare i bambini al mondo del libro.

Ringrazio la signora Nella Fallaci, già responsabile della biblioteca comunale di Mistretta, per la Sua preziosa disponibilità a fornirmi le informazioni riguardanti la vita della biblioteca.

           

 

 

Dec 15, 2015 - Senza categoria    Comments Off on IL PALAZZO LUCIO MASTROGIOVANNI-TASCA A MISTRETTA

IL PALAZZO LUCIO MASTROGIOVANNI-TASCA A MISTRETTA

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Il Palazzo Lucio Mastrogivanni-Tasca fu costruito nel 1727 da Giuseppe Mastrogiovanni ed ampliato nel 1795.
La notorietà della famiglia Mastrogiovanni-Tasca iniziò nei primi anni del ‘700 allorché Gaetano affittò alcuni feudi del Comune, diventò tesoriere e ricevette diverse cariche pubbliche.
La famiglia Mastrogiovanni-Tasca si ingrandisce con il matrimonio di Gaetano Mastrogiovanni, figlio di Giuseppe e di  Anna Ortoleva, con Rosa Cassata, figlia di Gioacchino e Antonina Volpe, celebrato il 25 settembre del 1757.
Nel 1778 nasce Filippo Mastrogiovanni Tasca, figlio di  Giuseppe  e di  Anna Ortoleva .
Il 4 aprile 1779 nasce Nicolo, figlio di Gaetano e di Rosa Cassata.
L’11 gennaio del 1809 don Nicolò Mastrogiovanni  si sposa con donna Teresa Giovanna Nipomicena, figlia del fu Pietro Ortoleva e del fu donna Anna Giaconia.
Il 29 settembre del  1815 nasce Michele Mastrogiovanni, figlio di Nicolò e di donna Teresa Giovanna Neposicena.
Nel 1833 muore Antonina, nel 1835 muore Nicolò, nel 1845 muore Liboria, figli di Gaetano e di Rosa Cassata, nel 1847 muore Rosa Amata Anna, figlia di Nicolò Mastrogiovanni e di Teresa Giovanna Neposicena.
Il 18 ottobre del 1844 Michele Mastrogiovanni Tasca sposa donna Anna Lipari.
Nascono: nel 1848 Lucio, zio del romanziere Giuseppe Tomasi di Lampedusa e del poeta Lucio Piccolo, e a cui fu concesso il titolo di Conte di Almerita,nel 1850 Agostino, nel 1854 Maria Maddalena Provvidenza,  nel 1857 Maria Teresa, nel 1860 Giuseppa, nel 1862 Giovanna.
Nel 1864 muore Maria Teresa, il 26 ottobre del 1889 muore Michele.
Nel 1860 Pietro, figlio del fu Nicolò, si sposa con Corradina Franza.
Matrimoni dei figli di Michele:
nel 1881 Lucio si sposa con Maria Giaconia.
Nel 1882 Giuseppa si sposa col barone Sergio.
Nel 1883 Giovanna si sposa con  Pietro Ciuppa.
Nel 1884 Francesca Paola si sposa con Benedetto Salamone.
Nel 1884 Maria Anna, nata a Pachino, si sposa con Antonino Salamone .
Nel 1887 Nicolò, nato a Pachino, si sposa con Maria Sirchia.
I Tasca conservarono la proprietà fino a quando, ai primi anni del 1900, subentrò don Giuseppe Salamone. Francesca Paola Mastrogiovanni Tasca, che nel 1889 sposò il cav. Bettino Salmone, ereditò il palazzo nel 1920. La passione per  la politica e la fedeltà agli ideali socialisti di don Bettino Salmone lo distolsero dagli affari privati conducendolo alla rovina. Alla morte dei coniugi Salamone, Marietta, la sorella di Francesca Paola, ereditò la proprietà del palazzo sul quale pesavano, però, gli errori di don Bettino. Intervenne il tribunale civile di Siracusa che ne promosse l’esproprio e l’assegnazione.
Il palazzo fu assegnato ai coniugi Francesco Ciuppa e a sua moglie, la baronessa Jole Dagnino, che lo vendette al Podestà Vincenzo Pagliaro, che lo acquistò nell’interesse e per conto  del comune di Mistretta il 25 giugno del 1937 al prezzo di 50.000 lire. Il palazzo era composto complessivamente di 24 vani.  Restarono esclusi dalla vendita: la stanzetta con sottostante magazzino che dà sulla via Mazzini, il caminetto in marmo e l’altare che si trovavano al primo piano. Il comune di Mistretta, per rendere idonei i locali ad accogliere gli uffici della Casa dei Giurati, ha dovuto spendere altre 2800 lire per la ristrutturazione. Durante la sommossa popolare dell’8 settembre del 1943 un vasto incendio mandò in fumo molti documenti custoditi negli uffici del comune. In un vano del pianterreno del palazzo la SIP aveva collocato il centralino telefonico dove la gente si recava a telefonare quando i telefoni in casa erano molto rari.
La famiglia Mastrogiovanni-Tasca avviò le più importanti aziende vinicole di Sicilia, ancora amministrate dalla contessa Rosemarie Tasca d’Almerita, ed ebbe un grande peso politico nella storia del Risorgimento italiano.
Il 7 novembre del 2015 nel salone delle feste del Circolo Unione di Mistretta è stata presentata la cerimonia “Mistretta tra memoria e futuro: Alla scoperta delle radici”. Insieme al presidente del Circolo Unione, dott. Mario Salamone, abbiamo incontrato la contessa Rosemarie Tasca d’Almerita, un’autentica signora dalla voce sottile, dal carattere forte, che legge e sa scrivere.
La contessa Rosemarie Tasca d’Almerita ha scritto racconti, poesie, ed epigrammi ed ha pubblicato libri su proverbi e ricette culinarie personali. La contessa Rosemarie è tornata a Mistretta, luogo delle sue radici, culla dei suoi antenati, dove visse il “quaternonno” don Gaetano Mastrogiovanni nato a Mistretta nel 1735. Fu lui che fissò i cardini del cognome “Tasca”.
Si racconta che andava in giro portando a tracolla una grande sacca piena delle onze che aveva saputo guadagnare con il trasporto dei cereali nella Sicilia che allora stava attraversando una grave crisi agro-alimentare.
L’evento culturale, per onorare la venuta della contessa Rosemarie Tasca d’Almerita, organizzato dall’Associazione “Progetto Mistretta” e fortemente sostenuto dal suo presidente prof. Nino Testagrossa, ha visto la partecipazione di: intellettuali, pittori, scrittori, artisti, alcuni dei quali provenienti dal Messico. E’ intervenuta la signora Pina Mandolfo, del gruppo della Società Italiana delle letterate.
La famiglia Mastrogiovanni-Tasca a Mistretta ha lasciato, oltre ai cari ricordi, anche l’eloquente presenza dell’edificio, oggi sede del “Palazzo della cultura” .
Il palazzo Mastrogiovanni-Tasca è ubicato in Corso Umberto I, al nnumero civico 2, all’inizio della Piazza dei Vespri, vicino alla chiesa di San Giovanni, posto di fronte al palazzo del barone Giovanni Giaconia, alla palazzina Manno-Mussolici e, lateralmente, al palazzo Spinnato-Vega.
Chi percorre il Corso Umberto I ha la splendida visione frontale della facciata a quattro livelli del palazzo.

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Sulla facciata principale si affacciano tanti balconi-finestra abbelliti dalle ringhiere di ferro ricamate. Caratteristica è la chiave di volta del portone dove è scolpita una maschera che, con gli occhi sbarrati e con la bocca semiaperta, vorrebbe suscitare spavento.

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Salendo le scale si può ammirare un’altra chiave di volta rappresentante una figura apotropaica.

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Il palazzo Mastrogiovanni-Tasca merita di essere ammirato in tutte le sue parti, ma la Cappella attira maggiormente l’attenzione del visitatore per lo stemma araldico, per la raffigurazione del Crocifisso,  di padre Giovanni da Mistretta del 1792, per tutti i dipinti del tetto, per le statuette, per il particolare pavimento a mosaico.

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Attualmente il palazzo ospita il museo civico polivalente, intitolato a “Egidio Ortolani”, dove sono custoditi importanti reperti archeologici di epoca greca e romana dell’antica Mytistraton-Amestratos, fino all’epoca medioevale, molte tele e il tesoro della Madonna della Luce. Alcuni reperti sono custoditi al piano terra, altri nel piano nobile.
Sono relitti architettonici, suppellettili di ceramica, materiali fittili e frammenti epigrafici

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 Nella zona museale si ammirano le tele o le arti figurative che provengono dall’ex convento francescano sito a Mistretta nell’ ex Piazza Dogali, adesso piazza San Felice, intitolata al santo con la bisaccia che visse all’età di 28 anni in questo convento francescano, San Felice da Nicosia.
Sant’Ignazio di Loyola, olio su tela del XVII sec, di ignoto pittore fiammingo.

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 La Flagellazione di Cristo, olio su tela del XVII sec, di Matthias Stomer

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 Frate Bernardo da Corleone, del XVIII seco, di autore ignoto

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Beato Felice da Nicosia, olio su tela del XIX sec, di autore ignoto

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Il Crocefisso, olio su tela del XVIII secolo, di autore ignoto

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Madonna Addolorata, olio su tela del XVIII secolo , di ignoto cappuccino.

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La morte del giusto, olio su tela del XVIII secolo , di ignoto cappuccino.

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Madonna delle Grazie   o orante, olio su tela del XVII secolo , di autore ignoto.

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Paliotto con stemma francescano, olio e lamina metallica su tela e cuoio, del XVIII secolo, produzione cappuccina.

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La Madonna col Bambino, olio su tela del XVIII secolo, di autore ignoto.

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La Madonna del Rosario, olio su tela del XVIII secolo, di autore ignoto siciliano.

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L’Albero genealogico, olio su tela del XVIII secolo, di ignoto cappuccino.

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La scala porta al piano superiore, la zona della servitù. Le mattonelle sono originali.

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Un intero piano del palazzo è riservato alla musica dove sono custoditi importanti strumenti e spartiti musicali dell’Ottocento che testimoniano la straordinaria tradizione della locale Scuola Civica Musicale.

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L’ammezzato del palazzo Mastrogiovanni-Tasca ospita anche la Biblioteca Comunale,  già istituita nel 1875 ,intitolata all’insigne linguista  “Antonino Pagliaro”.26 ok

Il suo prezioso fondo antico è stato costituito dalla raccolta delle varie librerie appartenute ai Conventi francescani esistenti a Mistretta, con incunaboli ed edizioni dal XVI al XIX sec.
Nella stessa biblioteca  è consevato l’Archivio Storico Comunale, una notevole fonte di informazione per la storia di Mistretta e di quella del comprensorio e sempre a disposizione degli studiosi.

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Il palazzo è stato sottoposto a restauro con i lavori  iniziati nel’anno 2006 e terminati nel 2008.
La progettazione e l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione sono state affidate all’arch. Giuseppe Greco e all’ing. Felice La Rosa.
Materialmente ha realizzato i lavori la ditta CPL COSTRUZIONI di Lorenzo Cocilovo.
L’opera è stata finanziata dall’Assessorato  LL.PP.  della Regione Sicilia rientrante nel bando pubblico del  06-12-2002 per la “Riqualificazione urbana nei centri con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti”.
Fino ai primi anni del 2000 il palazzo Mastrogiovanni-Tasca  fu la sede del prestigioso Liceo Classico Statale “Alessandro Manzoni” con annessa la sezione del Liceo Scientifico.
Eletto Palazzo della Cultura il 28 settembre 2010, nella sala convegni si realizzano tantissimi eventi culturali ai quali partecipa sempre un numeroso, qualificato e attento pubblico.
Ultimo, in ordine di tempo, è stato il PREMIO INTERNAZIONALE “GIUSEPPE MARIA COCCHIARA

PER GLI STUDI DEMO-ETNO-ANTROPOLOGICI, tenutosi nei giorni dell’11 e del 12 dicembre 2015.

L’istituzione del Premio è stata realizzata dalla F.I.T.P, Federazione Italiana Tradizioni Popolari, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Mistretta, città che il 5 marzo del 1904 ha dato i natali all’illustre antropologo Giuseppe Cocchiara.
Durante la cerimonia, al prof. Nestor Garcia Canclini è stato assegnato il “Premio Internazionale Giuseppe  Cocchiara” per gli Studi Demo-Etno-Antropologici. Il Premio gli è stato consegnato dal Presidente della F.I.T.P.  Benito Ripoli.
La bravissima giornalista Rosalinda Sirni intervista il prof. Nèstor Garcìa Canclini.

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Il prof. Nèstor Garcìa Canclini, argentino di nascita, messicano di adozione, docente della Universitad Autònoma Metropolitana Unidad Iztapalapa de ciudad de Mèxico, è uno dei più famosi antropologi contemporanei. Alla cerimonia di assegnazione erano presenti: le Autorità dell’Amministrazione Comunale di Mistretta, della Regione Sicilia, le Autorità Accademiche delle Università siciliane e della Federazione Italiana Tradizioni Popolari, il prof. Emerito Antonino Buttitta dell’Università di Palermo e molti altri studiosi. I gruppi folkloristici “Amastra” e “Canterini amastratini” di Mistretta hanno piacevolmente animato la serata.
Al prof. Néstor Garcia Canclini e al prof. Benito Ripoli è stata consegnata la moneta coniata a Mistretta, presumibilmente nel 251 a.c., e riprodotta in terracotta dall’amico scultore Gaetano Russo.

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Da sx: il sindaco di Mistretta avv Liborio Porracciolo, il prof. Néstor Garcia Canalini, il vicesindaco e assessore alla Cultura avv. Vincenzo Oieni.

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Da sx: il prof. Benito Ripoli, il sindaco avv Liborio Porracciolo, il vicesindaco avv. Vincenzo Oieni, Angelo Scolaro, responsabile del gruppo folk “Amastra”. Foto di Giuseppe Cuva.
Un altro evento culturale al palazzo Mastrogiovanni-Tasca è stata la presentazione del libro “TRA  ANIMA E NATURA” dell’amico Liborio Erba.

 

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Il prof. Francesco Cuva ha presentato il libro “Noè Marullo. Scultore amastratino” il 18 Agosto 2022

 

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Dec 9, 2015 - Senza categoria    Comments Off on DELPHINIUM CONSOLIDA REGALIS – SPERONELLA

DELPHINIUM CONSOLIDA REGALIS – SPERONELLA

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La Delphiniumconsolida regalis è stata una delle poche piante che ho visto fiorita nella villa comunale “G.Garibaldi” di Mistretta nel mese di novembre. Ha continuato a fiorire grazie alla temperatura che, pur essendo in uno stadio avanzato della stagione autunnale, quest’anno è stata gradevole.

Certamente adesso il freddo è arrivato ed è pungente!

La Delphinium consolida regalis è conosciuta con tanti altri sinonimi. Linneo la nominò con la vecchia denominazione “Delphinium consolida”, termine d’origine greca “δελφίς” “delfino” in riferimento alla forma del bocciolo fiorale e dello sperone in cui si individuò la forma di un delfino e della sua pinna. Altri sinonimi comuni sono: “Erba cornetta, Speronella, Sperone di cavaliere” per la presenza dello sperone nel fiore.

La Delphinium consolida regalis è una pianta erbacea annuale appartenente alla famiglia delle Ranuncolacee e, probabilmente, originaria dell’Asia minore e delle zone mediterranee dell’Europa. E’ molto diffusa in tutte le regioni d’Italia dove cresce alle altitudini comprese tra 0 e 1200 metri.

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Presenta il fusto epigeo eretto, angoloso, molto ramificato, peloso, alto da 30 a80 centimetri, sostenuto da una radice principale esile e fittonante. Le foglie, tripalmatosette, divise in lacinie lineari, filiformi, lunghe da 15 a25 millimetri, quelle cauline inferiori sono a lacinie lineari lanceolate, quelle superiori a lacinie strettamente lineari. L’asse fiorale allungato è spesso privo di foglie.

La Consolida regalis saluta l’estate con slanciate infiorescenze a pannocchia di fiori peduncolati, marcatamente irregolari. LaConsolida regalis, presente nel giardino di Mistretta, ha luminose tonalità azzurro-violette, anche se esistono rare varietà di colore bianco, crema, rosa, lilla. I fiori sono costituiti da elementi disposti in due verticilli. Il verticillo esterno è formato da 5 sepali petaloidi di cui i due anteriori forniscono la base d’appoggio agli insetti impollinatori, mentre quello posteriore si estende in uno sperone lungo 15-18 millimetri e ricurvo verso il basso, peloso e di colore leggermente più chiaro. Il verticillo interno è formato dai petali, in numero da due a quattro, molto piccoli. I due petali superiori sono estesi all’indietro adattandosi all’interno del sepalo con lo sperone alla base del quale viene secreto il nettare.

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Gli stami sono disposti in serie spiralate e si schiudono gradatamente. Il pistillo è unicarpellare. Gli stami circondano un gruppo centrale di carpelli ognuno dei quali contiene molti ovuli. I fiori sbocciano da maggio a giugno e con rifioriture anche autunnali. L’impollinazione è favorita dalla visita delle farfalle, delle api, dei bombi  e dei calabroni che estraggono il polline, anche se le raccolte sono modeste. Il frutto è costituito da un follicolo monocarpellare, simile ad un piccolo baccello di fagiolo, oblungo, lungo circa 10 millimetri, glabro, brevemente rostrato, di colore marrone chiaro dove, all’interno, maturano i semi di colore scuro, piccoli, tetragoni, ricoperti da squame membranose. A maturità, il frutto si apre per tutta la sua lunghezza liberando i tantissimi semi, circa 400, prodotti dalla pianta. La semina si effettua da settembre a marzo.

La Consolida regalis ha scarse esigenze di vegetazione. Preferisce ricevere i raggi diretti del sole per molte ore al giorno posta su un terreno calcareo e ben drenato. Sopporta bene le temperature rigide dell’inverno mistrettese. Spontanea, è frequente ai margini dei sentieri e colonizza i campi coltivati  a cereali, soprattutto a grano, dove si è adattata e si è diffusa seguendo il ciclo biologico lungo i millenni e modificando la sua presenza con la rotazione delle coltivazioni; meno frequente è la sua presenza nei campi incolti. Un tempo infestante, ora è in forte regressione per l’utilizzo diffuso dei diserbanti chimici. Coltivata come pianta ornamentale, è eccellente sia per creare bordure nei giardini, per la bellezza del suo portamento e per la particolarità dei fiori, sia come fiore reciso.

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Inoltre, fin dai tempi antichi è stato citato l’uso dei fiori e delle foglie della Speronella per preparare infusi aventi proprietà diuretiche, vasodilatatorie, antielmintiche, antinfiammatorie. Dalla vecchia medicina popolare la pianta era ritenuta capace di fare cicatrizzare le ferite e di fare saldare le fratture ossee, da cui l’appellativo di “consolida”.

I preparati con le foglie dellaSperonelle, di sapore acre e amaro, contengono glucosidi e vari alcaloidi che li rendono tossici, ad azione simile a quella del curaro, e pertanto riservati dalla fitoterapia classica al solo uso esterno. Sono possibili avvelenamenti anche con le Speronelle ornamentali. I semi, particolarmente velenosi, ricchi di consolidina, hanno proprietà insetticide e antiparassitarie. L’utilizzo a scopo terapeutico della Speronella, però, è stato da tempo abbandonato e le sue proprietà non sono riconosciute dalla moderna farmacologia, pertanto, ormai, è una pianta medicinale quasi completamente dimenticata. Dalla pianta si ricavano anche coloranti e inchiostro blu.

Nel linguaggio dei fiori la Speronella simboleggia “leggerezza, spirito caritatevole”.

Dec 3, 2015 - Senza categoria    Comments Off on LA FESTA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE A MISTRETTA

LA FESTA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE A MISTRETTA

 

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L’Immacolata Concezione è un dogma cattolico proclamato da papa Pio IX l’ 8 dicembre del 1854 con la bolla Ineffabilis Deus che sancisce come la Vergine Maria fu mantenuta immune dal peccato originale fin dal primo momento del concepimento.
Per rilevare l’importanza del dogma, la Chiesa cattolica celebra l’ 8 dicembre la solennità dell’Immacolata Concezione della Beatissima Vergine Maria con la Messa Gaudens gaudebo.

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Questa festività era già celebrata in Oriente nel sec. VIII e fu importata nell’Italia meridionale dai monaci bizantini, propagandosi poi in tutto l’Occidente, soprattutto su iniziativa degli ordini religiosi benedettini e carmelitani.
Fu inserita nel calendario della Chiesa universale da papa Alessandro VII con la bolla Sollicitudo omnium ecclesiarum dell’ 8 dicembre del 1661.

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L’Immacolata Concezione si festeggia solennemente anche a Mistretta.
L’Immacolata Concezione è custodita nella chiesa di San Nicola di Bari nella Sua cappella, dentro l’edicola di stile neoclassico.
La stata lignea è stata scolpita nel 1898 dallo scultore amastratino Noè Marullo che scelse come modelle, per le sembianze del viso, probabilmente  la signora Stella Cuva,  la bella e giovane moglie, e una ragazza, abitante nel quartiere, per riprodurre le mani giunte.
La statua è stata ripresa nel 1921.L’artista ha vestito l’Immacolata con una veste  ricoperta da un drappo celeste, il colore del cielo.
Ha messo sotto il piede il drago, come trionfo su Satana, riferendosi ai versetti tratti dal libro della Genesi (3, 1-14-15): “Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. […] Allora il Signore Dio disse al serpente […] ‘Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe;  questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”.
Ha messo la falce di luna perchè si riferisce all’Apocalisse di Giovanni in Primo segno: la Donna e il dragone (12, 1-2): “Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle”.
La raffigurazione della Madonna sulla falce di luna potrebbe essere una manifestazione dell’archetipo della Dea Madre, rintracciabile fin nella preistoria. Sia il serpente sia la luna sono “domati” dalla purezza della Vergine.
La corona di dodici stelle, quanti sono i mesi dell’anno, ha il significato di  inglobare il senso compiuto del mondo.
La festa ha inizio nella chiesa di San Nicola di Bari  con la celebrazione della funzione religiosa alla quale partecipano le autorità religiose, civili e militari, i rappresentanti dei sodalizi, che espongono il proprio gonfalone, le confraternite e una grandissima folla di fedeli.

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 Quindi, nelle prime ore del pomeriggio, la statua dell’Immacolata Concezione inizia il cammino processionale uscendo dalla chiesa di San Nicola, dove è custodita, per attraversare le vie principali del paese: la via Anna Salamone e la via Libertà.

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La banda musicale di Mistretta anima la festa ed accompagna l’Immacolata lungo il percorso cittadino.

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La processione si conclude in poco tempo per il clima rigido dell’inverno mistrettese.
Un meritato riconoscimento va al signor Lorello Antonino che, collaborato da altre persone, con fervida fede, annualmente si adopera per la buona riuscita della festa in onore dell’Immacolata Concezione. Per un periodo lungo di oltre 50 anni, mio padre Giovanni Seminara, uomo molto devoto, si è prodigato per organizzare la festa dell’Immacolata sostenuto dalla confraternita, quando esisteva, di San Nicola.
I cordiali e sinceri rapporti che intercorrevano fra la mia famiglia e i parroci della chiesa, padre Antonino Saitta e padre Filadelfio Longo, sono ricordi vivi nella mia memoria. Mia madre mi raccontava che il manto appoggiato sulle spalle dell’Immacolata è il suo velo da sposa.
Concludo queste brevi riflessioni con alcune espressioni di lode rivolte a Maria Immacolata, espressioni che si trovano nella Liturgia delle Ore, ma che sono nate dalla mente e dal cuore del sommo poeta Dante Alighieri nella “Preghiera alla Vergine (Paradiso, canto XXXIII, vv. 1-39):

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.

Qui se’ a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
se’ di speranza fontana vivace..

Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre
sua disianza vuol volar sanz’ali..

La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre..

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate...

Or questi, che da l’infima lacuna
de l’universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,

supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l’ultima salute.

E io, che mai per mio veder non arsi
più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi,

perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
sì che ’l sommo piacer li si dispieghi.

Ancor ti priego, regina, che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi.


Vinca tua guardia i movimenti umani:
vedi Beatrice con quanti beati
per li miei prieghi ti chiudon le mani!».

Il canto del Paradiso si apre sulle parole di San Bernardo di Chiaravalle (1109-1153), asceta e devoto del culto mariano.
A lui è affidato il compito di supplicare la Vergine Immacolata affinché Dante, al termine del suo viaggio nell’oltretomba, possa finalmente contemplare Dio.
Il canto, che di seguito trascrivo, mi è stato inviato dalla mia amica, la poetessa Ines Rosaria  Riccobene

E veni Maria ‘Mmaculata

Si presenta a la me porta,
si presenta ‘n cumpagnia;
è Gesù cu la Madonna,
è Gesuzzu cu Maria.
< Beddamatri cca chi fai?
La me casa è scunzulata,
senza paci e senza amuri,
chi cci fai cu’ to Signuri? >
< Senza patria e senza regnu,
cercu chiddi comu a tìa,
dammi locu, dammi focu,
ca ti fazzu cumpagnia.>
< Matri Santa Addulurata,
io ti dassi lu me cori
ma è vacanti e senza amuri,
trovi sulu lu duluri.>
< Figghia mia, nun dispirari,
vinni cca pi cunzulari,
lu tò amuri nun è mortu,
nta li vrazza io ti lu portu;
puru Iddu fu tradutu,
misu ‘n cruci ed ammazzatu
ma a tri jorna Iddu è risortu
e nte vrazza io ti lu portu.>
< Oh Maria Cunzulatrici
di l’afflitti e d’infelici,
dammi la to cumpagnia,
veni cca, trasi Maria!>

 

 

 

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